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LA VERITÀ
Le giornate seguenti passarono una di seguito all’altra, e un girotondo fatto di compiti, cene con i miei genitori e pomeriggi passati a salire e scendere dalle rampe del supermercato vicino a casa con lo skate, mi prese e mi fece girare fino al 9 gennaio, giorno in cui tornai a scuola.
Ovviamente non avevo risolto la questione con Tommaso e, infatti, mille domande continuavano imperterrite a vorticare nella mia testa.
A fargli compagnia c’era, però, anche la costellazione di immagini e di parole che avevo visto e ascoltato dentro la grotta. E se il problema con Tommaso era fonte di preoccupazione, le storie dei miei antenati mi avevano donato, non so neanche bene perché, una grande forza che mi spingeva ora a confrontarmi con il mio (ex) amico.
E poi c’era anche un altro fatto che mi aveva sorpreso, e non poco. Nei giorni successivi alla discesa nella grotta, sentivo una vicinanza particolare con mio padre, il prof di liceo con un contratto part time Benvenuto Procolo. Avevo capito il suo amore per le storie. Ora anche io, come lui, vedevo che le cose, anche apparentemente semplici, grondavano parole. Ogni oggetto, ogni persona, ogni essere vivente portava con sé talmente tante storie da non riuscire a trattenerle. E visto che gli oggetti, ma anche gli elementi della natura, non sapevano parlare, aspettavano con ansia una persona capace di ascoltarli e di tradurre per loro quell’immensa marea di racconti.
Mio padre (ma forse tutti i Procolo) lo sapeva fare. A un certo punto provai perfino invidia per i suoi alunni che potevano godere della sua grande passione nel raccontare storie.
Insomma, il DNA aveva steso sul mondo un velo di interesse e di curiosità. Come se tutto, ma proprio tutto, avesse preso vita.
E Tommaso? Che fine aveva fatto?
Tommaso era ancora nella città di origine dei suoi genitori, anche lui preso dal girotondo delle attività che, suppongo, erano molto diverse dalla mie. Se io studiavo, leggevo e andavo sulla rampa del supermercato con il mio skate, lui (immaginavo) mangiava bistecche grandi come piazze e salsicce lunghe come autostrade e trascorreva ore e ore davanti alla PlayStation insieme ai suoi cugini.
Poi un giorno la sveglia trapanò le mie orecchie alle ore 7.15 precise: era arrivato il momento di tornare a scuola.
E la cosa non mi dispiaceva, anzi, non vedevo l’ora di incontrare i miei compagni e di confrontarmi con Tommaso. Va be’, dai… un po’ di paura ce l’avevo, anche se mescolata con il coraggio.
Come tutte le mattine andai in cucina, dove trovai mio padre, il prof Benvenuto Procolo, professore con un contratto part time nonché scrittore di storie per il bambino interiore, intento a preparare la colazione. Fette di pane tostato con il miele e una tazza di latte per me, e ciambella fatta in casa e caffè per lui e per mia madre Barbara Barnabò, insegnante di yoga presso il centro Colombre.
Finita la colazione, esattamente alle ore 7.31 (in ritardo di un minuto rispetto alla mia tabella di marcia), la porta di casa si aprì e io mi ritrovai, dopo aver percorso cento metri, nel prato incastonato tra via Piave, via Marzabotto e via Pasubio, accanto a un grande supermercato e circondato da alti palazzi.
Mentre ero nel centro di quel fazzoletto di terra, che in quel momento era ridotto a un grumo di fango secco, il mio nervo ottico venne colpito dalla figura alta e sottile di Tommaso Pirovano, mio (forse ex?) migliore amico.
Non saprei dire esattamente che cosa sentii in quel momento. Rabbia? Rancore? Disappunto? Forse un misto di tutto questo, miscelato con una certa paura e una gran voglia di dirgliene quattro. Insomma un cocktail emotivo che mi fece muovere le gambe sempre più in fretta e che non vedeva l’ora di far uscire parole su parole dalla mia gola.
Ormai ero lì, mancavano dieci metri, pochi secondi e avrei affrontato Tommaso.
A quel punto lui si voltò, mi vide e mi fece un sorriso così grande da occupargli tutto il viso.
Cosa stava succedendo? Non provava vergogna? Non aveva paura del confronto?
Il mio entusiasmo nell’affrontarlo si spense come un’onda gigantesca che si rimpicciolisce un secondo prima di colpire uno scoglio.
Perché mai mi stava sorridendo? E perché quello sguardo luminoso? Sembrava addirittura contento di vedermi! Come se per lui non fosse successo nulla. Non solo: Tommaso teneva tra le mani un pacco rettangolare dai colori sgargianti.
– Buon Natale, Seba! – disse con voce squillante. E poi, pure, mi abbracciò.
In tutto questo, io mi ero trasformato in una statua di sale.
A quel punto, Tommaso mi liberò dall’abbraccio e, visibilmente emozionato, mi porse il pacco che teneva tra le mani.
Io, ancora scioccato, lo presi e lo scartai. Sapete cosa c’era dentro?
Non un semplice regalino, non un semplice pensiero che i ragazzi della nostra età, alle volte, si scambiano. Il pacco conteneva un sogno trasformato in una realtà composta da sette strati di eccellente legno d’acero, fornita di ruote da cinquantadue millimetri della OJ Wheels, provviste di una durezza di 90A, e con cuscinetti a sfera ABEC 5. Avete capito, vero, di cosa sto parlando?
Torniamo indietro nel tempo di poco più di un mese per scoprirlo insieme. Posizioniamoci al 4 dicembre 2019 alle ore 20.30 precise in casa Procolo.
Io, mio padre e mia madre stavamo cenando. Sul mio piatto c’erano delle polpette di tofu immerse in un sugo rosso di pomodoro biologico a chilometro zero.
Ebbene, approfittai di un raro momento di silenzio di mio padre e mi infilai nella conversazione. In pratica espressi un desiderio sul mio regalo per il Natale ormai alle porte: un sogno composto da sette strati di eccellente legno d’acero, fornito di ruote da cinquantadue millimetri della OJ Wheels, provviste di una durezza di 90A, e con cuscinetti a sfera ABEC 5.
Mia madre rispose immediatamente che quello non era un dono adatto a me, e non lo era per vari motivi. Prima di tutto, dato che il Natale è diventato una festa commerciale, i regali devono essere, quanto meno, equosolidali e contribuire in qualche modo al miglioramento della società. E quello non lo era.
E in più io avevo già qualcosa di simile. Mia madre, inoltre, approfittò della situazione per partire a spron battuto con una predica sui seguenti temi: il valore del denaro; il valore del lavoro suo e di mio padre; la critica al consumo di massa; la velocità che le nuove tecnologie ci impongono.
E poi, con un colpo di coda inaspettato, riuscì anche a infilarci: l’incapacità di noi ragazzi moderni a stare nel tempo vuoto; il grande valore della noia come sentimento educativo.
Io, vi confesso, ascoltai ben poco del discorso di mia madre, e mio padre non percepì neanche una parola. Mentre mia madre blaterava, lo vedevo infatti perso a inseguire chissà quale pensiero.
Comunque, di tutto lo sproloquio io trattenni solo questa informazione: non avrei ricevuto il regalo sperato.
La delusione mista a rabbia rimase con me per alcuni giorni, e poi la gettai fuori il 7 dicembre. Era un sabato sera ed ero stato invitato a cena e a dormire a casa di Tommaso.
Mentre trangugiavamo una cotoletta impanata, con contorno di salame tagliato a fette spesse un centimetro, io mi sfogai con il mio migliore amico.
Tommaso mi ascoltò con attenzione, poi la cosa finì lì. O meglio, finì sul divano a giocare alla PlayStation.
In realtà, la cosa non era finita lì, ma io non lo sapevo. Quale sono le pieghe che tutta questa vicenda ha assunto?
Per saperlo dobbiamo tornare al 9 gennaio 2020 alle ore 7.45, nel prato incastonato tra via Piave, via Marzabotto e via Pasubio.
Avete capito vero cosa mi aveva regalato Tommaso?
Esatto, proprio la cosa che mi era stata negata dai miei genitori: un mitico skate marcato Santa Cruz, con tavola composta da sette strati di eccellente legno d’acero, adatta a tutti i terreni. E con ruote da cinquantadue millimetri della OJ Wheels, provviste di una durezza di 90A, adatte sia a performance verticali sulla rampa, sia allo street e al park, e con cuscinetti a sfera ABEC 5 che assicurano velocità ed evitano il pushare eccessivo.
Insomma, il mio sogno! Come potete immaginare questo regalo mi aveva portato una grande gioia ma mi aveva anche messo una gran confusione in testa. Tommaso era il mio migliore amico o no? Perché mi aveva evitato quel giorno in cui era scappato da scuola insieme ai bulli della famigerata III A? Come collegare questi fatti con lo skate provvisto di tavola a sette strati di eccellente legno d’acero, adatta a tutti i terreni?
Vedendo la mia faccia strana, Tommaso decise di parlare, e quello che mi disse sgretolò il palazzo di cristallo che mi ero costruito in testa.
– Sai, Sebastiano, quando mi hai raccontato della risposta di tua mamma ci sono rimasto male. Ecco perché ho deciso di regalarti io lo skate che ti piace tanto. Però c’era un problema: i soldi. Insomma, non ne avevo abbastanza per comprartene uno nuovo di zecca. Così ho pensato di rivolgermi a qualcuno del mondo dello skate… Peccato che gli unici che conosco sono i ragazzi della III A.
Il mio amico fece una breve pausa, poi riprese a raccontare: – Sapevo che loro sono dei grandi appassionati di skate e che fanno parte della comunità globale degli skaters. D’altra parte li hai visti anche tu scendere e salire, con la tavola, dalle panchine del parco di via Dino Buzzati… Insomma, timidamente li ho contattati per un aiuto e, te lo devo proprio dire, sono stati gentilissimi.
Io ero sempre più sorpreso, mentre ascoltavo la spiegazione del mio amico.
– Forse glielo imponeva la regola non scritta degli skaters: sostenere sempre gli altri appassionati di questo sport. Fatto sta che mi hanno aiutato. E hanno contattato un loro amico, che conosceva un amico di una persona che vendeva lo skate che piace a te. La tavola era perfetta: usata poco, e aveva il prezzo giusto. Cioè esattamente quello che possedevo. Però questo tizio abitava dall’altra parte della città ed era libero solo alla mattina. I ragazzi allora mi hanno proposto di marinare la scuola, prendere due autobus, andare dall’altra parte della città e comperare lo skate. Ed è esattamente quello che ho fatto! La mattina del 21 dicembre io e alcuni ragazzi della III A ci siamo incontrati fuori dalla scuola e, proprio mentre stavamo per andarcene, ti ho visto da lontano. Allora mi sono voltato dall’altra parte e sono scappato. Fortunatamente tu non ti sei accorto di nulla. Chissà cosa avresti pensato se mi avessi visto con i ragazzi del quartiere! – esclamò ridendo Tommaso. – Poi siamo andati alla fermata dell’autobus e dopo averne presi due e aver viaggiato per più di un’ora, ci siamo trovati in un quartiere di periferia e… Be’, te la faccio breve: ho incontrato il tizio che mi ha dato lo skate (prima lo hanno controllato i ragazzi della III A) e poi di nuovo a casa facendo finta di essere andati a scuola. E ora, eccomi qua: lo skate è tuo!
Io rimasi di stucco al racconto di Tommaso e mi ritrovai tra le mani un doppio sogno: lo skate provvisto di tavola a sette strati di eccellente legno d’acero, adatta a tutti i tipi di terreni, e l’amicizia ancora più solida con Tommaso.
Come era strana la vita: fino a qualche giorno prima ero immerso nei pensieri più cupi che mi avevano portato in una grotta magica e adesso scoprivo che il castello che mi ero costruito in testa era di carta.
Come uscire da questa situazione? Con l’unica cosa che avevo con me: la verità.
Quindi usai i pochi minuti che ci separavano del suono della campanella e li unii poi con quelli di entrambe le ricreazioni della mattinata e del tragitto per tornare a casa per raccontare tutto a Tommaso. Gli dissi che in realtà lo avevo visto fuggire con i ragazzi della III A. E che ci ero rimasto malissimo. Gli confessai dei miei pensieri cupi, della vigilia di Natale, del diario di mio nonno, poi della grotta con l’alito umido e dell’odore di pietra bagnata. E quindi l’incontro con il DNA, con Trok, con Drogo e con Europa, la giovane donna che portò la cultura nel nostro angolo di mondo.
Insomma, gli dissi tutto ma proprio tutto.
Tommaso mi ascoltò sbigottito e senza riuscire a proferire una parola. La sua espressione lasciava trasparire incredulità, ma anche una grande curiosità.
E fu così che, proprio quando eravamo quasi arrivati a casa, in mezzo al prato incastonato tra via Piave, via Marzabotto e via Pasubio, in quel parco che ci aveva visto mille volte giocare a calcio, Tommaso disse questa unica frase: – Ci voglio andare anche io.