È stata una bella serata. Abbiamo riso, cantato, ascoltato. A tratti ci siamo anche commossi. Alcune persone che ho incontrato in questa casa di accoglienza per giovani disagiati hanno l’anima graffiata, ferita. Eppure, ho sentito anche tanta forza attorno a me.

Sono le due, è ora di tornare verso casa. Prima, però, vorrei dire il mio grazie.

«Mario, che ne dici se raduniamo tutti per salutarci e ringraziare di quanto abbiamo condiviso?»

«Certo, Francesco. Naturalmente!»

Entriamo nella piccola cappella, siamo una trentina. Ci disponiamo a ferro di cavallo, in piedi. Idealmente l’altare chiude il cerchio. Dopo alcuni istanti di silenzio, Mario, educatore e guida di questi giovani, introduce una preghiera a Maria. Passano alcuni secondi, giusto il tempo di dire una dozzina di parole, e inaspettatamente una ragazza piomba al suolo dimenandosi e urlando con voce grave. Quattro giovani robusti si lanciano per soccorrerla e riescono a malapena a tenerla ferma e calmarla. Le sue urla sono come lame.

Non c’è modo di capire, di decifrare quello che è successo così inaspettatamente. Ci sentiamo bloccati, come improvvisamente congelati dalla testa ai piedi.

Nel tempo di un respiro il clima si è fatto tetro e gli stessi volti che poco prima sorridevano ora sono intimoriti. In cuor mio, però, c’è qualcosa che si svela molto chiaramente, come un lampo nel buio che segna, stanotte, uno spartiacque definitivo.

Chiudo gli occhi e ascolto. C’è il terrore, ma ora so che non è più il mio.

La lotta, invece, appartiene a ognuno di noi.

 

7 giugno 2013