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Luce

Bisogna operare come se non si dovesse morire mai, e vivere come se si dovesse morire ogni giorno.

San Giovanni Bosco

 

 

Grazie a Betlemme, all’indimenticabile tournée di Spiriti del Sole, alle migliaia di mail e lettere ricevute, vedevo nitidamente ciò che eravamo chiamati a fare.

Avevo immagazzinato una quantità incredibile di nuove esperienze, emozioni e consapevolezze, e qualcosa mi diceva che presto sarebbe tornata l’ispirazione. Era tempo di scrivere.

Dovevo solo decidermi.

Passata la gioia della scoperta, iniziai a percepire la responsabilità del parlare al cuore delle persone. Provavo un’autentica empatia verso tutti coloro che erano entrati a far parte della famiglia degli Spiriti del Sole e sentivo di dover dare a ognuno di loro il meglio per restituire il Bene ricevuto.

Iniziai a desiderare un album che fosse ossigeno, fuoco e coraggio per chiunque l’avrebbe poi ascoltato e non solo sentito. Volevo trasmettere l’amore di cui avevo fatto esperienza, che trasforma, rigenera e ispira l’anima.

Immaginavo un insieme di canzoni che fossero Luce e per questo decisi fin da subito che quello sarebbe stato il titolo dell’album.

Si trattava di un obiettivo che andava ben oltre le mie capacità, ma pormi una meta alta mi costrinse almeno a tentare.

Marco Morini, Roberto Rossi e Daniele Menci mi diedero il loro beneplacito e così passai all’organizzazione della produzione del nuovo album, che prevedevo di pubblicare entro l’estate del 2012. Chiamai Maurizio Baggio come produttore artistico e affidai a Michele Rebesco la produzione esecutiva.

I primi settembre fissai lo studio di registrazione: data d’inizio 17 ottobre 2011. C’era un piccolo particolare… Non avevo ancora scritto una sola canzone. Folle? Forse. O magari avevo semplicemente iniziato a fidarmi.

Conoscendomi un poco, per aprire gli argini dell’ispirazione dovevo portarmi fuori dal mio ambiente; così andai una decina di giorni in Africa con Vale. Ne tornai con la base di brani come La leggenda, Sogno dei miei sogni, Voglio coraggio e, soprattutto, Betlemme. Quest’ultima fu il frutto di un’ispirazione lampante: scrissi il testo e la musica contemporaneamente in un pomeriggio dopo aver fatto sogni intensi.

Quando la cantai e la suonai la prima volta, subito dopo averla fermata su carta, mi commossi. Diceva più di quanto io sarei stato in grado di pensare: “La Luce schiude e non preclude, questa è la mia fede!”.

Mi era stato donato il manifesto dell’intero album, che mi avrebbe guidato per tutti i mesi successivi.

Ci sono canzoni che la vita ci mette anni a scrivere per te, solo che tu non lo sai. Poi, d’un tratto, te le consegna, come un dono. Le cose più belle che realizziamo sono in minima parte merito nostro. C’è un universo che concorre con noi alla loro manifestazione.

Mi si chiede spesso come nasce una canzone. Il più delle volte un’esperienza mi evoca dei pensieri che corrispondono a una melodia, a un’atmosfera musicale. È come se le idee avessero una loro traduzione in musica; nelle mie canzoni il testo e la base nascono assieme, come due gemelli partoriti dalla stessa madre. Un esempio? Penso a un amico, quell’insieme di sue caratteristiche produce in me concetti ideali e melodie che gli corrispondono secondo la mia sensibilità: non posso separare il cuore dal corpo, per questo scrivo testo e musica insieme.

Le prime settimane in studio furono dure.

Lavoravo sistematicamente diciassette–diociotto ore al giorno. Registravo i provini dei brani e di notte proseguivo con la scrittura.

All’inizio qualcosa però non funzionava, non riuscivo a far emergere con nitidezza ciò che sentivo e, al posto di cercare la chiarezza interiore, chiedevo un parere a chiunque passasse dallo studio. Talvolta era un bene, ma spesso era un male, creava confusione. Quando siamo titubanti capita che cerchiamo affannosamente risposte fuori da noi, e dimentichiamo che disponiamo di una linea diretta con Colui che sa ogni cosa.

Alcuni artisti hanno bisogno di un ampio gruppo di lavoro, altri di fare tutto da soli. Per quanto riguarda me, dopo avere generato il seme di una canzone in modo solitario, esprimo il meglio maturandola in un rapporto a due. Parafrasando il brano Oggi sono solo, ho bisogno di un confronto per comprendere.

In quei giorni, però, in sala eravamo sempre in tanti, facevamo chiasso, quando invece lo Spirito sussurra: se c’è confusione non lo puoi sentire.

Vedendo che il lavoro non stava prendendo la piega giusta e che c’erano molti nodi da sciogliere, scelsi di staccare per tre giorni e tornare a Medjugorje. Era il 13 novembre 2011. Proposi la cosa alla band e tutti vollero partecipare al viaggio, compreso Michele. Non era di certo la stagione migliore per recarsi in Erzegovina, ma partimmo lo stesso.

Quel breve pellegrinaggio ebbe un effetto vivificante su tutti noi, in particolare su me e Lemma. Meditai a lungo e pregai intensamente affinché Maria sciogliesse i nodi del mio cuore e la nebbia dalla mia vista.

Fui esaudito.

Rientrati in Italia, tornai a lavorare sui brani esclusivamente a due, prima con Icio e poi con Roberto Visentin. Dodici giorni dopo avevo tra le mani Onda perfetta, La leggenda, I giorni che vogliamo, Voglio coraggio, Sogno dei miei sogni, Betlemme, Più del sesso, Indelebile, Piccola mia e Spiriti del Sole.

A pensarci oggi, non mi spiego ancora come sia stato possibile.

Portai i provini in Sony a Roberto Rossi e Daniele Menci il 29 novembre.

«Francesco, La leggenda, Sogno dei miei sogni, Indelebile e Onda perfetta sono quattro pezzi della Madonna!».

«Grazie, Roby! Ci ho messo l’anima!»

«Daniele, tu cosa ne pensi?»

«Torna indietro, riascoltiamole… Eccola, Francesco, è questa: è davvero un’onda perfetta!»

Mi faceva un certo effetto sentire il direttore generale così entusiasta: non stava nella pelle. Anche io pensavo che Onda perfetta avesse una marcia in più. Come per Betlemme, mi era stata donata.

«Sai che sono ateo, ma tu, Francy mi fai proprio impazzire… Riesci quasi a convincermi che Dio esista!»

Io e Daniele scherzavamo molto in quel periodo, in particolare sui temi legati alla fede. Questo rendeva speciale il nostro lavoro insieme.

«Quello che fate voi The Sun, fa del bene alla gente. Guardo gli effetti del vostro progetto e… Ne parlavo con mia moglie: metto da parte il mio punto di vista sulla fede e, anche se alcuni ci daranno contro, sono felice di sostenervi».

Le sue parole furono un grande incoraggiamento per tutti noi.

Decidemmo insieme che Onda perfetta sarebbe stato il singolo di lancio del disco e tornai in studio con il cuore finalmente sereno.

Nel mio blog scrissi: «Quando si registra un disco la vita prende una piega tutta particolare. Esco da casa la mattina alle 8.30 e torno spesso di notte, lo faccio anche per intere settimane di fila senza mai staccare. Mi estranio completamente dal mondo. Nessun TG, niente TV, pochi incontri, sempre le stesse facce, la stessa strada andata/ritorno, lo stesso ristorante. Quando arrivo a casa, dopo la giornata in studio di registrazione, salgo le scale, mi tolgo i vestiti al volo e mi metto a nanna. In quel momento, quando sento il piumone accarezzarmi la pelle e le palpebre si chiudono delicatamente, sorrido e sto bene perché sento quanto è meravigliosa l’opportunità di creare nuove canzoni, trasmettere idee, emozioni, sogni, immagini… insomma, incidere ancora una volta ciò che sono e siamo».

Nei mesi seguenti il programma prevedeva la registrazione delle versioni definitive dei brani presentati a Sony. Nel frattempo, però, un tarlo interiore non mi dava pace. Non ero mai soddisfatto. Non mi bastava l’okay dell’etichetta discografica e dei collaboratori: sentivo di dover fare di più.

Mi imposi una vita monacale: lavoro, preghiera, riposo (poco). In questo modo riuscii ad accogliere ispirazione e chiarezza, affinando quanto più possibile ogni singolo concetto e parola dell’album.

Avere Vale al mio fianco, poterla svegliare di notte o alle sei di mattina per chiederle un parere, un consiglio, era quantomai importante. Tra noi le cose come coppia non andavano più bene, ma lei, grazie all’amore, aveva la capacità di consigliarmi estraniandosi da se stessa: mi fu di enorme aiuto. Per un uomo che scrive, poter contare su una donna sincera, acuta e amorevole è una immensa benedizione.

Ho scritto e riscritto alcune parti dei testi decine di volte. Mi chiedevo continuamente: “Sarà comprensibile a tutti?”. Volevo canzoni che fossero popolari, nel senso più nobile del termine, che intercettassero il cuore di chi le avrebbe ascoltate, a prescindere dall’esperienza o dal credo professato. Dimenticavo il tempo, dimenticavo me stesso, dimenticavo i miei problemi: ero tutt’uno con Luce. Non stavo realizzando un disco per professione, lo stavo facendo per vocazione. La differenza è sostanziale.

Nei primi mesi del 2012 scrissi Ciò che rimane, Nemmeno un ciao, Negli occhi (che è una delle mie canzoni preferite) e la fortunata Outsider, che successivamente divenne una delle nostre canzoni più rappresentative.

Abuna Mario, quando seppe che stavamo registrando una canzone dal titolo Betlemme, venne dalla Palestina per incidere dei cori sul brano. Portò in studio tutta la sua carica e la sua sana follia!

Ad aprile venne anche un altro ospite davvero speciale: “Capitan” Federico Poggipollini, storico chitarrista di Ligabue, musicista dal tocco inconfondibile. Gli lanciò la proposta Morini dopo che, durante le registrazioni di Onda perfetta e Sogno dei miei sogni, gli avevo esternato un pensiero che mi girava in testa: «Queste canzoni sarebbero perfette se suonate da Poggipollini». Immaginavo Federico suonarle, colorarle col suo stile. Sapevamo di sparare alto ma le canzoni gli piacquero e, nel giro di qualche settimana, ci trovammo ai Bee Studios a Thiene. La fortuna aiuta gli audaci!

Federico ha vissuto le esperienze più intense che un musicista in Italia possa realizzare: prima con i Litfiba, poi, da vent’anni, con Ligabue, perciò avevamo una sorta di timore reverenziale nei suoi confronti. Tuttavia, bastarono pochi istanti per capire quanto fosse umile e alla mano.

Da tempo non vedevo un musicista entusiasmarsi così tanto mentre suonava. Energia, immaginazione, immedesimazione, ascolto, ispirazione, talento. Prima di imbracciare la chitarra, mimava le sue idee con le mani, suonava col cuore: che lezione!

Si era affezionato a Sogno dei miei sogni ed era venuto ufficialmente per registrare quella canzone. Poi però, grazie all’intesa che si era creata, lavorammo assieme anche su Onda perfetta e Outsider.

È gratificante quando la musica riesce a unire in modo immediato persone e musicisti che non si sono mai incontrati prima.

“Capitan” Fede e Boston sembravano conoscersi da sempre; Gianluca ha la meravigliosa dote di saper subito rompere il ghiaccio e creare un clima informale con chiunque!

Ci confidammo alcuni aneddoti delle nostre rispettive esperienze in tour, certamente differenti, ma accomunate dallo stesso approccio genuino a questo mestiere: mantenere vivo il sogno di quando eravamo bambini.

Il giorno seguente la registrazione delle parti di Federico, con Icio e Michele partii per New York, destinazione Sterling Sound Studio, il tempio mondiale del mastering audio (ovvero il processo di equalizzazione definitivo, determinante per il carattere di un disco, nel quale, fra le altre cose, si livellano i volumi, si editano piccoli difetti, si riducono i fruscii di fondo, si limitano i picchi dinamici delle tracce, si regola l’ampiezza dell’immagine stereofonica).

Furono cinque giorni folli. Dormivamo, o meglio alloggiavamo, a Time Square in una camera al trentesimo piano di un grattacielo.

Avevamo la possibilità di lavorare con Ted Jensen, il guru mondiale del mastering, nonché fondatore dello Sterling.

All’entrata del suo studio personale, con vista panoramica sulla Statua della Libertà, notammo una pila di riconoscimenti per dischi d’oro e di platino accatastati in un angolo: non c’era più spazio per appenderli alle pareti.

«Francy, anche io non so dove mettere i dischi d’oro a casa mia!» ridacchiò Michele.

Eravamo tre vicentini a New York in una specie di paradiso della musica, potete immaginare come ci sentivamo!

Ted Jensen era in tuta. Ci mise a nostro agio, pur mantenendo quel distacco formale che noi italiani, fortunatamente, non sappiamo nemmeno dove stia di casa.

Mentre osservavo quell’uomo dai tratti nordeuropei al lavoro sui nostri pezzi, pensavo che lì erano passati i pesi massimi della musica internazionale. Tra i vostri dieci dischi preferiti, è probabile che almeno due o tre siano passati dalle mani di Ted.

Mentre stavamo lavorando a Voglio coraggio, lo chiamò Dexter Holland, cantante degli Offspring: una coincidenza pazzesca! Poco dopo seppi che anche loro stavano facendo per la prima volta il master dell’album da Jensen, in quegli stessi giorni.

Terminato il lavoro allo Sterling, il 19 aprile 2012 avevamo il disco in mano: Luce era ufficialmente pronto!

Ero felice di una felicità che ogni tanto nella vita è bene provare.

Scrivendo Outsider avevo immaginato il video della canzone proprio a New York. Perciò, oltre al master dell’album, avevamo pensato di catturare lì le immagini per il videoclip del brano. Maurizio, oltre a essere un mago come produttore audio, è anche un bravo regista.

Molti osannano New York come se fosse la meta delle mete. Ritengo sia facile pensarlo per chi può vivere la città da ricco, o come turista mordi e fuggi senza problemi di budget. In realtà, tra quelle strade, nei locali, nella metropolitana, guardando gli occhi della gente, ho percepito un annichilimento spaventoso. È una città che dà tanto, è vero, ma toglie di più, e allora il gioco non vale la candela.

Dal 20 al 22 aprile girammo gran parte delle scene del video. La città era un set perfetto: in ogni angolo c’erano pubblicità che, utilizzando praticamente solo degli imperativi, dicevano cosa, come, chi si dovesse essere per… essere qualcos’altro da ciò che si era!

Il testo di Outsider è il manifesto delle persone che sono effettivamente diverse dalla massa, che non rientrano nella casistica comune, per le quali “conta più del resto la dignità”. Quando la canto sento un terremoto agitarsi dentro me.

Attraverso il video, volevo dichiarare anche il mio profondo dissenso nei confronti dell’avidità, motore della selvaggia finanza che sta mettendo in ginocchio il pianeta. Quale posto migliore di Wall Street?

Grazie a Dio c’è davvero “un moto inverso che vive e splende già”, e la vita ha voluto che proprio in quei giorni un corteo di attivisti tornasse a occupare l’entrata del “tempio” dell’avidità, la Borsa di New York, manifestando in favore di una maggiore equità e solidarietà sociale. Noi tre, ignari di tutto, quel giorno a quell’ora ci trovammo dentro al movimento Occupy Wall Street. Inizialmente non capivamo cosa stesse accadendo, semplicemente eravamo lì mentre tutt’attorno si creava un’enorme confusione. Circa un quarto d’ora dopo il nostro arrivo alla Borsa, la polizia bloccò tutte le strade e gli accessi circostanti, e iniziò a portare via di peso le persone che manifestavano.

Le scene che sono nel video si sono verificate senza alcuna programmazione. Io ero di fianco a un broker incravattato e palestrato che filmava i manifestanti e li definiva pezzenti: «Voi bastardi nullatenenti siete feccia e vi sbatteranno in galera!».

Personalmente volevo restare lì, Icio filmava cercando di non farsi beccare dai poliziotti (che ci andavano giù pesante) e Michele invece continuava a pregarci di andarcene al più presto: «Raga, non voglio che mia madre ci veda in TV per la prima volta perché ci hanno arrestato a New York!». Michele è un dono del cielo: quando siamo in giro ci fa da mamma e da papà.

A un certo punto le forze dell’ordine allontanarono anche noi, ma intanto avevamo raccolto delle immagini che parlavano da sole.

Tornammo in Italia sfiniti, ma felici.

Nel frattempo avevamo realizzato il nuovo servizio fotografico in Umbria per l’album con il team della straordinaria Marianna Santoni (Andrea Badoni, Gaspare Grammatico, Davide Vasta, Vanessa Rocella).

Si può pensare che le foto di un gruppo o le grafiche di un disco siano frutto di un guizzo professionale, di un’ispirazione vincente che viene immediatamente immortalata. In realtà, dietro uno scatto o la copertina di un album, il più delle volte c’è un lavoro enorme. Per Luce volevo il massimo della corrispondenza tra involucro e contenuto. Per questo avevamo affidato l’art direction del disco ad Alberto “Gippo” Zanotto chiedendogli di far combaciare la nostra immagine con ciò che eravamo nella vita. Lui ci studiò per mesi e, al momento opportuno, riuscì a cogliere ogni sfumatura, dando al disco e alla band una chiara identificazione estetica, in perfetta armonia con la musica dell’album.

Girammo il videoclip di Onda perfetta a Verona, nuovamente assieme a Gaetano Morbioli, e a inizio maggio era tutto pronto.

Dal blog: «Da settimane viaggio da una sala prove a un ufficio, da una sala d’incisione a una sala d’aspetto, da un treno a un aereo, da un furgone a una cabrio, da una metropoli a una grotta, dalla metro alla bici… e il tutto è accomunato dallo stesso fine. Mai il periodo precedente l’uscita di un album è stato così intenso ed emotivamente ricco per me. Siamo innamorati. Siamo innamorati di queste canzoni».

Prima di partire con il tour ufficiale, mi trovai ancora una volta di fronte alla necessità di stabilire una modalità opportuna di testimonianza. Avevo maturato la convinzione che sarebbe stata più incisiva se accompagnata dalle canzoni, senza più separarla dal momento del concerto. Ma era soltanto una mia idea che non avevo ancora condiviso con gli altri: solo se il gruppo fosse stato unito avremmo potuto realizzare questo intento.

Chiesi ai ragazzi un incontro per parlarne e così ci ritrovammo nella Casa della creatività per due giorni magici.

Dopo una bella preghiera di gruppo, domandai a ognuno di raccontare agli altri tutto ciò che aveva vissuto dal 2006 in poi.

«Eh, Francy, c’è giusto un po’ di roba da dire… Possiamo piantare le tende, comunque» disse Ricky.

«Be’, a me piace un casino questa idea di raccontarci noi stessi» ribatté Boston.

«Ragazzi, sapete che io non ricordo neanche quando è il compleanno di mia madre, però… con un aiutino ce la posso fare!» concluse Lemma.

C’era un bel clima.

Credo fu uno dei viaggi più emozionanti della nostra vita, pur restando seduti in una stanza di pochi metri quadri.

Eravamo disposti a cerchio, o a croce a seconda dei punti di vista, ci guardavamo negli occhi, ci ascoltavamo gli uni con gli altri. Ridevamo a crepapelle al ricordo di certe scene, ci commuovevamo di fronte ad altre, accoglievamo dei lunghi silenzi e nel frattempo, minuto dopo minuto, ora dopo ora, si ristabiliva in noi quel patto, riprendeva dimora in noi quella forza che ci tiene uniti e vivi da così tanti anni.

Ascoltando le loro parole, risentii la fortuna immensa che mi era stata data di poter vivere la mia vita insieme a tre persone così speciali, così ricche di doni particolari, di carismi e di unicità.

Se è vero che mi avevano fatto soffrire tanto, era ancor più vero che mi avevano fatto gioire e crescere immensamente, più di chiunque altro.

L’amicizia fraterna di Ricky. La fedeltà di Lemma. La sensibilità di Boston. Non so se rendo l’idea: grazie a questi doni io mi sento già l’uomo più ricco del pianeta!

Loro hanno avuto la forza di tenere duro con un rompicoglioni come me, mi hanno sopportato fino allo sfinimento, hanno tollerato i miei difetti comprendendo le mie esigenze particolari e tutte le mie stranezze, hanno retto le mie ruvidità e la mia intensità. Non è scontato, anzi, è il grande miracolo dell’Amore.

Fu stupendo ascoltarci reciprocamente, conoscere le versioni di ognuno, scoprire dettagli che nemmeno conoscevamo, ricordarne altri che avevamo dimenticato. Fu un cammino dentro noi stessi che ci unì ancora di più.

Al secondo giorno cominciammo a trovare i punti di connessione tra le canzoni e determinati passaggi delle nostre vite, disegnammo così la struttura di quello che poi sarebbe divenuto il nostro “concerto acustico con condivisione”.

Provammo in sala questa strana scaletta che consisteva in un percorso fatto di musica (le nostre canzoni), parole (la nostra storia) e video (i nostri videoclip e reportage). In questo modo ripercorrevamo in modo intimo e personale le esperienze di ogni membro della band, con una particolare attenzione agli anni dal 2006 a oggi, e, nonostante richiedesse molta umiltà e audacia, l’insieme che ne uscì vinse le resistenze e ci convinse tutti.

L’abbraccio conclusivo suggellò la volontà di fare assieme un nuovo grande passo. Il risultato fu un mix esplosivo.

Il 6 maggio ci trovavamo a Roma per organizzare un evento. Un nostro caro amico di Padova con cui avevamo stretto un profondo legame, don Marco Sanavio, volle a tutti i costi che in quella occasione conoscessimo «un uomo illuminato, alla mano e profondamente dedicato ai giovani», il vescovo di Palestrina, monsignor Domenico Sigalini.

Non avevamo mai incontrato un vescovo e non sapevamo assolutamente come comportarci: «Francy, ma dobbiamo baciargli la mano?».

«Che ne so, Lemma!»

«Be’ almeno un inchino con doppio salto carpiato si dovrà fare, caro Lemma…»

«Dai, Boston!»

Il vescovo, però, pensò bene di stupirci per primo: «Ciao Francesco, rientro tardi da Milano, vi va se ci vediamo alle ventitré da me?».

«Alle ventitré? Monsignore, è sicuro?»

«Be’… Se non è troppo tardi per voi anziani!»

Quando arrivammo alla Domus Marie, fu lui a riconoscere noi e venirci incontro. Era vestito semplicemente, con abiti comuni: «Non penserete mica che giriamo sempre vestiti da cerimonia?».

Aveva un marcatissimo accento bresciano. Salimmo in ascensore e nessuno di noi riuscì a dire nulla.

«Ma allora? Avete perso la lingua? Va là che vi conosco! Che appena siete soli fate un milione di battute! Non vorrete restare muti tutta la sera? Ah, chiamatemi semplicemente don Domenico».

Quanto siamo prevedibili!

Entrammo in un appartamento e ci accomodammo in un grande salotto, arredato con semplicità, ma accogliente.

«Vi seguo da un po’ e vorrei vedervi dal vivo. Non ho paura è davvero un gran bella canzone, però Il giorno di Alice è la mia preferita…»

Don Domenico aveva ascoltato attentamente Spiriti del Sole e ci accolse in modo davvero fraterno. Volle che gli raccontassimo la nostra storia senza veli e, ogni qualvolta ci fermavamo in preda a un imbarazzo (in fondo eravamo sempre di fronte a un vescovo), lui scioglieva le nostre rigidità con una semplicità e una simpatia davvero straordinarie. C’era da rimanere a bocca aperta per quanto conosceva le tendenze, i comportamenti e le culture giovanili. Restammo a chiacchierare fino all’una di notte e, prima di salutarci, ci disse: «Ragazzi, ora vi parlo seriamente… Avete ricevuto un dono e ora avete una missione. Io vi benedico, benedico questa vostra professione e pregherò in modo speciale per voi. Sono certo che le cose andranno bene, ma… tenete la testa sulle spalle, mi raccomando, che d’ora in avanti dovrete fare i conti con cose anche spiacevoli. Restate saldi e semplici come siete, e ricordate sempre che noi stiamo con Colui che ha vinto la morte!».

Quella benedizione diede a ognuno di noi la sensazione di aver ricevuto un mandato, qualcosa che non potevamo capire del tutto, ma che emotivamente ci toccò nel profondo.

Il 19 maggio 2012 cominciò la tournée ufficiale (senza testimonianze). Tornare sul palco, suonare i nuovi pezzi, ritrovare i nostri immancabili supporter ci fece un gran bene. Ancora prima dell’uscita del disco i concerti registravano sempre un pubblico a quattro cifre, e questo era un gran bel segnale.

La notte del primo concerto, però, feci dei sogni che mi misero in guardia su ciò che sarebbe avvenuto di lì a breve. Niente di strano: tutti abbiamo fatto almeno una volta dei sogni premonitori! Pur non dicendo cosa avverrà esattamente, è il segnale di qualcosa che si sta muovendo ed è conveniente dargli retta, o almeno prestare più attenzione.

La data di pubblicazione del disco era fissata per il 12 giugno.

L’11 giugno ci fu la conferenza stampa di presentazione dell’album in Sony. All’incontro si presentarono vari giornalisti di testate nazionali, alcuni positivamente incuriositi, altri pronti a sparare a zero.

In pochi giorni, mio malgrado, mi resi conto di cosa comportasse l’esserci esposti su temi come l’immortalità dell’anima, il bene comune, la fede, la sessualità vissuta con amore, l’amore per la famiglia, l’importanza di combattere certe dipendenze eccetera.

Alcuni quotidiani nazionali pubblicarono pezzi su di noi: certi ebbero parole lusinghiere, altri esasperarono le nostre parole pregiudicando l’intero significato di quanto avevamo detto.

Contemporaneamente alla pubblicazione del disco e di quegli articoli, ci giunse una massiccia ondata di offese e minacce. Le critiche fanno parte del mestiere però, guarda caso, non avevano mai a che fare con la musica.

Purtroppo i toni delle cattiverie si alzarono e iniziarono a girare voci di possibili pestaggi ai nostri concerti. A quel punto fui costretto a prestare attenzione alle segnalazioni che mi venivano fatte da alcuni e leggere cose che non si vorrebbero leggere mai.

Sul web, a causa di poche persone (ma molto determinate), cominciarono a girare delle vignette satiriche dove, per colpire noi, gli autori usavano toni pesanti e offensivi anche contro l’Eucaristia, il Papa e le persone consacrate. In una di quelle vignette i The Sun finivano sgozzati da un noto satanista, per la gioia dei lettori.

Avevamo semplicemente pubblicato un disco e testimoniato autenticamente la nostra esperienza di vita. Evidentemente la nostra verità infastidiva qualcuno.

Come band, come amici, sperimentammo davvero che quando scegli di alzare il cuore al Cielo, quando parli di certe cose, l’antagonista si scatena e fa di tutto per intralciare la strada (servendosi delle persone moralmente e spiritualmente più fragili, a ogni livello sociale). Fu una dura lezione di vita. Ma fu utile.

Passammo alcune settimane difficili. Ero sconfortato e mi chiedevo se valesse la pena lavorare così duramente per poi doversi scontrare con una tale malignità e cattiveria.

Ricky e Boston rimasero a loro volta scottati dall’esperienza e non mi nascosero la loro profondissima amarezza. Lemma fu quello che accusò di più il colpo, chiudendosi in se stesso e tornando a vivere di chiaroscuri.

Il diavolo, però, fa le pentole ma non i coperchi. E ha timore della Luce e dell’amicizia vera.

Fortunatamente eravamo abbracciati dall’affetto di tante persone. Il tour procedeva alla grande, ogni concerto era una festa e il pubblico era sempre superiore alle nostre aspettative.

Ogni sera, prima di salire sul palco, cominciammo a recitare una potente preghiera di affidamento, e questa scelta iniziò a cambiare l’impatto delle esibizioni, in primis dentro di noi.

Le testimonianze di vicinanza continuavano ad arrivare a migliaia e ci facevano sentire come se avessimo parenti, fratelli e cugini sparsi in tutta Italia. Quanto Amore!

Il 1° ottobre tornammo in Palestina per due settimane e cinque concerti: Betlemme, Gerusalemme, Nablus e una doppia partecipazione all’Octoberfest di Taybeh, unico appuntamento musicale internazionale della Palestina. Scoprimmo di essere l’unica band rock ad avere un fan club in Palestina con base Betlemme.

In quell’occasione incontrammo varie realtà di promozione sociale. La Custodia di Terra Santa (i Francescani che custodiscono i luoghi della Fede in Israele e Palestina) chiese ai The Sun di fare da testimonial alla campagna di raccolta fondi per i cristiani palestinesi in difficoltà. Ci portarono a vedere le loro opere: scuole, università, orfanotrofi, ospizi, piccoli grandi miracoli portati avanti grazie alla generosità di tante persone che silenziosamente fanno il Bene. Accettammo con entusiasmo questa nuova sfida e fummo ben felici di darci da fare per il successo della campagna “A Natale ritorna alle origini”. Insieme alla ONG ATS pro Terra Sanctae, realizzammo alcuni video per promuovere l’iniziativa in Italia, e la raccolta fondi fu proficua. Molti Spiriti del Sole contribuirono con generosità e diedero ancora una volta prova del loro grande cuore.

Lemma, a fine campagna, tornò in Palestina come volontario per consegnare l’ultima parte dei contributi raccolti e prestare servizio alla “casa dei bimbi” di Don Mario. Tornò con uno sguardo diverso, ancora più autentico e vero.

Più i The Sun crescevano professionalmente, più avevamo la forza di sostenere progetti corrispondenti alla nostra mission. Certo, nel nostro piccolo e un passo alla volta.

Dall’inizio delle registrazioni del disco in avanti non mi fermai più un solo istante, nemmeno un giorno, neanche una domenica.

La vita è troppo bella per non essere vissuta in pienezza. Ligabue direbbe: «Ci riposiamo solo dopo morti» e, ogni tanto, lo diciamo anche noi.

Capitava che ogni tanto la sera mi sentissi davvero a pezzi fisicamente; allora il mio pensiero tornava alla mattina del 12 giugno, quando era stato pubblicato Luce e, leggendo il Vangelo del giorno, un brivido fortissimo mi aveva fatto sentire la perfetta connessione di tutte le cose:

Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città che sta sopra a un monte, né si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candelabro, e così fa luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei Cieli (Matteo 5,14-16).

La data di pubblicazione del disco era stata fissata da Sony e nessuno sapeva di questa coincidenza: di tutti i brani dei quattro Vangeli, questo è quello in cui la parola “luce” ricorre più spesso.

È straordinario come Dio risponda costruendo storie prima ancora che un incontro faccia la storia.

Dolci e amorevoli segnali ci guidano nel cammino della vita e ci strizzano l’occhiolino: avanti tutta!