III

1

Billy Milligan fu trasferito dalla Franklin County Jail all’Harding Hospital la mattina del 16 marzo, con due giorni di anticipo rispetto alla data fissata. Il dottor George Harding aveva creato e istruito un gruppo che si sarebbe occupato della sua terapia, ma quando Billy arrivò inaspettatamente, Harding era via per un convegno di psichiatria a Chicago.

Judy Stevenson e Dorothy Turner, che avevano seguito l’auto della polizia fino all’Harding Hospital, sapevano che terribile colpo sarebbe stato per Danny essere riportato in prigione. Il dottor Shoemaker, un medico dello staff, accettò di farsi carico del paziente fino al ritorno del dottor Harding, e il vicesceriffo gli consegnò formalmente il prigioniero.

Judy e Dorothy si diressero con Danny al Wakefield Cottage, un’unità psichiatrica chiusa, attrezzata per quattordici pazienti difficili che richiedevano osservazione e sorveglianza costanti.

Trovarono e prepararono un letto e Danny fu sistemato in una delle due stanze di «custodia speciale», con massicce porte in legno di quercia dotate di spioncino che consentiva una sorveglianza ventiquattro ore su ventiquattro. Un infermiere psichiatrico - all’Harding Hospital li chiamavano «tecnici di psichiatria» - gli portò un vassoio con il pranzo, ed entrambe le donne si fermarono con lui mentre mangiava.

Dopo pranzo, il dottor Shoemaker e tre infermiere li raggiunsero. Dorothy Turner - convinta che fosse importante che lo staff si rendesse conto da sé della sindrome di personalità multipla - suggerì a Danny che Arthur venisse fuori e incontrasse alcune delle persone che avrebbero lavorato con lui.

L’infermiera Adrienne McCann, coordinatrice dell’unità, era stata preparata assieme al gruppo di terapia, ma le altre due infermiere furono colte totalmente alla sprovvista.

Donna Egar, madre di cinque figlie, trovava difficile chiarire a se stessa ciò che provava di fronte allo stupratore del campus. L’infermiera osservò attentamente dapprima mentre il ragazzino parlava, e poi quando i suoi occhi divennero fissi, come in uno stato di trance, e lui muoveva silenziosamente le labbra, quasi che fosse impegnato in una conversazione interiore. Alla fine, Billy alzò lo sguardo, con un’espressione seria e arrogante, e cominciò a parlare con accento britannico.

Donna dovette trattenersi dal ridere, giacché né Danny né Arthur l’avevano convinta della loro esistenza: pensava potesse trattarsi della performance di un brillante attore per sfuggire alla prigione. D’altra parte era curiosa di vedere come fosse Billy Milligan; voleva capire che genere di persona potesse fare quello che aveva fatto lui.

Dorothy e Judy parlarono con Arthur, garantendogli che si trovava in un posto sicuro. Dorothy gli disse che sarebbe tornata di lì a qualche giorno per sottoporlo ad alcuni test psicologici. Judy disse che lei e Gary l’avrebbero visitato di tanto in tanto per lavorare con lui sul caso.

Il tecnico Tim Sheppard controllò il nuovo paziente attraverso lo spioncino ogni quindici minuti e compilò il registro delle procedure speciali per quel primo giorno:

17.00 seduto a gambe incrociate sul letto, tranquillo

17.15 seduto a gambe incrociate sul letto, sguardo fisso

17.32 in piedi, guarda fuori della finestra

17.45 servita la cena

18.02 seduto sul bordo del letto, sguardo fisso

18.07 portato via vassoio, mangiato bene

Alle diciannove e quindici, Milligan cominciò a camminare avanti e indietro.

Alle venti in punto, l’infermiera Helen Yaeger andò nella sua stanza e stette con lui per quaranta minuti. La sua prima registrazione fu sintetica:

16/3/78 II signor Milligan resta in custodia speciale: osservato attentamente, precauzioni straordinarie. Ha parlato delle sue personalità multiple. «Arthur» ha tenuto banco per la maggior parte del tempo: ha un accento inglese. Ha dichiarato che una delle persone - di nome Billy - ha tendenze suicide ed è addormentato dall’età di sedici anni per evitare che gli altri corrano rischi. Mangia bene. Evacua bene. Si nutre bene. Piacevole e collaborativo.

Dopo che l’infermiera Yaeger se ne fu andata, Arthur informò silenziosamente gli altri che l’Harding Hospital era un ambiente sicuro e favorevole. Dal momento che sarebbero stati necessari intuito e logica per assistere i medici nella terapia, d’ora in poi lui, Arthur, avrebbe assunto il completo controllo del posto.

Alle due e venticinque del mattino, il tecnico Chris Cann udì un forte rumore provenire dalla stanza. Quando andò a controllare, vide il paziente seduto sul pavimento.

Tommy era arrabbiato perché era caduto dal letto. Pochi secondi dopo, sentì i passi e vide l’occhio allo spioncino. Non appena i passi si allontanarono, Tommy staccò la lama di rasoio attaccata con il nastro adesivo alla pianta del suo piede e la nascose attentamente, fissandola sotto una delle doghe del letto. Avrebbe saputo dove trovarla quando sarebbe stato il momento.

2

Il 19 marzo, al suo ritorno da Chicago, il dottor George Harding Jr. fu molto infastidito dal fatto che i suoi meticolosi preparativi fossero stati vanificati dal trasferimento anticipato di Billy. Aveva programmato di accogliere Milligan personalmente. Era stato molto faticoso mettere assieme un gruppo per la terapia: psicologo, arteterapeuta, assistente terapeuta, assistente sociale psichiatrico, medici, infermieri, tecnici di psichiatria e il coordinatore dell’unità di Wakefield. Aveva discusso con loro le complessità della personalità multipla. Quando alcuni membri dello staff ammisero apertamente di non credere nella diagnosi, lui li ascoltò pazientemente, menzionò il suo stesso scetticismo e chiese il loro supporto nell’adempiere all’incarico affidatogli dal tribunale. Era importante che ognuno mettesse da parte i pregiudizi e lavorasse con gli altri per arrivare a capire il caso di William Stanley Milligan.

Il dottor Perry Ayres sottopose Milligan a una visita medica il giorno dopo il ritorno di Harding. Ayres scrisse nell’anamnesi che spesso le labbra di Milligan si muovevano e gli occhi deviavano verso destra, in genere prima di rispondere a una domanda. Ayres annotò che quando aveva chiesto al paziente perché lo facesse, lui aveva risposto che stava parlando con qualcuno degli altri - specialmente con Arthur - per avere le risposte alle domande.

«Ma tu devi chiamarci Billy», disse Milligan, «così nessuno penserà che siamo pazzi. Io sono Danny. È stato Allen a compilare quel modulo. Ma io non devo parlare degli altri.» Il dottor Ayres citò questo scambio nella sua relazione e aggiunse:

Concordammo subito che avremmo provato a parlare solo di Billy, con l’intesa che Danny ci avrebbe dato le informazioni sullo stato di salute di ognuno di loro. È stata la sua incapacità di attenersi a questo accordo che ha portato a svelare gli altri nomi. Il solo disturbo che ricorda è l’intervento all’ernia quando Billy aveva nove anni -«David ha sempre avuto nove anni», ed è stato David che ha subito l’operazione all’ernia. Allen soffre di visione a tunnel, ma tutti gli altri hanno una vista normale…

Nota: prima di recarci in sala visite, discussi con lui la natura dell’esame in programma, descrivendolo nel dettaglio. Sottolineai che sarebbe stato importante controllare attraverso un esame rettale tanto l’ernia quanto la prostata, quest’ultima a causa dei problemi urinari (piuria). Diventò molto ansioso; le labbra e gli occhi si muovevano rapidamente mentre sembrava avere una conversazione con gli altri. Mi disse in modo nervoso ma educato «che potrebbe sconvolgere Billy e David perché è lì che Chalmers aveva violentato ognuno di loro quattro volte quando viveva alla fattoria. Chalmers era il nostro patrigno». Aggiunse anche, pressappoco a questo punto, che la madre descritta nell’anamnesi familiare è la madre di Billy, «ma non è mia madre… io non conosco mia madre».

Rosalie Drake e Nick Cicco, co-terapeuti del programma «minigruppo» a Wakefield Cottage, furono coinvolti molto da vicino e su base quotidiana nel caso Milligan. Alle dieci di ogni mattina e alle tre di ogni pomeriggio, sette od otto pazienti di Wakefield erano riuniti per lavorare a progetti e attività di gruppo.

Il 21 marzo Nick condusse Milligan dalla stanza di custodia speciale, che ora veniva chiusa a chiave solo durante la notte, alla sala delle attività. Il tecnico ventisettenne, un tipo snello che sfoggiava una folta barba e due orecchini all’orecchio sinistro - un sottile anello d’oro e una pietra di giada - aveva sentito parlare dell’ostilità di Milligan nei confronti degli uomini, ostilità dovuta agli abusi sessuali subiti da bambino. Pur essendo scettico sulla faccenda, l’idea della personalità multipla lo incuriosiva.

Rosalie, una terapista occupazionale con i capelli biondi e gli occhi azzurri, vicina ai trent’anni, non aveva mai avuto a che fare con una personalità multipla. Dopo la riunione informativa con il dottor Harding, però, aveva capito che lo staff si era velocemente diviso in due: quelli che credevano che Milligan fosse affetto da personalità multipla, e quelli che lo consideravano un impostore: uno che fingeva quello strano disturbo per attirare l’attenzione ed evitare di finire in carcere per stupro. Rosalie stava facendo di tutto per mantenere la mente libera da pregiudizi.

Quando Milligan si sedette in fondo al tavolo, separato dagli altri, Rosalie Drake gli spiegò che il giorno prima i pazienti del minigruppo avevano deciso di fare un collage con cui raccontare qualcosa di sé a qualcuno che amavano.

«Io non ho nessuno che amo per cui farlo», disse lui.

«Allora fallo per noi», rispose Rosalie. «Tutti lo stanno facendo.» Sollevò un foglio di carta da collage su cui stava lavorando. «Anche Nick e io lo stiamo facendo.»

Rosalie tenne d’occhio Milligan da lontano mentre prendeva un foglio 20 x 27 e cominciava a ritagliare fotografie da alcune riviste. Aveva sentito parlare dell’abilità artistica di Milligan, e ora, guardando quel ragazzo timido e tranquillo, era curiosa di vedere che cosa avrebbe fatto. Lavorava in silenzio, con calma. Quando vide che aveva finito, si diresse verso di lui e guardò il suo lavoro.

Il collage la lasciò a bocca aperta. Un bambino spaventato e in lacrime, sotto il quale era scritto il nome MORRISON, la fissava dal centro della pagina. Sopra di lui incombeva un uomo rabbioso e, in rosso, la parolaDANGER, pericolo. Nell’angolo in basso a destra c’era un teschio.

La semplicità di quel messaggio e la sua profondità emotiva la toccarono. Non aveva chiesto nulla del genere, e non era quello che si aspettava. Sentiva che rivelava una storia dolorosa. Nel guardarlo rabbrividì, e in quel preciso istante capì di essersi fatta prendere all’amo. Non importava quali dubbi potessero avere su di lui gli altri all’interno dell’ospedale. Quello, lei lo sapeva, non era opera di uno sociopatico insensibile. Nick Cicco era d’accordo con lei.

Il dottor George (chiamato così dallo staff e dai pazienti per distinguerlo dal padre, il dottor George Harding senior) cominciò a leggere riviste psichiatriche attinenti al disturbo di Milligan e scoprì che le personalità multiple sembravano essere in aumento. Il medico chiamò diversi psichiatri, e tutti gli dissero pressappoco la stessa cosa: «Ti diremo quel poco che sappiamo, ma si tratta di un’area che sfugge alla nostra comprensione. Dovrai raccapezzartici con i tuoi mezzi».

Sarebbe stata necessaria una quantità di tempo ed energie molto più grande di quanto il dottor George avesse immaginato, così si chiese se avesse fatto la cosa giusta accettando quel paziente nel bel mezzo di una campagna di raccolta fondi e di un programma di ampliamento dell’ospedale. Disse a se stesso, rassicurandosi, che aiutare la psichiatria a esplorare i limiti della conoscenza sulla mente umana era importante tanto per Billy Milligan quanto per i medici.

Prima di consegnare alla corte una valutazione, avrebbe dovuto conoscere la storia di Billy Milligan. Considerata la grave amnesia del giovane, non era un’impresa da poco.

Giovedì 23 marzo, Gary Schweickart e Judy Stevenson visitarono il loro cliente rimanendo con lui per un’ora; passarono in rassegna eventi che lui ricordava vagamente, confrontarono la sua versione con quella delle tre vittime e pianificarono strategie legali alternative a seconda della relazione che il dottor Harding avrebbe consegnato alla corte.

Entrambi gli avvocati trovarono Milligan più a suo agio, nonostante si lamentasse di essere tenuto sotto chiave e di dover indossare gli abiti da «precauzioni speciali».

«Il dottor George dice che posso essere trattato esattamente come gli altri pazienti, ma qui nessuno si fida di me. Gli altri pazienti hanno il permesso di andarsene fuori con il furgone, ma io no. Devo stare qui. E mi fanno impazzire dalla rabbia quando insistono a chiamarmi Billy.»

Tentarono di tranquillizzarlo, spiegandogli che doveva fare attenzione a non mettere a dura prova la pazienza del dottor George, che si era compromesso per lui. Judy aveva la sensazione che fosse Allen, ma non lo chiese, temendo che si offendesse perché lei non lo riconosceva.

Gary disse: «Credo che qui tu debba collaborare con lo staff. È la tua unica possibilità per restare fuori del carcere».

Quando se ne andarono, entrambi dichiararono di sentirsi sollevati al pensiero che fosse al sicuro e che per un po’ la responsabilità e le preoccupazioni quotidiane legate a Billy non ricadessero sulle loro spalle.

Più tardi, quel giorno, la prima seduta di terapia con il dottor Harding fu un’ora di cinquanta minuti carica di tensione. Milligan sedette sulla sedia davanti alla finestra nella saletta colloqui di Wakefield, inizialmente senza stabilire un contatto oculare. Sembrava ricordare molto poco del suo passato, nonostante parlasse liberamente dell’abuso subito da parte del padre adottivo.

Harding sapeva di dover usare un approccio estremamente cauto. La dottoressa Wilbur gli aveva detto di scoprire il più presto possibile quante fossero le personalità, di stabilire le loro identità. Gli alter ego dovevano essere incoraggiati a spiegare perché esistevano ed essere messi nelle condizioni di poter rivivere le situazioni specifiche che ne avevano determinato la creazione.

Poi era necessario favorire la conoscenza reciproca tra gli alter ego, fare in modo che comunicassero e si aiutassero a vicenda con i loro diversi problemi: dovevano condividere le esperienze, non restare separati. La strategia, secondo Cornelia Wilbur, consisteva nel mettere assieme tutti gli altri e poi introdurre Billy - la personalità centrale - presentandogli i ricordi di quegli incidenti. Allora, finalmente, si sarebbe potuta tentare la fusione. Nonostante la tentazione di provare l’approccio della Wilbur fosse grande, considerata l’abilità con cui aveva fatto emergere le personalità di Milligan in carcere, George Harding aveva da tempo imparato la lezione. Quello che funzionava per qualcun altro non funzionava sempre anche per lui. Si considerava un uomo molto conservatore, e aveva bisogno di capire a modo suo e con tempi suoi chi e che cosa si trovasse davanti.

Con il passare dei giorni, Donna Egar, l’infermiera, si ritrovò molto spesso a tu per tu con Milligan. Dormiva molto poco, decisamente meno della maggior parte degli altri pazienti, e si svegliava presto; quindi riusciva ad avere lunghe conversazioni con lui, che le parlava delle altre persone che vivevano nel suo corpo.

Un giorno le consegnò un foglio tutto scritto, firmato «Arthur». Sembrava piuttosto spaventato, quando le disse: «Non conosco nessuno che si chiama Arthur, e non capisco cosa c’è scritto sul foglio».

In breve tempo lo staff cominciò a lamentarsi con il dottor George: trovavano sempre più difficile, dicevano, dover trattare con uno che continuava a ripetere: «Non l’ho fatto io, è stato un altro», mentre loro l’avevano visto agire con i propri occhi. Milligan, dicevano, stava compromettendo la terapia di altri pazienti, manipolando lo staff e passando da un membro all’altro per ottenere quello che voleva. Insinuava costantemente che Ragen avrebbe potuto venire fuori e occuparsi della faccenda, cosa che lo staff considerava alla stregua di una velata minaccia.

Il dottor George propose che dovesse essere lui l’unico a trattare con le altre personalità di Milligan, ed esclusivamente durante le sedute di terapia. Lo staff non doveva menzionare gli altri nomi o parlare di essi nell’Unità, soprattutto non di fronte ad altri pazienti.

Helen Yaeger, l’infermiera che aveva parlato con Arthur il primo giorno, inserì questo piano di terapia negli obiettivi degli infermieri in data 28 marzo:

Entro un mese il signor Milligan accetterà la responsabilità di atti che adesso nega; la sua accettazione sarà comprovata dal fatto che smetterà di dichiarare di non aver compiuto quelle azioni.

Piano:

1. Quando nega di essere capace di suonare il piano - lo staff replica di averlo visto o sentito suonare -, mantenere un atteggiamento pragmatico.

2. Quando viene osservato mentre scrive appunti di cui poi dichiara di non essere a conoscenza, lo staff deve dirgli che è stato visto scrivere quegli appunti.

3. Quando il paziente si riferisce a se stesso come un’altra personalità, lo staff gli deve ricordare che il suo nome è Billy.

Il dottor George spiegò il suo approccio ad Allen durante la seduta di terapia, sottolineando che gli altri pazienti dell’Unità si confondevano nel sentire i diversi nomi delle sue personalità.

«C’è gente che dice di essere Napoleone o Gesù Cristo», disse Allen.

«Ma è diverso se a chiamarti così siamo i membri dello staff e io - se un giorno ti chiamiamo Danny e in un altro momento Arthur o Ragen o Tommy o Allen. Io propongo che per lo staff e per gli altri pazienti tutte le tue personalità rispondano al nome di Billy, mentre in…»

«Non sono ‘personalità’, dottor George. Sono persone.»

«Perché fai questa distinzione?»

«Quando le chiama personalità, è come se pensasse che non sono reali.»

3

L’8 aprile, diversi giorni dopo che Dorothy Turner aveva iniziato un programma di test psicologici, Donna Egar vide Milligan camminare rabbiosamente avanti e indietro per la sua stanza. Quando gli chiese cosa ci fosse che non andava, lui rispose con il suo accento britannico: «Nessuno capisce».

Poi Donna vide di nuovo il cambiamento: dapprima la faccia, e subito dopo la postura, la camminata e il modo di parlare; capì che si trattava di Danny. A quel punto, notando quanto lui fosse coerente e come fossero reali le diverse personalità, non diede più per scontato che stesse fingendo. Doveva ammettere di aver finito per crederci, unica fra gli infermieri.

Pochi giorni dopo, Billy andò da lei molto arrabbiato. Donna impiegò solo un istante per capire che si trattava di Danny. Lui la fissò e disse con un’aria patetica: «Perché sono qui?»

«Qui dove?» chiese lei. «Qui in questa stanza, o in questo edificio?»

Lui scosse la testa. «Alcuni pazienti mi hanno chiesto perché sono in questo ospedale.»

«Forse Dorothy Turner può spiegartelo quando viene per i test», disse Donna.

Quella sera, quando terminò la seduta di test con Dorothy Turner, Billy non parlò con nessuno. Corse nella sua camera e andò in bagno a lavarsi la faccia. Pochi secondi dopo, Danny udì la porta della camera aprirsi e richiudersi. Guardò fuori e vide Dorine, una giovane paziente. Nonostante stesse spesso ad ascoltare i suoi problemi dimostrandole solidarietà, e le parlasse anche dei propri, non nutriva altro interesse per lei.

«Che ci fai qui?» chiese.

«Volevo parlarti. Perché eri così agitato stasera?»

«Sai che non puoi venire qui dentro. È contro il regolamento.»

«Ma sembri così depresso.»

«Ho scoperto una cosa che qualcuno ha fatto. È terribile. Io non sono adatto a vivere.»

Proprio in quell’istante si avvicinarono dei passi, seguiti da un colpo alla porta. Dorine si precipitò in bagno con lui e chiuse la porta dietro di sé.

«Perché l’hai fatto?» bisbigliò lui in modo brusco. «Finirò in un guaio ancora peggiore: Succederà un casino.»

Dorine ridacchiò.

«Va tutto bene, Billy e Dorine!» chiamò l’infermiera Yaeger. «Potete uscire quando siete pronti, voi due.»

Sugli appunti degli infermieri del 9 aprile 1979, l’infermiera Yaeger scrisse:

Il signor Milligan - trovato nel suo bagno con un’altra paziente… a luce spenta - quando interrogato in merito ha dichiarato di avere bisogno di stare da solo per parlarle di qualcosa che aveva scoperto di aver fatto… Su richiesta di spiegazioni ha riferito che durante la seduta di test psicologici di questa sera con la signora Turner, ha appreso di aver violentato tre donne. Si è messo a piagnucolare, dicendo di volere «che Ragen e Adalana muoiano». Il dottor George l’ha chiamato… incidente spiegato. Messo in una stanza di custodia speciale con precauzioni straordinarie. Pochi minuti dopo, osservato paziente seduto sul letto con cintura dell’accappatoio in mano. Ancora in lacrime, dicendo che voleva ucciderli. Dopo avergli parlato per un po’ ha buttato via la cintura dell’accappatoio. Prima la teneva intorno al collo.

Con i suoi test, Dorothy Turner scoprì significative variazioni nel quoziente intellettivo delle diverse personalità:

Q.I. VERBALE

PERFORMANCE

TOTALE

Allen

115

130

120

Ragen

114

120

119

David

68

72

69

Danny

69

75

71

Tommy

81

96

87

Christopher

98

108

102

Christene era troppo piccola per essere sottoposta al test, Adalana non uscì allo scoperto sul posto e Arthur rifiutò di sottoporsi alla parte del test sul quoziente intellettivo, sostenendo che fosse lesivo della sua dignità.

Dorothy Turner scoprì che le risposte di Danny al test Rorschach rivelavano un’ostilità malcelata e un bisogno di supporto esterno per compensare sentimenti di inferiorità e inadeguatezza. Tommy dimostrava di essere più maturo di Danny ed era più incline all’acting out. Possedeva le caratteristiche schizoidi più accentuate e, fra tutti, il minor interesse per gli altri. Ragen era il più propenso all’acting out violento.

La Turner rilevò in Arthur un’intelligenza notevole, e intuì che egli facesse affidamento su di essa per mantenere la sua posizione di guida rispetto agli altri. Aveva anche l’impressione che Arthur nutrisse un sentimento compensatorio di superiorità nei confronti del mondo in generale, ma che le situazioni emotivamente stimolanti lo facessero sentire a disagio e minacciato. Da un punto di vista emotivo, Allen sembrava essere una persona quasi distaccata.

Dorothy Turner trovò alcuni elementi comuni: evidenze di un’identità femminile e di un forte superego, che la rabbia minacciava di sopraffare. Non trovò manifestazioni di un processo psicotico, né di un disturbo schizofrenico del pensiero.

Il 19 aprile, quando Rosalie Drake e Nick Cicco annunciarono che il minigruppo avrebbe fatto esercizi di fiducia, Arthur autorizzò Danny a prendere il posto. Lo staff aveva preparato la sala delle attività ricreative con tavoli, sedie, divani e lavagne, trasformandola in un percorso a ostacoli.

Essendo a conoscenza della paura di Milligan per gli uomini, Nick aveva suggerito che fosse Rosalie a bendarlo e a guidarlo attraverso il percorso. «Devi lavorare con me, Billy», gli disse Rosalie. «È il solo modo per costruirti una fiducia negli altri sufficiente per vivere nel mondo reale.»

Alla fine Billy le permise di bendarlo.

«Adesso tieni la mia mano», gli disse conducendolo nella stanza. «Ti guiderò nel percorso a ostacoli, e farò in modo che tu non ti faccia male.»

Mentre lo guidava, non poteva fare a meno di vedere e di percepire l’incontenibile terrore che provocava in lui il non sapere dove si stava muovendo o in che cosa avrebbe potuto andare a sbattere. Dapprima avanzarono lentamente, poi più velocemente, intorno alle sedie, passando sotto i tavoli, sopra e sotto le scale a pioli. Vedendo come fosse preso dal panico, sia lei sia Nick ammirarono il fatto che non si tirasse indietro.

«Non ho lasciato che ti facessi male, vero, Billy?»

Danny scosse la testa.

«Devi imparare che ci sono delle persone di cui ti puoi fidare. Non tutti, certo, ma qualcuno sì.»

Rosalie notò che sempre più spesso, in sua presenza, Billy assumeva il ruolo del ragazzino che aveva imparato a conoscere come Danny. Trovava sconvolgente che moltissimi suoi disegni contenessero immagini di morte.

Il martedì seguente, per la prima volta Allen ebbe il permesso di recarsi all’edificio dove si tenevano le sedute di terapie aggiuntive per frequentare un laboratorio di arte espressiva, dove poteva disegnare e dipingere.

Don Jones, l’arteterapeuta, un uomo dai modi gentili, rimase impressionato dal talento naturale di Milligan, ma si accorse anche che stare nel nuovo gruppo lo rendeva ansioso e irrequieto. Capì che gli stravaganti disegni di Billy erano il suo modo per attirare l’attenzione e cercare approvazione.

Jones indicò il disegno di una lapide con incise le parole: «do not r.i.p.»

«Puoi dirci qualcosa a proposito di quello, Billy? Quali erano i tuoi sentimenti quando l’hai disegnato?»

«È il vero padre di Billy», disse Allen. «Prima di uccidersi faceva il comico e il cabarettista a Miami, Florida.»

«Perché non ci dici quello che hai provato? In questo momento vogliamo occuparci di sentimenti più che di dettagli.» Allen gettò via la matita pieno di disgusto nel vedere che ancora una volta Billy si prendeva il merito di un lavoro artistico che in realtà era suo, e alzò lo sguardo verso l’orologio. «Devo tornare all’Unità per farmi il letto.»

Il giorno dopo Allen parlò con l’infermiera Yaeger della terapia, sostenendo che fosse tutta sbagliata. Quando la Yaeger gli disse che con il suo comportamento stava interferendo con lo staff e i pazienti, lui si irritò. «Non sono responsabile per quello che fanno le altre mie persone», disse.

«Noi non possiamo entrare in relazione con le altre tue persone», disse la Yaeger, «solo con Billy.»

«Il dottor Harding non mi sta curando come ha detto la dottoressa Wilbur. Questa terapia non va bene», gridò lui.

Allen chiese di poter leggere la sua cartella, e quando l’infermiera rifiutò, disse che sapeva di poter ottenere dall’ospedale il permesso di accedere alla propria documentazione. Era certo, disse, che lo staff non stava registrando i suoi cambiamenti di comportamento e che lui non sarebbe stato in grado di render conto del tempo «perso».

Quella sera, dopo una visita del dottor George, Tommy annunciò allo staff che avrebbe licenziato il suo medico. Più tardi Allen uscì dalla sua camera e disse che lo stava riabilitando.

Dopo che Dorothy Moore, la madre di Milligan, ebbe avuto il permesso di visitarlo, andò da lui quasi ogni settimana, spesso accompagnata dalla figlia Kathy. Le reazioni di suo figlio erano imprevedibili. A volte, dopo le visite della madre era felice ed espansivo, in altri casi era depresso.

Durante la riunione dello staff, Joan Winslow, l’assistente sociale psichiatrica, riferì di aver intervistato Dorothy dopo ognuna delle sue visite. La Winslow pensava che fosse una persona amorevole e generosa, ma riteneva che la sua natura timida e dipendente le avesse impedito di opporsi agli abusi riportati da Milligan. Dorothy le aveva detto di avere sempre avuto la sensazione che ci fossero due Billy: uno dolce e gentile, l’altro incurante di far soffrire le persone che gli stavano vicino.

Fu Nick Cicco ad annotare sulla cartella che il 18 aprile, dopo una visita della signora Moore, Milligan era parso fuori di sé e si era isolato nella sua stanza con un cuscino sopra la testa.

Alla fine di aprile, quando ormai erano passate sei delle dodici settimane previste, il dottor George percepì che le cose si stavano muovendo troppo lentamente. In un modo o nell’altro, occorreva stabilire dei canali di comunicazione tra le diverse personalità e quella originale, il Billy «centrale». Prima, però, doveva arrivare a Billy, che non aveva più incontrato dalla domenica in cui Cornelia Wilbur aveva convinto Ragen a lasciarlo venir fuori.

Il dottor George pensò che mettere la personalità centrale e gli alter ego di fronte alla videoregistrazione dei loro discorsi e del loro comportamento potesse rivelarsi una strategia efficace. Parlò con Allen della sua idea e di quanto fosse importante che le personalità comunicassero tra loro e con Billy. Allen si disse d’accordo.

Più tardi, Allen disse a Rosalie di essere molto contento del video che avrebbero fatto con lui. La cosa lo innervosiva, ma il dottor George l’aveva convinto che in quel modo avrebbe imparato molte cose su di sé.

Il dottor George tenne la prima seduta videoregistrata il primo di maggio. Dorothy Turner era presente perché sapeva che Billy si sentiva a suo agio con lei, e perché voleva provare a far uscire allo scoperto Adalana. Nonostante fosse stato inizialmente restio a far emergere nuove persone, il dottor George si era reso conto che era necessario comprendere il significato di questo aspetto femminile della personalità di Milligan.

Ripeté diverse volte quanto sarebbe stato utile se Adalana fosse uscita e avesse parlato con loro. Alla fine, dopo numerosi passaggi da una personalità all’altra, il viso di Milligan assunse un’espressione mite e sofferente. La voce era soffocata e nasale. Il volto diventò quasi femminile. Gli occhi vagavano.

«Fa male parlare», disse Adalana.

Il dottore cercò di celare la sua emozione di fronte a quella trasformazione. Aveva voluto che lei uscisse e se l’era aspettato. Quando accadde, però, fu una sorpresa. «Perché fa male?» chiese.

«Per i ragazzi. Li ho messi nei guai.»

«Cosa hai fatto?» chiese lui.

Dorothy Turner, che aveva incontrato Adalana in prigione la notte prima del trasferimento, stava seduta in silenzio e guardava.

«Non capiscono cos’è l’amore», rispose Adalana, «cosa vuol dire essere tenuti stretti e avere qualcuno a cui importa di te. Ho rubato io quel tempo. Sentivo l’alcol e le pillole di Ragen. Oh, fa male parlarne…»

«Sì, ma dobbiamo parlarne», disse il dottor George, «ci aiuta a capire.»

«Sono stata io. È un po’ troppo tardi adesso per dire che mi dispiace, vero? Ho rovinato la vita dei ragazzi… Ma loro proprio non capivano…»

«Non capivano che cosa?» chiese la Turner.

«Cos’è l’amore. Il bisogno di amore. Essere tenuti stretti da qualcuno. Semplicemente sentirsi caldi e protetti. Non so cosa mi ha spinto a farlo.»

«Durante quel tempo», chiese la Turner, «ti sentivi calda e protetta?»

Adalana fece una pausa e sussurrò: «Solo per qualche istante… Ho rubato io quel tempo. Non era stato Arthur a farmi uscire. Ho desiderato che Ragen andasse via dal posto…» Si guardò in giro con gli occhi pieni di lacrime. «Non mi piace ripensarci. Non posso andare in tribunale. Non voglio dire niente a Ragen… Voglio stare fuori dalla vita dei ragazzi. Non voglio più creare dei problemi… Mi sento terribilmente in colpa… Perché l’ho fatto?»

«Quando hai cominciato a uscire sul posto?» chiese il dottor George.

«L’estate scorsa ho cominciato a rubare del tempo. E quando i ragazzi erano in isolamento a Lebanon, me ne sono presa un po’ per scrivere delle poesie. Mi piace scrivere poesie…» Singhiozzò. «Cosa faranno ai ragazzi?»

«Non lo sappiamo», disse il dottor George con dolcezza. «Stiamo cercando di capire tutto il possibile.»

«Solo non fategli troppo male», disse Adalana.

«Quando sono successi quegli incidenti lo scorso ottobre, sapevi cosa si stava preparando?» chiese lui.

«Sì. So tutto. So cose che Arthur non si immagina neanche… Ma non potevo fermarlo. Sentivo le pillole e l’alcol. Non so perché l’ho fatto. Ero così sola.»

Tirò su con il naso e chiese un fazzolettino.

Il dottor George guardava attentamente il viso di Adalana mentre la interrogava con estrema cautela, per paura che si spaventasse e andasse via. «C’erano delle persone amiche con cui ti trovavi… bene? Per affrontare un po’ della tua solitudine?»

«Non parlo mai con nessuno. Neanche con i ragazzi… Parlo con Christene.»

«Hai detto che sei uscita sul posto per un certo periodo durante l’estate, e a Lebanon. Eri mai uscita sul posto prima di allora?»

«Non sul posto. Ma ero là. Sono là da tanto tempo.»

«Quando Chalmer…»

«Sì!» lo interruppe. «Non parlare di lui!»

«Puoi stabilire un rapporto con la madre di Billy?»

«No! Lei non poteva stabilire un rapporto neanche con i ragazzi.»

«… e con la sorella di Billy, Kathy?»

«Sì, parlavo con Kathy. Ma lei non lo sapeva, credo. Andavamo a fare spese assieme.»

«… e con il fratello di Billy, James?»

«No… oltretutto non mi piaceva neanche.»

Adalana si asciugò gli occhi e poi si appoggiò allo schienale, guardando stupita la macchina da presa e tirando su con il naso. Poi rimase a lungo in silenzio, e il dottore capì che se n’era andata. Osservò l’espressione assente del giovane e aspettò di vedere chi sarebbe uscito sul posto.

«Sarebbe di grande aiuto», disse in modo gentile e persuasivo, «se potessimo parlare con Billy.»

Il volto di fronte a lui assunse un’espressione sorpresa e spaventata, come se Billy si stesse guardando intorno per assorbire e comprendere l’ambiente intorno a sé. Il dottor George riconobbe l’espressione che aveva visto alla Franklin il giorno in cui Cornelia Wilbur aveva fatto uscire Billy, la personalità centrale.

Harding si rivolse a lui con un tono pacato, temendo che si dileguasse prima che lui potesse stabilire un contatto. Si guardava in giro atterrito, facendo sussultare nervosamente le ginocchia.

«Sai dove ti trovi?» gli chiese.

«No.»Alzò le spalle e lo disse come se stesse rispondendo a una domanda di quelle scolastiche che ammettono per risposta solo un sì o un no, e non fosse sicuro di avere la risposta giusta.

«Questo è un ospedale e io sono il tuo medico.»

«Cristo, mi ucciderà se parlo con un dottore.»

«Chi ti ucciderà?»

Billy si guardò intorno e vide la cinepresa puntata verso di lui.

«Cos’è quella?»

«È per registrare questa seduta. È una macchina da presa, e pensavamo che sarebbe stato utile avere una registrazione di questo incontro, in modo che tu poi possa rivederti.»

Ma ormai Billy se n’era andato.

«Quell’aggeggio l’ha spaventato», disse Tommy con disprezzo.

«Ho spiegato che era una macchina da presa e…»

Tommy ridacchiò. «Probabilmente non sapeva di cosa stessi parlando.»

Quando la seduta fu terminata, Tommy tornò al Wakefield Cottage e il dottore, rimasto solo nel suo studio, rifletté a lungo su quanto era successo. Quella di William S. Milligan - George Harding lo avrebbe dovuto spiegare alla corte, e lo sapeva - non era un’infermità mentale nella comune accezione del termine: la dissociazione era considerata una nevrosi, non una psicosi. Tuttavia, sulla base della sua esperienza clinica, riteneva che Milligan fosse a tal punto distaccato dalla realtà da non poter conformare la propria condotta a quanto prescritto dalla legge, e dunque non era responsabile dei crimini commessi.

Tutto quello che si poteva fare era di continuare a tenere in cura il paziente cercando di metterlo, in un modo o nell’altro, nelle condizioni di poter affrontare il processo.

Ma avendo ormai a disposizione meno di sei settimane sui tre mesi concessi dal tribunale, come avrebbe potuto curare una malattia che a una psicoanalista come Cornelia Wilbur aveva richiesto più di dieci anni di lavoro con Sybil?

La mattina seguente, Arthur decise che era importante condividere con Ragen quanto aveva appreso su Adalana durante la seduta videoregistrata con il dottor George. Si mise a fare avanti e indietro per la stanza di custodia speciale e si rivolse a Ragen ad alta voce: «Il mistero degli stupri è stato risolto. Ora so chi è stato».

La sua voce si trasformò velocemente in quella di Ragen: «Come fai a sapere?»

«Sono venuto a conoscenza di nuovi fatti e ho messo assieme le informazioni.»

«Chi stato?»

«Dal momento che sei stato accusato di quei crimini, che peraltro non hai commesso, suppongo che tu abbia il diritto di saperlo.»

La conversazione si svolgeva a tratti ad alta voce, e a tratti interiormente, come un discorso senza audio, con un fulmineo passaggio da una personalità all’altra.

«Ragen, ti ricordi se in passato ti sia mai capitato di sentire delle voci femminili?»

«Sì, ho sentito Christene. E… sì, altre voci di donne.»

«Be’, quando sei andato fuori a rubare, tre volte lo scorso ottobre, una delle nostre femmine si è intromessa.»

«Cosa vuoi dire?»

«C’è una ragazza che non hai mai incontrato, si chiama Adalana.»

«Non sentito mai di lei.»

«È una persona molto dolce e gentile. È quella che ha sempre cucinato e pulito per noi. Faceva lei le composizioni floreali quando Allen lavorava dal fiorista. Non mi era proprio mai venuto in mente che…»

«Cosa c’entra lei con questa storia? Ha preso soldi?»

«No, Ragen. È quella che ha violentato le tue vittime.»

«Lei ha violentato ragazze? Arthur, come fa una femmina a violentare ragazze?»

«Ragen, hai mai sentito parlare di lesbiche?»

«D’accordo», disse Ragen, «come fa una lesbica a violentare un’altra donna?»

«Be’, è per questo che hanno accusato te. Quando uno dei maschi è sul posto, alcuni hanno la capacità fisica di fare sesso, anche se entrambi sappiamo che io ho stabilito una regola, quella del celibato. Adalana ha usato il tuo corpo.»

«Vuoi dire che tutto questo tempo loro hanno accusato me di stupri commessi da questa puttana?»

«Sì, ma voglio che tu parli con lei e che la lasci spiegare.»

«Quindi tutte queste balle di stupro vengono da lì. lo uccido lei.»

«Ragen, sii ragionevole.»

«Ragionevole?»

«Adalana, voglio che incontri Ragen. Poiché Ragen è il nostro protettore, ha il diritto di sapere quello che è successo. Dovrai spiegarti e giustificare le tue azioni davanti a lui.» Una voce delicata e sommessa fece eco nella sua mente, come se giungesse da un oscuro aldilà. Era come un’allucinazione, o la voce di un sogno.

«Ragen, mi dispiace per tutto questo guaio…»

«Ti dispiace!» ringhiò lui, camminando avanti e indietro. «Tu, lurida puttana. Perché vai in giro a violentare donne? Ti rendi conto di casino che hai messo tutti noi?»

Si voltò di scatto, abbandonando il posto, e improvvisamente un pianto di donna invase la stanza.

Il viso dell’infermiera Helen Yaeger comparve allo spioncino. «Posso aiutarti, Billy?»

«Maledizione, signora!» disse Arthur. «Ci lasci in pace!» La Yaeger se ne andò, risentita per i modi bruschi di Arthur. Quando si fu allontanata, Adalana cercò di spiegarsi: «Devi capire, Ragen, i miei bisogni sono diversi dai vostri».

«Ma perché fai sesso con donne? Tu sei una donna.»

«Voi uomini non capite. Almeno i bambini sanno cos’è l’amore, cos’è la compassione, cosa significa mettere le braccia intorno a qualcuno e dire: ‘Ti amo, ci tengo a te, provo dei sentimenti per te’.»

«Devo interrompervi», disse Arthur, «ma ho sempre pensato che l’amore fisico sia illogico e anacronistico, considerate le più recenti scoperte in campo scientifico…»

«Tu sei pazzo!» gridò Adalana. «Tutti e due!» Poi la sua voce si riaddolcì. «Se solo poteste provare cosa significa essere abbracciati e protetti, capireste.»

«Ascolta, puttana!» sbottò Ragen. «Non interessa me chi sei tu e cosa fai. Ma se provi a parlare con altra persona in questa Unità - o con chiunque - stai certa che muori.»

«Un momento», disse Arthur. «Tu non prendi decisioni come queste a Harding. Qui sono dominante io. Tu ascolti me.»

«Tu vuoi permettere lei passa liscia?»

«Assolutamente no. Me ne occuperò io. Ma non devi essere tu a dirle che non può più prendere il posto. Non hai niente da dire in proposito. Sei stato già abbastanza idiota da permetterle di sottrarti quel tempo. Non hai avuto abbastanza controllo. La tua stupida vodka e la marijuana e le anfetamine ti hanno reso così vulnerabile che hai messo in pericolo la vita di Billy e di tutti gli altri. Sì, è stata Adalana a farlo. Ma la responsabilità era tua, perché il protettore sei tu. E quando sei diventato vulnerabile, hai messo in pericolo non solo te stesso, ma tutti gli altri.» Ragen cominciò a parlare, ma indietreggiò. Quando vide la pianta sul davanzale, sollevò il braccio e la colpì facendola cadere sul pavimento.

«Detto questo», continuò Arthur, «concordo che d’ora in poi Adalana venga classificata come ‘indesiderabile’. Adalana, non prenderai mai più il posto. Non prenderai più il tempo.» Adalana andò nell’angolo, con la faccia rivolta verso il muro, e pianse fino a che non lasciò il posto.

Seguì un lungo silenzio, e poi arrivò David e si asciugò le lacrime dagli occhi. Vedendo la pianta nel vaso rotto sul pavimento, la guardò, sapendo che stava morendo. Vederla giacere così, con le radici esposte, lo faceva soffrire. Poteva sentirla appassire.

L’infermiera Yaeger tornò portando da mangiare su un vassoio. «Sei sicuro che non posso fare nulla per te?»

David si ritrasse. «Mi metterete in prigione perché ho assassinato la pianta?»

L’infermiera appoggiò il vassoio e gli mise una mano sulla spalla in modo rassicurante. «No, Billy. Nessuno ti metterà in prigione. Ci prenderemo cura di te e ti faremo stare meglio.»

Lunedì 8 maggio, George Harding Jr. si ritagliò uno spazio nella sua agenda fittissima per partecipare al convegno dell’American Psychiatric Association ad Atlanta. Aveva visto Milligan il venerdì precedente e aveva predisposto che in sua assenza iniziasse la terapia intensiva con la dottoressa Marlene Kocan, newyorkese, direttrice di psicologia.

Sebbene non li avesse mai espressi apertamente, Marlene Kocan, era fra coloro che fin dall’inizio avevano avuto dei dubbi sulla diagnosi di personalità multipla. Poi un pomeriggio, mentre stava parlando con Allen nel suo ufficio, l’infermiera Donna Egar la salutò: «Ciao, Marlene. Come va?» Allen si voltò immediatamente e disse d’impulso: «Marlene è il nome della ragazza di Tommy».

In quel momento, notando la spontaneità di quel commento, uscito senza che lui avesse il tempo di riflettere, la Kocan decise che non stava fingendo.

«Anch’io mi chiamo così», disse. «Dunque Marlene è la ragazza di Tommy?»

«Be’, lei non sa che è Tommy. Ci chiama tutti Billy. Ma è stato Tommy a darle un anello di fidanzamento. Lei non ha mai saputo il segreto.»

La dottoressa disse pensierosa: «Sarà un bello shock quando lo scoprirà».

Al meeting dell’APA, George Harding aggiornò Cornelia Wilbur sui progressi di Milligan. Le disse che ora non aveva più riserve a credere che fosse una personalità multipla. Le parlò del suo rifiuto di riconoscere gli altri nomi in pubblico e dei problemi che ne derivavano.

«L’ha fatto durante la terapia di gruppo del dottor Pugliese, e si è creato un certo disagio con gli altri pazienti. Quando gli si chiede di condividere i suoi problemi, si limita a dire: ‘Il mio medico mi ha detto di non parlarne’. Può immaginare l’effetto di un comportamento del genere, per non parlare della sua tendenza a interpretare il ruolo del terapeuta. È stato messo da parte dal gruppo.»

«Dovete capire», disse la dottoressa, «che cosa significhi per le personalità sostitutive non essere riconosciute. Certo, sono abituate a rispondere al nome originale, ma una volta che il segreto è venuto fuori, si sentono indesiderate.»

George Harding Jr. considerò la cosa e chiese a Cornelia Wilbur cosa ne pensasse del suo tentativo di curare Milligan nel breve periodo di tempo rimasto.

«Credo che dovrebbe chiedere al tribunale almeno altri novanta giorni», rispose lei. «E poi credo che dovrebbe tentare la fusione, in modo che Milligan possa collaborare con i suoi avvocati e affrontare il processo.»

«Lo Stato dell’Ohio manderà uno psichiatra forense per esaminarlo tra circa due settimane, il 26 maggio. Mi stavo chiedendo se prenderebbe in considerazione l’idea di venire in ospedale per un consulto. Il suo supporto potrebbe essermi utile.»

La dottoressa Wilbur accettò.

Sebbene il meeting dell’APA durasse fino a venerdì, il dottor George partì da Atlanta mercoledì. Convocò una riunione al Wakefield il giorno seguente e comunicò allo staff che, dopo aver discusso il caso con Cornelia Wilbur, era giunto alla conclusione che non riconoscere le personalità sostitutive fosse contro-terapeutico.

«Pensavamo che ignorando le personalità multiple, forse si sarebbero integrate, ma di fatto in questo modo non fanno altro che agire segretamente. Dobbiamo continuare a insistere sul bisogno di responsabilità e di affidabilità, ma evitando di reprimere le varie personalità.»

Sottolineò che se c’era una qualche speranza di ottenere la fusione, così che Milligan potesse affrontare il processo, tutte le personalità dovevano essere riconosciute e trattate come individui.

Rosalie Drake si sentì sollevata. In ogni caso, lei aveva sempre risposto alle diverse personalità di nascosto, specialmente a Danny. Ora sarebbe stato più facile per tutti lasciare che ciò accadesse allo scoperto, invece di far finta di niente solo per quei pochi che ancora non ci credevano.

Donna Egar sorrideva mentre, il 12 maggio 1978, inseriva il nuovo piano sul foglio degli obiettivi degli infermieri:

Il signor Milligan sarà libero di riferirsi ad altre personalità; ciò gli consentirà di parlare di sentimenti che altrimenti troverebbe difficile esprimere. La dimostrazione del conseguimento di questo obiettivo sarà la sua franca discussione con lo staff.

Piano:

1. Non negare il fatto che lui vive queste dissociazioni.

2. Quando crede di essere un’altra personalità, far emergere i suoi sentimenti in quella situazione.

4

Quando il minigruppo cominciò a lavorare in giardino a metà maggio, Rosalie Drake e Nick Cicco scoprirono che Danny era terrorizzato dalla motozappa. Cominciarono un programma di decondizionamento, invitando Danny ad avvicinarsi sempre di più alla macchina. Quando Nick disse a Danny che presto non avrebbe più avuto paura e sarebbe stato persino capace di usarla, lui per poco non svenne.

Parecchi giorni dopo, un altro dei pazienti di Rosalie rifiutò di collaborare al progetto di giardinaggio. Allen aveva notato che talvolta l’uomo sembrava divertirsi a prendersela con lei.

«È stupido», le gridò il paziente. «Si capisce benissimo che non sa un accidente di giardinaggio.»

«Be’, tutto quello che possiamo fare è provare», disse Rosalie.

«Sei solo una stupida femmina», asserì il paziente. «Non sai un cazzo di giardinaggio e nemmeno di terapia di gruppo.» Allen la vide sul punto di piangere, ma non disse niente. Lasciò uscire Danny per un momento a lavorare con Nick. Più tardi, tornato nella sua stanza, Allen cominciò a uscire sul posto, ma si sentì spintonare e sbattere contro il muro. Era qualcosa che solo Ragen poteva fare, e solo vicino al momento del cambio.

«Cristo, ma perché?» sussurrò Allen.

«In giardino questa mattina hai lasciato che uomo spaccone offendesse signora.»

«Be’, non è affar mio.»

«Conosci regole. Non te ne stai lì a guardare senza fare niente mentre qualcuno maltratta od offende donna o bambino.»

«Be’, perché non hai fatto qualcosa tu

«Non ero su posto. Toccava a te. Ricordatelo, oppure prossima volta che esci, spacco tua testa.»

Il giorno successivo, quando il paziente aggressivo insultò di nuovo Rosalie, Allen lo afferrò per il colletto e lo fulminò con lo sguardo. «Chiudi quella maledetta boccaccia!»

Sperava che l’uomo non reagisse. Se l’avesse fatto, Allen decise che se ne sarebbe andato e avrebbe lasciato che fosse Ragen a combattere. Questo era certo.

Rosalie Drake si ritrovò a dover costantemente difendere Milligan: da tutti quelli, all’interno dell’ospedale, secondo i quali non era nient’altro che un impostore, uno che li prendeva in giro per evitare una condanna. E anche da coloro che si sentivano offesi da Allen, che chiedeva privilegi speciali, mettendo così i membri dello staff l’uno contro l’altro; dall’arroganza di Arthur; e dall’atteggiamento asociale di Tommy. Si infuriò quando sentì alcuni degli infermieri lamentarsi del fatto che l’ospedale stava investendo troppo tempo e troppi mezzi per il paziente preferito del dottor George Harding Jr. E se ne andava disgustata tutte le volte che sentiva ripetere lo stesso cinico commento: «Si preoccupano più dello stupratore che delle sue vittime». Quando si cerca di aiutare delle persone mentalmente disturbate, insisteva lei, bisogna mettere da parte i sentimenti di vendetta e preoccuparsi dell’individuo.

Una mattina, Rosalie osservò Billy Milligan mentre se ne stava seduto sui gradini esterni del Wakefield Cottage, muovendo le labbra e parlando da solo. Fu attraversato da un cambiamento. Alzò lo sguardo, sgomento, scosse la testa e si toccò una guancia.

Poi notò una farfalla, si allungò e la afferrò. Quando sbirciò tra i palmi chiusi a coppa, saltò in piedi con un grido. Aprì le mani e iniziò a muoverle, agitandole verso l’alto come per aiutare la farfalla a riprendere il volo. La farfalla cadde e rimase per terra. Lui la guardò sconvolto.

Quando Rosalie gli si avvicinò, lui si voltò, chiaramente terrorizzato, con le lacrime agli occhi. Rosalie ebbe la sensazione, senza sapere perché, che si trattasse di una persona diversa da quella che aveva già incontrato.

Milligan raccolse la farfalla. «Non vola più.»

Lei gli sorrise affettuosamente, domandandosi se fosse il caso di correre il rischio di chiamarlo con il suo nome. Alla fine sussurrò: «Ciao, Billy. Aspettavo da tanto tempo di incontrarti».

Gli si sedette accanto sui gradini mentre lui si abbracciava le ginocchia e guardava intimorito l’erba, gli alberi, il cielo.

Qualche giorno dopo, nel minigruppo, Arthur permise a Billy di prendere di nuovo il posto e di lavorare con la creta. Nick lo incoraggiò a modellare una testa, e Billy ci lavorò per quasi un’ora, formando una palla con la creta, aggiungendo dei pezzi per il naso e per gli occhi e premendoci dentro due palline per le iridi.

«Ho fatto una testa», esclamò orgoglioso.

«È fatta molto bene», disse Nick. «Chi dovrebbe essere?»

«Deve essere qualcuno?»

«No, solo pensavo che magari lo era.»

Non appena Billy distolse lo sguardo, Allen prese il posto e guardò disgustato la testa di creta: era solo una massa grigia con delle palline d’argilla infilate dentro. Afferrò la spatola con l’intenzione di darle un’altra forma. L’avrebbe trasformata in un busto di Abramo Lincoln o forse di George Harding Jr., e avrebbe fatto vedere a Nick cos’era la vera scultura.

Quando si mosse verso la faccia, l’attrezzo gli scivolò, conficcandoglisi nel braccio e facendolo sanguinare.

Allen restò a bocca aperta. Sapeva benissimo di non essere stato così goffo. Improvvisamente, si sentì scaraventare contro il muro. Accidenti. Di nuovo Ragen.

«Cos’ho fatto stavolta?» mormorò.

La risposta gli rimbombava in testa. «Non devi mai toccare lavoro di Billy.»

«Ma porca… volevo solo…»

«Volevi darti arie. Far vedere che tu artista di talento. Ma adesso è più importante che Billy segua terapia.»

Quella sera, solo nella sua stanza, Allen si lamentò con Arthur di non poterne più di farsi maltrattare da Ragen. «Se è così pignolo su ogni cosa, che se ne occupi lui o uno degli altri.»

«Sei stato piuttosto polemico», disse Arthur. «Hai creato discordia. Per colpa tua, il dottor Pugliese ci ha esclusi dalla terapia di gruppo. La tua costante manipolazione ci ha reso ostili diversi membri dello staff di Wakefield.»

«Bene, allora che sia qualcun altro a occuparsi delle cose. Metti qualcuno che non parli molto. Billy e i bambini hanno bisogno della terapia. Che si gestiscano loro questa gente.»

«Ho deciso di lasciare che Billy prenda il posto più spesso», disse Arthur. «Dopo che avrà incontrato il dottor George, per Billy sarà giunto il momento di incontrare noi altri.»

5

Quando Milligan entrò nella sala colloqui mercoledì 24 maggio, il dottor George notò il suo sguardo atterrito, quasi disperato, come se dovesse fuggire o crollare da un momento all’altro. Fissava il pavimento, e il dottore ebbe la sensazione che a tenerlo ancorato al presente ci fosse soltanto un filo molto sottile. Rimasero seduti in silenzio per un po’, mentre le ginocchia di Billy andavano su e giù nervosamente, poi il dottore gli disse con dolcezza: «Magari potresti dirmi soltanto qualcosa di come ti senti stamattina a venire qui a parlare con me».

«Non ne so niente», disse Billy con una voce nasale e lamentosa.

«Non sapevi che saresti venuto qui e che mi avresti incontrato? Quando sei uscito sul posto?»

Billy sembrava confuso. «Il posto?»

«Quando hai saputo che noi due avremmo parlato?»

«Quando è venuto quel tipo e mi ha detto di andare con lui.»

«Cosa pensavi che sarebbe successo?»

«Mi ha detto che dovevo vedere un dottore. Non sapevo perché.» Le ginocchia continuavano ad andare su e giù senza controllo.

La conversazione procedeva lentamente, tra silenzi strazianti, mentre il dottore cercava di stabilire un rapporto con quello che, ne era certo, era la personalità centrale. Come un pescatore che maneggia la canna con delicatezza per lavorare con la lenza facendo attenzione a non spezzarla, sussurrò: «Come ti senti?»

«Bene, credo.»

«Che tipo di problemi hai avuto?»

«Be’… faccio delle cose e non me le ricordo… vado a dormire… e la gente poi mi dice che faccio delle cose.»

«Che genere di cose ti dicono che fai?»

«Cose brutte… roba da criminali.»

«Cose che pensavi di fare? La maggior parte di noi pensa di fare un sacco di cose diverse, in momenti diversi.»

«Ogni volta che mi sveglio, qualcuno dice che ho fatto qualcosa di brutto.»

«E tu che cosa pensi quando ti dicono che hai fatto qualcosa di brutto?»

«Voglio solo morire… perché io non voglio fare male a nessuno.»

Tremava così forte che il dottor George cambiò rapidamente argomento. «Mi stavi dicendo del tuo dormire. Quanto dormi?»

«Oh, non sembra tanto tempo, ma invece lo è. Continuo anche a sentire delle cose… qualcuno che cerca di parlare con me.»

«E che cosa cercano di dirti?»

«Non riesco a capirli bene.»

«Perché sono come dei bisbigli? O è frammentato? O indistinto, e quindi non riesci a capire le parole?»

«È molto debole… e sembra che venga da qualche altro posto.»

«Come da un’altra stanza oppure da un altro Paese?»

«Sì», rispose Billy. «Come da un altro Paese.»

«Qualche Paese in particolare?»

Dopo una lunga pausa per cercare di ricordare, Billy disse: «Suona come le persone nei film di James Bond. E l’altro come un russo. Sono le persone che quella signora ha detto che sono dentro di me?»

«Potrebbe essere», sussurrò il dottore in modo quasi impercettibile, preoccupato dallo sguardo allarmato che attraversava il viso di Billy.

La voce di Billy si trasformò in un grido: «Cosa stanno facendo là dentro?»

«Che cosa ti dicono? Questo potrebbe aiutarci a capire. Ti danno delle indicazioni, dei consigli, o ti fanno da guida?»

«È come se continuassero a dire: ‘Ascolta quello che dice lui. Ascolta quello che dice lui’.»

«Riferito a chi? A me?»

«Credo di sì.»

«Li senti che ti parlano anche quando io non sono con te, quando sei da solo?»

Billy sospirò. «È un po’ come se stessero parlando di me. Con altre persone.»

«Si comportano come se dovessero proteggerti? Parlano di te con altre persone, ma come se dovessero difenderti?»

«Penso che mi facciano andare a dormire.»

«Quand’è che ti fanno andare a dormire?»

«Quando sono troppo fuori di me.»

«Credi che sia quando non riesci a controllare l’agitazione? Perché questa è proprio una delle ragioni per cui le persone vanno a dormire. Per allontanarsi da qualsiasi cosa le turbi. Non ti pare che stai diventando abbastanza forte, adesso, così che loro non dovranno più essere tanto protettivi?»

«Chi sono loro?» gridò lui, con voce allarmata, che saliva di tono. «Chi sono queste persone? Perché non mi lasciano stare sveglio?»

Il dottore si rese conto di dover prendere un’altra strada. «Quali sono le cose più difficili da affrontare per te?»

«Quando qualcuno vuole farmi del male.»

«Questo ti fa paura?»

«Mi fa andare a dormire.»

«Ma puoi farti male lo stesso», insistette il dottore. «Anche se non lo sai».

Billy si mise le mani sulle ginocchia che sussultavano. «Ma se vado a dormire, non mi faccio male.»

«Cosa succede allora?»

«Boh… Tutte le volte che mi sveglio, non mi sono fatto male.» Dopo un lungo silenzio, sollevò di nuovo lo sguardo. «Nessuno ha detto perché queste persone sono qui.»

«Quelle che hanno parlato con te?»

«Sì.»

«Forse è per quello che hai appena detto; quando non sapevi come proteggerti da un pericolo, un altro lato di te, in un modo o nell’altro, è riuscito a trovare un sistema per evitare che ti facessi del male.»

«Un altro lato di me?»

Il dottor George sorrise e annuì, in attesa di una risposta. La voce di Billy tremava. «Com’è che io non conosco l’altro lato?»

«Perché dentro di te deve esserci una grande paura», rispose il dottore, «che ti impedisce di intraprendere le azioni necessarie per proteggerti. In un modo o nell’altro, è una cosa che ti fa troppa paura. E così devi andare a dormire, per permettere a quell’altro lato di te di prendere quelle misure correttive.»

Billy sembrò prendere in considerazione la cosa, e poi alzò gli occhi, come se stesse facendo il possibile per capire. «Perché sono fatto così?»

«Devono essere successe cose che ti hanno spaventato terribilmente quando eri molto piccolo.»

«Non voglio pensare a quelle cose. Fanno male», singhiozzò Billy dopo un lungo silenzio.

«Mi avevi chiesto perché devi addormentarti quando ti trovi in situazioni in cui temi di farti male.»

Billy si guardò in giro e disse con voce soffocata: «Com’è che sono finito in questo ospedale?»

«La signora Turner e le dottoresse Karolin e Wilbur pensavano che, se tu fossi venuto in ospedale, non avresti avuto bisogno di addormentarti. Credevano che avresti imparato a gestire i problemi e le situazioni difficili, e che saresti stato in grado di affrontarle.»

«Vuole dire che voi potete fare questa cosa?»

«Senza dubbio vorremmo provare ad aiutarti in questo. Tu vuoi che ci proviamo?»

La voce di Billy si trasformò di nuovo in un grido: «Insomma, mi tirerete fuori questa gente

Il dottor George Harding Jr. decise di andarci piano. Doveva fare attenzione a non promettere troppo. «Vorremmo aiutarti affinché tu non debba più addormentarti. Fare in modo che questi altri tuoi lati ti rendano una persona più forte e più sana.»

«Non li sentirò più? E non potranno mettermi a dormire?»

Il dottor George scelse le parole con attenzione: «Se diventerai abbastanza forte, non ci sarà alcun bisogno di metterti a dormire».

«Non pensavo che qualcuno avrebbe mai potuto aiutarmi. Io… io non sapevo… Ogni volta che andavo meglio, mi svegliavo… Ero chiuso in una stanza - di nuovo nella scatola…» La voce gli si strozzò in gola, gli occhi si muovevano da una parte all’altra pieni di terrore.

«Dev’essere davvero spaventoso», disse il dottor George, cercando di rincuorarlo. «Terribilmente spaventoso.»

«Mi mettono sempre in una scatola», si lagnò Billy, alzando la voce. «Lui sa che sono qui?»

«Chi?»

«Papà.»

«Non ho avuto alcun contatto con lui. Non so se sa che sei qui.»

«Io… io non devo dire le cose. Se sapesse che tu parli con me, lui… oh!… mi ucciderebbe… e mi seppellirebbe nel granaio…» Era terribile vedere la sua espressione sofferente mentre si rannicchiava e poi guardava a terra. Il filo si era spezzato. Il dottore sapeva di averlo perso.

Allen parlò a bassa voce. «Billy è addormentato. Non l’ha messo a dormire Arthur. Ci è andato da solo perché ha ricominciato a ricordare.»

«Parlare di quelle cose era proprio troppo difficile, vero?»

«Di cosa stavate parlando?»

«Di Chalmer.»

«Oh, be‘, quello…» Diede uno sguardo alla macchina da presa. «A cosa serve questa cinepresa?»

«Ho detto a Billy che mi piacerebbe videoregistrarlo. Gliel’ho spiegato, e ha detto che andava bene. Cosa ti ha fatto venire qui ora?»

«Arthur mi ha detto di uscire sul posto. Immagino che tu stessi facendo spaventare Billy con quei ricordi. Tipo che si sentiva in trappola.»

Il dottor George cominciò a spiegare di che cosa avevano parlato lui e Billy, e poi gli venne un’idea. «Dimmi una cosa, sarebbe possibile che io parlassi con te e con Arthur qui assieme? Noi tre che parliamo di quello che è appena successo.»

«Be’, posso chiedere ad Arthur.»

«Voglio chiedere a te e ad Arthur la vostra opinione su Billy, se pensate che ora sia più forte e che non abbia più tendenze suicide, e che magari possa affrontare più cose…»

«Non ha tendenze suicide.»

La voce si fece tranquilla, chiara. Aveva un accento britannico molto forbito. Il dottor George capì che Arthur aveva deciso di venire fuori e dire la sua. Non vedeva Arthur dal consulto con la dottoressa Wilbur e tutti gli altri quella domenica mattina in carcere. Cercando di contenersi e di non far trasparire la sorpresa, proseguì la conversazione: «Ma bisogna sempre trattarlo con i guanti di velluto? È ancora vulnerabile?»

«Sì», rispose Arthur, congiungendo la punta delle dita. «Facilmente impressionabile. Decisamente paranoide.»

Il dottor George fece presente che non aveva avuto davvero intenzione di parlare di Chalmer in quel momento, ma che sembrava che Billy avesse bisogno di discuterne.

«Lei ha toccato un ricordo del suo passato», disse Arthur, scegliendo con cura le parole, «e quella è la prima cosa che gli è venuta in mente. Ha trionfato la paura, ed è stato più che sufficiente per farlo addormentare. Non c’era niente che io potessi fare per controllarlo. Ho lasciato che si svegliasse prima di venire…»

«Sei a conoscenza di tutto quello che dice quando è sveglio?»

«Solo in parte, e non sempre. Non sono in grado di dire sempre esattamente che cosa stia pensando. Ma quando pensa, io riesco a percepire la paura. Per qualche ragione, non riesce a sentire chiaramente tutto quello che gli sto dicendo. Ma è come se sapesse che a volte lo mettiamo a dormire, e che può andare a dormire anche da solo.»

Il dottor George e Arthur analizzarono assieme alcune delle personalità sostitutive, ma proprio quando aveva cominciato a ricordare, Arthur si fermò di colpo, inclinò la testa e pose fine alla discussione.

«C’è qualcuno alla porta», disse e se ne andò.

Era il tecnico di psichiatria Jeff Janata; aveva detto che sarebbe tornato alle dodici meno un quarto.

Arthur lasciò che Tommy tornasse con Jeff al Wakefield Cottage.

L’indomani, due giorni prima della visita della dottoressa Wilbur, George Harding capì, da come gli sussultavano le ginocchia, che a presentarsi per la terapia era la personalità centrale. Billy aveva colto i nomi di Arthur e Ragen, e adesso voleva sapere chi fossero.

Come poteva spiegarglielo? si chiese Harding. Ebbe un’orribile visione di Billy che si uccideva una volta appresa la verità. Il paziente di un collega di Baltimora si era impiccato in prigione dopo aver saputo di essere una personalità multipla. Il dottor George inspirò profondamente e poi glielo disse: «Quella voce che sembra venire da un film di James Bond è Arthur. Arthur è uno dei tuoi nomi».

Le ginocchia di Billy si fermarono, e gli occhi si spalancarono.

«Una parte di te è Arthur. Ti va di conoscerlo?»

Billy cominciò a tremare, e le ginocchia sussultavano con una tale violenza che lui stesso se ne accorse e cercò di fermarle appoggiandoci sopra le mani. «No. Voglio andare a dormire.»

«Billy, penso che, se tu ce la mettessi tutta, potresti stare sveglio quando Arthur viene fuori e parla. Potresti ascoltare quello che dice, così capiresti qual è il tuo problema.»

«Mi fa paura.»

«Vuoi fidarti di me?»

Billy annuì.

«D’accordo allora. Mentre tu sei seduto là, Arthur uscirà e parlerà con me. Tu non andrai a dormire. Sentirai tutto quello che dice, e lo ricorderai. Esattamente come fanno alcuni altri. Non sarai sul posto, ma rimarrai cosciente.»

«Cos’è ‘il posto’? Ne hai parlato anche l’altra volta, ma non mi hai spiegato che cos’è.»

«È il modo che Arthur usa per spiegare quello che succede quando una delle persone dentro di te esce allo scoperto nella realtà e assume il controllo. È come un riflettore, e chiunque faccia un passo al suo interno possiede la coscienza. Chiudi gli occhi e lo vedrai.»

Harding trattenne il respiro mentre Billy chiudeva gli occhi. «Lo vedo! È come essere su un palcoscenico al buio e un riflettore mi sta illuminando.»

«Va bene, Billy. Ora, se fai solo un passo da una parte, fuori del cerchio di luce, sono sicuro che Arthur verrà fuori e parlerà con noi.»

«Sono fuori della luce», disse Billy, e le sue ginocchia si fermarono.

«Arthur, Billy ha bisogno di parlarti», disse Harding. «Mi dispiace disturbarti e farti venire fuori, ma è fondamentale per la terapia di Billy che lui sappia di te e degli altri.»

Harding si accorse di avere le mani sudate. Quando gli occhi del suo paziente si aprirono, l’espressione corrucciata di Billy si trasformò nell’arrogante sguardo di sufficienza di Arthur. E la voce era quella che aveva udito il giorno prima: un accento britannico delle classi alte, la mascella rigidamente serrata e le labbra che si muovevano appena.

«William, questo è Arthur. Voglio che tu sappia che questo è un posto sicuro, e che le persone che sono qui stanno cercando di aiutarti.»

Immediatamente l’espressione del viso di Billy cambiò, e gli occhi si spalancarono. Si guardò in giro sgomento e chiese: «Perché non ho saputo di te prima?»

Tornò a essere Arthur. «Era mia convinzione che non ti avrebbe fatto alcun bene saperlo prima di essere pronto. Avevi forti tendenze suicide. Dovevamo aspettare il momento giusto per metterti a conoscenza del segreto.»

Il dottore osservò e ascoltò, intimorito ma compiaciuto, mentre Arthur parlava con Billy per quasi dieci minuti, raccontandogli di Ragen e delle altre otto persone e spiegandogli come il lavoro del dottor George consistesse nel mettere assieme tutte le menti in una sola, per renderlo di nuovo un tutto unico.

«Lei può farlo?» chiese Billy, rivolgendosi al dottore.

«La chiamiamo ‘fusione’, Billy. Lo faremo lentamente. Prima Allen e Tommy, perché hanno molte cose in comune. Poi Danny e David, che hanno entrambi bisogno di moltissima terapia. E poi uniremo gli altri, uno per volta, finché sarai di nuovo integrato.»

«Perché deve fonderli con me? Perché non può liberarsi di loro?»

Il dottor George unì la punta delle dita. «Perché altri terapeuti ci hanno provato, in condizioni simili alle tue, Billy, e sembra che non funzioni. Il metodo che ti offre maggiori possibilità di miglioramento consiste nel mettere assieme tutti questi aspetti di te, prima facendoli comunicare tra di loro, e poi ricordando tutto quello che fa ciascuno di essi, superando l’amnesia. La chiamiamo co-coscienza. Infine, si lavora alla fusione: si cerca di mettere assieme tutte le diverse persone.»

«Quando lo farà?»

«La dottoressa Wilbur verrà dopodomani per incontrarti, e terremo una presentazione e un dibattito con la maggior parte dei membri dello staff che lavorano con te. Faremo vedere le videocassette per aiutare alcuni di loro - che non hanno mai avuto esperienza di questa condizione mentale - a capirti meglio, in modo che possano esserti di aiuto.»

Billy fece segno di sì con la testa, poi spalancò gli occhi e rivolse l’attenzione verso l’interno. Annuì diverse volte, e subito dopo guardò il dottore, attonito.

«Cosa c’è, Billy?»

«Arthur dice di dirle che vuole approvare chi verrà a vedermi alla riunione.»

6

L’ospedale ribolliva di eccitazione. La dottoressa Cornelia Wilbur vi aveva già tenuto una conferenza nell’estate del 1955, ma questa volta era diverso. Adesso avevano un paziente famoso, il primo caso di personalità multipla osservato ventiquattro ore su ventiquattro in un ospedale psichiatrico. La diagnosi divideva ancora lo staff su due fronti, ma tutti volevano essere in quell’aula ad ascoltare la dottoressa Wilbur che parlava di Billy Milligan.

Nonostante lo staff di Wakefield fosse giunto alla conclusione che sarebbero state presenti dieci o quindici persone, nella sala al piano interrato dell’edificio amministrativo se ne radunarono quasi cento. I medici e i responsabili amministrativi portarono le mogli; i membri dello staff di altri dipartimenti dell’ospedale - che non avevano nulla a che fare con la terapia di Milligan - si ammassarono in fondo alla sala, seduti sul pavimento, appoggiati ai muri e fuori nell’atrio adiacente.

Il dottor George Harding Jr. mostrò al pubblico le recenti videoregistrazioni in cui lui e Dorothy Turner lavoravano con le diverse personalità. Arthur e Ragen destarono interesse, poiché nessuno - a parte quelli di Wakefield - li aveva mai visti. Adalana, che nessuno aveva mai incontrato prima, a eccezione di Dorothy Turner, suscitò stupore e derisione. Ma quando Billy - la personalità centrale - comparve sullo schermo, la sala piombò in un silenzio rapito. E quando gridò: «Chi sono queste persone? Perché non mi lasciano stare sveglio?» Rosalie Drake, tra gli altri, dovette ricacciare indietro le lacrime.

Al termine del filmato, la dottoressa Wilbur portò Milligan nella sala e gli fece una breve intervista. Parlò con Arthur, Ragen, Danny e David. Risposero alle domande, ma Rosalie notò il loro nervosismo. Finita la seduta, Rosalie percepì dal brusio il risentimento dello staff di Wakefield. Le infermiere Adrienne McCann e Laura Fisher si lamentavano che ancora una volta Milligan avesse avuto l’opportunità di sentirsi speciale e di essere sotto i riflettori. Rosalie, Nick Cicco e Donna Egar non approvavano che Billy fosse stato esposto in quel modo.

Dopo la visita della dottoressa Wilbur, la strategia terapeutica cambiò di nuovo, e il dottor George si concentrò sulla fusione delle personalità.

La dottoressa Marlene Kocan programmò delle sedute regolari, e le personalità cominciarono a ricordare esperienze di abuso e di tortura, affrontandole e rivivendo l’angoscia che, all’età di otto anni, aveva portato Milligan alla dissociazione più importante.

La dottoressa Kocan non era d’accordo con il piano di fusione. Sapeva - così disse - che era stato il metodo seguito dalla dottoressa Wilbur con Sybil, e che in altre circostanze poteva essere l’approccio corretto. Ma dovevano prendere in considerazione che cosa sarebbe successo se Ragen fosse stato fuso con gli altri e Milligan fosse stato mandato in prigione. In un ambiente ostile, non avrebbe avuto modo di difendersi ed essendo stata rimossa la sua unica protezione, avrebbe potuto essere ucciso.

«In precedenza è sopravvissuto in prigione», commentò qualcuno.

«Sì, ma c’era Ragen a proteggerlo. Se venisse nuovamente violentato da un maschio ostile - e sapete che questo succede spesso in carcere - probabilmente si ucciderebbe.»

«Il nostro compito è quello di integrarlo», disse Harding. «È l’incarico affidatoci dal tribunale.»

Billy, la personalità centrale, fu incoraggiato ad ascoltare le altre persone, a rispondere loro, a prendere atto della loro esistenza e a conoscerle. Attraverso una suggestione costante, Billy riuscì a restare sul posto sempre più a lungo. La fusione doveva avvenire per gradi. Le persone simili tra loro o con caratteristiche compatibili sarebbero state fuse per prime, due alla volta, e i risultati di queste fusioni preliminari sarebbero stati a loro volta integrati, attraverso un’intensa suggestione, sino alla fusione conclusiva nella personalità centrale.

Poiché Allen e Tommy erano i più simili tra loro, sarebbero stati fusi per primi. Allen riferì che alle ore di discussione e di analisi con il dottor George erano seguite discussioni interiori ancora più lunghe con Arthur e Ragen. Allen e Tommy si impegnarono à fondo nella fusione assieme al dottor George, ma la cosa si presentava difficile perché Tommy aveva paure che Allen non condivideva. Allen, per esempio, amava il baseball, ma Tommy aveva paura di giocare perché una volta, quando era più piccolo e giocava in seconda base, aveva commesso degli errori ed era stato picchiato. Il dottor George suggerì che Nick Cicco, Allen e le altre persone aiutassero Tommy parlandogli della sua paura e incoraggiandolo a giocare a baseball. L’arteterapia sarebbe continuata, compresa la pittura a olio.

I più piccoli, disse Allen, non furono in grado di capire il concetto di fusione fino a quando Arthur non lo spiegò loro attraverso un’analogia. Arthur la paragonò a una cosa che i bambini conoscono, la bibita Kool-Aid, e spiegò che la polvere di Kool-Aid è fatta di cristalli singoli, ognuno separato dagli altri. Quando aggiungi l’acqua, si dissolvono. Ma se la miscela viene lasciata lì, l’acqua evapora, e resta una massa solida. Non si aggiunge niente e non si perde niente. Si modifica e basta.

«Adesso tutti lo capiscono» disse Allen. «La fusione è proprio come mescolare il Kool-Aid.»

Il 5 giugno l’infermiera Nan Graves registrò: «Il signor Milligan ha dichiarato di essersi fuso per un’ora come ‘Tommy’ e ‘Allen’ e che gli è parso ‘strano’».

Donna Egar riferì che Milligan le aveva detto di essere preoccupato per la fusione; infatti non voleva che qualcuno degli altri morisse, o che i loro talenti o i loro punti di forza si indebolissero. «Ma ci stiamo lavorando», la rassicurò Allen.

Il giorno dopo, Gary Schweickart e Judy Stevenson passarono in visita con alcune buone notizie. Il tribunale aveva approvato un prolungamento del periodo di osservazione e di terapia di Billy all’Harding Hospital, concedendogli almeno altri tre mesi per completare la fusione.

Mercoledì sera, il 14 giugno, nell’edificio della musica, Rosalie Drake stava osservando e ascoltando Tommy mentre suonava la batteria. Sapeva che prima d’allora Allen era stato l’unico a suonarla. Era palese che in quello stato di fusione non era bravo come Allen da solò.

«Mi sento come se stessi rubando il talento di Allen», le disse.

«Sei ancora Tommy?»

«Sono una combinazione e adesso non ho un nome. Questo mi disturba.»

«Però rispondi quando ti chiamano ‘Billy’.»

«L’ho sempre fatto», disse lui, accennando un ritmo lento sulla batteria.

«Qualcosa ti impedisce di continuare a farlo?»

Scrollò le spalle. «Suppongo che sarebbe meno complicato per tutti quanti. Okay.» Batté il ritmo. «Puoi continuare a chiamarmi Billy.»

La fusione non avvenne tutta in una volta. In momenti diversi, per periodi di tempo variabili, sette personalità - tutti gli alter ego a eccezione di Arthur, Ragen e Billy - si integrarono in una sola. Nel tentativo di fare un po’ di chiarezza, Arthur diede alla fusione un nuovo nome: ‘Kenny’. L’idea però non fece presa, e tutti ricominciarono a chiamarlo Billy.

In serata, una paziente portò all’infermiera Yaeger un appunto che aveva trovato nel cestino della carta di Milligan. Aveva tutta l’aria di essere il biglietto di addio di un suicida, così furono prese immediatamente precauzioni straordinarie. Per il resto della settimana, l’infermiera Yaeger riferì che nonostante i momenti di fusione e non fusione si alternassero, sembrava che Milligan restasse integrato per periodi di tempo sempre più lunghi. Il 14 luglio rimase integrato per la maggior parte della giornata e sembrava tranquillo.

Con il passare dei giorni, i risultati delle fusioni parziali continuavano a controllare il posto per la maggior parte del tempo; c’erano tuttavia brevi periodi di vuoto in cui Milligan era totalmente incapace di controllo.

Il 28 agosto Judy e Gary visitarono di nuovo il loro cliente in ospedale e fecero presente che la relazione del dottor George doveva essere consegnata al giudice entro circa tre settimane. Se il dottor George avesse deciso che Milligan fosse integrato e competente, il giudice Flowers avrebbe dovuto fissare una data per il suo processo.

«Penso che dovremmo discutere la strategia del processo», disse Arthur. «Vogliamo cambiare la nostra dichiarazione. Ragen è disposto a dichiararsi colpevole e ad accettare la pena per le tre rapine, ma non ha alcuna intenzione di dichiararsi colpevole degli stupri.»

«Ma quattro dei dieci capi di imputazione includono lo stupro.»

«Secondo Adalana, tutte e tre le donne hanno collaborato», disse Arthur. «Nessuna di loro è stata ferita, e tutte hanno avuto la possibilità di scappare. E Adalana dice di aver restituito a ognuna di loro una parte del denaro, in modo che - ricevendo anche l’indennizzo dalle assicurazioni - ci avrebbero guadagnato qualcosa.»

«Non è quello che sostengono le donne», replicò Judy.

«A chi hai intenzione di credere?» sbuffò Arthur. «A loro o a me?»

«Potremmo metterlo in dubbio se fosse una sola a contraddire la versione di Adalana, ma sono tutte e tre; ti rendi conto anche tu che queste donne non si conoscevano e non avevano alcun contatto fra loro…»

«Potrebbero sempre non voler ammettere la verità.»

«Come fai a sapere che cosa è successo veramente?» chiese Judy. «Tu non eri là.»

«Ma Adalana sì», rispose Arthur.

Né Judy né Gary accettavano l’idea che le vittime avessero collaborato, ma capivano che Arthur stava parlando del modo in cui Adalana aveva percepito gli eventi.

«Possiamo parlare con lei?» chiese Gary.

Arthur scosse la testa. «Visto ciò che ha fatto, è stata bandita dal posto per sempre. Non possono esserci ulteriori eccezioni.»

«Allora temo che ci atterremo alla dichiarazione che abbiamo già reso», disse Gary. «Non colpevole, e non colpevole per infermità mentale.»

Arthur gli lanciò uno sguardo gelido e, muovendo appena le labbra, sussurrò: «Lei non farà mai appello all’infermità mentale per mio conto».

«È la nostra unica speranza», disse Judy.

«lo non sono malato», insistette Arthur, «e con questo la discussione è chiusa.»

Il giorno successivo, Judy e Gary ricevettero un’altra lettera in carta legale gialla rigata nella quale si notificava che William S. Milligan non desiderava più essere rappresentato da loro e avrebbe gestito la propria difesa da solo.

«Ci ha licenziato di nuovo», disse Gary. «Che ne pensi?»

«Penso che io questa non l’ho mai vista» disse Judy, mettendo via la lettera in una cartellina. «Sai, i documenti si perdono, vengono messi nel posto sbagliato… Voglio dire, con il nostro fantastico sistema di archiviazione, potrebbero volerci sei o sette mesi per ritrovarla…»

Nei giorni successivi, altre quattro lettere con le quali Milligan sollevava i suoi avvocati dall’incarico finirono tutte nel posto sbagliato; visto che rifiutavano di rispondergli, Arthur alla fine rinunciò all’idea di liberarsi di loro.

«Possiamo vincere con un appello all’infermità mentale?» chiese Judy.

Gary si accese la pipa e cominciò a tirare boccate di fumo. «Se tutti - la Karolin, la Turner, la Kocan, Harding e la Wilbur -testimonieranno che quando furono commessi i crimini Billy era legalmente incapace secondo la definizione in vigore nell’Ohio, penso che vi siano buone probabilità.»

«Ma non sei tu che mi hai detto che nessuna personalità multipla accusata di un crimine grave è stata mai dichiarata non colpevole in considerazione dell’infermità mentale?»

Sul viso barbuto di Gary apparve un sorriso. «Be’, allora vuol dire che William Stanley Milligan sarà il primo.»

7

Il dottor George Harding Jr. si ritrovò a quel punto nel pieno di una crisi di coscienza. In cuor suo era convinto che ormai Billy si fosse integrato o che comunque fosse vicino alla fusione, e che probabilmente potesse esserlo a sufficienza per affrontare il processo. Il problema era un altro. Mentre giaceva insonne in quelle notti di fine agosto, passando in rassegna il materiale per la relazione da inoltrare al giudice Flowers, Harding si chiedeva se fosse eticamente corretto utilizzare una diagnosi di personalità multipla come difesa contro i gravi crimini di cui era accusato Milligan.

Lo preoccupava molto la questione della responsabilità penale. Temeva che le sue parole potessero essere usate in modo inappropriato, gettando discredito sulla diagnosi di personalità multipla, su altri pazienti affetti dalla stessa sindrome, sulla psichiatria in genere e sulla prassi della perizia psichiatrica in particolare. Se il giudice Flowers avesse accettato la sua conclusione, ossia che questo disturbo dissociativo, fino a quel momento classificato tra le nevrosi, fosse una ragione per considerare un paziente non colpevole per infermità mentale, si sarebbe creato un precedente legale, in Ohio e forse nell’intero Paese, e questo Harding lo sapeva bene.

Era convinto che Billy Milligan non avesse avuto il controllo delle proprie azioni in quei tre giorni fatali dell’ottobre precedente. Era suo compito approfondire la questione e spingersi in nuovi territori. Stava a lui comprendere quel caso, e comprendere Billy in modo che il suo caso risultasse utile alla società per trattare problemi simili. Telefonò di nuovo ad altri colleghi per ricevere consigli e aiuto, si consultò con il proprio staff e infine, il 12 settembre 1978, si mise a scrivere le sue nove pagine di relazione per il giudice Flowers, descrivendo la storia di Billy Milligan dal punto di vista medico, sociale e psichiatrico.

«Il paziente riferisce», scrisse, «che madre e figli subivano abusi fisici, e che lui in particolare fu vittima di sadismo e abusi sessuali, compresi rapporti anali, a opera del signor Milligan. Secondo il paziente, questo si verificò nell’arco di un anno, quando lui ne aveva otto o nove, generalmente in una fattoria dove si trovava da solo con il patrigno. Racconta di come temesse che il patrigno potesse ucciderlo, poiché minacciava di ‘seppellirlo nel granaio e di dire alla madre che era fuggito’.»

Nell’analizzare la psicodinamica del caso, Harding commentò che il suicidio del padre naturale aveva privato Milligan delle cure e delle attenzioni paterne, lasciandolo con «un sentimento di potere irrazionale e un senso di colpa devastante, che sfociavano in manifestazioni di ansia, conflitto e aumentato ricorso alla fantasia.» Il bambino era quindi «vulnerabile allo sfruttamento da parte del patrigno Chalmer Milligan, che approfittava del suo bisogno di affetto e di attenzione per soddisfare le proprie frustrazioni attraverso uno sfruttamento sessuale e sadico…»

Poiché il giovane Milligan si identificava con sua madre, quando la donna era picchiata dal marito, «viveva tutto il suo terrore e la sua pena…» Ciò condusse anche a «una sorta di ansia da separazione che lo fece precipitare in un mondo fantastico e instabile, con tutte le caratteristiche imprevedibili e inintelligibili del sogno. Questo, assieme alle umiliazioni, agli abusi sadici e allo sfruttamento sessuale messi in atto dal padre, portò a dissociazioni ricorrenti…»

Il dottor George Harding Jr. concludeva: «È ora mia opinione che il paziente, avendo raggiunto un’integrazione delle sue personalità multiple, sia in grado di affrontare il processo… ed è inoltre mia opinione che il paziente sia mentalmente infermo, e che a causa della sua malattia mentale non fosse responsabile della sua condotta criminale ai tempi in cui quest’ultima si manifestò, nella seconda metà dell’ottobre del 1977».

Il 19 settembre, Judy Stevenson presentò una mozione affinché la dichiarazione dell’imputato venisse emendata in: «Non colpevole, e non colpevole per ragioni di infermità mentale».

8

A questo punto, la diagnosi di personalità multipla non era ancora stata resa pubblica. Era nota solo a coloro che si occupavano della sua terapia, all’accusa e al giudice. La pubblica difesa continuava a insistere perché la diagnosi restasse segreta, dal momento che sarebbe stato difficile curare Milligan e difendere la sua causa in tribunale, se la sua storia fosse diventata un evento mediatico.

Bernie Yavitch era d’accordo, convinto com’era che rientrasse nella sua etica di pubblico ministero non rivelare ciò che stava accadendo con Milligan, dal momento che in merito non c’era stata alcuna deposizione in tribunale.

La mattina del 27 settembre, però, il Columbus Citizen-Journal rivelò la storia di Billy nei titoli principali:

PERSONALITÀ «FUSE» IN VISTA DEL PROCESSO

NELLUOMO SOSPETTATO DI STUPRO «VIVONO» 10 PERSONE

Quando all’Harding Hospital giunse notizia di quanto era uscito sul giornale del mattino, lo staff incoraggiò Billy a parlarne con gli altri pazienti prima che lo venissero a sapere da fonti esterne. Billy disse al minigruppo che era stato accusato di questi crimini, ma che non era sicuro di averli commessi, poiché a quel tempo era dissociato.

Quella sera i telegiornali parlarono del caso, e Billy andò in camera sua in lacrime.

Qualche giorno dopo, Billy dipinse una giovane donna, bella e dallo sguardo tormentato; l’infermiera Graves riferì che il paziente aveva dichiarato trattarsi di Adalana.

Il 3 ottobre Gary Schweickart si recò in visita da Milligan con la sua station wagon, per portarsi via alcuni dei quadri di Billy. Gli spiegò che Judy Stevenson era in vacanza in Italia con il marito e non sarebbe stata presente all’udienza preliminare per stabilire la sua competenza a testimoniare, ma sarebbe tornata in tempo per il processo. Gary passeggiò e parlò con Billy, cercando di prepararlo sia al trasferimento alla Franklin County Jail in attesa dell’udienza preliminare sia alla possibilità che perdessero la causa.

Il dottor George era certo che Billy ormai fosse integrato. Lo poteva constatare dall’assenza di palesi episodi dissociativi, e dal modo in cui Billy sembrava aver assunto su di sé le caratteristiche delle singole personalità separate. Inizialmente aveva notato parte dell’una e parte dell’altra, ma a poco a poco esse si erano amalgamate, mescolandosi in modo omogeneo. Anche lo staff aveva osservato il fenomeno. Tutti gli aspetti delle diverse personalità erano ora visibili in una sola: Billy Milligan.

George Harding affermò che il suo paziente era pronto.

Il 4 ottobre, due giorni prima che Billy tornasse alla Franklin County Jail, Harry Franken del Citizen Journal uscì con un secondo importante servizio sul caso Milligan. Era entrato in possesso di una copia della relazione di Harding grazie a una fonte anonima, e andò da Gary e Judy per un commento, dicendo loro che avrebbe pubblicato la storia. Gary e Judy informarono il giudice Flowers, il quale decise che l’informazione dovesse essere passata anche al Columbus Dispatch. I pubblici difensori accettarono di commentare la relazione, poiché comunque era già trapelata. Permisero ai fotografi di fare degli scatti dei quadri che Gary aveva portato dall’ospedale: Mosè sul punto di divulgare la tavola con i Dieci Comandamenti, un musicista ebreo che suonava il corno, un paesaggio e un ritratto di Adalana.

I servizi usciti sul giornale misero Billy sottosopra, e durante la sua seduta finale con la dottoressa Kocan era depresso. Aveva paura di quello che gli altri carcerati avrebbero potuto fargli, adesso che era venuta fuori la storia della personalità lesbica.

Le disse: «Se mi dichiarano colpevole e mi rimandano a Lebanon, so che mi toccherà morire».

«E allora Chalmer avrà vinto.»

«Be’, che cosa faccio, allora? Ho tutto questo odio imbottigliato dentro di me. Non posso gestirlo.»

Nonostante desse raramente consigli o istruzioni, preferendo adottare il metodo non direttivo e lasciando che fosse il paziente a decidere quale strada intraprendere, la dottoressa Kocan sapeva che adesso non c’era tempo per una simile terapia.

«Potresti fare un buon uso del tuo odio», suggerì. «Hai subito una violenza da bambino. Potresti sconfiggere sia quei ricordi terribili sia l’uomo che sostieni te li abbia inflitti, dedicando la tua vita alla lotta contro la violenza sui bambini. Da vivo, puoi impegnarti per una causa e vincere. Se muori, invece, vince l’uomo che ha abusato di te, e tu perdi.»

Più tardi lo stesso giorno, parlando con Donna Egar nella sua stanza, Billy si allungò sotto il letto e tirò fuori la lama di rasoio che Tommy aveva attaccato sotto una doga quasi sette mesi prima.

«Ecco», disse porgendogliela. «Non mi serve più. Voglio vivere.»

Donna lo abbracciò, con le lacrime agli occhi.

Disse a Rosalie: «Non voglio andare nel minigruppo. Devo prepararmi a stare da solo. Devo indurirmi. Niente addii».

Ma il minigruppo gli fece dei biglietti di addio, e quando Rosalie glieli portò, Billy si lasciò andare e pianse.

«Per la prima volta nella mia vita», disse, «penso di avere una reazione umana normale. Sto vivendo quelle che ho sentito definire ‘emozioni miste’. Non ero mai riuscito a provarle prima d’ora.»

Venerdì 6 ottobre, il giorno del trasferimento, Rosalie aveva il suo giorno libero, ma andò in ospedale lo stesso per stare con Billy. Sapeva che una parte dello staff di Wakefield le avrebbe riservato occhiate di disapprovazione e commenti sarcastici, ma non le importava. Andò nella sala delle attività ricreative e lo vide, nel suo tre pezzi blu, che camminava avanti e indietro, in attesa, apparentemente calmo e padrone di sé.

Rosalie e Donna Egar lo accompagnarono all’edificio dell’amministrazione, dove un vicesceriffo con gli occhiali scuri aspettava in portineria.

Quando l’uomo estrasse le manette, Rosalie si schierò davanti a Billy e gli chiese se fosse proprio necessario legarlo come un animale.

«Sì, signora», disse il vicesceriffo. «È la legge.»

«Per l’amor di Dio», esclamò Donna. «Quando è stato portato qui, era scortato solo da due donne e ora arriva il grande poliziotto cattivo e lo ammanetta?»

«Devo fare così, signora. Mi dispiace.»

Billy gli porse i polsi, e quando le manette scattarono, Rosalie lo vide sussultare. Salì sul furgone della polizia, e le due donne gli camminarono accanto mentre avanzava lentamente lungo la strada tutta curve in direzione del ponte di pietra. Lo salutarono con la mano, e poi tornarono all’Unità e si fecero un lungo pianto sconsolato.