I libri
Si può parlare di cultura e letteratura ebraica? Si può considerare letteratura ebraica un romanzo giallo scritto in inglese da un tale Yakov Levin, ambientato durante la guerra del Vietnam? O un trattato di microbiologia opera della studiosa Rachel Cohen? E' cultura ebraica una raccolta di testi della tradizione rabbinica compilata da un pastore valdese, profondo conoscitore della materia? O un sonetto composto in volgare da Immanuel Romano? In sostanza, si definiscono letteratura ebraica quelle opere di autori ebrei, o che trattano di argomento ebraico, o ancora, scritte in ebraico? Ancora una volta, non si può fare a meno di sfuggire a definizioni troppo drastiche, troppo categoriche.
E' assurdo, ad esempio, pensare che la cultura ebraica sia tale solo e soltanto se si esprime nella lingua che le è propria. Parlano chiaro in proposito volumi di pensiero e di poesia, romanzi, saggi, commenti e trattati scritti in aramaico, arabo, yiddish, ladino, tedesco, inglese, e in molte altre lingue.
Da centinaia di anni, gli ebrei hanno adottato una serie di idiomi diversi, nei quali hanno espresso e continuano a esprimere la propria cultura, le proprie culture. Eppure, l'ebraico è da sempre un riferimento fondamentale della propria identità, spirituale, religiosa e intellettuale. Contrariamente a quanto spesso si crede, esso non è una lingua morta, improvvisamente resuscitata con la rinascita dello stato d'Israele. L'ebraico non è mai stato dimenticato o abbandonato, ha sempre fatto parte della sfera religiosa e di quella letteraria, convivendo con le altre lingue che di volta in volta gli ebrei parlavano. Con il sionismo e il ritorno in terra d'Israele, si è dovuto adattare questa lingua antichissima, dalla ininterrotta continuità, alle esigenze moderne e soprattutto quotidiane: si è dovuto, ad esempio, inventarle una parola per dire automobile, o televisione, o treno.
L'ebraico è un idioma semitico assai antico, fondato su un sistema di radici semantiche che, a seconda delle vocali e dei suffissi che assumono, diventano verbi, sostantivi e aggettivi. L'alfabeto ebraico è composto delle sole consonanti: le vocali sono dei piccoli segni grafici posti sopra o sotto le lettere, e normalmente non vengono scritte.
Compaiono solo in casi particolari, come il testo biblico, la cui lettura è stata fissata, cioè vocalizzata, nell'alto Medioevo, o la poesia. Affine all'ebraico è l'aramaico, una sorta di lingua franca nell'antichità mediorientale, nella quale sono state scritte buona parte del Talmud e varie altre opere. Vi sono poi altre lingue che possiamo definire «ebraiche», frutto della convivenza, del contatto fra le comunità d'Israele e il mondo circostante. La più famosa di tutte è sicuramente lo yiddish, una parola che nella sua lingua significa «ebraico». Lo yiddish è qualcosa di più di un semplice strumento di comunicazione: fino allo sterminio nazista, esso è stato lo specchio di un mondo intero, che andava da Amsterdam a Praga, da Kovno a Odessa, da Berlino a Sarajevo. Un tempo c'erano giornali in yiddish, stagioni teatrali, enciclopedie, programmi di studio, c'era persino un cinema yiddish. Oggi non è una lingua estinta, perché in Israele e negli Stati Uniti sta godendo di una certa rinnovata vitalità, tuttavia ben lontana da quella del passato. Ma oltre allo yiddish c'è, ad esempio, il ladino, un misto di ebraico e spagnolo parlato già in epoca molto antica, e c'è il giudeo arabo, per il quale è attestata una varia letteratura.
Ad ogni modo, fino all'emancipazione la caratteristica fondamentale degli ebrei è stata il bilinguismo, quando non il trilinguismo: da una parte l'ebraico, l'idioma della preghiera, della liturgia e della cultura tradizionale, dall'altra la lingua del paese, che poteva essere l'italiano, il polacco, il francese eccetera, ed eventualmente in aggiunta linguaggi misti che in alcuni casi, ad esempio quello dello yiddish, avevano un ruolo tutt'altro che marginale.
Torniamo indietro, per ora, a quella che gli ebrei da sempre chiamano la «lingua santa», cioè l'ebraico, che la tradizione vuole lingua primordiale, idioma parlato e conosciuto da Adamo sin dall'inizio della sua creazione, e prima ancora da Dio nell'atto di formare il mondo. Sono molte le speculazioni mistiche sull'alfabeto ebraico, sulla natura creativa di questa lingua, supporto dell'opera divina. Ancora oggi alcune comunità ultraortodosse, persino in Israele, si rifiutano di parlare l'ebraico nella quotidianità, per non contaminare la purezza di questa lingua, riservata alla preghiera e allo studio dei testi sacri.
La più famosa opera composta in ebraico è sicuramente la Bibbia. Se finora si è parlato della Bibbia come testo depositario della legge che Dio ha consegnato al popolo ebraico, val la pena qui di sottolineare che nell'ambito della valenza sacra di questo testo, accanto all'aspetto legale ne esiste uno narrativo. La Bibbia è anche l'epopea del popolo ebraico, il suo racconto attraverso luoghi, epoche, figure umane. E se finora si è parlato di Torah, parola che significa essenzialmente «insegnamento», «dottrina», va anche detto che il termine ebraico che indica la Bibbia nel suo complesso - e non solo il Pentateuco, che corrisponde alla parola «Torah» - è Miqra, cioè «lettura». In sostanza, ciò che la cristianità chiama «Scrittura», la tradizione ebraica chiama «lettura»: la Bibbia dunque come libro di lettura.
Le suggestioni narrative della Bibbia, il detto ma soprattutto il non detto del testo sacro, hanno ben presto costituito uno dei principali motori dell'anima ebraica: indagare fra le pagine, raccontare ciò che non è esplicito, seguirne gli echi della poesia, sondare gli animi dei personaggi, leggere fra le righe. Tutto questo, in ebraico si chiama midrash, una parola che deriva dalla radice darash, che significa proprio «cercare». La ricerca è l'elemento essenziale della lettura ebraica della Bibbia, e la Bibbia è il perenne punto di partenza di questa ricerca. Il midrash ha due direzioni: per un verso l'approfondimento di questioni legali, normative, liturgiche, e cioè l'halakah, un termine che significa propriamente «condotta» e di conseguenza «legge», «norma da seguire». Per l'altro l'haggadah, che significa invece «racconto», «storia». E' in questi due termini, costituenti le categorie di pensiero dell'ebraismo tradizionale, che sta racchiuso il senso di che cosa è stata, che cos'è la Bibbia per l'anima ebraica.
Nel Talmud si troveranno infatti non solo la discussione degli argomenti legali, le norme sul culto, i precetti regolatori della vita quotidiana, la preghiera, e tutto ciò che riguarda la codificazione della vita sociale degli ebrei: esso è anche una vastissima raccolta di racconti, narrazioni brevi e lunghe, divagazioni su episodi biblici, aneddoti su rabbini e maestri, storie edificanti. Un bagaglio insomma quasi inesauribile di conoscenze, esempi, spunti sui quali riflettere. Non c'è dominio dello scibile che il Talmud non sfiori, anche se solo di sfuggita: medicina, biologia, interpretazione dei sogni, astronomia, filosofia, storiografia, mistica, botanica e quant'altro si voglia, compaiono almeno una volta fra queste pagine.
Ma la letteratura ebraica non è fatta solo di Bibbia e Talmud. Il percorso d'indagine del testo biblico segue anche altre strade, che vanno dalle tante opere cosiddette midrashiche, cioè appartenenti a questo genere tradizionale, alla letteratura apocalittica, in cui l'interpretazione della storia, l'attesa messianica, i temi scottanti del bene e del male nel mondo, si intrecciano in visioni di grande intensità. Patrimonio di quei secoli che ruotano intorno all'era volgare e di una temperie sociale e politica di grande fermento in Palestina è, insieme alla letteratura apocalittica, la pseudoepigrafia: testi ascritti a personaggi biblici, di varia natura: dalla profezia all'astronomia, all'ascesi mistica.
Erede in parte di queste tradizioni risalenti ai primi secoli dell'era volgare è la cosiddetta qabbalah, una parola che in ebraico non significa altro che «tradizione», «cosa ricevuta»; ma che più comunemente indica la mistica ebraica; anche se essa ha ben poco a che fare con quella pseudoscienza spicciola che si chiama cabala anche in italiano, e che accampa previsioni del futuro, terni al lotto, piccole magie a portata di tutti. La qabbalah ebraica è innanzitutto un insieme molto vasto di testi, alcuni dei quali di grande valore letterario e poetico (ad esempio il Sefer ha-Zohar, cioè «Il Libro dello splendore»), che suggeriscono una visione originale di Dio, del cosmo e dell'uomo.
Anche la letteratura mistica viaggia più o meno su binari biblici, in forma di commentario e approfondimento a taluni passi del testo sacro, primi fra tutti l'opera della creazione e la visione di Ezechiele.
Con la mistica ebraica entriamo, a lunghi passi, fin dentro il Medioevo.
Che, a dispetto della sua nomea di epoca buia, rappresenta per la Diaspora ebraica forse il momento di maggior varietà culturale, in uno spettro assai ampio di interessi e testimonianze. Si va da una vasta letteratura epistolare, i cosiddetti responsa, dettami che i grandi rabbini porgono su richiesta di comunità della Diaspora in merito a questioni non solo giuridiche ma anche teologiche e generali, dalla medicina all'interpretazione dei sogni, dalla poesia alla musicologia.
Per non citare i generi più tradizionali, quelli del commento biblico, della disquisizione legale. Sorgono varie scuole di pensiero: da Maimonide, filosofo, medico, maestro, vissuto fra Spagna ed Egitto nel XII secolo, a Rashi, dotto francese di qualche generazione prima, a Shabbatai Donnolo, medico e astronomo pugliese nel X secolo.
Maimonide scriveva in arabo, più raramente in ebraico, Rashi usava quest'ultima lingua, carica però di glosse in francese antico, e parimenti non è difficile individuare le tracce del volgare italiano, oltre che del greco, nelle opere di Donnolo, pur se scritte in un limpido ebraico.
Naturalmente, oltre a questi personaggi famosi i cui nomi hanno varcato i secoli, gran parte della produzione letteraria degli ebrei nel Medioevo resta anonima, o si è tramandata in manoscritti e antiche edizioni a stampa solo con un titolo; a volte senza nemmeno quello: suggestivi commenti biblici, testi vari, ad esempio di gemmologia, poesie, cronache storiche, martirologi (a seguito della prima, devastante Crociata, ad esempio). Il patrimonio della cultura ebraica medievale sembra inesauribile. Essa si manifesta ancora nel modo più diretto, tradizionale: usando la lingua ebraica.
Ma a poco a poco gli ebrei della Diaspora assimilano, sul piano letterario, anche le altre lingue. Già alla fine del Medioevo in Italia incominciano a prendere dimestichezza con l'idioma di Dante. Nel tardo Rinascimento, per non fare che un esempio, Leone da Modena scrive il primo libro di divulgazione ebraica, concepito per spiegare chi sono e che cosa fanno gli ebrei: e ovviamente lo scrive in italiano. Tuttavia, l'ebraico resta una lingua profondamente conosciuta e maneggiata in ogni campo dello scibile, in prosa ed in poesia. Persino i libri di conti dei banchi ebraici di prestito, piccoli o grandi che fossero, erano redatti o in ebraico o comunque in caratteri ebraici.
La vita intellettuale degli ebrei della Diaspora riflette in una certa misura anche ciò che di volta in volta offre il mondo circostante: al di là delle difficoltà e delle molteplici emarginazioni, l'esistenza ebraica non è mai stata completamente impermeabile alle influenze del mondo esterno. La temperie di studi filosofici, di ripensamento della lezione aristotelica nella civiltà araba dell'alto Medioevo, ha dato i suoi frutti con Maimonide, che fra il resto era medico alla corte del sultano; la cosiddetta filosofia ebraica medievale trae costante alimento da idee e testi di quella araba contemporanea. Il Rinascimento italiano ha scosso anch'esso il mondo ebraico, portandolo a un interesse tutto nuovo per l'indagine storiografica, per un esame documentario del proprio passato.
Non sempre però i moti esterni hanno agito in contemporanea presso la cultura ebraica: l'Illuminismo, ad esempio, è arrivato nei ghetti con alcuni decenni di ritardo. In ebraico è stato chiamato Haskalab, e ha dato effettivamente vita a un durevole fermento di studi storici e letterari, di filologia e indagine sui testi tradizionali. L'Illuminismo ha anche rinnovato profondamente l'ebraico, ponendo le basi della sua reviviscenza come lingua parlata, quotidiana; ha determinato la nascita di molte riviste culturali, ha caldeggiato un esame critico della tradizione. Il passato non è più l'oggetto di una quotidiana venerazione, il viatico di un modo d'essere e di vivere concepito come se il tempo non esistesse, come se i personaggi della Bibbia, i maestri del Talmud e i commentatori medievali fossero compagni di vita, e non memorie lontane. Con l'acquisizione di una metodologia scientifica, dello studio critico, il passato ebraico non perde d'interesse: lo storico, il filologo, prendono le distanze, confrontano le testimonianze, cercano di ricostruire un frammento di verità storica.
Ecco che cosa ha rappresentato, soprattutto, l'Illuminismo ebraico: un diverso sguardo rivolto alla tradizione.
Gli ultimi due secoli evidenziano quest'ansia di ricerca, di indagine, di rinnovamento. Rosenzweig, filosofo ebreo tedesco, propone una nuova traduzione della Bibbia ebraica; Buber, altro filosofo ebreo tedesco emigrato poi in Terra d'Israele, riflette sull'individuo ma recupera anche tutta la tradizione narrativa del movimento chassidico, definibile grosso modo «pietistico». Per saltare un bel po' di anni, Attilio Milano scrive la prima Storia degli ebrei in Italia fondata su un rigoroso metodo storiografico ma anche su una profonda passione umana.
Non si può a questo punto non accennare a una cultura ebraica nuova ma anche vecchissima: quella dello stato d'Israele. Anche qui il ripensamento del proprio passato ha un ruolo fondamentale. Dipartimenti universitari, dibattiti accademici e giornalistici, libri, ricerche archeologiche, reviviscenze come quella degli studi yiddish: Israele oggi è una piccola grande fucina di idee, una cultura nuova, recentissima (lo stato ebraico è nato, o rinato, nel 1948), ma con alle spalle una tradizione di continuità millenaria.
Un capitolo a parte meritano la narrativa e la poesia dell'ebraismo contemporaneo, e in particolare la letteratura dello stato d'Israele: persino il padre del sionismo, Theodor Herzl, si è cimentato con un poderoso romanzo storico, dal titolo assai indicativo di Altneuland, «Vecchia Nuova Terra»; dopo di lui, in particolare nell'ultima metà di questo secolo, la creatività ebraica si è fatta largo spazio nella prosa d'arte e nella poesia, non solo in Israele, ma anche ad esempio negli Stati Uniti. I vari Roth, Malamud, Grossman, Oz, per non citare che pochissimi dei tanti nomi, testimoniano effettivamente l'esistenza di una narrativa ebraica, di un modo di raccontare di sé, ma anche degli altri, caratteristico non solo nella lingua ma anche nello stile, nel modo di porsi di fronte alla realtà.