II

1

Il primo colloquio con gli specialisti del Southwest venne fissato per il 31 gennaio 1978. Dorothy Turner, una psicoioga minuta e dall’aria materna, con un’espressione timida e quasi spaventata, alzò lo sguardo quando il sergente Willis portò Milligan nella sala colloqui.

Quello che vide era un giovane di bell’aspetto, un metro e ottanta di altezza, con una tuta da ginnastica blu. Aveva baffi folti e basette lunghe, ma dagli occhi traspariva la paura di un bambino. Sembrava sorpreso di vederla, ma quando si sedette sulla sedia di fronte a lei si mise a sorridere, con le mani in grembo.

«Signor Milligan», disse, «sono Dorothy Turner, vengo dal Southwest Community Mental Health Center, e sono qui per farle alcune domande. Dove abita attualmente?»

Milligan si guardò in giro. «Qui.»

«Qual è il suo numero di previdenza sociale?»

Aggrottò le sopracciglia e ci pensò a lungo, fissando il pavimento, le pareti di cemento ingiallite, il barattolo di latta con i mozziconi sul tavolo. Si rosicchiò le unghie studiandosi le pellicine.

«Signor Milligan», disse lei, «se vuole che la aiuti, deve collaborare. Deve rispondere alle mie domande, in modo che io possa capire che cosa sta accadendo. Ora, qual è il suo numero di previdenza sociale?»

Scrollò le spalle. «Non lo so.»

La donna guardò i suoi appunti e lesse un numero.

Lui scosse la testa. «Non è il mio numero. Dev’essere quello di Billy.»

La Turner alzò gli occhi di scatto. «Be’, non è lei Billy?»

«No», disse lui. «Non sono io.»

Lo guardò perplessa. «Aspetti un attimo. Se lei non è Billy, allora chi è?»

«Sono David.»

«E Billy dov’è?»

«Billy sta dormendo.»

«Dove?»

Si indicò il petto. «Qua dentro. È addormentato.»

Dorothy Turner sospirò e cercò di farsi forza, annuendo pazientemente. «Devo parlare con Billy.»

«Be’, Arthur non glielo permetterà. Billy sta dormendo e Arthur non vuole svegliarlo, perché, se lo sveglia, Billy si ucciderà.»

La Turner studiò il giovane per un lungo istante, incerta su come procedere. La voce di Milligan e la sua espressione mentre parlava erano quelle di un bambino. «Aspetta un minuto. Voglio che mi spieghi di che si tratta.»

«Non posso. Ho sbagliato. Non dovevo neanche dirlo.»

«Perché no?»

«Mi metterò nei guai con gli altri.» Nella sua voce di bambino si percepiva il panico.

«Tu ti chiami ‘David’?»

Lui annuì.

«Chi sono gli altri?»

«Non posso dirlo.»

Dorothy picchiettò delicatamente con le dita sul tavolo. «Be’, David, se vuoi che ti aiuti devi dirmi di cosa si tratta.»

«Non posso», disse lui. «Si infurieranno e non mi lasceranno più venir fuori.»

«Ma devi parlarne con qualcuno. Perché sei molto spaventato, non è cosi?»

«Sì», disse lui, con le lacrime agli occhi.

«È importante che ti fidi di me, David. Devi dirmi cosa sta succedendo se vuoi che ti aiuti.»

Lui ci pensò a lungo, concentrato, e alla fine scosse la testa. «Va bene, te lo dirò a una condizione. Devi promettere che non dirai mai il segreto a nessuno in tutto il mondo. Nessuno. Mai. Mai. Mai.»

«Sì», disse lei. «Prometto.»

«In tutta la tua vita?»

Lei annuì.

«Di’ che prometti.»

«Prometto.»

«Ok», disse lui. «Te lo dico. Io non so tutto. Solo Arthur sa tutto. Come hai detto tu, sono spaventato, perché un sacco di volte non so cosa sta succedendo.»

«Quanti anni hai, David?»

«Otto, quasi nove.»

«E perché sei venuto tu a parlare con me?»

«Non sapevo neanche che stavo venendo fuori sul posto. Qualcuno si è fatto male in prigione e sono venuto a prendermi il dolore.»

«Me lo spiegheresti?»

«Arthur dice che sono il guardiano del dolore. Quando qualcuno si fa male, sono io che vengo fuori sul posto e lo sento.»

«Dev’essere terribile.»

Annuì, con gli occhi lucidi. «Non è giusto.»

«Cos’è ‘il posto’, David?»

«È così che lo chiama Arthur. Ci ha spiegato come funziona quando uno di noi deve venir fuori. È un grande fascio di luce bianca. Tutti stanno intorno, guardando o dormendo nei loro letti. E chiunque mette piede sul posto, è fuori nel mondo. Arthur dice che chiunque sta sul posto possiede la coscienza.»

«Chi sono gli altri?»

«Sono tanti. Non li conosco tutti. Adesso ne conosco qualcuno, ma non tutti. Oh, acc…»

«Che succede?»

«Ti ho detto il nome di Arthur. Adesso di sicuro si arrabbierà perché ho detto il segreto.»

«Va tutto bene, David. Ti ho promesso che non lo dirò.» Si rannicchiò sulla sedia. «Non posso dire più niente. Ho paura.»

«Va bene, David. Per oggi è abbastanza, ma domani tornerò e parleremo ancora.»

Fuori della Franklin County Jail, Dorothy si fermò e si strinse addosso la giacca per ripararsi dal vento gelido. Era andata lì pronta ad affrontare un giovane detenuto che probabilmente fingeva l’infermità mentale per sfuggire all’accusa, ma non si sarebbe mai aspettata niente del genere.

2

Il giorno successivo, quando entrò nella sala colloqui, Dorothy Turner notò qualcosa di diverso nell’espressione di Milligan. Evitava di guardarla e si mise a sedere sulla sedia tirando su le ginocchia e mettendosi a giocare con le scarpe. Gli chiese come stava.

Lui all’inizio non rispose; si guardava in giro lanciandole di tanto in tanto qualche occhiata senza dare segno di riconoscerla. Poi scosse la testa, e cominciò a parlare come un tipico londinese. «È tutto così forte», disse. «Tu. Tutti i rumori. Tu non sai cosa sta succedendo.»

«Hai una voce strana, David. È un accento?»

La fissò con un’aria spavalda. «Io non sono David. Io sono Christopher.»

«E dov’è David?»

«David è stato cattivo.»

«Cosa vuoi dire?»

«Oh, gli altri sono infuriati con lui perché ha parlato.»

«Me lo spieghi?»

«Non posso. Non voglio mica finire nei guai come David.»

«Be’, perché è nei guai?» chiese lei perplessa.

«Perché l’ha detto.»

«Detto cosa?»

«Lo sai. Ha detto il segreto.»

«D’accordo. Mi dici qualcosa di te, Christopher? Quanti anni hai?»

«Tredici.»

«E cosa ti piace fare?»

«Suono un po’ la batteria, ma sono più bravo con l’armonica.»

«E da dove vieni?»

«Dall’Inghilterra.»

«Hai fratelli o sorelle?»

«Solo Christene. Ha tre anni.»

Dorothy lo guardava attentamente mentre parlava con quello spiccato accento londinese. Era aperto, sicuro di sé, felice, profondamente diverso dalla persona con cui aveva parlato solo il giorno prima. Milligan doveva essere un attore formidabile.

3

Il 4 febbraio, alla sua terza visita, Dorothy Turner notò che il giovane entrato nella sala colloqui aveva un atteggiamento completamente diverso da quello delle due volte precedenti. Si lasciò andare sulla sedia con aria annoiata, fissandola in modo arrogante.

«Come stai oggi?» gli chiese lei, quasi timorosa di quello che lui avrebbe potuto rispondere.

Scrollò le spalle. «Niente male.»

«Mi sapresti dire come stanno David e Christopher?»

Le lanciò uno sguardo torvo. «Ehi, signora, non so neanche chi sei.»

«Be’, sono qui per aiutarti. Dobbiamo parlare di quello che sta succedendo.»

«Cazzo, non lo so nemmeno io cosa sta succedendo.»

«Non ti ricordi che ci siamo parlati l’altro ieri?»

«No, per la miseria. Non ti ho mai visto in vita mia.»

«Potresti dirmi come ti chiami?»

«Tommy.»

«Tommy come?»

«Solo Tommy.»

«E quanti anni hai?»

«Sedici.»

«E mi racconteresti qualcosa di te?»

«Signora, non parlo con gli estranei, quindi lasciami in pace.»

Per i quindici minuti successivi cercò di farlo parlare, ma «Tommy» rimase astioso. Quando lasciò la Franklin County Jail, Dorothy si fermò un momento in Front Street, frastornata, pensando a «Christopher» e alla promessa che aveva fatto a «David» di non rivelare mai il segreto. Adesso era combattuta tra la promessa e la consapevolezza del fatto che gli avvocati di Milligan dovevano essere informati. Più tardi chiamò l’ufficio del difensore e chiese di Judy Stevenson.

«Ascolti», disse quando la Stevenson prese il telefono, «non posso parlargliene apertamente, ma se non ha letto il libro Sybil, se ne procuri una copia e lo legga.»

Quella sera Judy Stevenson, sorpresa dalla telefonata della Turner, comprò una copia tascabile di Sybil e cominciò a leggerlo. Quando capì di che cosa si trattava, si sdraiò sul letto e si mise a fissare il soffitto, pensando: oh, andiamo! Una personalità multipla? Era questo che la Turner stava cercando di dirle? Cercò di visualizzare il Milligan che tremava come una foglia durante il confronto; pensò ad altre occasioni in cui era stato loquace e manipolatore, aveva fatto battute e avuto la risposta pronta. Aveva sempre attribuito questi sbalzi di umore alla depressione. E poi pensò alle storie che aveva raccontato il sergente Willis sul tipo impossibile da contenere che riusciva a liberarsi da qualunque camicia di forza, e ai commenti di Russ Hill sulla forza sovrumana che aveva esibito in diverse occasioni. Le parole di Milligan le rimbombavano in testa: «Non so nulla di quello che dicono che ho fatto. Non mi ricordo».

Pensò di svegliare suo marito e di parlarne con lui, ma sapeva benissimo che cosa le avrebbe detto Al. Sapeva che cosa avrebbe detto chiunque se solo avesse provato a spiegare ciò che aveva in testa in quel momento. In più di tre anni all’ufficio della difesa, non si era mai imbattuta in nessuno come Milligan. Decise di non dire niente neanche a Gary, per ora. Prima doveva venirne a capo lei.

La mattina dopo Judy chiamò Dorothy Turner. «Ascolti», disse, «a volte il Milligan che ho incontrato e con cui ho parlato nelle ultime settimane si è comportato in modo strano. Ci sono stati cambiamenti d’umore. È instabile. Ma non ho notato le fondamentali differenze che mi porterebbero a concludere che è come il caso di Sybil.»

«È una cosa su cui sono stata combattuta per giorni», disse la Turner. «Ho promesso di non parlarne con nessuno e non l’ho fatto. Le ho solo detto di leggere il libro. Ma voglio cercare di convincerlo a consentirmi di svelarle il segreto.»

Ricordando che stava parlando con una psicoioga del Southwest - la parte dell’accusa - Judy disse: «La decisione è sua. Mi faccia sapere che devo fare».

Al quarto incontro con Milligan, Dorothy Turner si trovò di fronte il ragazzino spaventato che la prima volta aveva detto di chiamarsi David.

«So di aver promesso di non dire il segreto», disse, «ma devo dirlo a Judy Stevenson.»

«No!» gridò lui, saltando in piedi. «Hai promesso! Non le piacerò più se glielo dici.»

«Le piacerai lo stesso. È il tuo avvocato e deve essere informata per poterti aiutare.»

«Hai promesso. Se rompi una promessa, è come dire una bugia. Non puoi dirlo. Sono già nei guai. Arthur e Ragen sono furiosi perché mi sono lasciato sfuggire il segreto, e…»

«Chi è ‘Ragen’?»

«Hai fatto una promessa. E le promesse sono la cosa più importante del mondo.»

«Non capisci, David? Se non lo dico a Judy, lei non potrà salvarti. Potresti finire in prigione per un lungo periodo.»

«Non mi importa. Hai promesso.»

«Ma…»

Vide che gli si velavano gli occhi, e che la bocca si muoveva come se stesse parlando da solo. Poi si raddrizzò, unì la punta delle dita, e la fissò negli occhi.

«Signora, lei non ha alcun diritto», disse muovendo appena la mascella e parlando come un aristocratico, con un accento chiaramente britannico, «di rompere la promessa che ha fatto al bambino.»

«Non credo che ci siamo mai incontrati», disse lei, aggrappandosi ai braccioli della sedia e cercando disperatamente di nascondere lo stupore.

«Lui le ha parlato di me.»

«Lei è ‘Arthur’?»

Confermò con un rapido cenno del capo.

Dorothy Turner fece un profondo respiro. «Bene, Arthur: è fondamentale che io parli con gli avvocati di quello che sta succedendo.»

«No», disse lui. «Non le crederanno.»

«Perché non proviamo a vedere? Porterò qui soltanto Judy Stevenson per incontrarla e…»

«No.»

«Potrebbe salvarla dalla prigione. Devo farlo…»

Si chinò in avanti e la guardò di traverso con un’espressione sprezzante. «Le dico una cosa, signorina Turner. Se si porta dietro qualcuno, gli altri se ne resteranno zitti, e lei passerà per matta.»

Dopo quindici minuti di discussione con Arthur, la Turner notò che aveva gli occhi velati. Milligan si appoggiò alla sedia, poi si chinò in avanti, e la sua voce adesso era diversa, disinvolta e amichevole.

«Non puoi svelare il segreto», disse. «Hai fatto una promessa, ed è una cosa sacra.»

«Con chi sto parlando ora?» sussurrò lei.

«Con Allen. Sono quello che parla con Judy e Gary nella maggior parte dei casi.»

«Ma loro conoscono solo Billy Milligan.»

«Rispondiamo tutti al nome di Billy per non far venire fuori il segreto. Ma Billy sta dormendo. Dorme da un sacco di tempo. Ora, signora Turner… ti dispiace se ti chiamo Dorothy? La madre di Billy si chiama Dorothy.»

«Hai detto che di solito sei tu che parli con Judy e Gary. Chi altro hanno incontrato?»

«Be’, loro non lo sanno, perché la voce di Tommy è molto simile alla mia. Tu hai conosciuto Tommy. È quello a cui non si può far tenere la camicia di forza o le manette. Ci assomigliamo molto, però in genere sono io quello che parla. Lui diventa maligno e sarcastico, non è bravo come me a trattare con la gente.»

«Chi altro hanno incontrato?»

Allen alzò le spalle. «Il primo che Gary ha visto quando ci hanno arrestato era Danny. Era spaventato e confuso. Non sa molto di quello che sta succedendo. Ha solo quattordici anni.»

«E tu quanti anni hai?»

«Diciotto.»

Dorothy sospirò e scosse la testa. «D’accordo… ‘Allen’. Sembri un ragazzo intelligente. Capirai che è necessario che io sia dispensata dalla mia promessa. Judy e Gary devono essere informati su quello che sta succedendo per potervi difendere come si deve.»

«Arthur e Ragen sono contrari», disse lui. «Dicono che la gente penserà che siamo pazzi.»

«Ma non ne varrà la pena se questo può risparmiarvi di tornare in prigione?»

Scosse la testa. «Non dipende da me. Abbiamo tenuto questo segreto per tutta la vita.»

«E da chi dipende?»

«Be’, da tutti, in realtà. Arthur è il responsabile, ma il segreto appartiene a tutti noi. David te l’ha detto, ma la cosa proprio non dovrebbe andare più lontano.»

Turner cercò di spiegargli che come psicoioga aveva il dovere di comunicare queste cose ai suoi avvocati, ma Allen fece notare che non c’era alcuna garanzia che questo sarebbe stato di aiuto, e in prigione la vita sarebbe diventata impossibile con tutta quella pubblicità e i titoli sui giornali.

David, che lei aveva imparato a riconoscere per via del comportamento da bambino, si presentò e la scongiurò di mantenere la promessa.

Lei gli chiese di parlare di nuovo con Arthur, e lui emerse col volto accigliato: «Lei è ostinata», disse.

Turner discusse con lui, e alla fine ebbe l’impressione di averlo sfinito. «Non mi piace discutere con una signora», disse. Si appoggiò indietro con un sospiro. «Se crede che sia assolutamente necessario, e se gli altri sono d’accordo, le do la mia autorizzazione. Ma dovrà ottenere il permesso di ognuno.»

Le ci vollero ore di discussione per spiegare la situazione a tutti quelli che le si presentavano, e ogni trasformazione continuava a lasciarla sbalordita. Il quinto giorno affrontò Tommy, che si stava mettendo le dita nel naso: «Quindi capisci che devo parlarne con la signorina Judy».

«Signora, non me ne frega un accidente di quello che fai. Basta che ti togli dai piedi.»

Allen disse: «Prometti che non lo dirai a nessuno al mondo a eccezione di Judy. E devi fare promettere anche a lei che non lo dirà a nessun altro».

«D’accordo», disse lei. «Non ve ne pentirete.»

Quel pomeriggio, Dorothy Turner andò direttamente dalla prigione all’ufficio del difensore in fondo alla strada e parlò con Judy Stevenson. Le spiegò le condizioni stabilite da Milligan.

«Intende dire che non posso dirlo a Gary Schweickart?»

«Ho dovuto dare la mia parola. Sono stata già fortunata a ottenere il suo consenso.»

«Sono scettica», disse Judy.

La Turner annuì. «Bene. Lo ero anch’io. Ma le garantisco che quando vedrà il suo cliente avrà una bella sorpresa.»

4

Quando il sergente Willis accompagnò Milligan nella sala riunioni, Judy Stevenson notò che il suo cliente aveva l’atteggiamento schivo di un adolescente timido. Sembrava che avesse paura dell’agente, come se non lo conoscesse, e si diresse di corsa verso il tavolo per sedersi di fianco a Dorothy Turner. Continuava a sfregarsi i polsi, senza dare segno di voler parlare fino a quando Willis non se ne andò.

La Turner disse: «Puoi dire a Judy Stevenson chi sei?» Milligan si lasciò cadere indietro sulla sedia e scrollò la testa guardando verso la porta, come per essere sicuro che l’agente se ne fosse andato.

«Judy», disse infine la Turner, «lui è Danny. Ho avuto modo di conoscerlo abbastanza bene.»

«Ciao, Danny.» La Stevenson cercava di celare il suo stupore davanti alle varie voci ed espressioni del viso di Milligan.

Milligan guardò Dorothy Turner e sussurrò: «Vedi? Mi guarda come una che pensa che sono pazzo».

«No», disse Judy. «È solo che sono confusa, è una situazione molto insolita. Quanti anni hai, Danny?»

Milligan si sfregò i polsi come se fosse stato appena slegato e stesse cercando di riattivare la circolazione, ma non rispose.

«Danny ha quattordici anni», disse la Turner. «È un bravo pittore.»

«Che genere di dipinti?» chiese la Stevenson.

«Nature morte, soprattutto.»

«Hai dipinto anche alcuni dei paesaggi che la polizia ha trovato nel tuo appartamento?»

«Non faccio paesaggi. Non mi piacciono gli spazi aperti.»

«Come mai?»

«Non posso dirlo o lui mi ucciderà.»

«Chi ti ucciderà?» La stupiva ritrovarsi a contro-interrogarlo, sapendo di non credere a nulla di quella storia, determinata com’era a non farsi ingannare, ma stupefatta da quella che sembrava una performance brillante.

Milligan chiuse gli occhi e le guance gli si rigarono di lacrime.

Sentendosi lei stessa sempre più sconcertata da quello che stava succedendo, Judy lo osservò attentamente mentre sembrava ritirarsi in se stesso. Le labbra si muovevano silenziose, e gli occhi si velarono e poi iniziarono a vagare da una parte all’altra. Si guardò in giro, intontito, fino a quando non riconobbe entrambe le donne e si rese conto di dove si trovava. Si appoggiò indietro, incrociò le gambe ed estrasse una sigaretta dalla calza destra, senza togliere il pacchetto.

«Qualcuno ha da accendere?»

Judy gli accese la sigaretta. Inspirò profondamente, e buttò fuori il fumo verso l’alto. «Allora, cosa c’è di nuovo?» disse.

«Potresti dire a Judy Stevenson chi sei?»

Annuì, mentre faceva un anello di fumo. «Sono Allen.»

«Ci siamo già incontrati?» chiese Judy, sperando che il tremito della sua voce non fosse troppo evidente.

«Sono stato qui qualche volta quando tu e Gary venivate a parlare del caso.»

«Ma abbiamo sempre parlato con te come Billy Milligan.» Scrollò le spalle. «Rispondiamo tutti al nome di Billy. Ci risparmia un sacco di spiegazioni. Ma non ho mai detto di essere Billy. L’hai solo presunto, e non sarebbe servito a niente dirti che non era cosi.»

«Posso parlare con Billy?» chiese Judy.

«Oh, no. Lo tengono addormentato. Se lo lasciassero uscire sul posto, si ucciderebbe.»

«Perché?»

«Ha ancora paura di soffrire. E non sa di noi. Tutto quello che sa è che ha dei vuoti di tempo.»

«Cosa intendi dire con ‘vuoti di tempo’?» chiese Judy.

«Succede a tutti noi. Sei da qualche parte a fare qualcosa, e poi d’un tratto sei in un altro posto, e sai che è passato del tempo, ma non sai cos’è successo.»

Judy scosse la testa. «Dev’essere terribile.»

«Non ti ci abitui mai», disse Allen.

Quando il sergente Willis venne a riportarlo nella sua cella, Allen alzò lo sguardo e gli sorrise. «Lui è il sergente Willis», disse alle due donne. «Mi è simpatico.»

Judy Stevenson uscì dalla Franklin County Jail assieme a Dorothy Turner.

«Ha capito perché l’ho chiamata», disse Dorothy.

La Stevenson sospirò. «Sono venuta qui con la certezza che avrei assistito a una messa in scena, ma ora sono convinta di aver parlato con due persone diverse. Adesso ho capito perché a volte sembrava così diverso. Lo attribuivo a sbalzi di umore. Dobbiamo dirlo a Gary.»

«È stato già abbastanza difficile per me ottenere il permesso di dirlo a lei. Non credo che Milligan acconsentirà.»

«Deve», disse Judy. «Non posso portare da sola il peso di questa cosa.»

Quando lasciò la prigione, Judy Stevenson era scombussolata, intimorita, arrabbiata, confusa. Era tutto incredibile. Impossibile. Ma da qualche parte, in un angolo della sua testa, sapeva che stava cominciando a crederci.

Più tardi, lo stesso giorno, Gary la chiamò a casa per dirle di essere stato avvisato dall’ufficio dello sceriffo che Milligan aveva tentato di nuovo di suicidarsi sbattendo la testa contro il muro della cella.

«È buffo», disse Gary. «Guardando tra le sue carte, ho appena scoperto che oggi è il 14 febbraio, il suo ventitreesimo compleanno. E sai un’altra cosa… è San Valentino.»

5

Il giorno dopo Dorothy e Judy dissero ad Allen che era importante condividere il segreto con Gary.

«Assolutamente no.»

«Ma devi permetterlo», disse Judy. «Per salvarti dalla prigione, altre persone devono essere informate.»

«Hai promesso. L’accordo era questo.»

«Lo so», ammise Judy. «Ma è fondamentale.»

«Arthur dice di no.»

«Fammi parlare con Arthur», disse Dorothy.

Arthur comparve e lanciò a entrambe uno sguardo torvo. «Questa storia sta diventando molto fastidiosa. Ho parecchie cose da pensare e da studiare, e questo continuo tormento mi sta davvero sfibrando.»

«Deve darci il permesso di dirlo a Gary», fece Judy.

«Assolutamente no. Lo sanno già due persone di troppo.»

«È necessario, se dobbiamo aiutarla», disse la Turner.

«Non ho bisogno di aiuto, signora. Danny e David potrebbero aver bisogno di aiuto, ma la cosa di certo non interessa me.»

«Non le interessa salvare la vita a Billy?» chiese Judy, infuriata per l’atteggiamento di superiorità di Arthur.

«Sì», disse lui, «ma a quale prezzo? Diranno che siamo pazzi. La situazione ci sta sfuggendo di mano. È da quando ha tentato di saltare dal tetto della scuola che stiamo tenendo Billy in vita.»

«Cosa vuol dire?» chiese la Turner. «Tenerlo in vita come?»

«Facendolo dormire per tutto questo tempo.»

«Ma non capisce come tutto questo può influire sul caso?» disse Judy. «Può determinare la prigione o la libertà. Fuori delle mura della prigione non avrebbe forse più tempo e maggiore autonomia per pensare e per studiare? O vuol tornare a Lebanon?»

Arthur accavallò le gambe e spostò lo sguardo da Judy a Dorothy, e poi tornò su Judy. «Non mi piace discutere con delle signore. Accetterò solo alla stessa condizione di prima… che otteniate il permesso anche da tutti gli altri.»

Tre giorni dopo Judy Stevenson ottenne il permesso di parlare con Gary Schweickart.

In quella fredda mattina di gennaio, Judy tornò in ufficio a piedi dalla Franklin County Jail. Si versò una tazza di caffè, andò direttamente da Gary, si sedette tra i mucchi di carte, e si fece coraggio.

«Bene», disse. «Non farti passare nessuna chiamata. Devo dirti una cosa che riguarda Billy.»

Quando ebbe finito di raccontargli dei suoi incontri con Dorothy Turner e Billy Milligan, lui la guardò come se fosse pazza.

«L’ho visto con i miei occhi», insistette lei. «Ho parlato con loro.»

Gary si alzò e cominciò ad andare su e giù dietro la scrivania, i capelli arruffati che ricadevano fuori del colletto e la camicia troppo larga mezza fuori dei pantaloni. «Oh, avanti», protestò. «Non prendiamoci in giro. Voglio dire: lo so che è mentalmente disturbato, e sono dalla tua parte, ma questo non funzionerà.»

«Devi venire e vedere tu stesso. Tu non sai… io sono assolutamente convinta.»

«D’accordo. Ma sia chiaro: io non ci credo. L’accusa non ci crederà. E neppure il giudice. Ho una grande fiducia in te, Judy. Sei un bravo avvocato e hai un’ottima capacità di valutare le persone. Ma questo è un raggiro. Credo che tu ti stia facendo fregare.»

Il giorno seguente, alle tre, Gary andò con lei alla Franklin County Jail, aspettandosi di restarci per circa mezz’ora. Aveva completamente rifiutato l’idea, in blocco. Era impossibile. Ma il suo scetticismo si traformò in curiosità quando si trovò di fronte, una dopo l’altra, le diverse personalità. Vide David, spaventato, trasformarsi nel timido Danny, che ricordava di averlo incontrato in quel primo giorno terrificante, quando l’avevano portato dentro e l’avevano incriminato.

«Non avevo idea di cosa stesse succedendo il giorno che hanno fatto irruzione nel mio appartamento e m’hanno arrestato», disse Danny.

«Perché hai detto che c’era una bomba?»

«Non ho detto che c’era una bomba.»

«Hai detto all’agente: ‘La farai saltare in aria’.»

«Be’, Tommy dice sempre: ‘State lontani dalla mia roba che magari esplode’.»

«Perché dice così?»

«Chiedilo a lui. È lui l’esperto di elettronica, sempre ad armeggiare con cavi e roba del genere. Era roba sua.»

Schweickart si tirò la barba ripetutamente. «Artista della fuga ed esperto di elettronica. D’accordo. Possiamo parlare con ‘Tommy’?»

«Non lo so. Tommy parla solo con chi gli va.»

«Non puoi portare fuori Tommy?» chiese Judy.

«Non posso farlo. Deve succedere. Diciamo che potrei chiedergli di parlare con voi.»

«Prova», disse Schweickart, trattenendo un sorriso. «Fai del tuo meglio.»

Il corpo di Milligan sembrò ritirarsi in se stesso. Impallidì, e gli occhi si velarono come se fossero sul punto di rovesciarsi. Muoveva le labbra come se stesse parlando con se stesso, e la sua intensa concentrazione pervase la piccola stanza. Schweickart tratteneva il respiro e il sorriso di sufficienza svanì. Gli occhi di Milligan vagavano da una parte all’altra. Si guardò in giro, come qualcuno che si è appena svegliato da un profondo sonno, e si mise la mano sulla guancia destra come se volesse verificarne la solidità. Poi si appoggiò indietro sulla sedia con un’aria arrogante e guardò torvo i due avvocati.

Gary lasciò andare il respiro. Era impressionato. «Sei Tommy?» chiese.

«Chi lo vuole sapere?»

«Sono il tuo avvocato.»

«Mio, no di certo.»

«Sono quello che aiuterà Judy Stevenson a tenere fuori di prigione il corpo che hai addosso, chiunque tu sia.»

«Cazzate. Non ho bisogno di nessuno che mi tenga fuori di niente. Non c’è prigione al mondo che possa tenermi dentro. Posso tirarmi fuori in qualunque momento mi va di farlo.» Gary lo fissò fino a costringerlo ad abbassare lo sguardo. «Quindi tu sei quello che continua a sgusciar fuori della camicia di forza. Devi essere Tommy.»

Sembrava annoiato. «Sì… sì.»

«Danny ci stava raccontando di quella scatola di roba elettronica che la polizia ha trovato nell’appartamento. Ha detto che era tua.»

«Ha sempre avuto la lingua lunga.»

«Perché hai fatto una bomba finta?»

«Merda, non era una bomba finta. Cosa posso farci se quegli stronzi di poliziotti sono troppo stupidi per capire quando si trovano davanti a una scatola nera?»

«Cosa vuoi dire?»

«Semplicemente quello che ho detto. Era una scatola nera per manomettere il sistema della compagnia telefonica. Stavo solo facendo degli esperimenti con un nuovo telefono per la macchina. Ho legato quei cilindri con un nastro rosso, e quegli idioti hanno pensato che era una bomba.»

«Hai detto a Danny che poteva esplodere.»

«Oh, Cristo! Lo dico sempre ai ragazzini, così non mettono le mani nella mia roba.»

«Dove hai imparato l’elettronica, Tommy?» chiese Judy. Scrollò le spalle. «Per conto mio. Dai libri. Da quando lo ricordo, ho sempre voluto capire come funzionano le cose.»

«E l’abilità per la fuga?» chiese Judy.

«Mi ha incoraggiato Arthur. C’era bisogno di qualcuno che sapesse liberarsi dalle corde quando uno di noi era legato nel granaio. Ho imparato a controllare i muscoli e le ossa delle mani. E poi ho cominciato a interessarmi a tutti i tipi di serrature e chiavistelli.»

Schweickart si fermò qualche istante a riflettere. «Anche le armi sono tue?»

Tommy scosse la testa. «Ragen è l’unico autorizzato a maneggiare armi.»

«Autorizzato? Chi dà le autorizzazioni?» chiese Judy.

«Be’, dipende da dove siamo… Sta‘ a sentire, mi sono stancato di farmi spremere. È il lavoro di Arthur, o di Allen. Chiedi a uno di loro, okay? Io me ne vado.»

«Aspetta…»

Ma era troppo tardi. Gli occhi gli si annebbiarono e cambiò posizione. Unì la punta delle dita, formando una piramide con le mani. Quando alzò il mento, la sua faccia assunse l’espressione che Judy aveva imparato ad attribuire ad Arthur. Lo presentò a Gary.

«Dovete perdonare Tommy», disse Arthur gelido. «È un giovane piuttosto antisociale. Se non fosse così bravo con le apparecchiature elettroniche e le serrature, penso che l’avremmo bandito da tempo. Ma i suoi sono talenti utili.»

«E lei che talenti ha?» chiese Gary.

Arthur fece un gesto con la mano come per minimizzare. «Mi diletto in biologia e in medicina, ma solo a livello amatoriale.»

«Gary stava chiedendo a Tommy delle armi», disse Judy. «Come lei sa, è una violazione della libertà condizionale.» Arthur annuì. «Il solo autorizzato a maneggiare armi è Ragen, il guardiano della rabbia. Questa è la sua specializzazione. Ma può usarle solo per difesa e sopravvivenza, così come dovrebbe usare la sua immensa forza solo per il bene comune, mai per fare del male a qualcuno. Ha la capacità di controllare e concentrare l’adrenalina, sapete.»

«Ha usato le armi quando ha rapito e violentato quelle quattro donne», disse Gary.

Il tono di Arthur si fece di una calma agghiacciante. «Ragen non ha mai violentato nessuno. Ho parlato con lui di questa faccenda. Ha cominciato con le rapine perché era preoccupato a proposito dei conti non pagati. Ammette di aver derubato le tre donne in ottobre, ma nega in modo assoluto qualunque coinvolgimento con quella donna in agosto o con qualunque altro reato di tipo sessuale.»

Gary si piegò in avanti, guardando in faccia Arthur da vicino, consapevole del fatto che il suo scetticismo stava venendo meno. «Ma le prove…»

«Al diavolo le prove! Se Ragen dice che non è stato lui, non c’è motivo di metterlo in dubbio. Non mente. Ragen è un ladro, ma non uno stupratore.»

«Dice che ha parlato con Ragen», disse Judy. «Come funziona? Vi parlate a voce alta o nella vostra testa? Sono parole o pensieri?»

Arthur si strinse le mani. «Succede in tutti e due i modi. A volte è una cosa interna, e in tutta probabilità nessun altro se ne accorge. Altre volte, di solito quando siamo soli, è decisamente ad alta voce. Credo che se qualcuno ci stesse guardando penserebbe che siamo assolutamente matti.»

Gary si appoggiò allo schienale, tirò fuori il fazzoletto e si asciugò il sudore dalla fronte. «Chi ci crederà?»

Arthur sorrise in modo condiscendente. «Le stavo dicendo: Ragen, come tutti noi, non mente mai. Per tutta la vita la gente ci ha accusato di essere dei bugiardi. È diventata una questione di onore quella di non dire mai il falso tra di noi. Non ci interessa proprio se ci crederanno o no.»

«Ma non dici sempre la verità spontaneamente», disse Judy. «… e questo è mentire per omissione», aggiunse Gary.

«Oh, andiamo», disse Arthur, senza cercare in alcun modo di nascondere il suo disprezzo. «Come avvocato, lei sa benissimo che un testimone non è tenuto a dare spontaneamente informazioni che non gli sono state richieste. Sarebbe lei il primo a dire a un cliente di attenersi al sì e al no, e di non dare risposte elaborate a meno che non sia nel suo interesse. Se fa una domanda diretta a uno di noi, otterrà una risposta sincera o il silenzio. Ovviamente ci saranno situazioni in cui la verità potrà essere interpretata in vario modo. La lingua inglese è ambigua per natura.»

Gary annuì pensieroso. «Lo terrò presente. Ma penso che stiamo andando fuori tema. A proposito di quelle armi…»

«Ragen sa molto meglio di ognuno di noi che cosa è successo la mattina dei tre crimini. Perché non parla con lui?»

«Non adesso», disse Gary. «Non ancora.»

«Ho la sensazione che lei abbia paura di incontrarlo.» Gary lo fulminò con lo sguardo. «E non è proprio questo che vuole? Non è in parte per questo motivo che ci ha detto quanto sia malvagio e pericoloso?»

«Non ho mai detto che è malvagio.»

«L’effetto è quello», disse Gary.

«Penso sia importante che conosciate Ragen», sbottò Arthur. «Avete aperto il vaso di Pandora, e a questo punto penso che dovreste alzare del tutto il coperchio. Ma lui non verrà a meno che non lo vogliate.»

«Vuole parlare con noi?» chiese Judy.

«La domanda è: voi volete parlare con lui?»

Gary si rese conto che l’idea di affrontare Ragen lo spaventava.

«Penso che dovremmo», azzardò Judy, guardando Gary.

«Non vi farà del male», disse Arthur sorridendo con un’aria ostile. «Sa che siete qui entrambi per aiutare Billy. Ne abbiamo parlato, e adesso che il segreto è venuto fuori, sappiamo che dobbiamo essere disponibili con voi. È la nostra ultima speranza per non finire in carcere, come sostiene in modo così convinto la signora Stevenson.»

Gary sospirò e buttò indietro la testa. «D’accordo, Arthur. Vorrei conoscere Ragen.»

Arthur spostò la sedia in fondo alla minuscola sala colloqui, per mettere più distanza possibile tra loro. Si sedette di nuovo, e i suoi occhi diventarono distanti, come se stesse guardando dentro di sé. Le labbra si muovevano, la mano si sollevò di scatto per toccarsi la guancia. La mascella si contrasse. Poi cambiò posizione, la schiena diritta di Arthur si rilassò e il suo corpo assunse la postura accovacciata e aggressiva di un combattente guardingo. «Non giusto. Non bene svelare segreto.»

Ascoltarono a bocca aperta mentre la sua voce assumeva un tono basso e duro, carico di forza, sicurezza e ostilità. Rimbombava nella saletta riunioni con un forte accento slavo.

«Io dico voi adesso», disse Ragen fissandoli, il volto trasfigurato dalla tensione dei muscoli, lo sguardo penetrante, le sopracciglia sporgenti. «Anche dopo che David ha detto il segreto per errore, io ero contro.»

Non sembrava l’imitazione di un accento slavo. La sua voce ora aveva davvero quel sibilo caratteristico di chi è cresciuto nell’Europa dell’est e ha imparato l’inglese senza però perdere mai l’accento.

«Perché non vuoi che emerga la verità?» chiese Judy.

«Chi crederà?» esclamò, stringendo i pugni. «Diranno che siamo tutti pazzi. Non bene.»

«Potrebbe tenerti fuori di prigione», disse Gary.

«Com’è possibile?» sbottò Ragen. «Non sono uno stupido, signor Schweickart. La polizia ha le prove che io commetto furti. Ammetto tre rapine vicino all’università. Solo tre. Ma le altre cose che dicono io fatto, tutte bugie. Non sono uno stupratore. Andrò in tribunale e confesserò le rapine. Ma se andiamo in prigione, io ammazzo bambini. È eutanasia. La prigione non è buon posto per i più piccoli.»

«Ma se ucciderai… i piccoli… non ucciderai anche te stesso?» chiese Judy.

«Non necessariamente», disse Ragen. «Noi tutti persone diverse.»

Gary si passò le dita tra i capelli spazientito. «Ascolta, quando Billy - o chiunque fosse - si è spaccato la testa contro il muro della cella la settimana scorsa, non ha fatto del male al cranio che hai addosso?»

Ragen si toccò la fronte. «Vero. Ma dolore non per me.»

«Chi ha provato dolore?» chiese Judy.

«David è guardiano del dolore. È lui che accetta tutta sofferenza. David è empatia.»

Gary fece per alzarsi dalla sedia per mettersi a camminare, ma quando vide la tensione di Ragen ci ripensò e tornò a sedersi. «È David quello che ha tentato di fracassarsi il cervello?»

Ragen scosse la testa. «Era Billy.»

«Ah», disse Gary, «pensavo che Billy fosse stato addormentato per tutto questo tempo.»

«Vero. Ma era suo compleanno, così la piccola Christene fa un biglietto di auguri per lui e vuole dare. Arthur permette a Billy di svegliarsi per compleanno e di uscire sul posto. Io non volevo. Io sono il protettore. È mia responsabilità. Forse è vero che Arthur è più intelligente di me, ma è umano. Arthur fa errori.»

«Cosa è successo quando Billy si è svegliato?» chiese Gary. «Si guarda in giro. Vede che è in cella di prigione. Pensa che fatto qualcosa di male. E allora spacca sua testa contro parete.»

Judy sussultò.

«Capite, Billy non sa nulla di noi», disse Ragen. «Ha - come la chiamate? - amnesia. Lascia che io spiego. Quando è a scuola, e perde tutto quel tempo, sale sul tetto. Sta per saltare, lo lo tolgo dal posto per fermarlo. Da quel giorno lui dorme. Io e Arthur lo teniamo addormentato per proteggere.»

«Quando è stato?» chiese Judy.

«Subito dopo sedicesimo compleanno. Ricordo che era depresso perché suo padre fa lavorare anche giorno di suo compleanno.»

«Mio Dio», sussurrò Gary. «Addormentato per sette anni?»

«È ancora addormentato. Stato sveglio solo cinque minuti. È stato un errore lasciarlo uscire sul posto.»

«Chi ha fatto tutto quanto?» chiese Gary. «Chi ha lavorato? Chi ha parlato con la gente, da allora? Nessuna delle persone con cui abbiamo discusso ci ha riferito di un accento britannico o russo.»

«Non russo, signor Schweickart. Iugoslavo.»

«Chiedo scusa.»

«Non c’è problema, solo mettere cose in chiaro. Per rispondere a sua domanda: quando si tratta di avere a che fare con persone, di solito escono sul posto Allen e Tommy.»

«Vanno e vengono come pare a loro?»

«Lascia che io spiego. In circostanze diverse, le regole per il posto le diamo Arthur o io, dipende da situazione. In prigione controllo io il posto - decido io chi può andare avanti e chi no - perché prigione è posto pericoloso. Come protettore, ho pieno potere e comando. In situazioni dove non c’è pericolo e sono più importanti intelligenza e logica, allora Arthur domina il posto.»

«Chi controlla il posto adesso?» chiese Gary, consapevole di aver perso tutto il suo distacco professionale e di essersi fatto prendere totalmente dalla curiosità e dal coinvolgimento per quell’incredibile fenomeno.

Ragen scrollò le spalle e si guardò in giro. «È prigione.»

La porta della sala colloqui si aprì inaspettatamente e Ragen saltò su come un gatto, immediatamente allerta e sulla difensiva, con le mani in posizione da karate. Quando vide che era solo un avvocato che controllava se la sala era occupata, si ricompose.

Nonostante Gary si fosse aspettato di trascorrere i soliti quindici о trenta minuti con il suo cliente, convinto che avrebbe smascherato una truffa bella e buona, quando se ne andò, cinque ore più tardi, era assolutamente certo che Billy Milligan fosse una personalità multipla. Mentre usciva con Judy nel freddo della notte, si ritrovò a prendere in considerazione idee assurde come fare una spedizione in Inghilterra о in Iugoslavia per verificare se ci fosse traccia dell’esistenza di Arthur о di Ragen. Non che credesse in cose come la reincarnazione о le possessioni diaboliche, tuttavia mentre continuava a camminare ancora frastornato, doveva ammettere che quel giorno, in quella sala riunioni, aveva incontrato persone diverse.

Diede uno sguardo a Judy, che stava camminando immersa come lui in un silenzio inebetito. «Okay», disse lui. «Confesso di essere in uno stato di shock intellettuale ed emotivo. Ci credo. E credo di poter convincere Jo Anne quando mi chiederà perché, per l’ennesima volta, non sono arrivato per cena. Ma come diavolo faremo a convincere l’accusa e il giudice?»

6

Il 21 febbraio, la dottoressa Stella Karolin, psichiatra del Southwest Community Health Mental Center e collega della dottoressa Turner, informò i difensori d’ufficio che la dottoressa Cornelia Wilbur, famosa nel mondo per aver curato Sybil, la donna con sedici personalità, aveva accettato di venire dal Kentucky per vedere Milligan il 10 marzo.

Preparandosi per la visita della dottoressa Wilbur, Dorothy Turner e Judy Stevenson si assunsero il compito di convincere Arthur, Ragen e gli altri a svelare il segreto a un’altra persona, e di nuovo furono costrette a passare ore a convincere tutte le personalità, una per una. Ormai avevano sentito sette voci: Arthur, Allen, Tommy, Ragen, David, Danny, Christopher, ma non avevano ancora incontrato Christene, la sorella di tre anni di Christopher, né avevano sentito Billy, la personalità originale o centrale che gli altri stavano tenendo addormentata. Quando alla fine ricevettero il permesso di condividere il segreto con altre persone, costituirono un gruppo di cui avrebbe fatto parte anche un rappresentante dell’accusa e che avrebbe osservato l’incontro tra la dottoressa Wilbur e Milligan alla Franklin County Jail.

Judy e Gary intervistarono la madre di Milligan, Dorothy, la sorella minore Kathy e il fratello maggiore Jim; sebbene nessuno di loro avesse una conoscenza di prima mano degli abusi dichiarati da Billy, la madre riferì di essere stata picchiata più volte da Chalmer Milligan. Insegnanti, amici e parenti descrivevano lo strano comportamento di Billy Milligan, i suoi tentativi di suicidio e i suoi stati simili alla trance.

Judy e Gary erano certi di avere per le mani il caso convincente di un imputato che - secondo tutti i test legali in Ohio -non era in grado di affrontare un processo. Si resero conto, però, di trovarsi davanti a un altro ostacolo: se il giudice Flowers avesse accettato il rapporto del Southwest, Billy Milligan avrebbe dovuto essere mandato in un istituto per malati mentali per una diagnosi e una terapia. Judy e Gary non volevano che fosse mandato al manicomio criminale di Lima, il Lima State Hospital: ne conoscevano la reputazione attraverso l’esperienza di diversi clienti, ed erano sicuri che lui, laggiù, non sarebbe sopravvissuto.

La dottoressa Wilbur avrebbe dovuto incontrare Milligan venerdì, ma per motivi personali dovette modificare i suoi piani. Judy chiamò Gary da casa per informarlo.

«Vieni in ufficio nel pomeriggio?» chiese lui.

«Non ne avevo intenzione», protestò lei.

«Dobbiamo lavorare su questa cosa», fece Gary. «Il Southwest continua a dire che non c’è alternativa a Lima, ma qualcosa dentro di me mi dice che ci deve essere.»

«Ascolta: in ufficio, con il termostato abbassato, si gela», disse lei. «Al è fuori e ho il camino acceso. Vieni qui. Ti faccio un Irish coffee e analizziamo la situazione.»

«Hai vinto», esclamò Gary con una risata:

Mezz’ora dopo erano seduti entrambi davanti al camino. Gary si riscaldava le mani stringendo la tazza fumante. «Ti dirò la verità, quando è venuto fuori Ragen, sono rimasto proprio disorientato», disse. «Quello che mi stupisce è che è davvero un tipo che ti prende.»

«Esattamente quello che stavo pensando io», rispose Judy. «Voglio dire, Arthur lo chiama ‘il custode della rabbia’, e io mi aspettavo un personaggio diabolico. Ma è davvero un tipo interessante. Gli credo completamente quando nega lo stupro della donna aggredita al Nationwide Plaza in agosto, e adesso mi ritrovo a farmi delle domande quando dice che non ha violentato nemmeno le altre tre.»

«Sono d’accordo sulla prima. È chiaro che è un’accusa per emulazione. Le modalità sono completamente diverse. Ma le altre tre sono state senza dubbio rapite, derubate e violentate», disse Judy.

«Tutto quello che abbiamo sono spizzichi e bocconi dei suoi ricordi. È maledettamente strano, sai, che Ragen abbia detto di riconoscere la sua seconda vittima, di essere sicuro che uno di loro l’avesse incontrata prima.»

«E adesso salta fuori che Tommy si ricorda di essere ‘uscito sul posto’ al drive-in Wendy’s, a mangiare hamburger con la terza vittima, supponendo che uno degli altri fosse fuori con lei per un appuntamento.»

«La testimonianza di Polly Newton conferma la sosta al drive-in degli hamburger. È stata lei a raccontare che lo sguardo di Billy era diventato strano e che lui aveva troncato l’atto sessuale dopo un paio di minuti, sostenendo che non poteva farlo e dicendo a se stesso: ‘Bill, cos’hai che non va? Riprendili’. Poi Billy aveva dichiarato di aver bisogno di una doccia fredda per calmarsi.»

«Ma tutto quel parlare scriteriato a proposito del far parte dei Weathermen e di guidare una Maserati…»

«Uno di loro stava facendo lo sbruffone.»

«Okay, allora ammettiamo che non sappiamo cos’è successo, proprio come non lo sa nessuna delle personalità che abbiamo incontrato.»

«Ragen ammette le rapine», disse Judy.

«Sì, ma nega gli stupri. Voglio dire, l’intera faccenda è strana. Ma te lo immagini, tre volte nel giro di due settimane, Ragen che beve e si fa di anfetamine e poi di primo mattino fa jogging per diciotto chilometri attraversando la città fino al campus della Ohio State University? E dopo aver selezionato una vittima, perde coscienza…»

«Lascia il posto», lo corresse Judy.

«Sì, intendevo quello.» Le porse la tazza per farsela riempire di nuovo. «Così ogni volta lui lascia il posto, e subito dopo si ritrova nel centro di Columbus con i soldi in tasca, e presume di aver commesso le rapine che aveva pianificato. Ma non ricorda di averle fatte. In nessuno dei tre casi. Come dice lui, nell’intervallo qualcun altro ha ‘trafugato’ del tempo.»

«Be’, mancano dei pezzi», disse Judy. «Qualcuno aveva buttato quelle bottiglie nello stagno e si stava esercitando nel tiro al bersaglio.»

Gary annuì. «Questo prova che non era Ragen. Secondo la donna, per alcuni secondi non è stato in grado di far funzionare la pistola. Voglio dire, ci ha giocherellato fino a quando non è riuscito a togliere la sicura. E poi ha mancato un paio di bottiglie. Un esperto come Ragen le avrebbe centrate tutte.»

«Ma Arthur dice che agli altri è vietato maneggiare le armi di Ragen.»

«Mi vedo la scena, mentre cerchiamo di spiegarlo al giudice Flowers.»

«Lo faremo?»

«Non lo so», disse Gary. «È stupido appellarsi all’infermità mentale per difendere una personalità multipla, dal momento che ufficialmente si tratta di una condizione classificata come nevrosi e non come psicosi. Perfino gli strizzacervelli dicono che le personalità multiple non sono malati di mente.»

«Okay», osservò Judy, «perché non sostenere addirittura la non colpevolezza, senza tirar fuori l’infermità mentale? Attacchiamo l’idea di intenzionalità degli atti, come in quel caso di personalità multipla in California.»

«Lì c’era in ballo un reato minore», disse Gary. «Con un caso come il nostro, molto grave e di dominio pubblico, una difesa per personalità multipla non funzionerà. Questo è un dato di fatto.»

Judy sospirò e si mise a fissare il fuoco.

«E ti dirò un’altra cosa», proseguì Gary, strofinandosi la barba. «Anche se il giudice Flowers dovesse vederla come noi, lo manderà a Lima. Billy ha sentito che razza di posto è Lima quando era in prigione. Ti ricordi quello che ha detto Ragen a proposito dell’eutanasia? A proposito di uccidere i bambini se lo mandano là? Credo che lo farebbe.»

«E allora facciamolo mandare da qualche altra parte!» disse Judy.

«Il Southwest sostiene che Lima è l’unico posto per la terapia prima del processo.»

«Prima di mandarlo a Lima devono passare sul mio cadavere», sbottò Judy.

«Rettifica», disse Gary, alzando la tazza, «sui nostri cadaveri.»

Fecero tintinnare le tazze e Judy le riempì di nuovo. «Non posso accettare il fatto di non avere scelta.»

«E allora troviamo un’alternativa», disse lui.

«Hai ragione», replicò lei. «Troveremo un’alternativa.»

«Non è mai stato fatto prima», disse Gary, asciugandosi la panna dalla barba.

«Che vuol dire? Anche l’Ohio non ha mai avuto un Billy Milligan prima d’ora.»

Estrasse dallo scaffale la sua copia - piuttosto vissuta - dell’Ohio Criminal Law Handbook, e si misero entrambi a studiarla, leggendo ad alta voce a turno.

«Ancora un po’ di Irish?» chiese Judy.

Gary scosse la testa. «Solo caffè nero, e fallo bello forte.»

Due ore dopo, le fece rileggere un passo dal manuale. Judy lece scorrere il dito lungo la pagina fino all’articolo 2945-38.

qualora i giudici o la giuria ne rilevino l’infermità mentale, [la persona] dovrà essere immediatamente affidata a un ospedale per malati o ritardati mentali all’interno della giurisdizione del tribunale. Qualora i giudici lo ritengano opportuno, dovranno affidare la persona al Lima State Hospital fino a che non abbia ritrovato la ragione, e solo allora si potrà procedere contro di lei nei termini previsti dalla legge.

«Sì!» esclamò Gary, balzando in piedi. «‘Un ospedale all’interno della giurisdizione del tribunale.’ Non dice necessariamente Lima.»

«L’abbiamo trovato!»

«Accidenti», disse lui, «tutti continuano a dire che non c’è mai stata un’alternativa a Lima per l’internamento prima del processo.»

«Adesso dobbiamo solo trovare un altro ospedale psichiatrico all’interno della giurisdizione della corte.»

Gary si colpì la fronte. «Ragazzi, questo è incredibile. Ne conosco uno. Ci ho lavorato come ausiliario dopo aver finito il servizio militare. L’Harding Hospital.»

«L’Harding? È nella giurisdizione della corte?»

«Certo. A Worthington, Ohio. E stai a sentire, è uno degli ospedali psichiatrici più conservatori e rispettabili del Paese. È affiliato alla Chiesa Avventista del Settimo Giorno. Ho sentito pubblici ministeri, di quelli duri, affermare cose del tipo: ‘Se il dottor George Harding Jr. dice che è malato, ci credo. Non è come altri medici che visitano il paziente per la difesa cavandosela in una mezz’oretta a poi dicono che è pazzo’.»

«I pubblici ministeri dicono questo?»

Gary alzò la mano destra. «L’ho sentito con le mie orecchie, quindi aiutami. Penso addirittura che fosse Terry Sherman. Ehi, se non sbaglio Dorothy Turner ha detto che fa spesso dei test per l’Harding Hospital.»

«Quindi lo mandiamo a Harding», disse Judy.

Gary si sedette subito, avvilito. «C’è solo una cosa. Harding è un ospedale privato esclusivo e costoso, e Billy non ha soldi.»

«Non lasceremo che questo ci fermi», disse Judy.

«Sì, come ce lo facciamo entrare?»

«Faremo in modo che siano loro a volerlo.»

«E come ci riusciamo?»

Mezz’ora più tardi, Gary si scrollò la neve dagli stivali e suonò alla porta di Harding. All’improvviso si sentiva terribilmente consapevole di essere un barbuto, eccentrico difensore d’ufficio che affrontava lo psichiatra conservatore, lo psichiatra dell’establishment - niente meno che il nipote del fratello del presidente Warren G. Harding - nella sua lussuosa casa. Sarebbe dovuta andare anche Judy, lei avrebbe fatto un’impressione migliore. Mentre la porta principale si apriva strinse il nodo allentato della cravatta e infilò il colletto storto della camicia all’interno della giacca.

George Harding, quarantanove anni, era un uomo slanciato e dall’aspetto impeccabile, con un viso senza rughe e occhi e voce gentili. Gary rimase colpito da quanto fosse attraente. «Entri, signor Schweickart.»

Gary si tolse faticosamente gli stivali e li lasciò in una pozza all’ingresso. Poi, levandosi la giacca e appendendola sull’attaccapanni, seguì il dottor Harding in salotto.

«Mi sembrava che il suo nome fosse familiare», disse Harding. «Poi, dopo che ha chiamato, ho ricontrollato sui giornali. Lei è il difensore di Milligan, il giovane che ha aggredito le quattro donne nel campus della Ohio State University».

Gary scosse la testa. «Tre. Lo stupro di agosto al Nationwide Plaza è stato un atto molto diverso e senza dubbio verrà archiviato. Il caso ha preso una direzione decisamente insolita, e speravo che lei potesse darmi la sua opinione in merito.» Harding fece segno a Gary di sedersi sul soffice divano, ma per sé prese una sedia dallo schienale rigido. Congiunse la punta delle dita e ascoltò attentamente mentre Gary spiegava, scendendo nei dettagli, quello che lui e Judy avevano appreso su Milligan e lo informava dell’imminente incontro di domenica alla Franklin County Jail.

Harding annuì pensieroso, e quando parlò scelse le parole con estrema attenzione. «Nutro un assoluto rispetto per Stella Karolin e Dorothy Turner.» Rifletteva con lo sguardo rivolto al soffitto. «Turner fa dei test part-time per noi, e mi ha già parlato del caso. Ora, dal momento che la dottoressa Wilbur sarà là…» Fissò il pavimento attraverso le sue dita. «… non vedo perché non possa assistere anch’io. Ha detto domenica?» Gary annuì, senza osar parlare.

«Bene, signor Schweickart, devo dirle che ho pesanti riserve sulla sindrome nota come personalità multipla. La dottoressa Cornelia Wilbur ha tenuto una conferenza su Sybil all’Harding Hospital nell’estate del 1975, ma io non sono convinto di crederci veramente. Con tutto il dovuto rispetto per lei e per gli altri psichiatri che hanno lavorato con queste persone… Be’, in un caso come questo, è palesemente fin troppo facile che il paziente simuli l’amnesia. Tuttavia, se la Turner e Karolin saranno là… e se la dottoressa Wilbur si sobbarca il viaggio…» Si alzò in piedi. «Non mi assumo alcun impegno né a titolo personale né da parte dell’ospedale. Ma sarò felice di essere presente all’incontro.»

Appena arrivò a casa, Gary chiamò Judy. «Ehi, avvocato», disse ridendo. «Harding ci sarà.»

Sabato 11 marzo, Judy si recò alla Franklin per informare Milligan che il programma era cambiato e la dottoressa Cornelia Wilbur non sarebbe arrivata fino al giorno successivo.

«Avrei dovuto dirtelo ieri», disse Judy. «Mi dispiace.» Lui cominciò a tremare violentemente, e dall’espressione Judy capì che stava parlando con Danny.

«Dorothy Turner non tornerà più, vero?»

«Certo che tornerà, Danny. Perché pensi una cosa del genere?»

«Le persone fanno delle promesse e poi se ne dimenticano. Non lasciarmi solo.»

«Non ti lascerò solo. Ma devi controllarti. La dottoressa Wilbur sarà qui domani, e ci saremo anche Stella Karolin e io e Dorothy Turner… e qualche altra persona.»

Spalancò gli occhi. «Altre persone?»

«Ci sarà un altro dottore, George Harding, dell’Harding Hospital. E il rappresentante dell’accusa, Bernie Yavitch.»

«Uomini?» ansimò Danny. Tremava così forte che cominciò a battere i denti.

«È fondamentale per la tua difesa», disse Judy. «Ma ci saremo anche Gary e io. Ascolta, penso che dovremmo farci dare qualcosa per calmarti.»

Danny annuì.

Judy chiamò la guardia e chiese che il suo cliente fosse trasferito in una cella mentre lei andava a cercare un medico. Quando tornarono pochi minuti dopo, Milligan se ne stava rannicchiato nell’angolo in fondo alla stanza. Aveva il volto coperto di sangue, e gli sanguinava il naso. Aveva sbattuto la testa contro il muro.

Le rivolse uno sguardo assente, e Judy capì che non era più Danny. Era il guardiano del dolore. «David?» chiese.

Lui annuì. «Fa male, signorina. Molto male. Non voglio più vivere.»

Lo tirò verso di sé e lo cullò tra le sue braccia. «Non devi dire così, David. Hai tante cose per cui devi vivere. Ci sono tante persone che credono in te, e ti aiuteranno.»

«Ho paura di andare in prigione.»

«Non ti manderanno in prigione. Noi faremo di tutto perché non accada.»

«Non ho fatto niente di male.»

«Lo so, David. Ti credo.»

«Quando torna a trovarmi Dorothy Turner?»

«Ti ho detto…» E a quel punto si rese conto che l’aveva detto a Danny. «Domani, David. Con un’altra psichiatra, la dottoressa Wilbur.»

«Non le direte il segreto, vero?»

Judy scosse il capo. «No, David. Nel caso della dottoressa Wilbur, sono sicura che non ce ne sarà bisogno.»

7

La mattina del 12 marzo, domenica, l’aria era fredda e limpida. Bernie Yavitch scese dalla sua auto e si diresse verso il carcere della contea, con la sensazione che fosse tutto molto strano. Per la prima volta, in qualità di pubblico ministero, sarebbe stato presente mentre l’imputato veniva esaminato dagli psichiatri. Sebbene avesse letto e riletto la relazione del Southwest e i rapporti della polizia, non aveva idea di che cosa aspettarsi.

Proprio non riusciva a credere che tutti quei medici illustri stessero prendendo seriamente la storia della personalità multipla. Il fatto che Cornelia Wilbur andasse lì apposta per visitare Milligan non lo impressionava: lei credeva nelle personalità multiple, e quindi andava a cercarsele. Era la faccia del dottor George Harding che doveva guardare. Per quanto ne sapesse, non c’era psichiatra più stimato in tutto lo Stato dell’Ohio. Sapeva che nessuno poteva dargli da bere una frottola. Gli psichiatri che testimoniavano nei casi di infermità mentale godevano di scarsissima stima presso i rappresentanti dell’accusa; molti dei più importanti pubblici ministeri, tuttavia, sostenevano che l’unica eccezione fosse rappresentata da George Harding Jr.

Poco dopo arrivarono gli altri, e decisero di tenere il colloquio al piano inferiore, nella sala riunioni degli uomini dello sceriffo, un ampio locale dove gli agenti erano soliti incontrarsi ai cambi di turno, arredato con sedie pieghevoli, lavagne e una scrivania.

Yavitch salutò Stella Karolin e Sheila Porter, l’assistente sociale del Southwest; poi fu presentato a Cornelia Wilbur e a George Harding.

Finalmente la porta si aprì, e per la prima volta vide Billy Milligan. Judy Stevenson camminava al suo fianco tenendolo per mano. Dorothy Turner stava davanti, e Gary chiudeva la fila. Entrarono nella sala riunioni, e Milligan, vedendo tutta quella gente, esitò.

Dorothy Turner li presentò uno per uno e poi lo accompagnò a sedere nel posto più vicino a Cornelia Wilbur. «Dottoressa Wilbur», disse Dorothy a bassa voce, «questo è Danny.»

«Ciao, Danny», replicò la Wilbur. «Sono lieta di conoscerti. Come stai?»

«Bene», rispose lui, aggrappandosi al braccio di Dorothy.

«So che stare in una stanza piena di estranei deve renderti nervoso, ma siamo qui tutti per aiutarti», disse la Wilbur.

Si misero a sedere; Schweickart si allungò verso Yavitch e gli sussurrò: «Se dopo aver visto questo continuerai a non crederci, cambio mestiere».

Quando la Wilbur cominciò a interrogare Milligan, Yavitch si rilassò. Gli sembrava una madre attraente ed energica con capelli e lucida-labbra rosso fuoco. Danny rispose alle sue domande e le raccontò di Arthur e di Ragen e di Allen.

Lei si voltò verso Yavitch. «Vede? È tipico delle personalità multiple questo voler parlare di quello che è successo agli altri, ma non di quello che è successo a se stessi.»

Dopo qualche altra domanda, con le relative risposte, la Wilbur si rivolse a George Harding. «È un chiaro esempio dello stato dissociativo del nevrotico isterico.»

Danny guardò Judy e le disse: «Ha lasciato il posto».

Judy sorrise e sussurrò: «No, Danny. Per lei non è così».

«Deve avere dentro un sacco di persone», insistette Danny. «Mi parla in un modo, e poi cambia e si mette a usare tutti quei paroioni come fa Arthur.»

«Vorrei che il giudice Flowers fosse qui e lo vedesse», disse la Wilbur. «So cosa sta succedendo dentro questo giovane.

So di che cosa ha davvero bisogno.»

Danny si girò di scatto, e lanciò uno sguardo di accusa a Dorothy Turner. «Gliel’hai detto! Hai promesso che non l’avresti fatto, ma gliel’hai detto.»

«No, Danny», rispose la Turner. «Non l’ho fatto. La dottoressa Wilbur sa cosa c’è che non va perché conosce altre persone come te.»

Con voce ferma ma gentile, Cornelia Wilbur mise Danny a suo agio. Lo guardò negli occhi e gli disse di rilassarsi. Si portò la mano sinistra alla fronte, e il brillante che aveva al dito luccicò lanciando un riflesso negli occhi di lui.

«Ora sei completamente rilassato e ti senti bene, Danny. Non c’è niente che ti disturba. Rilassati. Qualunque cosa ti va di fare o di dire va bene. Qualunque cosa desideri.»

«Voglio andare via», disse Danny. «Voglio lasciare il posto.»

«Tutto quello che vuoi fare per noi va bene, Danny. Ascolta: quando te ne vai, vorrei parlare con Billy. Quello che si chiama cosi da quando è nato.»

Danny scrollò le spalle. «Non posso far venire Billy. Sta dormendo. Solo Arthur e Ragen possono svegliarlo.»

«Be’, di’ ad Arthur e a Ragen che devo parlare con Billy. È molto importante.»

Yavitch osservava sempre più stupito mentre lo sguardo di Danny si fece vuoto. Mentre le labbra si muovevano, il corpo sussultò, si raddrizzò, e poi lui si guardò in giro, intontito. All’inizio non disse niente, poi chiese una sigaretta.

La dottoressa Wilbur gliene diede una, e mentre lui si rilassava, Judy Stevenson bisbigliò a Yavitch che l’unico a fumare era Allen.

Cornelia Wilbur fece di nuovo le presentazioni: dapprima se stessa e poi tutte le altre persone radunate nella stanza che non avevano mai incontrato Allen; Yavitch si meravigliò del cambiamento di Milligan, di come sembrasse a suo agio ed espansivo. Sorrideva, era disinvolto e parlava a ruota libera: un atteggiamento completamente diverso dai modi timidi e infantili di Danny. Allen rispose alle domande della Wilbur, parlando dei propri interessi. Suonava il piano e la batteria, disse, e dipingeva… per lo più ritratti. Aveva diciotto anni e amava il baseball, nonostante Tommy lo odiasse.

«D’accordo, Allen», disse la dottoressa Wilbur, «ora vorrei parlare con Arthur.»

«Sì, okay», rispose Allen. «Aspetta, io…»

Yavitch lo fissò mentre, prima di andarsene, fece due boccate rapide e profonde. Sembrava così spontaneo, quel piccolo dettaglio, quegli ultimi tiri prima che Arthur, che non fumava, facesse la sua comparsa.

Di nuovo sbatté le palpebre con lo sguardo vuoto. Poi li aprì, si appoggiò allo schienale, si guardò in giro con un’espressione arrogante e congiunse la punta delle dita. Quando parlò, l’accento era quello dell’alta società britannica.

Yavitch prese un’espressione accigliata mentre ascoltava. Si ritrovò a osservare e ascoltare una nuova persona che dialogava con la dottoressa Wilbur. Il contatto visivo e il linguaggio del corpo di Arthur erano chiaramente diversi da quelli di Alien. Yavitch aveva un amico inglese, un commercialista di Cleveland, e la somiglianza lo sbalordì: il modo di esprimersi era autentico.

«Non credo di conoscere queste persone», disse Arthur. Venne fatto un giro di presentazioni, e Yavitch si sentì un po’ stupido a salutare Arthur come se fosse appena entrato nella stanza. Quando Cornelia Wilbur chiese ad Arthur degli altri, lui descrisse i loro ruoli e spiegò chi avrebbe avuto il permesso di uscire e chi no. Infine la dottoressa disse: «Dobbiamo parlare con Billy.»

«È molto pericoloso svegliarlo», rispose Arthur. «Ha tendenze suicide, sapete.»

«È molto importante che il dottor Harding lo incontri. L’esito del processo potrebbe dipendere da questo. Libertà e terapia, altrimenti la prigione.»

Arthur ci pensò, fece una smorfia increspando le labbra e poi disse: «Be’, a dire il vero, non sono io che devo decidere. Dal momento che siamo in carcere - un ambiente ostile - è Ragen ad avere il controllo, e solo lui prende la decisione finale su chi esce sul posto e chi no».

«Qual è il ruolo di Ragen nelle vostre vite?» chiese lei.

«Ragen è il protettore ed è il custode dell’odio.»

«D’accordo, allora», disse secca Cornelia Wilbur. «Devo parlare con Ragen.»

«Signora, il mio consiglio…»

«Arthur, non abbiamo molto tempo. Un sacco di gente impegnata ha rinunciato alla domenica mattina per venire quaggiù e aiutarti. Ragen deve darci il permesso di parlare con Billy.»

Il volto assunse nuovamente un’espressione vuota, gli occhi fissi, come in uno stato di trance. Le labbra si muovevano come in una conversazione interiore, inaccessibile. Poi le mascelle si contrassero e la fronte si riempì di rughe.

«Non possibile», ringhiò cavernosa la voce slava.

«Cosa vuoi dire?» chiese la dottoressa.

«Non possibile parlare con Billy.»

«Tu chi sei?»

«Sono Ragen Vadascovinich. Chi è questa gente?»

La dottoressa Wilbur li presentò, e Yavitch rifletté di nuovo sul cambiamento, sul sorprendente accento slavo. Gli sarebbe piaciuto conoscere qualche frase in serbo-croato, per verificare se fosse solo una questione di accento, o se Ragen capiva effettivamente la lingua. Avrebbe voluto che la dottoressa Wilbur indagasse. Voleva farlo presente, ma era stato chiesto a tutti di non parlare al di là delle presentazioni.

Cornelia Wilbur chiese a Ragen: «Come sapevi che volevo parlare con Billy?»

Ragen annuì con un’aria vagamente divertita. «Arthur chiede mia opinione. E io non d’accordo. È mio diritto come protettore decidere chi viene sul posto. Non possibile per Billy venire fuori.»

«E perché no?»

«Sei dottore, no? Lascia che dico questo: impossibile perché se Billy si sveglia, si ucciderà.»

«Come fai a esserne sicuro?»

Scrollò le spalle. «Tutte le volte che Billy viene sul posto, lui pensa che fatto qualcosa di male, e prova a uccidersi. È mia responsabilità. Dico di no.»

«Quali sono le tue responsabilità?»

«Proteggere tutti, soprattutto i piccoli.»

«Capisco. E non hai mai fallito nei tuoi doveri? I più piccoli non si sono mai fatti del male o non hanno mai provato dolore perché tu li hai protetti?»

«Non esattamente così. David prova dolore.»

«E tu lasci che David provi dolore?»

«È il suo scopo.»

«Un uomo grande e forte come te permette che un bambino sopporti tutto quel dolore e quella sofferenza?»

«Dottoressa Wilbur, io non uno che…»

«Dovresti vergognarti di te stesso, Ragen. Ora, non penso che tu dovresti importi come autorità. Sono un medico, e ho curato casi come questo prima d’ora. Penso che dovrei essere io a decidere se Billy può venire fuori… certo non qualcuno che permette che un bambino indifeso sopporti il dolore quando lui potrebbe prendersene un po’ sulle spalle.»

Ragen cambiò posizione sulla sedia, con un’aria imbarazzata e colpevole. Bofonchiò dicendo che non si raccapezzava in quella situazione, ma la Wilbur continuò, con un tono di voce calmo ma molto persuasivo.

«D’accordo!» disse Ragen. «Tu sei responsabile. Ma prima tutti uomini devono uscire dalla stanza. Billy ha paura di uomini per quello che suo padre ha fatto a lui.»

Gary, Bernie Yavitch e il dottor Harding si alzarono per lasciare la stanza, ma Judy intervenne.

«Ragen, è molto importante che il dottor Harding possa restare e incontrare Billy. Devi fidarti di me. Il dottor Harding è molto interessato agli aspetti medici di questo caso, e deve essere autorizzato a restare.»

«Noi usciamo», disse Gary, indicando se stesso e Yavitch.

Ragen si guardò in giro per la stanza valutando la situazione. «Accetto», disse, puntando il dito verso una sedia nell’angolo in fondo alla grande stanza. «Ma deve sedere là. E restare.»

Il dottor Harding, che sembrava a disagio, sorrise debolmente. Annuì e andò a sedersi nell’angolo.

«E non muoverti!» disse Ragen.

«D’accordo.»

Gary e Bernie Yavitch uscirono in corridoio, e Gary disse: «Non ho mai incontrato Billy, la personalità centrale. Non so se verrà fuori. Ma che ne pensi di quello che hai visto e sentito?»

Yavitch sospirò. «All’inizio ero molto scettico. Adesso non so cosa pensare, ma non credo che sia una finzione.»

Quelli che rimasero nella stanza osservarono attentamente Milligan mentre il suo volto impallidiva. Lo sguardo sembrava rivolgersi verso l’interno, e le labbra si contrassero come se stesse parlando nel sonno.

Improvvisamente spalancò gli occhi.

«Oh! Mio dio!» gridò. «Pensavo di essere morto!»

Balzò sulla sedia. Accortosi delle persone che lo guardavano, saltò giù dalla sedia, si mise a carponi sul pavimento e fuggì come un granchio verso la parete opposta, il più lontano possibile da tutti quanti, infilandosi tra i braccioli di due sedie, dove si accovacciò e si mise a singhiozzare.

«Cosa ho fatto adesso?»

Con una voce gentile ma ferma, Cornelia Wilbur disse: «Non hai fatto niente di male, ragazzo. Non c’è niente di cui tu ti debba preoccupare».

Era scosso da un tremito e si schiacciava contro il muro come se stesse cercando di passarci attraverso. Sbirciava attraverso i capelli che gli erano finiti davanti agli occhi, senza cercare di scostarli.

«Mi rendo conto che tu non lo sai, Billy, ma tutte le persone presenti in questa stanza sono qui per aiutarti. Ascolta, penso che dovresti tirarti su dal pavimento e sederti su quella sedia, così possiamo parlarti.»

Era chiaro a tutti che la Wilbur aveva la situazione sotto controllo e sapeva esattamente quello che stava facendo e quali fossero i tasti mentali da toccare per farlo rispondere.

Billy si alzò e si sedette al suo posto, con le ginocchia che sussultavano per il nervosismo e il corpo scosso dal tremito. «Non sono morto?»

«Sei più vivo che mai, Billy, e sappiamo che hai dei problemi e hai bisogno di aiuto. Vero che hai bisogno di aiuto?» Annuì, con gli occhi sgranati.

«Dimmi, Billy, perché l’altro giorno ti sei messo a sbattere la testa contro il muro?»

«Pensavo di essere morto», rispose lui, «e poi mi sono svegliato e mi sono ritrovato in prigione.»

«Qual è l’ultima cosa che ti ricordi prima di quello?»

«Salire sul tetto della scuola. Non voglio più vedere dottori. Il dottor Brown al Lancaster Mental Health Center non è riuscito a curarmi. Pensavo che ero saltato giù. Perché non sono morto? Chi siete voi? Perché mi guardate così?»

«Siamo medici e avvocati, Billy, e siamo qui per aiutarti.»

«Medici? Papà Chal mi ucciderà se parlo con voi.»

«Perché, Billy?»

«Non vuole che dica quello che mi ha fatto.»

La Wilbur lanciò uno sguardo interrogativo a Judy Stevenson.

«È il padre adottivo», spiegò Judy. «Sua madre ha divorziato da Chalmer Milligan sei anni fa.»

Billy sbarrò gli occhi, sconcertato. «Divorziato? Da sei anni?» Si toccò la faccia come per assicurarsi che fosse vera. «Com‘ è possibile?»

«Abbiamo molte cose di cui parlare, Billy», disse la Wilbur. «Molti pezzi mancanti da mettere assieme.»

Si guardò in giro terrorizzato. «Come sono arrivato qui? Cosa sta succedendo?» Cominciò a singhiozzare e a dondolarsi avanti e indietro.

«So che sei stanco adesso, Billy», fece la Wilbur. «Puoi andare e riposarti ora.»

D’un tratto il pianto si fermò, e l’espressione del volto divenne immediatamente vigile ma confusa. Si toccò le lacrime che gli scorrevano giù per il viso, e aggrottò la fronte.

«Cosa sta succedendo qui? Chi era? Sentivo qualcuno che piangeva, ma non capivo da dove veniva. Cristo, chiunque fosse, stava per mettersi a correre e fracassarsi contro il muro. Chi è?»

«Era Billy», rispose la dottoressa. «Il Billy originale, a volte conosciuto come personalità ospite o centrale. Tu chi sei?»

«Non sapevo che Billy fosse stato autorizzato a uscire. Non me l’ha detto nessuno. Io sono Tommy.»

Gary e Yavitch furono riammessi nella stanza, e Tommy fu presentato a tutti. Gli fecero alcune domande, e poi lo riportarono in cella. Quando Yavitch seppe che cosa era accaduto in sua assenza, scosse la testa. Sembrava tutto così irreale… come corpi posseduti da spiriti o demoni. Disse a Gary e a Judy: «Non so che cosa significhi tutto questo, ma suppongo di essere con voi altri. Non sembra che finga».

Solo George Harding si astenne dall’esprimere il proprio parere. Disse che si riservava di giudicare. Doveva pensare a ciò che aveva visto e sentito. L’indomani avrebbe messo per iscritto la propria opinione per il giudice Flowers.

8

Russ Hill, il paramedico che aveva riportato Tommy di sopra, non aveva idea di che cosa non andasse in Milligan. Tutto quello che sapeva era che un mucchio di medici e avvocati continuavano a fare avanti e indietro per quel paziente, un giovane molto instabile con un talento per il disegno. Pochi giorni dopo l’importante riunione di domenica, passò dalla cella di Milligan e lo vide impegnato con carta e matita. Sbirciò tra le sbarre e vide un disegno dal tratto molto infantile con sopra alcune parole in stampatello.

Una guardia arrivò e si mise a ridere. «Per Dio, mio figlio che ha due anni disegna meglio di quel maledetto stupratore.»

«Lascialo in pace», disse Hill.

La guardia aveva un bicchiere d’acqua in mano, e lo tirò tra le sbarre, bagnando il disegno.

«Perché l’hai fatto?» disse Hill. «Cosa diavolo hai nella testa?»

Ma la guardia che aveva gettato l’acqua si allontanò dalle sbarre quando vide l’espressione sul volto di Milligan. La rabbia era inequivocabile. Sembrava che si stesse guardando in giro alla ricerca di qualcosa da lanciare. D’un tratto, il prigioniero afferrò la tazza del gabinetto, la sradicò dal muro e la lanciò contro le sbarre, mandando in pezzi la porcellana.

La guardia indietreggiò barcollando e si mise a correre per premere il pulsante di allarme.

«Cristo, Milligan!» disse Hill.

«Ha buttato acqua su disegno di Christene. Non bene distruggere lavoro di bambini.»

Sei agenti fecero irruzione in corridoio, ma a quel punto trovarono Milligan seduto sul pavimento con un’aria confusa.

«La pagherai, figlio di puttana!» gridò la guardia. «È proprietà della contea.»

Tommy si sedette con la schiena contro il muro, mise le mani dietro la testa con fare arrogante e disse: «Fanculo la proprietà della contea».

In una lettera datata 13 marzo 1978, il dottor George Harding Jr. scrisse al giudice Flowers: «Sulla base del colloquio al quale ho preso parte, ritengo che William S. Milligan non sia in condizione di poter affrontare il processo in quanto non è in grado di collaborare con il suo avvocato per la propria difesa; ritengo altresì che sia privo dell’integrazione emotiva necessaria per poter testimoniare a proprio favore, per affrontare i testimoni, e per mantenere in tribunale una presenza psicologica efficace, che vada oltre la mera presenza fisica».

Ora il dottor Harding doveva prendere un’altra decisione. Schweickart e Yavitch gli avevano chiesto di spingersi oltre la valutazione della capacità di testimoniare e di ricoverare Milligan all’Harding Hospital per una valutazione e una terapia.

George Harding era combattuto. La presenza dei rappresentanti dell’accusa a quel colloquio l’aveva colpito: pensava che fosse una cosa piuttosto insolita per l’accusa. Schweickart e Yavitch gli garantirono che non avrebbe operato «per la difesa» o «per l’accusa», ma che entrambe le parti avrebbero concordato in anticipo che la sua relazione sarebbe stata inserita nel verbale del processo «di comune accordo». Come poteva resistere, visto che erano entrambe le parti a chiederglielo?

Nella sua veste di direttore medico dell’Harding Hospital, presentò la richiesta all’amministratore e al responsabile finanziario dell’ospedale. «Non abbiamo mai voltato le spalle ai problemi difficili», disse loro. «L’Harding Hospital non accetta soltanto i casi semplici.»

Sulla base dell’energica raccomandazione di George Harding - secondo il quale accettare Milligan avrebbe costituito non solo un’opportunità per lo staff, che avrebbe imparato molto, ma anche per l’ospedale, che avrebbe potuto dare un contributo alla psichiatria -, la commissione accettò di ricoverare Milligan per i tre mesi ordinati dalla corte.

Il 14 marzo, Hill e un altro agente andarono a prendere Milligan. «Ti vogliono di sotto», disse la guardia, «ma lo sceriffo dice che ci devi andare con la camicia di forza.»

Milligan non oppose resistenza mentre gliela allacciavano e lo conducevano dalla cella all’ascensore.

Al piano inferiore, Gary e Judy stavano aspettando in corridoio, ansiosi di riferire al loro cliente che c’erano buone notizie. Quando la porta dell’ascensore si aprì, videro Russ Hill e la guardia che fissavano a bocca aperta Milligan mentre si sfilava la camicia di forza e se ne liberava quasi completamente. «Non è possibile», disse la guardia.

«Ve l’avevo detto che quella roba non mi avrebbe fermato. E non possono fermarmi neanche una prigione o un ospedale.»

«Tommy?» lo chiamò Judy.

«Indovinato», sbuffò lui.

«Entra qui dentro», disse Gary trascinandolo nella sala riunioni. «Dobbiamo parlare.»

Tommy liberò il braccio dalla presa di Gary. «Che succede?»

«Buone notizie», disse Judy.

«Il dottor George Harding si è offerto di ricoverarti all’Harding Hospital per un periodo di osservazione e terapia prima del processo», spiegò Gary.

«Cosa significa?»

«Ci sono due possibilità», spiegò Judy. «Una è che a un certo punto ti dichiareranno capace di subire il processo, e allora sarà fissata una data; l’altra è che dopo un certo periodo decideranno che non sei in grado di affrontare il processo, e verrà emessa una sentenza di non luogo a procedere. L’accusa è d’accordo, e il giudice Flowers ha ordinato che tu venga trasferito da qui all’Harding Hospital la prossima settimana. A una condizione.»

Tommy disse: «C’è sempre una condizione».

Gary si chinò in avanti e picchiettò sul tavolo con il dito indice. «La dottoressa Wilbur ha detto al giudice che le personalità multiple mantengono le promesse. Sa quanto sono importanti le promesse per tutti voi.»

«Quindi?»

«Il giudice Flowers dice che se prometterai di non scappare dall’Harding Hospital, puoi essere rilasciato e trasferito là immediatamente.»

Tommy incrociò le braccia. «Stronzate. Non lo prometto.»

«Devi farlo!» esclamò Gary. «Cristo, abbiamo lavorato come dei cani per non farti mandare a Lima, e adesso assumi questo atteggiamento?»

«Be’, non è giusto», protestò Tommy. «Fuggire è la cosa che so fare meglio. È una delle ragioni principali per cui sono qui. Mi si nega di usare il mio talento.»

Gary si passò le dita tra i capelli come se avesse voluto strapparseli via.

Judy mise la mano sul braccio di Tommy. «Tommy, devi darci la tua parola. Se non lo fai per te, lo devi fare per i bambini. I piccoli. Lo sai che per loro questo è un brutto posto. All’Harding Hospital si prenderanno cura di loro.»

Disincrociò le braccia e fissò il tavolo. Judy seppe di aver toccato il tasto giusto: con il tempo aveva capito che le altre personalità provavano un amore profondo per i più piccoli e si sentivano responsabili nei loro confronti.

«D’accordo», disse lui riluttante. «Prometto.»

Quello che Tommy non le disse era che quando aveva saputo della possibilità di essere trasferito a Lima, aveva comprato una lama di rasoio da un altro prigioniero. In quel momento era attaccata alla pianta del suo piede sinistro con del nastro adesivo. Non c’era nessun motivo di dirlo perché nessuno gliel’aveva chiesto. Ormai era un mucchio di tempo che l’aveva imparato: quando ti trasferiscono da un riformatorio all’altro, devi sempre portarti dietro un’arma. Forse non sarebbe riuscito a rompere la promessa e a fuggire, ma almeno se qualcuno avesse tentato di fargli violenza poteva difendersi. O altrimenti poteva darla a Billy e lasciare che si tagliasse la gola.

Quattro giorni prima della data fissata per il trasferimento all’Harding Hospital, il sergente Willis andò nella cella di Milligan. Voleva che Tommy gli mostrasse come faceva a togliersi la camicia di forza.

Tommy guardò l’agente, magro e quasi calvo, con dei ciuffetti di capelli grigi che gli incorniciavano il viso dalla carnagione scura, e disse accigliato: «Perché dovrei?»

«Tanto te ne stai andando», rispose Willis. «E poi non credo di essere troppo vecchio per imparare qualcosa di nuovo.»

«Sei stato okay con me, sergente», disse Tommy, «ma non do via i miei segreti così facilmente.»

«Vedila così. Potresti contribuire a salvare la vita a qualcuno.»

Tommy stava guardando altrove, ma ora alzò lo sguardo, incuriosito. «Come?»

«So che tu non sei malato, ma c’è altra gente qui che lo è. Mettiamo loro la camicia di forza per proteggerli. Se se la tolgono, potrebbero uccidersi. Se mi fai vedere come fai, potremmo impedire ad altre persone di farlo. Potresti salvare delle vite.»

Tommy scrollò le spalle per dare a intendere che la cosa non lo riguardava.

Ma il giorno dopo fece vedere al sergente Willis il suo trucco per togliersi la camicia di forza, e gli insegnò come doveva essere messa in modo che fosse impossibile, a chiunque, venirne fuori.

Quella sera stessa, ormai era tardi, Judy ricevette una telefonata da Dorothy Turner. «Ce n’è un’altra», disse la Turner.

«Un’altra cosa?»

«Un’altra personalità di cui non eravamo a conoscenza. Una ragazza di diciannove anni che si chiama Adalana.»

«Oh mio Dio», sospirò Judy. «E con questa siamo a dieci.»

Dorothy le raccontò della sua visita in prigione di sera, di come l’avesse visto seduto sul pavimento: mormorava a bassa voce, diceva di aver bisogno di amore e di protezione. Dorothy si era messa di fianco a lui e l’aveva confortato, asciugandogli le lacrime. Poi «Adalana» le aveva confidato di scrivere poesie in segreto. Spiegò piangendo che solo lei aveva la capacità di allontanare dal posto uno qualunque degli altri,desiderando che se ne andasse. Fino a quel momento solo Arthur e Christene si erano accorti della sua esistenza.

Judy provò a immaginare la scena: Dorothy seduta sul pavimento, che abbracciava Milligan.

«Perché ha deciso di uscire allo scoperto proprio adesso?» chiese Judy.

«Adalana si sente colpevole per quello che è successo ai ragazzi», disse Dorothy. «È lei che ha sottratto il tempo a Ragen durante gli stupri.»

«Che cosa?»

«Adalana ha detto che l’ha fatto perché aveva un disperato bisogno di qualcuno che la stringesse e la accarezzasse e la amasse.»

«Adalana ha commesso…»

«Adalana è lesbica.»

Quando Judy attaccò, rimase a fissare a lungo il telefono. Suo marito le chiese di che cosa si trattasse. Lei aprì la bocca per rispondergli, ma poi scosse la testa e spense la luce.