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Spiriti del Sole

Non desiderate non essere ciò che siete, ma desiderate essere molto bene ciò che siete. Andate sempre di bene in meglio sulla strada nella quale siete.
Abbiate pazienza di camminare a passettini finché non abbiate gambe per correre, o piuttosto ali per volare.

San Francesco di Sales

 

 

«Ti ama la realtà, ma ti ama ancor più Dio e il suo esercito di Spiriti del Sole».

Spiriti del Sole divenne il titolo dell’album.

In molti mi domandarono da quale suggestione avessi tratto questo nome. La risposta? Pregare non è solo chiedere, il più delle volte è ascoltare, ringraziare e rendersi disponibili. Ricevere e trasmettere: le mie più grandi intuizioni nascono così.

Tra il 21 e 22 giugno 2010 ci confrontammo con una maratona di interviste presso la sede di Sony Music a Milano. Entrammo nella stessa sala in cui avevo incontrato Rossi e Boraso l’anno prima; vedere lì tutta la band seduta intorno a quell’enorme tavolo ovale mi emozionò.

Al termine della conferenza stampa, restò a intervistarci un noto e apprezzato giornalista di musica e teatro: Andrea Pedrinelli. Da un primo scambio di battute fu chiaro che prima di incontrarci si era davvero immerso nell’ascolto del nostro album e conosceva ogni canzone. Nessuna domanda di rito, niente di scontato o superficiale. Fu una intervista vera: che soddisfazione!

La mattina seguente, l’articolo firmato da Pedrinelli fu pubblicato con uno spazio notevole sul quotidiano «Avvenire» e aprì una strada che nessuno di noi poteva immaginare. Il titolo era: The Sun: da punk a rock band cristiana.

Rock band cristiana?

Rimasi colpito, in un certo modo dubbioso, anche impaurito, perché conoscevo già il limite delle etichette: richiamano nella testa delle persone non il reale significato delle parole, ma ciò che rappresentano per loro. Una cosa pericolosa.

Lessi l’attacco del pezzo: «La rinuncia al superfluo; la critica alla sessualità usa e getta; la necessità di assumersi le proprie responsabilità e sacrificarsi per cambiare le cose, invece di fare gli arrabbiati o gli indifferenti; un no al dilagante modello del “vincere”. Sono solo alcuni dei temi che rendono l’album dei vicentini The Sun, Spiriti del Sole, una gran bella notizia».

Finalmente qualcuno che trattava di ciò che proponevamo e non se avessimo o no la fidanzata. Una gran bella notizia.

Il giorno seguente, quello di uscita dell’album, tornammo negli uffici di Sony per altre interviste. In particolare, incontrammo anche un giornalista di una certa età, professionale, affabile e cordiale: Gigi Vesigna.

«Ragazzi, ho ascoltato attentamente il vostro disco e stento a crederci ma… mi piace davvero!»

Di fronte alla nostra gratitudine, precisò: «Quando Marta Donà (responsabile dell’ufficio stampa di Sony) mi ha inviato l’album, ho pensato che foste la solita band insignificante di ragazzini. E invece ho scoperto un mondo autentico dietro al vostro disco. Mi chiedo da dove venga questa carica positiva, questa profondità… E poi il titolo Spiriti del Sole mi ha incuriosito. Oggi sono venuto qui proprio per scoprire se la vostra è una perfetta messinscena o se c’è davvero sostanza».

Gigi era gentile, sincero e schietto: una meraviglia.

Volle veramente approfondire l’ascolto delle canzoni per capire le esperienze che le avevano ispirate.

Restammo a chiacchierare per quasi due ore. Stargli accanto era uno spasso e una lezione di vita allo stesso tempo (tra le tante cose, per citarne una, era stato direttore di «TV Sorrisi e Canzoni» dal 1973 al 1994).

Prima di lasciarci, ci disse: «Oggi sono contento perché ho conosciuto delle persone vere! Difficile di questi tempi! Non avrete vita facile, ragazzi. Ma tenete duro, restate semplici. Io vi sosterrò come posso».

Quanto vale una frase così, soprattutto dopo il trattamento riservatoci da altri addetti ai lavori.

Alcuni mesi prima, in occasione del matrimonio di mio fratello Michele, avevamo realizzato il nostro primo concerto come The Sun: fu una festa indimenticabile! Mio nonno Ilario, già novantenne, nonostante fosse sera tardi restò a guardarci in piedi in prima fila. Aprire così la nuova esperienza dal vivo dei The Sun ebbe per me un grande significato.

La tournée nel frattempo era partita il 12 giugno con un indimenticabile sold out in un club della nostra zona. Fu un’ottima partenza. I pezzi nuovi, suonati dal vivo, avevano una carica incredibile.

Presto, però, ci trovammo a fronteggiare una situazione d’emergenza all’interno del nostro team: avevamo bisogno di un nuovo fonico e, come se non bastasse, Giulio, il nostro tour manager, tornò a soffrire di un disturbo ai timpani che già in precedenza lo aveva costretto al riposo. Il medico parlò chiaro: doveva smettere di frequentare luoghi rumorosi, e questo significava non poter più seguire i concerti.

L’urgenza di un nuovo fonico mi spinse a chiamare Maurizio Baggio e a chiedergli un mezzo miracolo: trovare in “tempo zero” una persona affidabile, professionale, talentuosa, disponibile, instancabile, sincera, preparata, non dedita a vizi… adatta alla nostra squadra.

«Francy, non sono mica Aladino!» fu la prima risposta, ma dopo un paio d’ore mi richiamò: «Ce l’ho, si chiama Michele Rebesco, ha uno studio di registrazione qui a Marostica… Qualcosa mi dice che voi due andrete d’accordo! Chiamalo».

Già dalla chiacchierata al telefono, con Michele ci trovammo in sintonia, fissammo un appuntamento per il pranzo dell’indomani. Ancora una volta il 24 giugno fu un giorno che spianò la strada alla crescita dei The Sun.

Il mio “ufficio” per gli incontri di questo genere si trasferiva presso un’osteria singolare a Lugo di Vicenza. Nel locale eravamo solo io e lui, lo ricordo come fosse ora. Michele aveva un paio di shorts verdoni, una polo blu e un cappellino militare. Non ero un fan di quei cappellini.

Il suo atteggiamento inizialmente parve distaccato e anche un po’ presuntuoso, non ne capivo la ragione. Pareva che volesse farmi intendere che quel lavoro non gli servisse più di tanto. Io però ero di buon umore e feci il possibile per trasmetterlo anche a lui, anche se il suo sguardo mi faceva intuire che non era felice.

Mi resi conto che Michele era veramente preparato e sapeva il fatto suo.

«Come le hai imparate tutte queste cose?!»

«Da ragazzino me ne stavo per i fatti miei. La mia unica grande passione era la musica, solo che non avevo una band solida. E così ho iniziato a fare qualsiasi lavoro pur di fare esperienza e rimanere nell’ambito musicale, dal commesso in un negozio di strumenti al facchino, al fonico, al produttore… Poi finalmente ho messo in piedi un piccolo studio di registrazione. Maurizio mi conosce perché ogni tanto collaboriamo. Sa che colleziono strumenti, e ne ho alcuni che suonano davvero bene!»

Dopo un po’ che parlavamo compresi il perché di quel suo comportamento guardingo nei miei confronti. Io e lui ci eravamo già incontrati, ma io non lo ricordavo.

«Certo, Francesco, che… voi eravate matti per davvero!»

«Perché dici questo?»

«Nel 2003 ero il fonico di palco alla Gabbia», un noto club della nostra zona, ora chiuso.

«Ah… Ora capisco!»

«Io non vi conoscevo, non avevo nemmeno un vostro disco… Quando avete suonato alla Gabbia… Be’, era vero quello che si diceva: eravate bravi! Una botta di adrenalina per un’ora! Niente da dire…»

«Grazie».

«Però gente sfasciata come voi a fine concerto l’avevo vista poche volte. Ricordo che, alle quattro di mattina, mentre stavo smontando l’impianto audio e nel locale stavano facendo le pulizie, il batterista era ancora mezzo nudo al bancone a fare lo scemo come se il club fosse pieno di gente… E voi giù a ridere».

«Sai… eravamo giovani…» fu la prima frase di circostanza che mi venne in mente.

«Adesso ho sentito che avete avuto una specie di svolta… Però, sai com’è la gente del giro: si dicono cose belle e cose meno belle».

«Eh, immagino. E… dimmi un po’: cosa si dice?»

«Che tu sei uno stacanovista… Che non le mandi a dire e che sei un po’ pignolo e fissato sui dettagli…»

«Pignolo?»

«Sì… Volevo dire… un rompicoglioni».

«Michele, io credo veramente che fare questo mestiere sia un privilegio e che perciò vada fatto con totale abnegazione…»

«Be’, con me vai sul sicuro: sono abituato a farmi il mazzo!»

«Bene, questa è un’ottima notizia, perché la prima cosa che voglio dai miei collaboratori è la massima dedizione, senza distrazioni, senza orari…»

«Se posso permettermi, non è che i tuoi colleghi siano noti per queste caratteristiche…»

Il meccanismo spietato del passato che torna a tagliarti le gambe era sempre dietro l’angolo. Non bastava il mio passato personale, dovevo sostenere anche il peso di quello degli altri.

«Siamo una band particolare. Loro sono i miei fraterni amici, e sai che, quando ci sono di mezzo i sentimenti, si chiude ben più di un occhio. E comunque, giusto per aggiornarti, tante cose sono cambiate e stanno cambiando in meglio… Sono fiero di loro».

«Sono felice per voi». Questa mi parve una frase di circostanza, come la mia precedente.

«Ciò non toglie che d’ora in avanti io voglia gente che sappia dare il massimo e che allo stesso tempo abbia ben chiaro che per me il rapporto umano è l’aspetto più importante».

«Concordo appieno!» qui scorsi la sua sincerità.

Continuammo a chiacchierare per un paio d’ore. Michele si sciolse e iniziai a intravedere chi era veramente: una persona d’oro! Gli spiegai nei dettagli cosa ci aspettavamo da lui e fissammo come prova un concerto a Prato, di lì a tre giorni. Alla fine del nostro pranzo, lo portai alla Casa della creatività dove i ragazzi mi stavano aspettando per le prove.

Alla prima data Michele non sbagliò un colpo. Non era solo un bravo fonico, era prima di tutto un bravo ragazzo, pieno di buona volontà, con un’autentica capacità di sognare in grande e con molte doti che andavano ben oltre quelle di tecnico del suono. Chiesi a Giulio di dargli un po’ di dritte e tutti insieme decidemmo che Michele aveva la stoffa necessaria per fare anche il tour manager.

La tournée procedeva bene. Anche se non avevamo alcun supporto dai media nazionali, molte radio locali trasmettevano 1972. Poco dopo vennero in Italia i Deep Purple e l’agenzia che organizzava i concerti ci ingaggiò per aprire i concerti di fine luglio allo Stadio Adriatico di Pescara e al Foro Boario di Ostuni.

Tornare a suonare con una band di quel calibro ci offrì una spinta interiore pazzesca. L’umore all’interno del gruppo non era mai stato così alto e disteso. Le tensioni degli anni precedenti sembravano appartenere alla storia di un’altra band.

Suonare con i Deep Purple fu un’esperienza immensa.

Alla fine del secondo concerto ci invitarono nel loro backstage. Sorseggiando del buon vino (escluso Ricky), chiacchierammo a lungo. Io mi trattenni con Steve Morse, il chitarrista, e, come avevo già saggiato in circostanze analoghe, confermai a me stesso che le vere superstar mondiali sono molto più alla mano di alcuni giovani interpreti lanciati dai talent show televisivi italiani.

Non dimenticherò mai i complimenti che ci fece Ian Paice, il batterista. Si era fissato con il brano con cui concludevamo i concerti, Tour all over (canzone dei Sun Eats Hours che però teniamo volentieri in scaletta) e fingeva di suonarla canticchiandola.

In quegli stessi giorni uscì l’articolo a firma di Gigi Vesigna, incontrato il mese precedente. Il pezzo pubblicato su «Famiglia Cristiana» titolava: The Sun: la rock band cristiana. Per poi continuare nel sottotitolo «Il gruppo vicentino si sta mettendo in luce per l’originalità: nel loro ultimo album, Spiriti del Sole, cantano temi anomali per il rock, come l’amore per la famiglia e la fede».

Potete immaginare le reazioni di vario tipo che si levarono attorno a noi e contro di noi.

Iniziammo a fare esperienza quotidiana delle conseguenze dell’avere intrapreso un certo tipo di svolta. Il più delle volte, chi ci criticava, o addirittura insultava, non prendeva nemmeno in considerazione i testi delle canzoni: sparava a zero a prescindere. L’aggettivo “cristiana” accanto a “rock band” a molti non andava giù. A priori.

«Da’ al mondo il meglio di te, e forse sarai preso a pedate: non importa, da’ il meglio di te» (Beata Madre Teresa di Calcutta).

Avanti tutta!

L’estate procedeva davvero alla grande. Suonammo in lungo e in largo nella penisola e partecipammo anche a svariati eventi radiofonici di piazza grazie ai quali molte persone presenti tra il pubblico andarono poi ad acquistare l’album addentrandosi così nel nostro mondo.

Michele intanto si era inserito velocemente nel team e diventammo uniti come se ci conoscessimo da anni.

Un giorno mi disse: «Sai che ho una mia spiritualità, però… La Chiesa, l’istituzione, il cattolicesimo… Ho molti dubbi, ci sono troppe cose che non capisco… Però, stando con te, mi sono accorto che devi aver vissuto veramente qualcosa di particolare per essere così… Guardando come ti comporti, il tipo di pensieri che hai… Come guardi le persone negli occhi quando ti parlano… È chiaro che c’è qualcosa che non mi hai ancora spiegato… Vorrei che me ne parlassi».

Sapevo che un’apertura di quel tipo è una grazia e perciò raccolsi la sua richiesta con disponibilità. Rientrati in hotel dopo un concerto, restammo a parlare fino all’alba e quella fu l’occasione per confidargli il succo della mia esperienza spirituale.

Dopo quella nottata, come era avvenuto per Ricky, Lemma e Boston, anche Michele iniziò a vivere una trasformazione interiore che si manifestò presto anche all’esterno. Sia chiaro: il merito non era mio. Le mie parole furono solamente la scintilla per riaccendere il fuoco che era già in lui, pronto a brillare. Lo Spirito sfruttò l’apertura del suo cuore per ricolmarlo di nuova linfa vitale.

Lo sguardo di Michele, che a fine giugno era triste per alcune delusioni lavorative e affettive, tornò piano piano a essere luminoso e felice. Un nuovo cammino era cominciato anche per lui.

A settembre 2010 scattò qualcosa di nuovo. La casella di posta elettronica della band cominciò a registrare ogni mese l’arrivo di centinaia di mail. Persone di età anche diversissime tra loro (dai quindici ai settant’anni) ci scrivevano per il desiderio di esprimerci come le canzoni di Spiriti del Sole incidessero positivamente nella loro vita.

Tra le tante lettere che giungevano, un numero non indifferente proveniva da donne e uomini impegnati nel sociale e da educatori, come professori, catechisti, medici, animatori, responsabili di associazioni di volontariato, persone consacrate, allenatori ecc.

C’era chi ci scriveva per ringraziare, chi per chiedere un consiglio, chi per raccontare una solitudine, chi per testimoniare una rinascita, chi per infondere coraggio, chi per dire ti amo, chi per ricominciare a fare qualcosa, chi per instaurare un dialogo, chi per capire, chi per chiedere una preghiera, chi per segnalare un’iniziativa, chi per invitarci a cena, chi per chiedere un augurio per il figlio–partner–moglie–marito, chi per parlare di Dio, chi per dire che non si sentiva più ateo.

Wow! Chi l’avrebbe potuto immaginare? Spesso chi ci scriveva premetteva che si trovava a proprio agio nell’approcciarsi a noi perché ci sentiva vicini, alla mano… Ciò mi riempiva di gioia.

Cominciai così a dedicare alcune ore al giorno a rispondere a quelle mail, scoprendo mondi di cui non conoscevo nulla. Niente è più avvincente, interessante e sorprendente delle persone. Già lo sapevo ma, attraverso quegli scambi epistolari, diventò un fatto.

Leggere quelle mail, inoltre, rendeva tangibile il tipo di effetto positivo che poteva provocare la nostra musica su chi si apriva all’ascolto senza preconcetti. Emergevano aspetti e interpretazioni delle mie canzoni che erano letture nuove perfino per me.

Non esiste un solo essere umano che non abbia qualcosa da donare. Se tu mi scrivi perché quello che faccio ha inciso in qualche modo su di te, io so già che tu, magari senza saperlo, donerai a tua volta qualcosa a me. Il risultato: ne usciremo entrambi arricchiti.

Il contatto profondo con le persone è quanto di più valorizzante possa esserci, soprattutto se alla base c’è la voglia di creare un rapporto positivo rivolto al Bene.

In me quel desiderio crebbe esponenzialmente dopo la pubblicazione di Spiriti del Sole. Più ascoltavo, leggevo e interagivo, più scoprivo che la musica, per me, stava divenendo “solamente” un mezzo, la scintilla perfetta per accedere alle coscienze e accendere il motore che abbiamo dentro. Iniziai così a percepire sempre più chiaramente la mia vocazione.

A fine agosto, mentre ero su una scogliera mozzafiato a picco sul mare, con un vento lieve e il cielo terso, scrissi questo pensiero sul mio diario:

La Musica, per me.

La Musica per me è Gratitudine.
C’è chi la esprime con un sorriso, chi con un saluto, chi si spinge addirittura oltre e, attraverso uno strumento, sperimenta una scintilla d’infinito.

È così: la Musica viene dal Cuore, un Cuore immenso, grande più del mondo, grande perfino più dell’Amore.

È troppo vasta e straordinaria per essere compresa, per questo motivo l’associo a Dio.

Quando ascolto il canto del vento, le voci di un mercato, un’auto che passa, la sensazione che ho è che si tratti di uno stesso unico grande spartito.

In questa – chiamiamola “onda” – sento il battito che abbraccia tutta la natura, tutto il visibile e l’invisibile.

La vita di ognuno di noi è una parte del tema musicale: l’intro, le strofe, lo special, il bridge e perfino il ritornello… siamo noi.

Tutto ciò che siamo è Musica, è armonia, è ritmo, è vibrazione, perciò la Musica e l’esistere sono essenzialmente inscindibili, sono ben più di anime gemelle o di amanti eterni.

Vorrei dire che sono la stessa carne, sangue dello stesso sangue, ma il punto è che non è abbastanza per rendere l’idea.

E poi io, in fondo, non sono nessuno per dire con esattezza cosa sia la Musica, ma sono felice di sentire forte che sono una parte del grande spartito, ciò mi basta per essere grato.
A chi? Be’, al miglior compositore di sempre!

Quella fu l’estate più bella della mia vita. Come band e come amici scoprimmo un modo nuovo di vivere, stare insieme e fare musica. Suonammo su decine di palchi, di fronte a oltre duecentocinquantamila persone, ma la cosa che mi riempì davvero di gratitudine fu l’amore che c’era nel gruppo, la bellezza delle nostra amicizia rinata, la gioia colta e donata senza risparmiarsi mai.

Questo è essere Spiriti del Sole.