Estate 1958.

Il caldo è cosí intenso che comprime i movimenti.

Piano, respirare piano. Evitare gesti scomposti che fanno salire una vampata di calore al viso e riempiono i polmoni come un incendio. Da giorni non si muove un filo d’aria. Le tende sono immobili, le imposte accostate in tutta la casa.

La cameriera raccoglie sul vassoio le tazzine vuote del caffè e la zuccheriera d’argento, poi spazza via le briciole. Ogni volta che allunga il braccio destro e descrive un ampio cerchio sul tavolo, sotto le ascelle si intravede l’alone scuro del sudore.

Gli adulti si alzano da tavola lentamente e si ritirano per riposare nelle stanze da letto in penombra. Nelle due ore che seguono è impensabile fare qualsiasi cosa a parte rimanere immobili come lucertole sul muro.

Appena escono si alza anche Ludovico. Si avvicina alla libreria massiccia e scura e tira fuori un libro. Infila la mano nel buco lasciato dal volume, e fruga finché non trova il pacchetto di sigarette. Poi siede di nuovo a tavola e ne accende una.

Soffia fuori il fumo verso l’alto osservando Guido sdraiato sul divano che occupa per tutta la lunghezza. Il fatto di trovarsi in casa di Ludovico non lo ha messo in imbarazzo e non ha inciso sulla disinvoltura di quella posa scomposta. C’è troppa intimità tra loro, che sono insieme praticamente dalla nascita. Nessuno si risente se Guido si comporta cosí. Il rispetto della forma, specie in una famiglia borghese di quel tipo, ha ancora il suo peso. Eppure gli si concede ogni licenza.

Guido comincia ad assopirsi. Respira piú pesantemente, con vibrazioni pigre da felino domestico. Si abbandona senza riserve, le mani dietro la testa, i piedi che spuntano oltre il bracciolo.

Ludovico non è capace di lasciarsi andare cosí quando dorme, o quando il caldo lo annienta. C’è sempre qualche pensiero che lo agita e alza la sua temperatura interna, costringendolo a cambiare posizione per cercare sollievo.

Mentre osserva Guido sonnecchiare pensa due cose, e sono le stesse ogni volta: la prima è che nessuno al mondo gli somiglia di piú, e la seconda è che nessuno al mondo gli somiglia di meno.

Però non è la similitudine a spiegare la natura del loro rapporto, e nemmeno la distanza. Piuttosto è la forza del nodo che tiene in tensione gli estremi e impedisce che schizzino via in direzioni opposte come pietre scagliate da una fionda.

È possibile identificarsi con qualcuno che è cosí diverso da te? Ed è possibile evitarlo se in sua assenza ti manca il complemento necessario a sapere chi sei?