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Allen trovò lavoro presso un fiorista di Lancaster, e le cose iniziarono bene. «Timothy», che amava i fiori, sbrigava la maggior parte del lavoro, sebbene di tanto in tanto Adalana uscisse sul posto per occuparsi della loro disposizione. Allen convinse il proprietario che sarebbe stata una buona idea appendere alcuni dei suoi quadri in vetrina, e se ne avesse venduto uno, avrebbe potuto tenersi una percentuale. Tommy era attratto dall’idea di fare soldi con le sue opere d’arte, e quando i primi quadri furono venduti, si mise a lavorare più intensamente che mai, investendo parte dei guadagni per comprare altri colori e pennelli. Sfornò decine di paesaggi, che si vendevano più velocemente dei ritratti di Allen o delle nature morte di Danny.

Un venerdì sera di giugno, dopo la chiusura, il proprietario, un uomo di mezza età, chiamò Timothy nell’ufficio sul retro e gli fece delle avances. Spaventato, Timothy lasciò il posto e si ritirò nel suo mondo. Danny sollevò lo sguardo e capì quello che l’uomo stava cercando di fare. Ricordando quello che gli era successo alla fattoria, lanciò un urlo e fuggì.

Quando Timothy andò a lavorare il lunedì seguente, ansioso di vedere se quel giorno sarebbe stato venduto qualcuno dei suoi quadri, trovò il negozio vuoto. Il proprietario se n’era andato, senza lasciare nessun recapito, e si era portato via tutti i quadri.

«Maledetto figlio di puttana», gridò Tommy davanti alla vetrina vuota del negozio. «Ti prenderò, bastardo!» Afferrò un sasso e lo lanciò contro la vetrina. Si sentì meglio.

«Tutta colpa di sistema capitalista corrotto», disse Ragen.

«Non ci vedo nessuna logica», disse Arthur. «Quell’uomo aveva evidentemente paura che si sapesse in giro che era omosessuale. Che c’entra la disonestà di un uomo spaventato con il sistema economico?»

«È risultato di motivazione di profitto. Contamina menti di persone giovani come Tommy.»

«Sai, non sapevo che tu fossi uno stronzo di comunista.»

«Un giorno», disse Ragen, «tutte società capitaliste saranno distrutte. So che tu capitalista, Arthur, ma io avverto te. Tutto potere è di popolo.»

«Sia come sia», disse Arthur con un tono annoiato, «il negozio del fiorista non c’è più, e qualcuno deve trovare un altro schifo di lavoro.»

Allen trovò un posto come inserviente del turno di notte all’Homestead Nursing Home nella zona est di Lancaster. Era un edificio moderno, una costruzione bassa di mattoni con un grande atrio circondato da una vetrata, sempre affollato di anziani ricoverati con le bavagline addosso, parcheggiati sulle sedie a rotelle. Si trattava per lo più di lavori umili, e «Mark» li eseguiva senza protestare, passando scopa e straccio sui pavimenti, cambiando lenzuola e padelle.

Arthur era più interessato agli aspetti medici di questo ruolo. Quando scoprì che alcuni degli infermieri e degli inservienti bighellonavano durante l’orario di lavoro giocando a carte, leggendo o dormicchiando, Arthur si mise lui stesso a fare i giri, andando a trovare i malati e i moribondi. Ascoltava i loro sfoghi, puliva piaghe da decubito infette e in generale si dedicava anima e corpo a quella che sentiva essere la professione cui era destinato.

Una notte, mentre osservava Mark inginocchiato a strofinare il pavimento di una stanza da cui era stato portato via qualcuno, Arthur scosse la testa. «Non farai altro per tutta la vita. Lavoro manuale. Un lavoro da schiavi di merda che potrebbe essere fatto da uno zombie.»

Mark guardò il suo straccio, poi guardò Arthur, e scrollò le spalle. «Per controllare il proprio destino ci vuole una grande mente. Per eseguirne i piani ci vuole uno scemo.»

Arthur sollevò le sopracciglia. Non pensava che Mark fosse capace di un’intuizione simile. Ma così era ancora peggio, vedere una mente con un barlume di intelligenza sprecata in un lavoro che non ne richiedeva affatto.

Arthur scosse la testa e andò a fare il giro dei suoi pazienti. Sapeva che il signor Torvald stava morendo. Entrò nella stanza dell’anziano signore e si sedette accanto a lui, come aveva fatto ogni notte della settimana appena trascorsa. Il signor Torvald parlò della sua giovinezza nel vecchio continente, del suo arrivo in America e di come si fosse stabilito in Ohio. Sbattendo le palpebre pesanti sugli occhi acquosi, disse stanco: «Sono un vecchio, e parlo troppo».

«Niente affatto», disse Arthur. «Ho sempre pensato che si debbano ascoltare le persone anziane, che sono più sagge e hanno avuto molte esperienze. La sua conoscenza, che non può essere scritta in un libro, deve essere trasmessa ai giovani.» Il signor Torvald sorrise. «Sei un bravo ragazzo.»

«Soffre molto?»

«Non mi piace lamentarmi. Ho avuto una bella vita, e adesso sono pronto a morire.»

Arthur gli mise una mano sul braccio magro e avvizzito. «Se ne sta andando con molta eleganza», disse, «sta morendo con grande dignità. Sarei stato orgoglioso di averla come padre.»

Il signor Torvald tossì e indicò la brocca dell’acqua vuota. Arthur andò a riempirla, e quando tornò vide che il signor Torvald aveva gli occhi fissi sul soffitto. Rimase lì in silenzio per un attimo, contemplando quel vecchio volto sereno. Poi gli tirò via i capelli dagli occhi e glieli chiuse.

«Allen», sussurrò, «chiama gli infermieri e di’ loro che il signor Torvald è deceduto.»

Allen prese il posto e premette il pulsante sopra il letto.

«Questa», bisbigliò Arthur, facendo un passo indietro, «è la procedura corretta.»

Per un istante Allen pensò che la voce di Arthur fosse carica di emozione. Ma sapeva che non poteva essere così. Prima che Allen potesse chiederglielo, Arthur se n’era andato.

Il lavoro all’Homestead durò tre settimane. Quando in amministrazione scoprirono che Milligan aveva solo sedici anni, lo informarono che era troppo giovane per fare il turno di notte e lo licenziarono.

Poche settimane dopo l’inizio del trimestre autunnale, Chalmer disse che quel sabato Billy sarebbe dovuto andare alla fattoria con lui per aiutarlo a tagliare l’erba. Tommy osservò Chalmer che caricava il suo nuovo trattorino giallo sul retro del furgone facendolo salire su due assi.

«Per cosa ti servo io?»

«Non fare domande stupide. Vieni e basta. Se vuoi mangiare, devi lavorare. Ho bisogno che qualcuno rastrelli le foglie prima che io mi metta al lavoro con la falciatrice. Che poi bene o male è tutto quello che sei capace di fare.»

Tommy guardò Chalmer mentre fissava il trattorino sul furgone mettendo la retromarcia e infilando il blocco a U per evitare che la leva saltasse fuori posto.

«Adesso tira su quelle maledette assi e caricale sul furgone.» Fanculo, pensò Tommy, prenditele da solo. E lasciò il posto. Danny se ne stava lì, impalato, chiedendosi perché Chalmer lo stesse guardando così male.

«Allora, tira su ‘ste assi, idiota.»

Danny lottò con le due enormi assi, anche se erano troppo grandi e pesanti per un ragazzino di quattordici anni.

«Maledetto bastardo di un incapace», disse Chalmer. Lo cacciò via e caricò lui stesso le assi. «Sali prima che ti prenda a calci nel culo.»

Danny si arrampicò sul sedile e tenne lo sguardo dritto davanti a sé. Ma poteva sentire Chalmer che si stappava una lattina di birra, e non appena ne percepì l’odore, si paralizzò per la paura. Quando arrivarono alla fattoria e Chalmer lo mise subito a rastrellare le foglie, Danny si sentì sollevato.

Chalmer falciava, e Danny aveva paura quando il trattore gli veniva troppo vicino. I trattori lo terrorizzavano già prima. Quello nuovo giallo lo spaventava. Cedette il posto a David e poi a Shawn. Continuarono a passare dall’uno all’altro fino a quando il lavoro fu terminato e Chalmer infine gridò: «Tira giù le assi dal camion. Andiamo!»

Danny avanzò barcollando, ancora in preda al panico per via del trattore, e ricorse a tutta la forza che aveva per tirare giù le pesanti tavole dal camion. Con le assi al loro posto, Chalmer caricò il trattore sul retro del furgone. Dopo aver rimesso dentro le assi, Danny attese mentre Chalmer si stappava un’altra lattina di birra e la finiva prima di essere pronto per partire.

Tommy, che aveva visto quello che era successo, prese il posto. Quel trattore del cazzo faceva paura a Danny. Quel trattore doveva sparire. Velocemente, mentre Chalmer era voltato dall’altra parte, Tommy si arrampicò sul retro del furgone, tirò via il blocco a U e posizionò la leva del cambio in folle. Mentre Chalmer faceva il giro per raggiungere il posto del guidatore, Tommy saltò giù e lanciò il blocco nei cespugli. Poi salì davanti, guardando fisso davanti a sé in attesa. Sapeva che nell’istante in cui Chalmer avesse fatto una delle sue partenze a scatto, quel suo nuovo trattore giallo sarebbe andato.

Chalmer mise in moto lentamente e guidò senza mai fermarsi fino a Bremen. Non successe niente. Tommy pensò che l’avrebbero perso dopo essersi fermati davanti alla fabbrica della General Mills. Ma Chalmer procedeva molto rilassato e così arrivò fino a Lancaster. D’accordo, pensò Tommy, succederà la prima volta che si ferma a un semaforo rosso.

Successe a Lancaster. Quando il semaforo diventò verde, Chalmer partì di colpo, facendo stridere le gomme, e Tommy sapeva che il trattore era andato. Si sforzò di non cambiare espressione, ma non ci riuscì. Guardò fuori del finestrino, così quel vecchio coglione non lo avrebbe visto sghignazzare. Quando lanciò uno sguardo indietro, vide il trattorino giallo rotolare all’indietro e finire sulla strada. Poi vide Chalmer che guardava a bocca aperta nello specchietto retrovisore. Schiacciò i freni, fermò il furgone, saltò giù e cominciò a correre, raccattando pezzi di metallo sparpagliati per la strada.

Tommy scoppiò a ridere. «Brutto bastardo», disse. «Quel trattore non farà mai più male a Danny o a David.» In un colpo solo si era vendicato della macchina e di Chalmer.

La maggior parte dei voti sulla pagella che Billy ricevette erano C, D e F. In tutti i suoi anni di scuola aveva preso una sola A: in biologia, il terzo trimestre della decima classe. Arthur, che si era appassionato a quella materia, cominciò a stare attento in classe e a fare i compiti a casa.

Sapendo che la gente si sarebbe messa a ridere se avesse parlato, faceva rispondere Allen per lui. L’insegnante si stupì per quel suo improvviso cambiamento, per come fosse diventato brillante. Arthur non perse mai il suo interesse per la biologia, ma a casa la situazione era così difficile che sul posto continuavano ad avvicendarsi persone diverse. Con gran dispiacere dell’insegnante di biologia, l’entusiasmo si spense e gli ultimi due trimestri furono un disastro. Arthur se ne andò a studiare per conto suo, e sull’ultima pagella comparve una D.

Arthur era presissimo a seguire gli altri che andavano e venivano sul posto con una frequenza sempre maggiore. Diagnosticò questa fase di instabilità mentale come «un periodo di confusione».

Quando la scuola dovette essere evacuata per la minaccia di una bomba, tutti sospettarono che fosse stato Billy Milligan, sebbene nessuno potesse provarlo. Tommy negò di aver fatto lui la bomba. In ogni caso, non si trattava di una bomba vera, ma avrebbe potuto esserlo se nel flacone ci fosse stata della nitroglicerina invece di acqua. Tommy non aveva mentito, non era stato lui. Non avrebbe mai mentito. Anche se aveva insegnato a uno degli altri ragazzi come farla, tracciandogli persino un disegno, lui non l’aveva mai toccata. Non era così stupido.

Tommy si divertì a guardare l’agitazione e l’imbarazzo sulla faccia del preside. Il preside Moore sembrava un uomo pieno di problemi, come uno che non potesse risolvere tutte le cose che lo preoccupavano.

Una la risolse espellendo Milligan, il piantagrane.

Così, quando Billy Milligan aveva compiuto diciassette anni da cinque settimane - e una settimana dopo che Jim era partito per l’Aeronautica -, Tommy e Allen entrarono in Marina.