Capitolo 87

 

 

 

 

 

Enrico ruotò pesantemente su se stesso e riprese a claudicare verso la porta buia.

Guilhem andò avanti e fece strada tenendo alta la torcia. «Fate attenzione alla testa», avvertì abbassandosi, ed era evidente che si stava riferendo in modo particolare a Pius, l’unico a non essere mai entrato lì.

«Sì», proseguì Enrico mentre scendeva sorreggendosi al braccio di Guilhem, «esiste anche un altro significato del simbolo Graal, del vaso o calice. Tra poco ve lo mostreremo». Continuò a scendere ansando.

Non era una scala, ma una rampa, e Pius suppose che quella scelta architettonica fosse dovuta alla malattia del castellano. Era comoda da percorrere, però era scavata in un pertugio angusto, e Guilhem aveva difficoltà a camminare al fianco di Enrico, e a ogni passo strusciava la spalla contro la roccia.

«Ci siamo quasi», annunciò Wolfram.

Adesso, in fondo alla rampa si vedeva una luce tremula. Soffiavano refoli che portavano un odore acre, sempre più intenso man mano che si avvicinavano a quella che, si poteva intuire, era una camera sotterranea.

Pius fu l’ultimo a entrare, accolto dalle espressioni curiose degli altri.

No, non era una camera, ma una grotta, riscaldata da fuochi e bracieri, arieggiata e umida.

Guilhem mosse la torcia vicino a una sorta di altare fatto di terra, addossato alla parete rocciosa, in fondo. Al centro si ergeva un fungo, alto più di un palmo, con il gambo bianco, largo e tozzo, le lamelle dello stesso colore eburneo del gambo, e il cappello rosso vivace ripiegato all’insù, a forma di coppa. Tutt’intorno altri funghi ancora chiusi in volve bianche e carnose, grandi come uova, e pronti a bucare la membrana e a ergersi come altrettanti calici o tavole rotonde.

«Ecco l’ingrediente principe del sacro haoma», disse Enrico. «Ecco la chiave del Regno di Dio». Scandagliò il fondale delle pupille di Pius in cerca dello stupore, e quando lo vide affiorare ed emergere sul suo viso, le guance che si tendevano, gli occhi e la bocca che si spalancavano, concluse: «Ecco la coppa dei racconti».

Un fungo.

Non un oggetto inanimato, ma un essere vivente. Si ergeva solitario in quella piccola spianata di terra, del tutto identico a un calice posto al centro di una mensa.

Wolfram si divertì a spiegare come anche la tavola rotonda di Artù, di cui parlano i romanzi, fosse un simbolo che alludeva al fungo sacro. Avrebbe parlato di quegli argomenti per ore e ore, ma Enrico lo fermò alzando la mano: «Sono molto stanco», disse con un lamento spossato. «Desidero tornare nella mia camera».

Wolfram si accostò a Pius e gli sussurrò che da mesi ormai Enrico non si alzava. «Lo ha fatto solo per voi. Da molto tempo desiderava incontrarvi e rivelarvi questo grande segreto».

Si sentì onorato. Vedere il dolore che deformava il viso di Enrico, passo dopo passo, e sapere che quella sofferenza era un omaggio per lui lo commosse. Avvertì un fremito caldo nella gola, sentì il naso e gli occhi inumidirsi. Si inginocchiò e cominciò a farfugliare una preghiera, ma si sentiva perso e deluso, come un fanciullo tradito.

Enrico si fermò, si voltò a guardarlo, e con tono ammirato disse: «Sì. Siete un uomo puro, Pius».

Padre, indicami la strada.

Chi sono io, a chi appartengo, da dove sono venuto?

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