6.
All’alba, Jaro era allo Schloss, il Castello: cosí Kirk chiamava la sua tenuta, né modesta né eccessiva, diciamo dignitosa, alla periferia di River Wells, New Jersey, sessanta miglia a sud di Manhattan. Kirk gli presentò sua moglie Gretchen, una bionda paffuta e sorridente che sembrava uscita da una fiaba dei fratelli Grimm. Tutti e due indossavano ampie camice da notte di lana grezza e sandali ai piedi: evidentemente erano immuni al freddo intenso della notte morente. Jaro seguí entrambi sino a una piccola stalla dove una capra li salutò con un belato festoso.
– Questa è Lotte, figliolo. La nostra cara Carlotta. Ma a differenza di quella immortalata dal nostro grande poeta Goethe, la nostra Lotte non ha grilli per la testa, vero, Lotte?
Kirk entrò nel recinto, si avvicinò alla capra, la carezzò sulla fronte (la bestiola mostrò evidenti segni di gradimento), poi indossò un paio di guanti, afferrò un secchio e cominciò a mungerla.
– Tu credi in Dio, figliolo? – chiese, sempre mungendo, e passando a un «tu» che scatenò in Jaro una nuova ondata di calore.
– Sinceramente non mi sono mai posto il problema.
Gretchen approvò, ridacchiando, festosa come la capra. Per tutti gli anni a venire, quando, si può dire, Kirk e lei lo avrebbero trattato come il figlio che non avevano mai avuto, Jay Dark – ormai non piú Jaroslav Darenski – non avrebbe mai sentito Gretchen pronunciare una sola parola. Non che fosse muta: secondo Kirk non parlava, a parte rare occasioni e solo con lui e con Lotte, perché non aveva alcuna necessità di usare il linguaggio verbale per comunicare le sue emozioni. Prima fra tutte, la sua immensa gioia per ogni giornata che si avvicendava nel mondo, che fosse illuminata dalla luce del sole, bagnata dalla pioggia, imbiancata dalla neve o percorsa dai fremiti cupi dell’oscurità.
– Io invece, – disse Kirk, – come tanti altri prima di me, il problema di Dio me lo sono posto per lunghi e lunghi anni. E alla fine di tante riflessioni sono pervenuto alla tua stessa conclusione: non è il caso di porsi il problema. Un giorno, forse, la scienza fornirà un’adeguata risposta alle domande piú elementari. Perché Lotte produce tutto questo buon latte con il quale ci nutriamo? Per sfamare il suo capretto, dirai. D’accordo. Ma perché allora continua a produrlo anche quando non c’è nessun capretto? Per mantenersi in allenamento? Perché la sua natura glielo comanda? Perché Dio ha deciso cosí? O semplicemente perché è una creatura innocente che trae piacere dal donarci il suo latte? Non lo sapremo mai. Ma continueremo a interrogarci al riguardo. Ecco. Ciò che voglio dirti è che interrogarsi sul senso delle cose è doveroso, ma lo è altrettanto l’abbandonarsi al fluire delle cose stesse. In sostanza, sapere e non sapere si equivalgono, tormentarsi o infischiarsene sono atteggiamenti egualmente degni di stima e apprezzamento… ciò che mi rende perplesso nei credenti, a qualunque fede appartengano, è la costante ossessione per quanto chiamano il Principio Ordinatore… vale a dire un motore, una causa prima, un principio, appunto, a cui è demandato il compito di assicurare l’ordine dell’universo… e se invece non esistesse alcun ordine? Se invece l’intera nostra esistenza dipendesse da un opposto principio, anzi, dalla totale assenza di qualunque principio… se noi non fossimo, ciascuno di noi e tutti insieme, che la sintesi organica di una forza primordiale e incontrollabile… il Caos? Che cosa ne dici, eh, Jaroslav?
«Tu non sai che dire, vero? Allora non dire: taci. È la migliore opzione. Assimila senza intervenire. Quando sarai pronto, prenderai la parola. Brava, Lotte, brava. Come sempre.
Terminata la mungitura, Kirk estrasse dalla tasca del camicione una manciata di sale e lasciò che la capra lo leccasse dal suo palmo. Poi, con un’ultima carezza, affidato il secchio pieno di latte caldo a Gretchen, invitò Jaro a seguirlo in casa.
Consumarono la prima colazione – latte, pane nero di segale, marmellata di mirtilli fatta da Gretchen e frutta – in un accogliente tinello, arredato alla bavarese. Per tutta la vita, sino alla morte di Lotte, Kirk si vantò della sua dieta vegetariana.
Mentre Gretchen sparecchiava, il dottore fece scattare la serratura di un mobiletto in mogano, rivelando un giradischi di ultima generazione. Su vari ripiani erano allineati numerosi dischi. Il dottore ne scelse uno, avviò l’apparecchio e selezionò un brano. Le note riempirono la stanza. Una musica possente si diffuse. Jaro non aveva mai ascoltato niente di simile. Si sentí, suo malgrado, rabbrividire.
– Potente, vero? I Carmina Burana… ti spiegherò, un giorno, ma per il momento potrebbe aiutare a rendere l’idea…
Kirk si accese una lunga pipa e gli chiese di fornirgli una definizione di caos.
– Caos? Disordine, direi, – rispose il ragazzo, colto alla sprovvista.
– Prova a vederla da un altro punto di vista. Caos come ordine. O meglio: equilibrio. Equilibrio raggiunto attraverso il caos.
– Temo che per me sia un po’ difficile, dottore.
Kirk sorrise.
– Assimila e medita. Ci arriverai. Intanto, ho trovato la parola.
– Quale parola, dottore?
– Quella che illustra la tua… condizione, figliolo.
– E sarebbe?
– Geschenk!
– Un dono?
– Precisamente. Un dono. Un meraviglioso, unico, esclusivo dono!
Jaro, aggiunse Kirk, doveva dimenticare per sempre le spiegazioni scientifiche che gli aveva dato dopo la seduta del giorno precedente.
– L’area di Broca, le oscillazioni del liquor, la tua anomala formazione ambientale… dimentica tutto, figliolo, dimentica. Impara a pensare a te stesso come al ricettacolo di questo prezioso dono… tu possiedi qualità che ti rendono unico, e cominci solo confusamente ad esserne consapevole. Sei immune a sostanze che potrebbero far uscire di senno il piú savio e posato degli uomini. Hai idea di che cosa contenessero quelle zollette di zucchero?
– Certo che no!
– Te lo dico io. Quelle zollette erano impregnate di Lsd. Ne hai mai sentito parlare?
– No.
– Naturale. L’Lsd è, per il momento, roba per iniziati. Sappi che si tratta di una droga allucinogena potentissima. La dottoressa Di Caro ti ha somministrato dosi crescenti di Lsd in attesa di una reazione. Non credeva ai suoi occhi. Ti aveva visto assumere quella roba sotto il suo sguardo vigile e tu niente! È stata una vera fortuna che abbia deciso di coinvolgermi… in piú, vieni dalla strada. Hai una sorta di istinto animalesco che emerge in situazioni di pericolo… l’idea di rivolgerti a me in tedesco, per esempio, quando eri sulla sedia… geniale, geniale! Per come lo intendo io, beninteso. Sí, credo proprio che tu sia pronto, figliolo.
– Pronto?
Kirk chiese a Gretchen di preparare un tè e rincalzò il tabacco nel fornello della pipa.
– Tu hai un dono, ma non sai ancora come padroneggiarlo, e temo che, senza una saggia e accorta guida, non riusciresti mai a farlo. Sinora hai sprecato questo dono conducendo un’esistenza miserabile. Ma da oggi la tua vita potrebbe cambiare!
Era un’offerta. Chiaro. Stava per accadere qualcosa. Qualcosa che avrebbe potuto cambiare davvero la vita di Jaro. L’istinto che Kirk gli riconosceva gli urlò: accetta! Di qualunque cosa si tratti, digli di sí.
– Sí, sono pronto, dottore!
– Piano, piano, figliolo. Vorrei che prima rispondessi a una domanda… supponiamo che io ti offra non un qualunque lavoro, ma una nuova, meravigliosa vita… che cosa saresti disposto a fare per ottenerla?
– Tutto.
Kirk lo fissò per un lungo istante. Poi, con un mezzo sorriso, disse:
– Devi uccidere Jaroslav Darenski e diventare un altro uomo.
– Un altro… uomo?
– Un agente!
La voce di Kirk si fece sognante, il suo sguardo acceso. Il dottore indossava la livrea del seduttore, e sapeva essere dannatamente convincente.
– Affidati a me, Jay Dark. Farò di te un angelo e un guerriero, il mio braccio destro nel grande disegno del caos. Saremo uniti. Combatteremo molte battaglie, e quando saremo certi della vittoria, allora conosceremo la sconfitta, e dalla sconfitta risaliremo sino al trionfo! Vivere, errare, cadere, trionfare, ricreare la vita dalla vita… Affidati a me, Jay Dark!
Gretchen serví il tè, e accarezzò dolcemente i capelli di Jaro. Il suo sguardo esprimeva una totale, incondizionata fiducia in Kirk. Gretchen esortava Jaro a condividere questa fiducia. A consegnarsi al suo nuovo mentore.
– Ma perché mi chiama Jay Dark? – domandò il ragazzo.
Kirk aspirò una lunga boccata.
– Perché d’ora in avanti questo sarà il tuo nome!
Al diavolo, si disse Jaro. Qualunque cosa accada, sarà sempre meglio del sottoscala, del ricettatore armeno, di Williamsburg, dell’ospedale e della galera. Che cosa ho da perdere? Un bel niente. Che cosa ho da guadagnare? Tutto. Gretchen lo fissava, in trepidante attesa. Kirk sorseggiava il suo tè, apparentemente disinteressato. Jaro afferrò la pipa che il dottore aveva poggiato sul tavolo e fece un lungo tiro. Il tabacco aveva un retrogusto dolce, come di frutti di bosco.
– Dark. L’Oscuro. Mi piace.
Fu cosí che Jaroslav Darenski divenne Jay Dark e iniziò la sua carriera di agente del caos.