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Bam-bam-bam-bam-bam.
È l’inizio di marzo a Björnstad e non è ancora successo niente. È venerdì e sono tutti in attesa. Domani la squadra juniores del Björnstad Hockey giocherà la semifinale del massimo campionato nazionale giovanile. Quanto può essere importante? Non così tanto, certo. Se non fossimo qui.
Bam. Bam. Bam-bam-bam.
La città si alza presto, come ogni giorno; le piccole città devono darsi un vantaggio per avere qualche chance. Le file di auto nel parcheggio della fabbrica sono già coperte di neve, le persone se ne stanno con gli occhi semiaperti e la coscienza semichiusa in code silenziose per lasciare che i dispositivi di accesso elettronici confermino la loro esistenza al timbracartellini. Con sguardi da pilota automatico e voci da segreteria telefonica sbattono i piedi per scrollare neve e fango dagli stivali in attesa che la droga preferita, caffeina, nicotina o zucchero, entri in circolo mettendo in funzione i loro corpi quel tanto che basta per arrivare almeno fino alla prima pausa.
In strada i pendolari partono per le città più grandi, al di là del bosco, i guanti picchiano sulle ventole dell’aria calda e le imprecazioni sono quelle a cui ci si lascia andare solo quando si è ubriachi, moribondi o seduti in una Peugeot troppo fredda al mattino troppo presto.
Se stanno zitti possono sentirlo anche da lì: bam-bam-bam. Bam. Bam.
Maya si sveglia in camera sua, le pareti tappezzate alternativamente da disegni a matita e biglietti dei concerti visti in città lontane, nemmeno vagamente quanti avrebbe voluto, nettamente più di quelli per cui i genitori le hanno dato il permesso. Rimane a letto in pigiama a suonare la chitarra, di cui ama tutto: il peso sul suo corpo, la risposta del legno quando i polpastrelli lo colpiscono, le corde che tagliano la pelle prima che questa sia riuscita a svegliarsi. Le note semplici, i riff delicati… per lei è un gioco paradisiaco. Ha quindici anni e si è già innamorata molte volte, ma la chitarra rimarrà sempre il suo primo amore. L’ha aiutata a sopportare la vita in questa città, a tollerare di essere la figlia del direttore sportivo di un club di hockey nel bosco.
Lei detesta l’hockey, ma comprende l’amore che gli riserva il padre: lo sport è solo uno strumento diverso dal suo. La mamma sussurra sempre all’orecchio della figlia: “Non fidarti mai della gente che nella vita non ama qualcosa in maniera totalmente incontrollata”. La mamma ama un uomo che ama un luogo che ama uno sport. Questa è una città di hockey e delle città di hockey si può dire di tutto, ma perlomeno sono affidabili. Se vivi qui sai che cosa puoi aspettarti. Giorno dopo giorno dopo giorno.
Bam.
Björnstad, la città degli orsi, non è vicina a nulla, sembra un posto innaturale perfino sulla cartina. “Come se un gigante ubriaco avesse tentato di scrivere il suo nome con la pipì nella neve” direbbe qualcuno. “Come se la natura e gli uomini si contendessero lo spazio vitale al tiro alla fune” obietterebbe forse qualcun altro, più misurato. In ogni caso, è una città a perdere. È passato molto tempo da quando ha vinto qualcosa. Il lavoro diminuisce e, con il lavoro, anno dopo anno spariscono anche le persone, ogni stagione il bosco divora una o due case abbandonate. Nel periodo in cui c’era ancora qualcosa di cui andare fieri, il comune aveva appeso un cartello all’ingresso del paese con uno degli slogan popolari all’epoca: BENVENUTI A BJÖRNSTAD – VOGLIAMO QUALCOSA DI PIÙ! Il vento e la neve hanno impiegato qualche anno per spazzare via le parole DI PIÙ. A volte l’intero paese somiglia a un esperimento filosofico: se cade una città nel bosco ma non fa rumore, conta qualcosa?
Per rispondere a questa domanda bisogna scendere di qualche centinaio di metri verso il lago. Al resto del mondo non sembra niente di che, ma c’è un palazzetto del ghiaccio. Costruito dagli operai della fabbrica quattro generazioni fa, uomini che lavoravano sei giorni alla settimana e il settimo avevano bisogno di qualcosa a cui dedicarsi per passione. È un’eredità che si tramanda, tutto l’amore che questa città può scongelare sembra risiedere ancora in questo sport: ghiaccio e balaustra, linee rosse e blu, bastoni e puck e ogni briciolo di volontà ed energia di giovani corpi che si lanciano a tutta velocità verso gli angoli a caccia del disco. Gli spalti sono strapieni tutti i fine settimana, anno dopo anno, nonostante le prestazioni del club siano crollate insieme all’economia cittadina. Forse proprio perché tutti sperano che, quando il club tornerà in alto, anche il resto della città lo seguirà semplicemente per inerzia.
È il motivo per cui luoghi come questo devono sempre riporre le speranze per il futuro nei giovani, gli unici che non si ricordano di quanto fosse meglio prima. Può essere una benedizione. E così hanno trasmesso alla squadra juniores gli stessi principi su cui le vecchie generazioni fondarono la propria comunità: lavorare sodo, incassare i colpi, non lamentarsi, tenere la bocca chiusa e far vedere a quei bastardi delle grandi città da dove veniamo.
Da queste parti non c’è molto altro che sia degno di nota. Ma tutti quelli che sono stati qui sanno che è una città di hockey.
Bam.
Amat compirà presto sedici anni. La sua camera è così piccola che se si trovasse in un appartamento più grande in una zona ricca di una grande città forse non verrebbe nemmeno classificata come cabina armadio. La carta da parati è completamente coperta da poster di giocatori della NHL, con due eccezioni: la prima è una foto di lui a sette anni, con i guanti troppo grandi e il casco che gli scivola sulla fronte, il più piccolo tra tutti i bambini sul ghiaccio. La seconda è un foglio bianco su cui la madre ha scritto alcune frasi di una preghiera. Quando Amat nacque, lei era nel letto stretto di un piccolo ospedale dall’altra parte della Terra con lui sul petto, solo loro due al mondo. Un’infermiera le sussurrò all’orecchio quella preghiera – che si dice Madre Teresa tenesse appesa al muro sopra il proprio letto – sperando che potesse dare forza e fiducia a quella donna sola. Quasi sedici anni dopo il foglio è ancora appeso nella camera del figlio; le parole sono un po’ diverse, ma lei le ha scritte come le ricordava:
Chi è onesto potrà essere tradito dagli altri. Sii onesto comunque.
Chi è gentile potrà essere calunniato dagli altri. Sii gentile comunque.
Tutto il bene che fai oggi, domani potrà essere dimenticato. Fa’ il bene comunque.
Amat tiene i pattini appoggiati al bordo del letto, ogni notte. “Deve aver fatto una bella fatica tua madre a partorirti con quelli addosso” ridacchia sempre il vecchio custode del palazzetto. Ha proposto al ragazzo di lasciarli in un armadietto nel magazzino del club, ma ad Amat piace portarli avanti e indietro. Vuole stargli vicino.
È sempre stato il più basso in tutte le squadre, non ha mai avuto i muscoli degli altri giocatori, non ha mai tirato altrettanto forte. Eppure nessuno in questa città riesce a fermarlo. Nessuno, in nessuna delle squadre che ha incontrato, si è mai dimostrato abbastanza veloce. Non sa spiegarlo, ma immagina che sia un po’ lo stesso di quando alcune persone guardano un violino e vedono solo fili di metallo e pezzi di legno, mentre altre vedono la musica. Il suo corpo non ha mai avvertito i pattini come estranei, anzi, è quando infila i piedi nelle scarpe normali che si sente come un marinaio che sbarca a terra.
Le ultime righe che la mamma ha scritto sul foglio appeso al muro recitano:
Tutto ciò che costruirai, gli altri potranno distruggerlo. Costruisci comunque. Perché alla fine è una questione fra te e Dio, non è mai stata fra te e loro, comunque.
Subito sotto, con il gessetto rosso e la grafia decisa di un bambino delle elementari, c’è scritto:
DICONO CHE SONO TROPO PICOLO PER GIOCARE. DIVENTA 1 GRANDE GIOCATORE COMUNCUE!
Bam.
Una volta la prima squadra del Björnstad Hockey è arrivata seconda nel massimo campionato nazionale, oltre due decenni e tre divisioni fa, ma domani potrà misurarsi di nuovo con i migliori. Quindi quanto può essere importante una partita della squadra juniores? Quanto può interessarsi una città alla semifinale di alcuni adolescenti in un campionato giovanile? Non così tanto, certo. Se non si trattasse proprio di questa macchia sulla cartina.
Qualche centinaio di metri a sud dei cartelli stradali inizia la zona denominata semplicemente “Altura”. È un piccolo grappolo di case esclusive con vista sul lago. Ad abitarci sono i proprietari del supermercato o i capi della fabbrica, oppure quelli che vanno tutti i giorni nelle città più grandi a fare lavori migliori, gli stessi a cui nelle feste aziendali i colleghi chiedono con occhi spalancati: “Björnstad? Si può vivere così tanto dentro il bosco?”. Ovviamente loro rispondono qualcosa sulla caccia e la pesca, sul contatto con la natura, ma in realtà quasi tutti si domandano se al giorno d’oggi sia davvero possibile continuare a vivere qui. Se è rimasto qualcosa, oltre al valore degli immobili che si abbassa al ritmo della temperatura.
Poi vengono svegliati da un bam. E allora sorridono.