Capitolo 15
Ian chiamò Jeremiah mentre percorreva le curve della strada che portava a Murder Rock. «Credo che si trovi al Monte delle Lacrime. Ci sto andando ora.»
Anche se la ricezione era pessima e la voce di Jeremiah si sentiva a tratti, prima confusa, poi chiara e poi di nuovo confusa, Ian riuscì a sentire la risposta. «D’accordo. Non so fino a quando avrai ancora la linea. Se trovi Charlee, cerca di farmelo sapere. Sono nel parco di Hercules Glades, ma non ci sono segni né di lei né della Jeep.»
«Ti terrò aggiornato.» Ian chiuse la conversazione e poi decise di chiamare la residenza, per sapere come andava.
Wynona rispose al primo squillo. «Notizie?»
«Credo di essere sulla strada giusta, ma non so se riuscirò a chiamare quando la raggiungerò.»
«Cielo, Ian, ma dove sei?»
«Monte delle Lacrime. Notizie del signor Gruber?»
«È stabile, ma continua a non volere vedere nessuno. Sto andando lì ora. Maledetto testone. Non riuscirà di certo a farmi buttare fuori dall’ospedale.»
«Perché ha detto di non volere visitatori? Non ho mai capito quella parte della storia.»
«Arnold è vissuto nella menzogna. Da otto anni non ha più contatti con sua figlia. I regali, le telefonate, niente di tutto ciò era reale.»
Ian si strofinò una mano sul viso. «Si mandava da solo i regali?»
«Sì, Ian. Ormai lo sanno tutti e lui, poveretto, si sente umiliato, ma si sbaglia di grosso se crede di potermi tenere alla larga con la semplice richiesta di non ricevere visite.»
«Lo ami sul serio, vero?»
Lei fece una lunga pausa. «Io amo tutti quelli della residenza. Sono la mia famiglia.»
«Ma sei innamorata del signor Gruber o no, Wynona?» Ian l’aveva potuto vedere con i suoi occhi al matrimonio, quando Wynona volteggiava radiosa sulla pista da ballo insieme a Gruber.
«Non ho mai pensato che avrei potuto sentirmi così con un altro uomo e sicuramente non con un vecchio pittore coriaceo e scorbutico.»
Ian si mise a ridere.
«Quando Horace morì, pensai di essere morta con lui. Se non in senso fisico, in senso emotivo.»
Ian avvicinò il cellulare all’orecchio. «Come hai fatto a sopravvivere, Wynona?»
Perché doveva saperlo anche lui nel caso in cui, una volta raggiunto Murder Rock, le sue peggiori paure si fossero concretizzate e Charlee… e… Serrò gli occhi e scacciò quell’immagine.
«Pregando. Sono sopravvissuta grazie alla preghiera.»
Ian inghiottì, anche se aveva la gola chiusa. «Pensi di poter dire anche adesso una di quelle tue potenti preghiere?»
Riusciva quasi a vedere il dolce sorriso di Wynona. «Lo sto già facendo, ragazzo. Adesso trovala e dille che la ami oltre ogni misura.»
Quella poteva farlo.
Ai piedi di Murder Rock, c’era un cancello per il bestiame che bloccava l’accesso alla strada che conduceva fino al passo. Ian scese dal pick-up e si sentì sollevato nel vedere che non c’era un lucchetto. Spalancò il cancello riempiendosi di fango la suola delle scarpe, poi lo superò, richiudendolo dietro di sé per evitare che altri si avventurassero su quella strada.
Ian immaginò che con il pick-up e le sue quattro ruote motrici non avrebbe avuto problemi a raggiungere la cima. Il motore ruggiva sempre più forte mentre il percorso diventava più ripido. La luna piena era già pronta a occupare il posto del sole che stava tramontando. A un certo punto il pick-up rimase bloccato nel fango e Ian dovette infilare dei rami sotto le ruote per tirarsi fuori, cominciando a dubitare del funzionamento delle quattro ruote motrici. I solchi sulla strada si richiudevano formando un’unica linea sottile in mezzo ad alberi e cespugli che frustavano le fiancate del veicolo. Quando Ian fu quasi in cima, si diradarono un po’ e questo gli permise di avere una visuale migliore, anche se il sole era ormai tramontato lasciando solo un alone della sua luce all’orizzonte. Ian si fermò dove la strada sembrava finire e individuò la Jeep in mezzo ai cespugli. Il cuore gli batté più forte mentre parcheggiava.
Spense il motore e saltò giù dal pick-up, mentre con gli occhi metteva a fuoco un bagliore dorato in mezzo alla boscaglia. Si mise le mani intorno alla bocca e chiamò. «Charlee?»
Nessuna risposta, eppure sapeva che lei doveva essere lì. Si affrettò a percorrere il tratto in mezzo agli alberi che lo separava dal falò acceso, vicino alla tenda. Non riuscì a distinguere nient’altro che le rocce e la tenda. Poi, una delle rocce in ombra sembrò muoversi e animarsi, e individuò la testa e le gambe. Era Charlee, raggomitolata a terra.
«Stai bene?» Era senza fiato per la paura di quello che avrebbe potuto trovare. Invece, al vederla lì viva, tutta la sua adrenalina si esaurì.
Lei borbottò qualcosa.
«Charlee, mi hai spaventato a morte.» Sapeva che in quel momento l’ultima cosa di cui lei aveva bisogno era che qualcuno le facesse una predica, ma le parole gli uscirono di bocca prima che le potesse fermare. Cercò di raggiungerla, ma mentre lui si avvicinava lei si tirò indietro barcollando, e così lui si bloccò, alzò le braccia e rimase ad aspettare.
Gli occhi le brillavano alla luce del falò, dal quale si vedevano schizzare scintille, nel buio della radura. Una bottiglia semivuota brillava come un faro alla luce delle fiamme, nel punto dove lei era stata fino a qualche minuto prima. «Come mi hai trovata?» Non strascicava le parole, ma neppure riusciva a scandirle bene.
«Ho parlato con Rod.»
All’improvviso lei piegò la testa all’indietro e scoppiò a ridere. «Ah, già. Il tuo nuovo amichetto. Caspita se ti sei dato da fare per farti degli amici, da quando sei arrivato.»
Il suo tono accusatorio era evidente.
«Prima Rodney. Poi mio fratello.» Charlee si piegò in avanti e afferrò un legno che si trovava a portata di mano.
«Charlee, tuo fratello voleva che io ti parlassi e io gli ho detto che lo avrei fatto.»
«Ma certo che glielo hai detto. Perché è quello che fanno tutti gli uomini della mia vita. Si mettono d’accordo alle mie spalle e prendono decisioni al mio posto.» Si avvicinò pericolosamente al fuoco e usò il legno per ravvivare le fiamme. Con ogni movimento faceva schizzare scintille che si alzavano in aria e poi scomparivano giù per il pendio.
«Gli ho detto che lo avrei fatto, ma gli ho anche detto che non sarebbe servito a niente. Che tu non te ne saresti andata via e che non c’era niente che io potessi dire o fare per convincerti.»
Dall’altro lato del falò, lei lo squadrò con occhi indagatori e si carezzò il mento con aria pensosa. «Davvero?» Un’unica parola, nessun calore, nessuna resa, ma nemmeno sarcasmo. Il suo tono era asciutto e non rivelava alcuna emozione.
«Io non voglio che tu te ne vada dalla residenza: è tutto quello che ti resta di tua madre e ormai anche di tuo padre. Dopo tutto, lui ha lasciato lì un’impronta di sé ovunque. Per me andare via è inimmaginabile.»
«Vuoi dire che non riesci a immaginare che io vada via.»
Mentre parlava, Ian fissava il fuoco. Si girò per guardarla e vide che aveva la testa dritta e una mano sul fianco, in atteggiamento di sfida. «Esatto, è quello che ho detto.»
Lei lasciò cadere il pezzo di legno bruciacchiato, che finì in mezzo alle fiamme e sollevò un’altra scia di scintille dorate. «Hai detto che per te andare via è inimmaginabile.»
No, che non lo aveva fatto. Cercò di ripensare a quello che aveva detto.
Charlee alzò le mani e poi le lasciò ricadere. «Allora, soldatino, a che gioco giochiamo? Cercherai di convincermi a tornare a casa questa sera? Qual è la tua missione? Qual è il tuo obiettivo?»
Anche lui alzò le mani, imitandola. «La mia missione era trovarti.» Il vento stava aumentando e le scompigliava i capelli.
«E poi?» Si raccolse i capelli alla base del collo.
Ian si strinse nelle spalle. «Tutto qui.»
Lei bofonchiò. «Che bravo soldato.»
Ian si avvicinò ancora un po’ a lei. «Charlee, riuscivo soltanto a pensare che dovevo trovarti. Accertarmi che tu stessi bene. Dopo di che, insieme, avremmo potuto capire come fare ad attenuare il dolore.»
Gli occhi di Charlee non erano del solito colore grigio-azzurro, sembravano globi dorati alla luce delle fiamme, pieni di sfumature arancioni, come due soli incandescenti. Scosse la testa. «Per quello ho già un amico che mi aiuta. Si chiama Jim Beam.»
Il tono acido della sua voce faceva soffrire Ian. «Quello non è l’unico modo per affrontare il dolore, sai.»
Charlee raddrizzò le spalle. «È il migliore che io abbia trovato.»
Ian le passò vicino e raccolse la bottiglia. Charlee s’irrigidì. Lui calcolò quanto era rimasto del contenuto. Non serviva discutere con qualcuno che aveva bevuto. Spostò lo sguardo dalla bottiglia a Charlee. «Sei qui già da un po’ e credo che, in cuor tuo, tu sappia bene che non dovresti farlo, ma stai combattendo una lotta interiore.»
Lei incurvò le labbra e Ian capì di avere toccato un nervo scoperto. Lanciò un altro affondo. «Forse c’è stato un tempo in cui ti sembrava di non avere alternative. Che fosse quello l’unico modo possibile di affrontare le cose, ma credo che ora tu sappia bene che non è così che troverai delle risposte. Riuscirai soltanto ad accantonare il problema per un po’.»
Quando la forza del vento che scendeva dalla montagna aumentò e fece cambiare direzione al fumo, Charlee incrociò le braccia.
«Che cosa successe, Charlee, quando avevi dodici anni?» Ian si accoccolò vicino al fuoco e mise la bottiglia in mezzo, tra loro due. Sapeva di confondere Charlee con questa mossa, ma se avesse tentato di allontanare la bottiglia, lei avrebbe desiderato bere, ancora di più.
«Quando scappai di casa?»
«Esatto.»
Muovendosi piano, andò a sedersi vicino a lui e fece un lungo respiro. «È semplice, cominciai a camminare sulla strada. Quella dove abitavamo era sterrata ed era buio. Mi ricordo che avevo paura e che quella strada mi sembrava… non so… difficile.» Smise di parlare per qualche secondo e Ian avrebbe voluto avvicinarla a sé e prenderla fra le braccia, ma chiuse le mani a pugno per evitare di farlo.
Charlee era così vicina che ogni volta che lei inspirava ed espirava, lo faceva anche Ian. «Avevo paura di deludere tutti quanti. Mamma non c’era più e toccava a me.»
Appoggiò il palmo della mano sul terreno con le dita aperte e poi le strinse in un pugno. «Non sarei mai stata capace di prendere il suo posto. Non mi restava altro da fare che andarmene via.»
«Qualcuno ti diede un passaggio?»
«No. Continuai a camminare. Era così buio e così spaventoso che avevo paura di tornare indietro. Mi sembrava che un mostro o qualcosa di simile mi stesse seguendo e se mi fossi girata, sarei stata spacciata. Così continuai a mettere un piede davanti all’altro. In lontananza sentivo i latrati dei coyote. Per due volte riuscii anche a intravedere il profilo di qualche animale ai margini della strada, dove finiva la ghiaia e cominciava il bosco. Più camminavo e più mi sentivo forte. Meno spaventata. Passavo vicinissima a quegli animali, senza che nessuno mi attaccasse.»
Rimasero seduti in silenzio per un po’. «Poi, prima di entrare in città, un’auto mi diede un passaggio. Sul sedile posteriore c’erano delle ragazzine un po’ più grandi di me e la madre e il padre sedevano davanti. Era una vecchia auto malridotta e arrugginita e puzzava di olio di motore e sudore, ma ricordo che mi sentivo al sicuro e invidiosa di quelle ragazzine perché avevano entrambi i genitori e mi chiedevo se loro si rendessero conto di quanto fossero fortunate.»
«Così andasti con loro?»
Charlee parlava sottovoce come se, parlare più forte, l’avrebbe costretta a rivivere tutto quel dolore. «Esatto. Quella sera, guardammo la TV anche se era davvero tardi e per di più il giorno dopo c’era scuola. C’era un film in seconda serata. A casa io non avevo mai guardato un film in seconda serata.»
Ian si sentì percorrere da un’ondata di calore. «Charlee, ti fecero del male?»
«Come dici?» Aveva lo sguardo tormentato, assente. «No. Mi sentivo al caldo e al sicuro e dopo un po’ il dolore non fu più così forte.»
Ian si morse l’interno della guancia per controllare la sua collera. Che genere di persone dà un passaggio a una dodicenne, senza informare la polizia? Tuttavia un suo attacco d’ira non avrebbe aiutato Charlee. Doveva soltanto restare immobile e lasciarla parlare. “Devi saper tacere, ma anche parlare” gli aveva detto una volta il signor Gruber.
«La mattina seguente erano tutti spariti. Le ragazze a scuola, i genitori al lavoro. Mi avevano lasciato un biglietto dicendomi di fare come se fossi a casa mia e così feci, fino a quando alla fine mio padre riuscì a trovarmi.»
«E poi?»
«Per anni, tutte le volte che le cose si mettevano male, non facevo altro che fuggire via. A volte non lo sapeva nessuno. Dicevo a mio padre che andavo a stare da un’amica. Alle superiori, darmi alla fuga non mi bastò più. Avevo bisogno di qualcosa di più. Quando ero ubriaca, il dolore si placava.»
«Ed è ancora così» le disse Ian. Lei annuì.
Squillò il cellulare di Ian ed entrambi fecero un salto. Lui rispose. «Sì. È qui con me… Torneremo a casa domani mattina.» La guardò di sfuggita e vide che i suoi occhi erano diventati più scuri. Sperò che quella telefonata non avesse vanificato i progressi fatti fino a quel momento. Sapeva che avrebbe fatto meglio a chiamarli non appena l’aveva individuata, ma la sua mente in quel momento si era come svuotata.
«Mio fratello?» gli chiese Charlee.
Ian scosse la testa. «No. Wynona.»
Charlee incurvò le labbra e dal suo sguardo si capì che era turbata. «Ho causato così tanto dolore a tutti loro» mormorò.
«Già.» Non aveva previsto di risponderle così, ma gli venne spontaneo. «Ci hai spaventato tutti a morte, Charlee. Mi è quasi venuto un infarto quando ho scoperto che avevi portato con te un’arma.»
Lei lo gelò con lo sguardo. «Non farei mai del male a me stessa.»
Lui afferrò la bottiglia e la tenne in alto mostrandogliela. «Sicura?» Il liquido contenuto si muoveva facendo rumore. «Perché questa qui racconta tutta un’altra storia.»
Lei tornò a fissare il fuoco e si abbracciò le ginocchia. «Credo che tu non riesca a capire.»
A quest’affermazione, Ian strinse i pugni così forte sulla bottiglia, che le nocche sbiancarono e a un certo punto pensò che l’avrebbe rotta. Si alzò di scatto, si allontanò un po’ dal fuoco e lanciò la bottiglia mandandola a fracassarsi contro un albero poco distante, mentre una miriade di dolorosi ricordi gli riaffiorava alla mente. «Ho visto i miei amici morire su una strada, sapendo di non poterli raggiungere in tempo. Ho tenuto tuo padre tra le braccia, mentre esalava l’ultimo respiro. Lui era il mio eroe, Charlee. Era il genere di uomo che non immaginavo neppure che potesse esistere.»
Anche Charlee si alzò in piedi, lasciando ricadere lentamente le braccia lungo i fianchi.
In preda alla collera Ian le si avvicinò. «E lui è morto per salvare la mia vita. Quindi, per favore, non dire mai più che io non riesco a capire.»
Intorno a loro c’era solo silenzio. Lui si mise di fronte a lei e abbassando lo sguardo incrociò i suoi occhi tornati improvvisamente sobri. Le tremarono leggermente le labbra prima che ne scivolasse fuori un’unica parola. «Cosa?»
A Ian sembrò che i polmoni si fossero svuotati di tutta l’aria, mentre tutto il dolore di quella giornata affiorava dalla voragine che aveva chiuso a chiave nel suo cuore.
«Lui…» Ma non riusciva a parlare. Non riusciva a scandire le parole perché se lo avesse fatto, l’universo intero avrebbe saputo che lui sarebbe dovuto morire e il Maggiore Mack salvarsi.
Charlee lo afferrò, affondandogli le corte unghie nelle braccia. Lo scosse. «Cosa hai detto?» Più insisteva e più alzava la voce.
E Ian sapeva di doverglielo dire e che così, ancora una volta, avrebbe deluso il Maggiore. Tentò di formulare una frase, ma non ci riuscì. Ricordi indistinti minacciavano di materializzarsi nella sua mente, ma lui aveva tentato di cancellarli così a lungo da non avere ormai più energie per portare a termine la missione. Sentì che Charlee gli stava parlando con voce più calma e aveva allentato la presa sulle sue braccia.
«Ian, raccontami che cosa è successo.»
Lui serrò le palpebre per allontanare il ricordo e con esso il dolore, ma rimaneva lì, anche se nella parte più oscura della sua mente. Il suono degli spari, lui e il Maggiore che vedevano entrambi l’uomo con i vestiti sporchi che entrava dalla porta dell’edificio dove loro erano rimasti intrappolati. Non capivano da dove fosse uscito; gli altri cecchini erano sul lato opposto della strada, anch’essi in una specie di bunker improvvisato. «Apparve sulla porta all’improvviso.»
Sopra di loro, il verso lugubre di una civetta. La foresta sembrava ancora più cupa perché la luna era nascosta dalle nuvole. Ian dovette inghiottire la saliva prima di riuscire a proseguire. «Sul momento quel tizio rimase lì, senza muoversi, per quello che sembrò un tempo infinito. Nessuno di noi si muoveva. Aveva collo e spalle avvolti da un telo polveroso e i suoi occhi neri, dapprima spaventati, cambiarono espressione non appena ci puntò la sua arma contro. Il Maggiore Mack lanciò un urlo e con un balzo si mise fra me e lui. Io imbracciai il mio fucile e sparai all’uomo, nel momento in cui il suo proiettile colpiva il Maggiore alla gola.»
Dovette interrompersi per prendere fiato, perché stava cominciando a vedere tutto nero. Le mani di Charlee erano come una morsa sulle sue braccia, non per stringere, ma per aggrapparsi. Sentì che le stavano cedendo le ginocchia e che stava per cadergli addosso, ma lui non aveva la forza di sostenerla e così, insieme, scivolarono per terra, seduti, come se il racconto di Ian avesse svuotato entrambi i loro corpi della linfa vitale. Il fuoco scoppiettava e un pezzo di legno, appoggiato su un altro, scivolò più al centro della fiamma scintillante, dove i ceppi erano ormai ridotti a pochi tizzoni ardenti.
Ian si aspettava che Charlee corresse via, ma non lo fece. Lei restò lì, cingendogli le forti spalle con un braccio, mentre lui tentava di parlare, ma le parole gli morivano in gola nel tentativo di respirare e alla fine, con le spalle scosse da un tremore incontrollabile, un fiume di lacrime cominciò a scendergli lungo le guance, «Forse non sarebbe nemmeno riuscito a colpirmi. Forse non sarebbe…»
Charlee si mise in ginocchio e il peso del suo sguardo, fisso di lui, non era sopportabile, era più di quanto lui fosse in grado di affrontare, perché sapeva che avrebbe dovuto dirglielo molto tempo prima. Aveva il diritto di conoscere la verità e lui gliela aveva tenuta nascosta. Lei gli sfiorò il viso con le mani e lui non riusciva a capacitarsi del fatto che lei non stesse urlando contro di lui e che non gli stesse dicendo quanto lo odiava. Era colpa sua se suo padre era morto.
Il tempo sembrò fermarsi mentre lei lo fissava. Ian sentiva di avere un buco nero al posto del cuore. Vuoto, buio. Gli unici suoni erano lo scoppiettio delle fiamme e il respiro di Charlee.
Le parole che lei gli disse le sussurrò così piano che Ian non fu sicuro di averle davvero sentite. «Uccidesti l’uomo che aveva ucciso mio padre?»
Una dopo l’altra, Ian comprese le sue parole e lentamente rivolse lo sguardo verso di lei, pensando di vedere tutto l’odio che si meritava. «Sì.»
Charlee si sistemò meglio sulle ginocchia e gli prese il viso tra le mani. Aveva le lacrime agli occhi e quando sbatté le palpebre, le lacrime trattenute fino a quel momento le scesero lungo le guance. «Lui sarebbe orgoglioso di te.»
Le sue parole gli penetrarono la carne, incidendovi una ferita, mentre si scavavano un percorso fino al suo cuore. Ian non riuscì a dire nulla e così scosse la testa.
Questa volta lei parlò un po’ più forte. «Sarebbe orgoglioso.»
Ma come faceva a dirlo? Se non fosse stato per lui, suo padre sarebbe stato ancora vivo.
Charlee lo lasciò andare e si mise di nuovo seduta. Fissava il fuoco. «Mio padre è morto come ha sempre desiderato di vivere.»
Ian si sforzò di guardarla. Il bagliore delle fiamme danzava sui lineamenti del suo viso dandole un aspetto ultraterreno, angelico.
Quando Charlee incrociò il suo sguardo, lui ci vide una determinazione che conosceva bene, la stessa che aveva visto tutte le volte che lei aveva preso una decisione, puntando i piedi per difenderla. La stessa espressione che Ian aveva visto negli occhi del padre di Charlee. Lei sollevò il mento. «È morto prendendosi cura dei suoi uomini.»
Ian tentò di inghiottire la saliva. Era sopraffatto dal dolore, ma nel suo cuore c’era anche qualcosa di diverso, una minuscola traccia di speranza, una minuscola goccia di ottimismo. Sensazioni che non aveva diritto di provare, ma che non riusciva a evitare perché erano dentro di lui e stavano facendo cicatrizzare i bordi irregolari della sua ferita aperta, offrendogli… semplicemente… guarigione.
«Alla fine che cos’altro è accaduto, Ian?» Era una richiesta che non lasciava spazio ad alcuna incertezza.
Ian tentò di valutare se fosse meglio raccontarle i fatti o tenere per sé il segreto.
«Che cos’altro?» Questa volta era un’implorazione così disperata, che non se la sarebbe mai sentita di tacere, anche se avesse voluto.
«Lui mi disse di insegnarti a non fuggire più.»
L’atmosfera cambiò. Prima il gelo, poi l’elettricità. Ian era sicuro che da un momento all’altro lei sarebbe balzata in piedi per fuggire nel bosco. Invece restò lì e continuò a respirare vicino a lui, lasciando che l’aria entrasse e uscisse dai polmoni.
«Non so nemmeno che cosa volesse dire, ma è quello che lui desiderava per te. Così pensai che se io fossi venuto qui… non so.» Ian si girò per poterla guardare in faccia; adesso era lui ad avere uno sguardo implorante. «Charlee, devi smettere di fuggire.»
Lei s’irrigidì. «Credi che mi piaccia comportarmi così? Credi che io mi diverta?» Scosse la testa. «Non so come gestire le situazioni. Me la cavo, ma solo fintanto che le cose non si mettono male, davvero male, e allora io…»
«Cominci a camminare lungo quella strada buia per scoprire dove ti porta.»
Lei rise senza allegria e si asciugò una lacrima di rabbia. «Esatto. E mi porta sempre fino allo stesso punto. Dove riesco ad anestetizzarmi e a sopravvivere.»
«Esistono altri modi per affrontare il dolore. Charlee, la strada che conduce alla guarigione può essere difficile, ma lungo il cammino incontri la speranza.»
«La speranza mi ha abbandonata.»
«Nessuno ti sta abbandonando, a parte te, e tu puoi fare meglio di così.»
«Disse l’uomo che ogni notte aveva gli incubi. Non mi sembra che tu riesca a fare molto meglio di me.» Il suo sguardo era diventato di fuoco. «Quindi, soltanto quando ci riuscirai, potrai raccontarmi come hai fatto, ma fino a quel momento, non mi restano molte altre scelte.» Charlee si allontanò dal fuoco e arrivò fino a dove gli alberi proiettavano le loro ombre ondeggianti sulle rocce della vicina montagna e Charlee rimase lì, piccola e indifesa, con la sua ombra esile e sfumata che danzava sul vicino costone di roccia.
«Sei tu che scegli se farlo, oppure no. È una tua scelta, Charlee. Nessuno ti costringe a bere.»
Si voltò a guardarlo. «Sembra facile, vero? Ma per molto tempo, io ho potuto contare soltanto su me stessa.»
Lui si avvicinò e allungò le mani verso di lei e le loro due ombre divennero così una sola sul costone di roccia. «Ma ormai non è più così. Tu hai me.»
Fu come un lampo che le traversò lo sguardo, la consapevolezza di non essere più sola. «Io ti aiuterò. Sarò lì con te. Ma…»
Lei affondò i denti nel labbro inferiore. «Ma?»
Per il momento non era il caso di imporre delle condizioni. Se avesse tirato troppo la corda, forse non sarebbe più riuscito a farla tornare. «Possiamo farlo insieme, Charlee. Ti starò vicino.» Per la prima volta, dopo molte ore, Ian si sentì il cuore più leggero, perché la possibilità che leggeva negli occhi di Charlee sapeva di speranza.
Il fragore del primo tuono li fece sobbalzare entrambi. Guardarono verso il cielo, mentre il vento cambiava direzione e diventava freddo. Un lampo squarciò il cielo.
Ian guardò la tenda, poi il pick-up. Non voleva che Charlee guidasse ed era quasi certo che lei avrebbe insistito per farlo, se lui le avesse proposto di rientrare. «Credo che sia meglio metterci al riparo per la notte. Quella tenda è impermeabile?»
Lei si strinse nelle spalle. «Lo scopriremo presto.»
Quando cominciarono a cadere le prime gocce d’acqua, lei si affrettò a raccogliere le cose che aveva lasciato in giro. Ian sigillò il coperchio del contenitore di plastica e s’infilò con lei dentro la tenda, reggendo la lanterna.
Charlee richiuse la zip della tenda alle sue spalle e soltanto in quel momento Ian si rese conto di avere sbagliato a decidere di restare lì. Lo spazio era molto ristretto e quasi interamente occupato dal materassino da campeggio. Lei aveva bevuto, poco o tanto non importava: lui non avrebbe mai approfittato della situazione. Soprattutto perché sapeva che tutto sarebbe potuto cambiare, una volta che lei fosse tornata completamente sobria e lui le avesse detto quello che aveva il dovere di dirle.
«Sdraiati» le disse e vide che un lampo forse di eccitazione o forse d’improvviso pentimento le attraversava lo sguardo, difficile da capire, con quella luce che proiettava sul suo viso una serie di piccole ombre inquietanti. Ian le andò vicino e regolò la lanterna in modo che diffondesse una luce più morbida. Le ombre sul viso di Charlee si addolcirono, così come i suoi occhi. Ian era di fronte a lei e appoggiò la lanterna per terra. Quando alzò la testa per guardarla, si dimenticò di tutte le elucubrazioni di poco prima. Il profumo dello shampoo alla fragola era esaltato dalle goccioline di pioggia che aveva sui capelli. Ian le toccò le braccia: aveva la pelle liscia e leggermente umida e quando le fece scivolare le mani fino ai polsi, lei aprì la bocca e fece un lungo sospiro che gli sfiorò la pelle come una piuma. L’odore dell’alcol nel suo fiato lo fece esitare. Lei aveva la bocca socchiusa, le labbra imperlate di gocce di pioggia, le ciglia che ombreggiavano i suoi bellissimi occhi. Rappresentava tutto ciò che ogni uomo avrebbe mai potuto desiderare. E lui desiderava prenderla, con tutto se stesso. Spalancò gli occhi mentre lui le stringeva i polsi. Lo studiò e scrutò con quei suoi occhi grigio-azzurri diversi punti del suo viso, quasi stesse immaginando… immaginando…
Ian trattenne il fiato e cominciò a indietreggiare, ma Charlee gli afferrò la camicia con la mano stretta a pugno, ferma sul suo petto. Il suo sguardo dolce era diventato insistente, seducente. Oh, mio Dio. Nessuno dovrebbe essere sottoposto a un supplizio del genere.
Ian emise un lungo respiro, sperando di riuscire a ritrovare il proprio equilibrio. Quando ci fu un altro tuono accompagnato da un lampo, Charlee premette il suo corpo contro quello di Ian e gli sfiorò il collo con il suo alito caldo. Lui si sentì percorrere da un lieve brivido freddo, mentre si stringeva più forte a lei. Il posto perfetto per lei, il più giusto, era lì, tra le sue braccia. Lei, era quella giusta. Lei era tutto ciò che Ian avrebbe mai potuto desiderare e questo… questo era giusto. Le si avvicinò e lei incollò le labbra alle sue. Labbra morbide, dolci, e mani e braccia che si muovevano su di lui, carezzandogli il petto, poi il collo e stringendolo sempre più forte a sé. In un attimo restarono entrambi senza fiato. A fatica Ian staccò la bocca dalla sua, ma il suo corpo non ne volle sapere e in un attimo tornarono a essere una cosa sola e a respirare l’uno nell’altra. La mancanza di ossigeno offuscava la mente di Ian, come se una coltre di nebbia avvolgesse ogni suo pensiero.
Un lampo diffuse la sua luce dall’esterno della tenda, come se qualcuno stesse scattando istantanee di quella sua magnifica tortura. Quando l’interno s’illuminò, Ian riuscì a riprendersi, quanto bastava a ricordare perché non poteva andare fino in fondo. Almeno non ancora. Non fino a quando non l’avesse sentita pronunciare le parole che aveva bisogno di sentirle dire.
Con le dita, lei aveva raggiunto l’orlo della maglietta di Ian e lui avvertì una stretta allo stomaco. Ian le afferrò le mani e gliele strinse. «Charlee, io…»
Lei aveva la testa abbassata, ma quando sentì la sua voce, alzò lo sguardo e lo fissò. «Io ti amo, Ian.»
E il mondo smise di girare. Tutto quanto finì sottosopra e Ian dimenticò qualunque cosa stesse per dirle, perché Charlee McKinley lo amava. Lo amava. Svuotato di ogni energia, le sussurrò: «Che cosa hai detto?».
Un sorriso illuminò il viso di Charlee. «Io ti amo. Ti amo da… non so da quanto tempo, ma è così.»
Improvvisamente lui si sentì la bocca asciutta e la fronte imperlata di sudore. Ian tentava in ogni modo di escludere dalla mente quelle parole, ma rimanevano incollate lì. «Dillo di nuovo.»
Il viso di Charlee era acceso dal desiderio e questo non gli era affatto d’aiuto, perché lui doveva sentirle dire quelle parole, e poi doveva elaborare e poi, doveva… portarsi a letto la donna che amava. Tutti i suoi ideali di rispettabilità e di onore erano andati in fumo. Un’unica cosa importava. Charlee e Ian erano innamorati.
«Io. Ti. Amo.» Ancora quel sorriso, quello che portava luce nel suo mondo e che aveva completamente cambiato il corso della sua esistenza. Tutto ciò che poteva andare per il verso giusto, stava andando per il verso giusto. Tranne che…
Ian annullò la distanza fra loro premendo ancora di più il suo corpo contro quello di lei. «Anch’io ti amo.»
Charlee fece una risatina e questo gli fece tornare in mente che lei aveva… Be’, non sapeva quanto avesse bevuto. La bottiglia che aveva lanciato via era stata l’unica? Era stata la prima? Ian avvertì un brivido di freddo lancinante lungo la schiena, mentre tentava di sorvolare sul fatto che lei non era completamente in sé, in quel momento. Poi le disse l’unica cosa che aveva il dovere di dirle. La cosa che aveva avuto il terrore di doverle dire, perché poi tutto quello che c’era tra loro avrebbe potuto cambiare. Le prese il viso tra le mani e lo allontanò di qualche centimetro dal suo, staccandosi da lei, ma doverlo fare fu una sofferenza, lo ferì fisicamente. «Charlee. Ho bisogno che tu mi prometta che non fuggirai mai più.»
In un primo momento Charlee si mise a ridere, ma poi Ian vide che il peso delle sue parole cominciava a sedimentare su di lei, come un mantello, come una coltre di ghiaccio. «Io… io non posso.»
L’espressione tormentata nei suoi occhi rafforzò la determinazione di Ian. «Charlee.» Una parola breve, determinante, inopportuna. «In tutta la mia vita non ho mai avuto più paura di quando mi sono reso conto che te n’eri andata via. Il che, credimi, è tutto dire.»
Lei indietreggiò, irrigidendosi.
«Ascoltami. Tu non sei più sola. Non puoi più semplicemente allontanarti su una strada sterrata e pensare che tutto si risolverà. Mi ha distrutto, Charlee. Il fatto di non sapere.»
Lei esaminò con lo sguardo lo spazio circostante, come se ci fosse altro da vedere, a parte la copertura verde della tenda. Poi, sospirando, sussurrò: «Non posso».
Ian cercò di cambiare atteggiamento, perché sapeva che la stava perdendo, stava perdendo la donna che amava, perché mentalmente incapace di rinunciare a fare quello che avrebbe potuto distruggerli entrambi. «Amore mio, devi farlo.»
Vide i muri che lei stava costruendo. Vide le porte del suo cuore chiudersi di colpo. Charlee non parlò, ma scosse piano la testa da una parte all’altra, come avrebbe fatto il testimone di un terribile incidente.
Ian odiava il fatto di averle dato un ultimatum di quel genere, ma non avrebbe potuto vivere nell’incertezza. «Ho vissuto per mesi e mesi senza sapere se sarei sopravvissuto fino al giorno dopo, o se sarebbe sopravvissuto il ragazzo che avevo di fianco. Ogni momento che noi viviamo è prezioso, Charlee. Ogni singolo momento. Non posso vivere sapendo che un giorno potrei tornare a casa e scoprire che tu sei scomparsa. Buon cielo, non puoi certo pretendere questo da me.»
Lei strinse le mani a pugno, unico segno che aveva sentito. Il suo viso era una maschera di pietra, gli occhi globi di vetro. La postura era quella di una statua di marmo. Charlee inghiottì la saliva. «Ti prego.» E sbatté le ciglia, prima una sola volta, poi molte volte di seguito, come se il suo cervello stesse immagazzinando dati per i quali non c’era spazio sufficiente. «Possiamo parlarne più tardi? Domani, magari?»
Ian si passò una mano sul mento con aria pensosa; da un lato sarebbe stato scorretto pretendere troppo da lei, quella sera. Aveva bevuto e l’alcol ha effetti diversi su ognuno di noi. D’altra parte, Ian sentiva che il suo cuore stava già andando in pezzi, perché sapeva che Charlee non avrebbe potuto fargli quella promessa. Non quella sera. Non l’indomani. Forse mai, ma sapeva anche di non poter vivere senza. Ian la amava troppo e se lei avesse continuato ad avere una facile via d’uscita, questa cosa lo avrebbe logorato fino a consumarlo completamente. Aveva fatto una promessa al Maggiore Mack. Insegnarle a non fuggire più. Era in grado di farlo. Poteva insegnarglielo, ma si rendeva conto che il tentativo gli avrebbe potuto spezzare il cuore. Si sforzò di sorridere. «Certo che possiamo parlarne più tardi.»
Quando Charlee si sdraiò sul materassino da campeggio, Ian aprì la cerniera della finestra della tenda e sbirciò fuori. La pioggia scendeva scrosciante, rendendo il mondo grigio.
«Vuoi sdraiarti vicino a me?» chiese lei, facendo scivolare la mano in quella di Ian.
Lui la guardò e vide che si era messa su un fianco continuando a tenere le dita intrecciate alle sue. «Sì.»
Lei si spostò per fargli spazio e Ian si distese dietro di lei con il petto contro la sua schiena. Liberò le dita e la avvolse in un abbraccio, stringendola a sé fino a sentire i suoi capelli solleticargli il viso e il collo. Allora le passò una mano tra le ciocche quasi asciutte e il profumo di fragole riempì l’aria. Le affondò il naso tra i capelli e aspirò a fondo quel profumo, così a fondo da riempire i polmoni e da sentirsi cambiato per sempre da esso. Tra i capelli s’intravedeva una piccola porzione di pelle scoperta del collo e quando fu sazio del suo profumo, sollevò la testa e le diede un bacio in quel punto esatto.
Charlee si lasciò andare di fianco a lui. Ian aprì la mano e le passò ancora una volta le dita tra i capelli, mentre a lei sfuggiva un sommesso mugolio. Lui assaporò la sensazione di calore che si stava impossessando del suo organismo. Con un soffio di voce, difficile da sentire nel frastuono del temporale, le disse: «Hai mai visto il Grand Canyon?».
«No» rispose lei con un sussurro.
Ian continuava a parlare sottovoce e il suo mormorio produceva una vibrazione sul corpo di Charlee. «Non avrei mai immaginato che potessero esistere così tante sfumature di marrone e di rosso. Sembra fatto di strati e strati di cartoncino colorato, ammucchiati uno sopra l’altro e affettati da una lama spuntata. È stupendo.»
Lei mormorò qualcosa come risposta, ma Ian non cercò di decifrare le sue parole. Se voleva avere una speranza di sopravvivere a quella notte, doveva farla addormentare.
«L’acqua ai piedi del canyon è così limpida e uniforme che potresti scambiarla per cristallo.» Il respiro di Charlee si fece più lento, più pesante.
Ian le passò di nuovo la mano tra i capelli, questa volta lasciandosi semplicemente guidare dalle sensazioni che gli trasmettevano quelle ciocche soffici e setose tra le dita, sulla pelle delicata del palmo della mano e negli incavi tra un dito e l’altro. Voleva che fosse così. Per sempre. Voleva che lei si addormentasse così, allo stesso modo, ogni notte, stretta tra le sue braccia, dove era davvero a casa, ma Ian doveva mantenere delle promesse. La prima al Maggiore Mack. La seconda a se stesso.
Continuò a parlare. «Quando sorge il sole, sembra di guardare il mondo mentre viene dipinto in un quadro. Il colore esplode dove prima era l’oscurità. La luce risplende nel canyon, e si riflette sull’acqua sotto di esso.»
Charlee si accoccolò meglio contro Ian. Quando parlò, la sua voce era assonnata, quasi addormentata. «Mi ci porterai?»
Lui le appoggiò le labbra su una tempia. «Un giorno.» E chiuse gli occhi, perché sapeva che era una promessa che forse avrebbe potuto mantenere, o forse no. Tutto dipendeva da ciò che Charlee avrebbe fatto nei giorni seguenti.