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Strada in salita

La strada più sicura per l’inferno, ricordalo, è quella graduale – è il dolce pendio, il soffice suolo, senza brusche voltate, senza pietre miliari.

C.S. Lewis

 

 

Sognare.

Siamo stati creati con questa fiamma interiore. Fa parte di noi quanto il respiro, ne abbiamo bisogno come dell’aria e nessun uomo può vivere senza.

Di noi esseri umani, per quanto si dica, si conosce assai poco. In miliardi siamo apparsi e scomparsi da questo pianeta, eppure nessuno è stato in grado di rispondere in modo inequivocabile alla domanda: che cos’è la vita?

Però di una cosa siamo certi: nulla di veramente buono, duraturo e meritevole è stato realizzato senza la forza di un sogno illuminato.

Questa certezza dovrebbe essere allora la prima cosa da ricordare a noi stessi ogni giorno, soprattutto se le circostanze della vita paiono volerci allontanare dai nostri più nobili intenti.

Prima o poi, ci ritroviamo a scontrarci con la durezza del mondo, in particolare se siamo mossi da grandi ideali, da sentimenti positivi e da quell’Amore che trasforma lo sguardo, rendendolo sensibile alla Vita attorno a noi.

Ci si trova come di fronte a un bivio inesorabile: da una parte un’autostrada composta da molteplici corsie diritte, tutte uguali e che corrono in discesa, dall’altra, invece, un sentiero irto, poco battuto e non esente da pericoli, una Strada in salita.

L’autostrada è suggerita per convenzione come via sicura, protetta e ampiamente testata: a chi la imbocca viene solo chiesto di dimenticare per una cinquantina d’anni la ragione per cui è nato e il senso ultimo del proprio viaggio, ma come contropartita assicura un percorso in perfetta sintonia con gli usi e i costumi dei più.

La strada in salita, invece, priva di artifici e naturale, viene costantemente sconsigliata. Forze nemiche dell’autentica realizzazione si frappongono al cammino di chi, con amore, sceglie di intraprendere la salita. Molti di coloro che la imboccano lasciano il passo, si fermano o, addirittura, corrono indietro, costretti da più parti a tornare sulla via accettata, quella che sembra proseguire senza intoppi, ma che in realtà precipita all’ingiù.

Non a caso San Pietro ci ricorda: «Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede, sapendo che i vostri fratelli sparsi per il mondo subiscono le stesse sofferenze di voi» (Prima lettera di Pietro 5-8,9). Diavolo, dal greco diaballo, il calunniatore, colui che divide.

Alcuni perseverano sul sentiero. Più procedono e più respirano un’aria pulita; la pena si tramuta in vigore e, di fronte a loro, si apre un orizzonte spettacolare che consente di godere di un paesaggio mai visto.

Il bivio tra le due strade si può riproporre anche più volte nel corso dell’esistenza; dalla scelta compiuta si determina tutto il resto. Gesù è stato chiaro: «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che vi entrano» (Matteo 7,13).

Ho incontrato persone che conoscono profondamente quell’irto percorso, che sono entrate per la porta stretta. Nelle loro vite non sono mancate durezze, sacrifici, maldicenze, contrasti, però, grazie alla loro perseveranza nel Bene, sono ricolme di Grazie che portano la firma dell’eternità. Seguendo e servendo il particolare sogno che avevano nel cuore, hanno reso il mondo un posto migliore, e i frutti del loro agire non si possono contare tanto sono numerosi.

La loro gioia è piena, e rappresenta l’esempio più potente al mondo di cosa serve veramente per essere felici.

Credo che il Mister, nella parabola del Buon seminatore, parlasse di donne e di uomini così, e che ci tenesse parecchio dato che questo racconto è presente nei Vangeli di Marco, Matteo, Luca e perfino nell’apocrifo di Tommaso: «Il seminatore uscì a seminare la sua semenza; e, mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada: fu calpestato e gli uccelli del cielo lo mangiarono. Un’altra cadde sulla roccia: appena fu germogliato seccò, perché non aveva umidità. Un’altra cadde in mezzo alle spine: le spine, crescendo insieme con esso, lo soffocarono. Un’altra parte cadde in un buon terreno: quando fu germogliato, produsse il cento per uno» (Luca 8,4-8).

Se sommiamo i nostri limiti personali con la ruvidità del mondo esterno, chi mai potrà essere come il seme caduto sulla buona terra o come chi persevera sulla strada in salita?

Fortunatamente il Signore ama, e ama in particolare gli audaci nell’amore, caricandoci sulle sue spalle e superando per noi i limiti, soprattutto quando gli facciamo spazio nella nostra vita: «Egli dà forza allo stanco e moltiplica il vigore allo spossato. Anche i giovani faticano e si stancano, gli adulti inciampano e cadono; ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi» (Isaia 40,29-31).

Mettono ali come aquile: questo sì che è sognare! Ed è per questo che siamo nati.

In quell’autunno del 2008, grazie al ritrovato entusiasmo scaturito dalla scrittura di Non ho paura, mi rimboccai le maniche e dissi a me stesso che era il momento di dare il meglio. Il passato era passato ed era inutile piangersi addosso. Dovevo agire.

Decisi di giocarmi il tutto per tutto. Chiamai Maurizio Baggio e gli chiesi di raggiungermi alla Casa della creatività.

Prima del nostro incontro pregai il Signore affinché ci guidasse e ci desse la capacità di essere audaci e liberi. Così, in un freddo pomeriggio di inizio novembre, gli confidai a cuore aperto quanto mi stava accadendo e ogni dettaglio del blocco lavorativo in cui mi trovavo.

«Icio, ora sai tutto. La situazione vista da fuori è una merda, ma ti assicuro che, se registro i nuovi pezzi che ho in testa, questo disco uscirà e le cose andranno bene».

Eravamo seduti uno di fronte all’altro, di fianco ai computer che utilizzavo per registrare i demo delle canzoni. Lui aveva un’espressione perplessa. Dovevo andare più a fondo.

«Sai che non sono solito parlare dei miei problemi, ma il punto è che non ho più soldi per registrare in studio. Sono al verde, ma voglio assolutamente trovare un modo per produrre i nuovi pezzi».

Lui allora mi fissò con l’intensità che solo un’amicizia fraterna può donare allo sguardo e, dopo un istante di silenzio, esclamò: «Franci, nonostante questa sia una strada in salita, so che ce la farai. Non ne ho il minimo dubbio! Ti conosco da tanti anni e so perfettamente che la carica che hai è mossa da una ragione che… non so da dove provenga esattamente, ma sento che deve realizzarsi, perché è autentica».

Poi concluse spiazzandomi: «Tu non puoi permetterti lo studio, e allora sai cosa facciamo? Vengo io a registrarti qui, a casa tua, alla vecchia maniera. Produciamo il disco in casa: porto qui un po’ di strumentazione e… per quanto riguarda il mio pagamento me lo darai quando potrai. Se per te va bene, possiamo iniziare il 19 novembre».

Se per me andava bene?! L’avrei baciato sulla fronte!

Nulla è impossibile all’amicizia. Fu un grande atto di fiducia, un segno d’Amore che ci unì ulteriormente.

Mi misi subito al lavoro.

L’immagine della strada in salita, utilizzata da Maurizio, evocava proprio quanto stavo vivendo in quel periodo. Mi resi conto che chiunque scelga di vivere, e non solo di sopravvivere, sperimenta almeno una volta quella stessa salita.

Ed eccomi qua,
senza una meta,
senza una strada,
senza sapere quanto manca…
e dove vado,
cosa non vedo
vale così poco questo tempo
se non capisco dove sono e quello che sento.

Ma io so che voglio un sogno e voglio un senso
voglio una partita che mi faccia dare il meglio
che questa via sia la mia strada in salita
che mi possa guidare in ciò che amo, e così sia!

Ed eccomi qua,
ci sono passato di nuovo a pelo
come l’ultimo istante in cui cadevo
ad occhi chiusi
quando chiedi e ormai non credi che ci sarà
qualcosa lì per te,
ma in fondo è in quel momento che voglio un sogno
e voglio un senso.
Voglio una partita che mi faccia dare il meglio!

Questa nuova forza mi fece desiderare di trarre il massimo dalle mie esperienze e di onorare gli insegnamenti che stavano migliorando la mia vita. Avevo una via preferenziale per riuscirci: condividerli attraverso le canzoni.

Nel giro di poche settimane impacchettai per la registrazione Strada in salita, San Salvador, Non ho paura, Hasta la muerte, Musica, Maggio, I miei sbagli e, con l’aiuto di Maurizio, L’alba che vuoi.

Ognuna di queste canzoni racconta un aspetto specifico di un autentico cammino di risveglio spirituale e di rinascita.

Maurizio si stabilì nella Casa della creatività per oltre un mese e, come da tradizione, rimanemmo spesso digiuni perché, presi dal lavoro, ci scordavamo di mangiare.

Ci arrangiavamo con la strumentazione che avevamo, davvero ridicola rispetto a quanto avrebbe offerto lo studio di registrazione. Eppure le canzoni avevano un’energia incredibile e, grazie al talento di Icio, non avevano nulla da invidiare a tanti brani prodotti nei più grossi studi.

Non appena ebbi tra le mani San Salvador, Strada in salita, L’alba che vuoi e Hasta la muerte le mandai subito a Morini.

La sua reazione fu entusiasta: «Questi pezzi sono una bombaaa! San Salvador mi fa impazzire! È una hit!».

Marco si convinse che quella canzone ci avrebbe rimessi in gioco. Mi confessò di ascoltarla in loop decine di volte al giorno. Anche a me piaceva molto, ma qualcosa mi suggeriva di non fissarmi troppo su quel brano. In ogni caso, il fatto che San Salvador gli avesse fatto tornare la forza di credere in me era già qualcosa di grandioso, e intimamente sapevo che quella canzone era nata per salvarmi.

Nel periodo natalizio i pezzi nuovi erano completi. Maurizio e io ci spostammo nel suo studio qualche giorno per utilizzare un mixer analogico a cui eravamo particolarmente affezionati.

Un momento davvero speciale era quando mi mettevo alla guida di notte dopo un’intera giornata di mixaggio. Dovevo percorrere una cinquantina di chilometri: salivo in auto e sparavo a tutto volume le nuove canzoni. Le mani battevano il tempo sul volante e intanto immaginavo di suonarle dal vivo su mille palchi. Nonostante le difficoltà, le durezze e i sacrifici di quei mesi, finalmente avevo un disco che mi convinceva e ascoltarlo mi ripagava di tutto!

Le parole di Strada in salita mi accompagnavano. Questi versi in particolare mi davano la forza giusta:

Conosci uomini che senza aver lottato abbiano donato un senso in più a questa vita?
Conosci sogni degni del nome che gli hai dato che non ti siano costati in sangue e occhi al Cielo?
Ed è così che io credo!

Dopo quella prima volta in febbraio, avevo continuato a garantire la mia presenza settimanale in cappellina per l’Adorazione. In quelle ore di verità delle ultime settimane dell’anno, maturai una consapevolezza essenziale: vivere la strada in salita non significa semplicemente rispettare e servire i propri talenti e intenti positivi, richiede anche di testimoniare agli altri il Bene che si è sperimentato. Farlo con amore, coraggio e, se necessario, con fermezza.

Mi resi conto che era giunto il momento di tornare dalla mia band, dai miei compagni di vita, e condividere in spirito e verità l’esperienza che stavo vivendo. Volevo offrire loro un punto di vista differente, dedicandomi a ognuno di loro da vero fratello. Non sapevo da che parte cominciare, però sapevo di voler essere schietto, amichevole e deciso.

Non sarebbe stato facile convincerli a guardarsi dentro e intraprendere una nuova strada, ed ero consapevole che avrei potuto non essere all’altezza, io stesso limitato e peccatore. Ma attendere di essere perfetti per agire attivamente a favore degli altri è la comoda scusante di chi in realtà non vuole sporcarsi le mani. E detesto chi si comporta così.

Perciò decisi di incontrarli singolarmente, per svelare, con il cuore in mano, le profonde ragioni che mi spingevano a scrivere le canzoni in modo nuovo. Mi imposi anche di sbattere loro in faccia la dura realtà delle dipendenze che li schiavizzavano, senza dimenticare poi come tutti avessimo violato la nostra stessa amicizia.

Non sarebbe stato per nulla facile entrare in contatto con la loro parte profonda, perché significava metterli in relazione con le loro solitudini personali. E non è affatto scontato che l’altro voglia aprire le porte del proprio cuore, soprattutto laddove lo stile di vita racconta ancora di molte ferite.

Non so dirvi precisamente come, ma Gesù mi fece sentire che dovevo aiutarli ad accoglierlo e che al resto avrebbe pensato Lui. Nonostante avessi compreso il valore di quella necessità, avevo paura di compiere quel passo.

Alla fine raccolsi il mio coraggio e, dopo aver pregato, decisi di iniziare da Lemma, così gli telefonai. Sì perché, pur vivendo sotto lo stesso tetto, ci evitavamo talmente bene che fui costretto a cercarlo al telefono per fissare un incontro.

 

28 dicembre 2008, ore 18.30. L’appuntamento era stabilito nello studio di registrazione. Avevo avvisato Icio, che rimase con discrezione in sala mixer a lavorare.

Lemma arrivò puntuale.

«Ciao Lemma».

«Ciao Franci».

In un saluto c’è già il necessario per capire lo stato di un rapporto. E in questo caso era visibilmente teso.

«Mettiamoci qui». Presi due sedie e le misi una di fronte all’altra. «Come ti ho anticipato al telefono, penso davvero che questo nostro incontro sia molto importante per la nostra amicizia, per la band e più in generale per la nostra vita. Da tempo rifletto su certe cose e oggi vorrei parlarne con te con la massima sincerità».

«Sì, ho capito. Dimmi».

Lemma aveva lo sguardo annebbiato e la sua risposta secca non aiutò a placare il mio nervosismo e la buona dose di rancore che avevo nei suoi confronti. Per questo motivo rimasi alcuni secondi in silenzio e provai a mantenere la calma.

«Franci non… non metterci delle ore però… che… parti già male».

Quando Lemma parlò nuovamente mi accorsi che il suo alito puzzava di alcol e la cosa mi fece innervosire oltremodo. Nel frattempo lui aprì il suo immancabile zainetto nero e tirò fuori una bottiglia di Cabernet.

«Perché hai portato una bottiglia di vino? Sono le sei e mezzo del pomeriggio, Lemma!»

«Be’, sai com’è, visto che… che… è un po’ che… non ci si parla… cioè, che non ci… parliamo, ecco… ho pensato che… il vino è una cosa buona… Penso che possa servire… servirci a sciogliere il linguaggio… Conosci il detto… in vino… veritas, giusto?»

Dal grado di sbiascicamento delle parole di Lemma era chiaro che lui aveva già ampiamente oliato i suoi ingranaggi. Purtroppo la cosa mi fece totalmente saltare i nervi.

«Cazzo, Matteo! Dovevi bere pure oggi? Sai che ti voglio parlare di cose importanti che riguardano la nostra vita, il nostro futuro!»

Lui intanto mi guardava con un’espressione che pareva studiata apposta per farmi venire voglia di riempirlo di cazzotti.

«Franci stai… calm… calmino… eh?!»

«Lemma: sei un coglione!»

Tutti i miei buoni propositi di mantenere la calma svanirono in quei pochi minuti. Mi resi conto che con quello stato emotivo addosso non avrei ottenuto nulla di buono.

«Adesso tu stai qui e ti fai passare questa sbronza. Io vado di là a lavorare e facciamo che tra un’oretta abbondante riproviamo a parlare. E… dammi quella maledetta bottiglia!»

Verso le nove di sera tornai nell’ufficio. Lemma sonnecchiava.

«Sveglia!»

Lui aprì gli occhi. Anche se l’espressione del volto non era diversa da quella di prima, mi parve disponibile all’ascolto.

Con una pacata durezza, iniziai a ripercorrere quanto avvenuto negli ultimi due anni, evidenziando come certi vizi e superficialità avessero portato a un’evidente disgregazione in noi e tra di noi.

Gli parlai delle mie personali cadute, della crisi che avevo attraversato, delle difficoltà di quei mesi e della sofferenza che provavo nel constatare di essere rimasto solo. Dopodiché posi a lui le stesse domande che mi ero fatto io un anno prima:

«Chi sei?

Dove sei?

Dove andrai?

Cosa vuoi da te?

Hai amato abbastanza?

Che senso ha la tua vita?

Sei ancora in grado di sognare?

Che senso vuoi dare al tuo esistere?

Cosa ti rende pienamente libero, gioioso e grato?»

Erano ormai le undici, il tempo stava volando e, di fronte a quelle domande, Lemma si commosse. Sentii dentro me che quella che mi era parsa un’impresa impossibile forse non lo era.

«Lemma, a differenza di quello che pensi, io non sono un altro rispetto a prima e non sono nemmeno impazzito. Sono sempre lo stesso Francesco, solo che ho compreso quanto è straordinario il dono che porto dentro, e ho scelto di servirlo. Dio, per amore, ha messo una incomparabile scintilla di Bene dentro ognuno di noi. A me ha fatto semplicemente sperimentare una strada per ritrovare quella benedetta forza. E io so che tu, di quella forza, ne hai da vendere».

Matteo si commosse di nuovo. E io iniziai a credere che qualcosa di buono potesse davvero accadere in quella notte.

Nessuno aggiunse altre parole per vari minuti, eravamo entrambi visibilmente emozionati. Ruppi il silenzio solo per dire: «Che ne dici se andiamo a mangiare qualcosa?».

«Ottima idea, ho una fame!»

Andammo in una bruschetteria vicino allo studio. Lemma non era ancora completamente sobrio, ma lo era abbastanza da poter ascoltare un minimo la propria coscienza.

Iniziammo a parlare di come quella crisi mi avesse posto di fronte a nuovi propositi anche lavorativi, e lì Lemma si irrigidì nuovamente: «Ma, Francy! Perché hai voluto farci questo?! Cosa cavolo hai scritto in queste canzoni?».

Sapevo che saremmo arrivati a quel confrontoscontro. Perciò avevo portato con me i testi di tutte le nuove canzoni.

«Partiamo da San Salvador, per esempio! Già il titolo mi infastidisce! Ma perché devi metterti a scrivere certe cose?»

Non è facile dialogare quando ci sono forti preconcetti. Però qualcosa ci guidò per mano e così, canzone dopo canzone, verso dopo verso, ogni attacco di Lemma si spegneva di fronte alla presa di coscienza di quanto avevo scritto e del perché l’avessi fatto.

Una palpabile emozione interiore iniziò a scorgersi nel suo sguardo, ora lucido.

Si avvicinò la barista del locale e, seccata, ci fece notare che erano le due passate: dovevano chiudere.

Senza che ce ne fossimo accorti, tre ore erano volate. Tutti abbiamo sperimentato che anche il tempo, apparentemente molto rigido, si inchina di fronte all’emozione dall’anima.

Pagammo il conto e uscimmo. Faceva freddo, l’aria ghiacciava il respiro, ma non le intenzioni e le parole.

«Francy… Non è facile da dire, però… La verità è che… che in queste canzoni ci sono dentro più io di te».

Se avessi una mappa in cui segnare le svolte della mia vita, metterei una delle mie bandierine proprio lì, su quella frase di Lemma. In quel momento il suo cuore manifestò un’apertura tale da inondarmi di una gioia che tuttora mi avvolge completamente.

Mi abbracciò e proseguì dicendomi, con voce spezzata: «Fratello, scusami! Io per tanto tempo non ho capito e non t’ho capito… Io ci credo in te e… Questo forse è il momento di cambiare». Intanto il nostro abbraccio continuava e ci guariva dalle ferite create dalle tante parole non dette. «Da oggi ci sono, potrai contare su di me per qualsiasi cosa. Dobbiamo ripartire e non ci fermerà più nulla!»

A queste parole, scoppiammo in un pianto liberatorio e quell’abbraccio sancì la rinascita della nostra amicizia e condivisione d’intenti.

Non ero più da solo. Eravamo di nuovo in due. E, quando si è in due, si è una squadra, e una squadra può cambiare il mondo intero.

Soltanto poche ore prima, chiunque avrebbe potuto prevedere una rottura definitiva tra noi, nessuno avrebbe scommesso sulla vittoria della comprensione e del perdono reciproci.

Invece, dal giorno successivo al nostro incontro, Matteo onorò ogni sua singola parola: smise di bere alcolici e utilizzare droghe; si rese disponibile ad aiutarmi in qualsiasi modo, tornò a essere lucido, presente, amichevole, affabile.

Ero impressionato dalla forza della sua volontà.

Lemma era sempre stato una persona di parola, ma questa sua repentina inversione di marcia mi fece sentire che davvero qualcosa di grande era intervenuto tra noi.

Quella sua netta presa di posizione rispetto alle sostanze che tanto lo avevano “colonizzato” mi sconvolse positivamente. Lui non tornò solo a essere per me un compagno di viaggio e un amico sincero, ma divenne anche un grande esempio. Cosa c’è di più bello di un amico che ti sprona, che ti invoglia a superare te stesso?

Matteo, attraverso il suo comportamento, mi dimostrò che, se lo si vuole, si può fare un grande passo anche in un solo istante. Quando ne parlavamo, me lo spiegava con l’esempio dell’interruttore: «Francy, lo sai come sono io: o sono on o sono off. Su certe cose non c’è la via di mezzo».

E in effetti è così: ogni tanto fa veramente bene prendere delle decisioni risolute per migliorarsi. Fu anche grazie al suo esempio che, a fine gennaio 2009, in seguito a una serie di riflessioni su dati ragionevoli e oggettivi, riuscii a escludere definitivamente la carne dalla mia dieta utilizzando il metodo “lemmiano” dell’on/off. È una delle scelte che ha permesso alla mia vita di migliorare costantemente.

Lo schiudersi del cuore di Matteo non fu solo merito mio, né delle mie canzoni.

Quando una persona si rende disponibile e lo chiede al Signore, esiste davvero una forza d’Amore che agisce attraverso l’uomo, ma che non è dell’uomo.

Finalmente mi fu chiaro cos’è lo Spirito Santo. Con la sua presenza, ogni rapporto può rinascere: basta volerlo davvero e lasciare che sia Lui a condurre.