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L’invincibile preghiera

Ecco, allo stesso modo che una madre è felice quando nota il primo sorriso del suo bimbo, così si rallegra Iddio ogni volta che un peccatore si mette in ginocchio e rivolge a lui una preghiera fatta con tutto il cuore.

Fëdor Michailovič Dostoevskij

 

 

Nonostante l’estate fosse finita, il nostro umore era come quello che si ha quando la stagione migliore sta per arrivare.

Nulla è più entusiasmante dell’amicizia che riesce a esprimere la realizzazione di un luminoso obiettivo comune!

Eravamo sempre assieme e condividevamo la musica, gli affetti, gli impegni, le responsabilità, le tensioni, i viaggi, i problemi, le paure, i sogni, le batoste, i successi… In poche parole: affrontavamo la vita fianco a fianco sentendo di poter contare gli uni sugli altri.

Chi vince cento milioni di euro non è ricco come chi ha coltivato amicizie profonde e sincere. E noi, che oltre a essere amici fraterni eravamo anche una band, ci sentivamo i più ricchi al mondo, anche se spesso con il portafogli vuoto.

Liberi dal concetto generale di “successo”, stavamo sperimentando una gioia piena: era esattamente ciò che sognavo da bambino. Essere Spiriti del Sole voleva dire anche questo.

Insieme a Roberto Rossi e al nuovo direttore generale di Sony, Daniele Menci, scegliemmo Non ho paura come secondo singolo del disco. Dopo una lunga ricerca decidemmo di girare il videoclip del brano a Barcellona, città che conoscevamo bene, dove avevamo messo a segno vari sold out negli anni precedenti.

Le riprese erano fissate per l’8 e il 9 ottobre 2010.

Sfruttando i voli per lo shooting a Barcellona, andammo a Maiorca per tre giorni di vacanza.

Il 6 ottobre 2010 portai la band e Michele al monastero di San Salvador. Erano più o meno le diciotto, il sole stava tramontando e l’aria si faceva via via più fresca. Al termine della salita e dei numerosi tornanti, la statua di Gesù Risorto ci accolse dall’alto, abbracciandoci assieme a quel paesaggio suggestivo.

Il monumento è posto in cima a una piccola cappellina all’aperto, sopra una sorta di abside che protegge un altare e un tabernacolo a cui si può accedere da quattro scalinate, in direzione dei quattro punti cardinali. È una costruzione singolare: i muri che sorreggono la cupolina e la statua di Gesù hanno delle aperture in concomitanza delle quattro scale che salgono da nord, sud, ovest ed est. Mi piace pensare che chi ha ideato quella disposizione volesse far intendere che, quali che siano la nostra provenienza, il nostro punto di vista e la nostra intima esperienza personale, per ognuno di noi c’è una scala in prossimità della nostra strada individuale, al termine della quale si trova una porta aperta che ci unisce a Dio.

Restammo in contemplazione solitaria per un po’ di tempo, gustandoci il silenzio e quella sensazione di liberazione di quando si fa un bel respiro a pieni polmoni.

Passata una buona mezzora, ci sedemmo ai piedi della statua, sulle scale che guardano a ovest, dove il sole era ormai prossimo a scomparire dietro il mare.

Dopo i primi minuti in contemplazione, si levò tra noi una preghiera di ringraziamento per i doni che avevamo ricevuto e che stavamo accogliendo nella nostra vita attraverso l’Amore di Dio. Arrivavamo da una rinascita personale e professionale evidente, a tratti incredibile e incalcolabile. L’energia positiva di quei mesi ci aveva donato vere soddisfazioni, rinfrancandoci nello spirito dopo gli impegnativi cambiamenti affrontati negli ultimi anni.

Proposi di scrivere un’unica preghiera di gruppo perché quella gratitudine venisse iscritta davvero nel tempo e nelle nostre coscienze al cospetto di Gesù risorto. Sapevo bene, però, che con la preghiera d’offerta non si scherza: se ci si offre col cuore, le cose poi accadono. Perciò, prima di dichiarare al Cielo il nostro sentire, volli che fossimo tutti concordi sul contenuto da esprimere.

«Potremmo scrivere che siamo disponibili ad andare in Africa a fare un’esperienza solidale… A fare dei lavori manuali… muratori, zappatori, pulitori di stalle… Non ha importanza cosa» disse Ricky.

Ma Boston lo incalzò: «Be’, perché non considerare il Sudamerica, oppure l’Asia…».

Da bravo organizzatore, Michele si inserì dicendo: «Sì, però dovremmo definire anche quanto tempo siamo disposti a starci in missione». Mi aveva rubato le parole di bocca.

Lemma, rispondendo, disse la sua: «Be’, almeno due–tre settimane gliele dobbiamo dare!».

Mi fa sorridere oggi ripensare a come stavamo lì a disquisire su quanto, come, dove… Non eravamo poi così diversi dagli uomini che duemila anni fa si perdevano a fare discorsi minimi di fronte all’infinito fatto uomo. Credo che Lui si sia fatto qualche risatina ascoltando le nostre elucubrazioni.

Quando presi il mio diario per iniziare a scrivere la preghiera, accadde una cosa assai particolare. Nel giro di pochi istanti, tutt’attorno a noi si manifestò una nebbia fittissima, tanto da non vedere oltre gli scalini sui quali ci eravamo seduti. Era la dodicesima volta che mi trovavo a San Salvador, conoscevo bene la zona e il clima delle diverse stagioni, ma non avevo mai visto nulla del genere mentre ero sull’isola.

Non sapevamo esattamente come decifrare ciò che stava avvenendo, semplicemente decidemmo di rimanere lì e portare a termine il nostro intento.

Ci trovammo unanimemente concordi nel consegnare, tra le altre, anche queste parole: «Signore GRAZIE! Quello che hai fatto per noi è inestimabile. Nonostante le nostre debolezze, mancanze e incoerenze, anche noi vorremmo realizzare qualcosa di speciale per Te, per dirti grazie di questa nostra rinascita. Perciò, se possiamo esserti utili in qualsiasi parte del mondo, mandaci un segnale, chiamaci, dicci cosa dobbiamo fare e noi lo faremo».

Firmammo la preghiera e Lemma fu incaricato di metterla nel tabernacolo. C’era però un piccolo ostacolo: a quell’ora ogni accesso all’altare era chiuso da un cancello alto due metri e mezzo.

«Francy, ma la devo mettere proprio là? Non possiamo lanciarla dentro e basta?!»

Come risposta bastò il mio sguardo. Sì, sono pignolo.

Fortunatamente Matteo è un saltimbanco e alla fine la preghiera fu posta nel cuore di quel luogo speciale. Non appena Lemma scavalcò nuovamente il cancello, la nuvola nella quale eravamo immersi scomparve quasi all’improvviso. Restammo senza parole.

Tornammo al nostro appartamento e non ci pensammo più.

Girato il video di Non ho paura, rientrati in Italia iniziai il mio primo tour di interviste radiofoniche in giro per la penisola. Michele mi accompagnò come tour manager e in quei dieci giorni la nostra amicizia si rafforzò grazie a tanti momenti di condivisione fraterna. La sera dell’undici novembre ci trovavamo a Roma, avevo da poco finito l’ultima intervista della giornata (con Paola de Simone a Radio InBlu) e volevo solamente farmi una doccia calda e rilassarmi. Michele però, dopo cena, mi convinse ad andare a San Pietro. La piazza era deserta e il cielo limpido regalava stelle brillanti come diamanti. «Guarda che spettacolo Francy! E tu che non ci volevi venire… Se qui è così, pensa come dev’essere Gerusalemme di notte! Magari un giorno ci andremo…» Quella frase, seguita poco dopo da una stella cadente sopra la cupola della Basilica, fece emozionare entrambi.

Poco dopo ci accingevamo a vivere la tournée organizzata dalla storica agenzia Barley Arts. Marco Ercolani, persona di vero cuore, seguì l’intera organizzazione del tour: dieci date in dieci città italiane. Si partiva il 20 novembre da Lignano, in un locale dove avevamo suonato dieci anni prima durante la tournée del disco Don’t Waste Time. Stavamo davvero ripartendo daccapo, ma era stupendo.

La sera del 19 novembre del 2010 ero alla Casa della creatività. Come a ogni vigilia di una nuova avventura, stavo raccogliendo le mie energie: riflettevo, ascoltavo le mie emozioni. La Luna era quasi piena e tutto concorreva al mio discernimento.

Pur avendo spento il PC da alcune ore, sentii di dover ricontrollare la casella di posta della band. Accesi il computer e vidi che pochi minuti prima era arrivato un messaggio con un oggetto particolare: «Concerto in Betlemme».

Il cuore iniziò a battere forte ancor prima di constatare di cosa si trattasse.

Ciao. Vi scrivo da Betlemme! Sono don Mario, un giovane prete italiano che vive qua da un po’ di tempo… La mia missione è sostenere le comunità cristiane della Terrasanta e aiutarle a resistere… Vi volevo proporre una cosa: perché non venite a fare un bel concerto il 1° marzo a Betlemme??? Ogni anno il 1° marzo facciamo una manifestazione “contro” il muro di divisione costruito sulla nostra terra in modo unilaterale da parte dello Stato di Israele e così da diversi anni facciamo questa iniziativa alla quale partecipano diversi giovani (anche italiani). L’idea quest’anno era di fare il concerto del 1° marzo la sera con alcuni gruppi…. Ho letto della vostra esperienza e lo Spirito mi ha suggerito di scrivervi… Un abbraccio e a presto!

«E lo Spirito mi ha suggerito di scrivervi».

BAM!

Chiamai subito Ricky, che a sua volta stava leggendo lo stesso messaggio. Fu un momento molto forte, indimenticabile.

Il nostro viaggio è partito da qui, dall’ascolto di un uomo che ha posto il suo cuore in Dio.

La preghiera diventa invincibile quando è fatta con gratitudine. Un GRAZIE espresso da un cuore sincero, non solo per ciò che ha già ma anche per ciò che desidera, rende ogni cosa possibile: «Per questo vi dico: tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato» (Marco 11,24).

Non avevo idea di come un prete a Betlemme potesse conoscere e apprezzare i The Sun al punto di chiamarci a suonare laggiù senza aver mai avuto alcun tipo di contatto con noi. Ero davvero sbalordito.

Per don Mario è lo Spirito ad averlo ispirato, suggerendogli di scrivere proprio a noi. Per altri invece potrebbe trattarsi soltanto di un insieme di casualità. Ma, certo, le probabilità che questa situazione si verificasse erano più basse di quelle di una vincita al superenalotto. A ognuno le sue conclusioni.

Nel frattempo, rileggendo la mail, venni pervaso da una commozione profonda e sentii la necessità di ringraziare. Gesù aveva risposto alla nostra preghiera scritta a San Salvador facendoci a sua volta scrivere da casa Sua, da uno dei “suoi”, proprio dal luogo in cui nacque: l’ombelico del mondo.

Serve altro?

Noi, che avevamo immaginato di poterlo ringraziare facendo qualcosa di inusuale rispetto al nostro mestiere, dovevamo accogliere la richiesta di servirlo attraverso ciò che era per noi consueto: suonare. Di nuovo, amorosamente, ci permetteva di intendere che il voler vivere esperienze di offerta, di servizio, può corrispondere esattamente a ciò che già si fa e si è. Ecco dove è iniziata a evolvere la mia concezione di vocazione nel lavoro.

Dopo averne parlato con la band, risposi a don Mario, e da quel momento le nostre vite sarebbero cambiate ancora una volta.

Carissimo don Mario,
GRAZIE DI CUORE PER QUESTA TUA MAIL.
Sono Francesco Lorenzi, cantante/autore dei The Sun.
Questa tua lettera è un dono IMMENSO del Cielo che si collega a tanti avvenimenti concatenati di cui sono stato testimone diretto e indiretto. Che dono!!!!
Non c’è stadio, non c’è Madison Square Garden che tenga… suonare a Betlemme sarebbe per me un onore, un privilegio e una responsabilità di valore inestimabile. Un sogno che diventa realtà.
Vorrei che tu potessi sentire e vedere nei miei occhi quanto mi abbia rallegrato e commosso il tuo invito. Lode al Signore e allo Spirito!!!
Dimmi come fare e lo faremo, noi ci siamo.
Un abbraccio,
Francesco Lorenzi