Capitolo 103
Feudo di Rossocuore, Contea di
Moriana,
nell’anno dell’incarnazione del Signore 1209,
giorno sedicesimo di ottobre, ora terza
Il nuovo vescovo di Moriana si chiamava Bernardo. Un uomo dall’aria pacifica e sorridente. Aimone di Briançon, arcivescovo di Tarantasia, venne con lui al castello di Charbonnières per ammirare il Sacro Sudario di Cristo, al cui potere miracoloso veniva attribuita da tutti la straordinaria guarigione di Gisone.
La gente non parlava d’altro. La notizia era giunta ovunque, e da ogni parte arrivavano curiosi e penitenti.
Come il telo, anche Gisone era venerato, considerato un santo toccato dalla grazia di Dio.
Tommaso e Beatrice erano rimasti incantati e profondamente commossi dal prodigio di cui il Signore aveva considerato meritevole il loro stalliere, e quindi avevano accettato di buon grado che Pius lo eleggesse a proprio scudiero, dato che il ragazzo non voleva sentirne di prendere i voti. Erano molte le abbazie e i conventi che lo avevano invitato a farsi chierico, dicendo che fosse quello il destino di un miracolato. Ma, di fronte all’offerta di Pius, Gisone scelse un crocifisso che si chiamava spada e un altare che si chiamava cavallo.
Così, quella mattina d’autunno, quando ormai le ore del giorno si accorciavano e quelle della notte diventavano più lunghe, e sulle montagne era già inverno, Pius e Iselda lo presero per mano e lo condussero davanti all’altare della cappella del castello di Rossocuore, restaurata per l’occasione. Il vescovo Bernardo in persona gli cinse la testa con una corona di quercia e gli legò gli speroni d’argento ai talloni. E gli diede la benedizione.
Gisone non sarebbe stato più uno stalliere: non avrebbe potuto, dal momento che Dio lo aveva toccato.
Iselda era radiosa alla luce del sole; nelle settimane precedenti aveva perfino acquistato un po’ di colorito.
Si sentiva leggera, libera.
Ciò che era stato rivelato a Pius in quel castello misterioso e i miracoli della medicina donatagli dal Re Pescatore avevano messo in crisi la sua fede. All’improvviso non riusciva più a credere nel Vangelo, in quel che le era stato insegnato dai Perfetti catari, in qualunque cosa, tranne che nell’amore.
Ogni convinzione era scomparsa.
Per quieto vivere, aveva dichiarato pubblicamente, durante la messa, una domenica mattina, di essersi convertita al cattolicesimo. Aveva abiurato l’eresia. Si era confessata. Aveva preso la comunione. E poi si era mostrata a tutti sotto la luce del sole. Chi la vide esclamò che era guarita perché liberata dal Demonio.
Anche adesso, mentre la cerimonia che faceva di Gisone uno scudiero si stava svolgendo nella commozione generale, Iselda trovava sempre un sorriso per lei sulle labbra di Beatrice e di Tommaso.
Non era più una vedova eretica e scomunicata: era la sposa di messer Pius di Rossocuore.
Le nozze erano state celebrate al principio di settembre. Iselda tornò con la mente a quello splendido giorno di festa, che era stato coronato dalla presenza di Cercamon, un fratello che aveva creduto di aver perso per sempre. Si era presentato senza l’abito da templare e in compagnia di una donna bellissima, Margherita, una bretone vivace come un incendio in un giorno di vento.
Era felice per loro.
Al banchetto avevano preso parte anche i più importanti signori della contea ed era stata una festa allegra e fastosa dal principio alla fine, un’intera giornata di allegria baciata dalla fortuna.
Da allora i rustici esultavano sempre quando la vedevano passare.
Nessuno poteva immaginare che per lei non si trattava di autentica redenzione, che la voglia di riabbracciare la vita era in lei così forte da offuscare ogni altra cosa, perfino l’idea di Dio, proprio come il Graal, che – dice Chrétien – è talmente luminoso da fare sembrare spente le candele che gli stanno vicino.
Il suo unico Dio, adesso, era il sole; e quella che dopo tanto tempo le stava di nuovo riscaldando le guance, e che la costringeva a socchiudere gli occhi in un’espressione felice, era la vera luce del Paradiso.