14 luglio 1959.

L’anno della maturità Ludovico e Guido lo passano insieme a studiare, come sempre, perché sono ambiziosi, competitivi, determinati, e vogliono farsi strada ad ampie bracciate seminando gli inseguitori.

Studiano e parlano, discutono di tutto, ininterrottamente, ma quando si tratta di prendere una decisione si comprendono al volo senza bisogno di dire una parola.

L’ombra virtuale che gettano a terra è quella di due spartani armati, schiena contro schiena, che si proteggono le spalle a vicenda e aggrediscono il mondo con un’arma affilata e un sorriso obliquo.

Alla fine degli orali, prima di conoscere i risultati, una bella mattina di sole rimediano un passaggio in macchina e raggiungono i colli. Si fermano in una trattoria con quattro tavoli e una ventina di sedie spaiate. L’ambiente è rustico, ma il vino è buono. Inoltre li conoscono, sono benvoluti.

A tavola chiacchierano a ruota libera, scaricati dal peso enorme dell’esame. Sulla scuola non una parola, non ne possono piú, preferiscono rievocare qualche avventura. Negli ultimi mesi hanno perfino trovato il tempo di andare a caccia di donne, e sono i primi esperimenti con il sesso. È un’iniziazione, la frenesia è ancora fresca.

Hanno due stili opposti. Guido è giocoso e sfacciato, il genere che si eccita per un rifiuto e insiste allo sfinimento.

Punta quasi esclusivamente ragazze molto devote, e poi è costretto ad avere a che fare con i fratelli, a volte anche con i fidanzati. Ludovico fa a botte per difenderlo, piú spesso per non lasciarlo solo.

Ad aprile hanno trascorso una notte intera al pronto soccorso per farsi medicare.

– Sei un imbecille, – gli ha detto Ludovico tamponandosi un occhio con un canovaccio pieno di ghiaccio.

Guido ha appena riattizzato un faida familiare per il gusto della sfida: portarsi a letto una bella ragazza mora e altissima, erede di una dinastia di imprenditori edili di Abano, che aveva già abbandonato senza spiegazioni tre mesi prima.

– Lo capisci che è ridicolo?

– Parla per te. Domandami se ne valeva la pena, semmai.

– Per chi, per quella giraffa analfabeta? Non riesce nemmeno a parlare in italiano.

– Sei uno snob. Ha altre qualità, le noti soprattutto quando sta zitta, il dialetto non è un problema.

Ludovico invece è un cerebrale. Preferisce le battute ambigue, la provocazione melliflua, e sono molto poche le donne disposte ad apprezzare la sua tattica. Guido gliene impallina moltissime portandoselo via sul piú bello, perché non ha la pazienza di aspettare che concluda qualcosa.

Del resto lo fanno per motivi opposti. Guido per il puro piacere del godimento fisico, Ludovico alla ricerca di conferme e di risposte. Per lui è un mezzo come un altro per comprendere piú a fondo la realtà.

Quando arriva il caffè Guido comincia a stuzzicare l’amico. Lo prende in giro, gli pare che sia troppo selettivo. Ludovico sbuffa, ma sa che in parte è vero. Gli capita spesso di annoiarsi, e scartare vittorie facili, quasi certo che alla fine lo deluderanno. Non incontra mai nessuna che gli sembri alla sua altezza.

– Come fai a saperlo se molli subito?

– Se lo faccio vuol dire che ho già capito che è uguale alle altre.

Guido alza la voce. – Non ce n’è una uguale all’altra!

Ludovico si accende una sigaretta e inclina la testa di lato per proteggere la fiamma da un refolo di vento: – Per te, forse, che sei un visionario. Io sono aristotelico. Tu vedi un mistero, io leggo l’etichetta. E questo mi toglie il divertimento.

Alla fine del pranzo si accorgono che non hanno nessuna voglia di tornare a casa. Sono stati mesi di studio forsennato, c’è ancora troppa tensione da sciogliere.

Decidono di partire su due piedi, non è la prima volta che lo fanno. Non hanno niente con sé, ma non sarà difficile trovare un paio di negozi aperti lungo la strada, specie se puntano verso qualche località di mare. I soldi non sono un problema.

Chiedono due gettoni e chiamano casa per avvisare, attaccando la cornetta sull’eco delle proteste, poi tornano in città e alla stazione saltano sul primo treno diretto verso il Tirreno.

All’inizio pensano alla Versilia. Il tempo di scendere a Firenze e hanno già cambiato idea. Non è della confusione di luglio che hanno bisogno. Vanno in cerca di silenzio, della possibilità di parlare fino a notte fonda senza affogare nel caos. Ripiegano verso la campagna passando da una corriera all’altra. Il Chianti, poi la Val di Pesa, e appena compare l’indicazione per Volterra, poco dopo le sette di sera, decidono di raggiungerla e dormire lí.

La corriera che parte da Colle Val d’Elsa con destinazione Cecina è praticamente vuota. C’è una vecchia seduta davanti che parla con l’autista, e un ragazzino con i capelli neri spalmati di brillantina e una camicia bianca immacolata che trasporta un grosso cestino avvolto in un canovaccio a scacchi, appoggiato sul sedile accanto. Però scende presto, a Castel San Gimignano, e sul mezzo restano solo la vecchia e loro due seduti in fondo, vicini.

A un certo punto la donna tace. Dentro e fuori la corriera c’è lo stesso silenzio.

Guido e Ludovico hanno parlato senza sosta in treno per quasi cinque ore e adesso sono stanchi. La corriera arranca lenta, fuori è buio. Le uniche cose che si distinguono sono la strada sotto le ruote, e le luci distanti dei casolari in lontananza. Fa molto caldo, una pesantezza acquosa appena attenuata dall’aria smossa dal movimento.

Ludovico si sente a disagio e non capisce bene perché.

– Potresti venire con me, e studiare Medicina, – dice Guido, all’improvviso.

È la prima parola seria sul futuro che si scambiano da quando hanno lasciato Padova. Fino ad allora hanno fatto solo chiacchiere senza senso e progetti velleitari di viaggi e partenze.

– Non ti piacerebbe?

Il piacere non c’entra, pensa Ludovico. Non è nemmeno implicato. C’entra la strada già tracciata, che va in una direzione diversa. Gli pare di cominciare a distinguere l’origine del suo fastidio. Si agita sul sedile, cambiando posizione.

– Immagino di sí. Non è questo il problema.

– E qual è allora? Pensi che non te lo permetterebbero? – chiede Guido con malizia. Sa dove colpire. Ludovico non è uno che si piega volentieri.

– Perché non vieni tu a studiare Legge con me, allora? – gli domanda l’altro sorridendo. Poi gira la testa fissando il profilo di Guido. – Non ti piacerebbe? – dice a voce alta facendogli il verso e scandendo le sillabe in modo teatrale.

Ridono insieme e il nodo si scioglie. Hanno fatto tutti quei chilometri senza nemmeno sfiorare l’argomento, che è l’unico vero motivo per cui sentono il bisogno di andare tanto lontano da casa, insieme. Forse ora sono pronti.

È la separazione ad atterrirli, perfino quella poco impegnativa di un corso di studi. Il primo passo di un bivio che impedisce di proseguire perfettamente allineati. Un’avvisaglia tenue di vita adulta, quella in cui qualcuno potrebbe prendere il posto di Ludovico accanto a Guido, o di Guido accanto a Ludovico. Entrambe le ipotesi sembrano intollerabili.

La risata si acquieta all’improvviso. Il disagio di Ludovico rialza la testa e contagia entrambi.

Tra gli alberi, sulla destra, compare la rocca di Volterra. Al primo incrocio la corriera abbandona la via secondaria che sta percorrendo e svolta su una provinciale.

Guido ha una ruga verticale in mezzo alla fronte. Ludovico sa cosa significa: l’incunearsi nella carne di un pensiero che non riesce a tollerare. Alla fine sbotta:

– Non riesco a capire per quale ragione tutto debba essere già stabilito. Nemmeno mi interessa fare il medico!

– E cosa vuoi fare? L’avvocato? – chiede Ludovico. Ma è una provocazione inutile. Sbattono come falene contro una lampada, nel tentativo di scivolare via da quella sacca di frustrazione.

Guido non risponde. La ruga sulla fronte si approfondisce.

La corriera frena e accosta sulla destra in un punto in cui la carreggiata si allarga. Ludovico, che è seduto vicino al finestrino, guarda fuori cercando di capire perché. Non riesce a vedere la paletta di una fermata, ma forse solo perché è davvero buio.

Nel silenzio della sera, a motore spento, il frinire dei grilli arriva da molto lontano e invade l’abitacolo della corriera. L’umidità si addensa come una bolla che preme da tutti i lati.

La porta anteriore si apre stantuffando, e la vecchia scende con calma, tenendosi salda alla sbarra di metallo finché non è certa di avere entrambi i piedi ben piantati a terra. Si gira e solleva la mano per salutare l’autista, poi si avvia verso i campi.

All’improvviso Ludovico si ricorda di essere piú vecchio di Guido.

Non di molto, qualche mese, ma da sempre per un tacito accordo questo gli attribuisce una posizione di responsabilità. Nei momenti difficili compete a lui trovare una via d’uscita, tanto piú che è l’elemento lucido, analitico. Guido è troppo pigro per prendere decisioni. Su di lui si può far conto quando serve un atto temerario, non una strategia. Oggi poi Ludovico avverte un’urgenza particolare, sa che è essenziale parlare per primo, ma ha le stesse perplessità di Guido, e non osa pronunciare una parola per paura che sia quella sbagliata.

Segue di sottecchi il gesto lento del braccio di Guido che si passa una mano tra i capelli fissando lo schienale del sedile dritto di fronte a sé.

Nella mente di Ludovico appare una domanda compiuta, luminosa come un’insegna. «Cosa succederebbe se ci guardassimo ora?»

Deve trattenersi per non pronunciarla a voce alta, tanto forte è stato il volume interno a cui l’ha sentita risuonare. Da quale profondità è risalita? Ludovico capisce che la risposta è l’unica cosa che conta, ma anche l’ultima al mondo che vuole sapere.

Si alza in piedi.

– Ho bisogno di sgranchirmi le gambe, fammi passare, per favore.

È una scusa. L’unica cosa che sa con certezza è che deve allontanarsi da lí, spezzare quell’atmosfera, schivare la domanda, e solo allora potrà guardare Guido negli occhi senza pericolo.

Prova a scavalcarlo, ma Guido gli mette una mano sul braccio e la chiude a tenaglia. Ludovico, la gamba destra già sollevata, si divincola senza riuscire a scivolare via.

– Perché te ne vuoi andare? – chiede Guido. – Di cosa hai paura?

Ludovico non lo sa. Ma capisce che Guido è arrivato a farsi la stessa domanda, quasi nello stesso momento. La differenza fra lui e Guido, del resto conforme al loro carattere, è che gli provoca molta meno paura, e molta piú curiosità. Guido non pensa nemmeno di alzarsi e scappare. Piuttosto sceglie l’atto di coraggio, la sua specialità. Tira fuori il rospo: ne vuole parlare, e poi vedere cosa succede.

Ma non può permettere che Ludovico si allontani. Il varco si è aperto in quel luogo e in quel momento, e non era mai accaduto prima, il che è incredibile considerando che hanno trascorso insieme quasi ogni attimo di vita cosciente.

Loro due, seduti l’uno accanto all’altro, nella corriera che ancora non è ripartita e frigge al caldo e all’umido di luglio, con i grilli che fanno un rumore d’inferno, e la rocca di Volterra sullo sfondo. Cambiare un solo elemento significa mutare la configurazione. Quello che ora è chiarissimo, che è emerso da una profondità sigillata, è pronto a richiudersi e sparire in un secondo se non viene portato alla luce.

– Fidati di me, – dice Guido, annuendo con dolcezza. L’altro torna a sedere. E finalmente si guardano.

Ludovico rimane in bilico ancora un secondo, poi l’inversione di ruoli lo tradisce. Stavolta è Guido quello che si assume la responsabilità della decisione: allarga la frattura piuttosto che richiuderla fingendo di non averla vista. Ludovico lo segue. Come gli è stato chiesto, Ludovico si fida, e quello che deve accadere accade. Limpidamente, in pienezza, come ogni atto che rispetta la sua natura e segue il suo corso.

Dura il tempo di un bacio, lungo, e pieno di verità perentoria.

Poi in Ludovico risorgono le certezze, il peso dell’ambiente in cui è cresciuto, e suona un allarme che lo mette sull’avviso. Una cosa del genere non può essere concepita, prima ancora che tollerata.

Respinge Guido con violenza. Riesce a scavalcarlo e si allontana. L’amico non lo ferma, non dice una parola, e questo è ciò che lo sconvolge piú di tutto. Non fa alcun tentativo di giustificare quello che è appena successo, o di sminuirlo in qualche modo. Non prende le distanze.

Ludovico cerca di recuperare il controllo. Si muove lungo il corridoio e arriva quasi all’altezza del conducente. L’uomo immagina sia venuto a chiedere spiegazioni per la fermata imprevista, e lo anticipa.

– Ripartiamo, ripartiamo subito. Per Volterra, vero? Tra cinque minuti ci siamo.

Ludovico annuisce e poi non sa piú cosa fare. Non gli rimane che girarsi e avviarsi di nuovo verso il suo posto. Mentre si avvicina osserva Guido che è immobile, a braccia conserte, un sorriso arcaico sulle labbra.

«Come puoi essere cosí sicuro di te?» pensa, sconvolto. E sente di odiarlo con tutte le sue forze.