5.

La seduta durò un’ora, e, a parte un lieve senso di instabilità, non lasciò traccia sul corpo della cavia. Alla fine di tutto, Wojcech slegò Jaro, gli assestò un’amichevole pacca sulla schiena e lo accompagnò nel gabinetto della Di Caro, sotto lo sguardo compiaciuto di Kirk.

– Desidera qualcosa, giovanotto?

– Una tazza di cioccolato caldo.

E si ritrovò seduto davanti a Kirk e alle sue carte. La Di Caro non era stata ammessa al colloquio. Kirk si lisciava la barbetta e dispensava sorrisi rassicuranti. Fu in quel preciso momento che Jaro avvertí il calore. Quel sentimento di essere riconosciuti, e persino apprezzati, da qualcuno. Come se si appartenesse alla medesima famiglia. Come quando si ha una famiglia (lui non ne aveva mai avuta una) e si ritorna a casa dopo una lunga giornata di lavoro o, peggio, un viaggio avventuroso e ricco di pericoli o, peggio ancora, una guerra alla quale si è scampati per un incredibile disegno del caso. Kirk sorrideva, e Jaro si lasciava pervadere da quel sorriso, e piano piano il ghiaccio che si portava dentro, il ghiaccio delle strade ostili di Williamsburg, si scioglieva.

– Tutto questo interesse per le lingue straniere… sa dirmi da dove è cominciato, signor Darenski?

– No. So solo che è successo. Succede. E basta.

– Mi parli di lei, signor Darenski.

– C’è poco da dire…

Mai incipit fu piú falso. Jaro parlò a lungo di sé. E, per una volta, non fu né bugiardo né reticente. Raccontò della madre, che aveva ritrovato morta, un giorno, in casa, con la bottiglia di vodka ancora in mano. Una madre della quale stentava a pronunciare il nome. Una madre che non era mai stata tale.

– E suo padre?

– Non l’ho mai conosciuto. Ma una volta mia madre…

– Sua madre? Su, coraggio… sua madre?

– Mia madre… aveva bevuto, come sempre. Ma le era presa una sbornia malinconica, non so se mi capisce.

– Ma certo, vada avanti…

– Beh, di solito quando le chiedevo di mio padre cambiava argomento, o si metteva a strillare, o minacciava di suonarmele. Ma quella volta… quella volta accadde una cosa strana. Mi parlò di lui.

– E che cosa le disse?

– Che mio padre era un bell’uomo. Uno straniero venuto dal mare.

Kirk si sfregò le mani.

– Secondo l’illustre dottor Freud questo dovrebbe spiegare tutto. Ha mai sentito parlare del dottor Freud?

– Ho anche letto qualcosa, se è per questo. Ma superficialmente.

– Interessante, molto interessante… che lingua sta studiando, in questo momento?

– Prima di entrare nel Programma mi ero procurato una copia del Corano. Ho ancora qualche difficoltà con l’alfabeto, ma l’arabo ha suoni decisamente affascinanti.

– Che lei, se ho ben capito, apprende e riproduce con… naturalezza, è questa la parola esatta?

– Sí, naturalezza, dottore. È questa la parola esatta.

Kirk restò un po’ a meditare, poi estrasse dal taschino una piccola pipa e una borsa di tabacco, riempí il fornello, accese con un fiammifero e infine si offrí, se Jaro ne avesse avuto voglia, di fargli avere una sigaretta. Il ragazzo rimase interdetto. Al Bellevue il tabacco era considerato un nemico da schiantare. Ai pazienti si somministrava ogni tipo di droga, ma il tabacco era rigorosamente proibito.

– Una delle tante contraddizioni del nostro sistema, – ridacchiò Kirk, – tipico della mentalità protestante. Come quella storia di coprire gli alcolici con una busta di carta… Proibizionismo e vizi privati da consumare con segreta vergogna. Ne riparleremo. Ora procediamo. La pneumoelettroencefalografia ha dimostrato un sensibile sviluppo… un abnorme sviluppo della cosiddetta Area di Broca. Riteniamo che si tratti di quella parte del cervello a cui è affidato il compito della comunicazione. C’è una base scientifica che giustifica la sua facilità nell’apprendere le lingue. Nello stesso tempo, lei è figlio di una molteplicità etnica e linguistica che, sul piano ambientale, facilita l’apprendimento. Sua madre era polacca, suo padre uno straniero venuto dal mare, poteva essere greco o italiano, lei è cresciuto a Williamsburg, ha frequentato italiani e… e tutto questo giustifica in parte quanto le sta accadendo. Per il resto…

– Per il resto?

– Mi riprometto di studiare con la massima attenzione il suo caso. Non ho ancora una definizione corretta. Ma posso assicurarle che si tratta di un caso estremamente stimolante, signor Darenski. Del massimo interesse! E forse, per una volta, il dottor Freud ha anche qualcosa da dire…

– Io mi sono sempre sentito strano, dottore.

– In questa stanza di individui strani, come dice lei, ce ne sono almeno due.

E poi aggiunse, con un tono che Jaro non avrebbe mai dimenticato: mein Knabe. Figliolo, ragazzo mio. Nessuno lo aveva mai chiamato cosí. Jaro provò qualcosa di assai simile a una profonda commozione. Aveva voglia di mettersi a piangere come un bambino. Ricacciò indietro le lacrime perché era un ragazzo di Williamsburg. E a Williamsburg, in tema di sentimenti, vigevano regole severe: se piangi, sei finocchio. E ai finocchi si affetta la faccia.

Poi Kirk cambiò tono. La sua voce si fece di colpo tagliente.

– Lei ha simulato. Le analisi parlano chiaro, e sono incontrovertibili. Le sono state somministrate dosi crescenti di psilocina e psilocibina che il suo organismo ha assorbito, ma che non hanno provocato alcuna reazione a livello psichico. Dal mio punto di vista, non solo è anomalo, ma decisamente sorprendente. Ora risponda sinceramente: perché ha mentito?

– Perché avevo paura che se avessero scoperto che per me tutta quella roba era acqua fresca, mi avrebbero spedito in galera.

Kirk rise. Tanto il suo sorriso era caldo e, pensava Jay, paterno, quanto la risata, una specie di sogghigno da iena, aveva il potere di renderlo immediatamente scostante.

– Errore, signor Darenski, grave errore. Gli esperimenti servono proprio a questo. A validare una teoria oppure, ed è la strada che personalmente preferisco, a falsificarla. Ma avremo modo di occuparcene… se avremo modo, come mi auguro, di rivederci. Mi dica un’altra cosa: supponiamo che il Programma si concluda con esito positivo… che progetti ha per il suo futuro, signor Darenski?

– Quando uscirò da qui, vuol dire?

– Precisamente.

Era una domanda alla quale non sapeva rispondere. Aveva sempre ritenuto ovvio che, una volta liberato, avrebbe ripreso la solita vita. I furti e tutto il resto. Kirk, con quella semplice domanda, e con l’aura che spirava dalla sua persona, lo aveva mandato in crisi. Ora non era piú certo di niente. Non di sé stesso, non del futuro.

– Non lo so, dottore.

Kirk non rispose. Si limitò a fissarlo per un lungo istante, annuí brevemente, poi si alzò e se ne andò, senza degnarlo di un saluto.

Nel cuore della notte, mentre Jaro cedeva a un’insonnia per lui insolita, comparvero due uomini in grigio, gli ordinarono di vestirsi e lo caricarono su una Ford Galaxy Mayberry, la berlina degli sceriffi.

Questa, però, non aveva né insegne né lampeggiante.