15
Al suo leggero bussare Barbara aprì immediatamente al magistrato, come se attendesse la sua visita e fosse appostata vicino all’uscio. Ciononostante, vedendolo, s’irrigidì.
— Disturbo? — Ranaldi indugiò sulla soglia, disposto ad andarsene in caso di risposta affermativa, ma lei si fece da parte e lo invitò a entrare.
Lo precedette nel salottino che divideva le due camere e subito si sedette guardandolo con espressione interrogativa.
Lui prese posto sulla poltrona di fronte e si soffermò a osservarla. Barbara indossava un elegante abito da pomeriggio di una delicata tonalità rosa che le donava molto, con il bustino stretto che scendeva a punta nella gonna— ampia e vaporosa. La scollatura era quadrata e le maniche strette si arricciavano all’altezza dei gomiti, lasciando fuoriuscire sbuffi di pizzo color avorio. Aveva raccolto i capelli in due trecce appuntate attorno al capo come una corona d’oro. Non si era ripresa completamente. Il viso era affilato e le occhiaie si erano accentuate. Quella giovane donna era così evidentemente provata che si chiese se fosse opportuno riprendere a tormentarla. La presenza del marito, al contrario di quel che aveva pensato, non sembrava aver apportato granché beneficio. Appariva tesa e in procinto di cedere a un crollo nervoso.
Il protrarsi del silenzio del magistrato acuì l’apprensione di lei, che proruppe infine, con ansia: — Che posso fare per voi, signore?
L’uomo la scrutò con un’occhiata penetrante. Gli frullava un’idea nella mente, un’idea azzardata, ma che poteva funzionare. — Forse potete fare molto per me, baronessa... dipende solo da quanto siete disposta a rischiare — esordì allora Ranaldi, senza divagare in inutili preamboli.
— Non capisco...
— Sareste in grado di riconoscere il tale che avete scorto fuori della cappella la notte in cui avvennero i delitti?
Barbara sbiancò e spalancò gli occhi, fissandolo vacua.
— Vi sto proponendo un confronto, per intenderci.
— Con... con chi? — balbettò lei.
— Ma con gli uomini che sono ospiti dei marchesi, naturalmente.
— E che dovrei fare?
— Indicarci, anche approssimativamente, quale tra i tanti corrisponde alle caratteristiche dell’individuo che avete intravisto quella notte.
Barbara sospirò. — Non sono sicura di riuscirci, ma potrei tentare.
— Ottimo! — approvò Ranaldi. — Magari non approderemo a nulla, ma avremo perlomeno provato. Uno stratagemma del genere, inoltre, ci offrirebbe dei vantaggi da non trascurare anche nell’eventualità che il confronto si risolva con un buco nell’acqua.
— Quali?
— Se Ruperti è innocente e l’assassino è un altro, in una qualsiasi maniera bisognerà snidarlo. Potremmo tendergli una trappola, se siete d’accordo, ovviamente, facendo circolare la voce che voi lo avete visto e siete in grado di identificarlo.
— E lo trarremmo in inganno? — domandò lei con un filo di voce.
— Ah, lo spero! Lui non può immaginare che è un bluff, vi pare? Potrebbe cascarci veramente, e compiere una mossa falsa. — Tacque per un istante, riflettendo sul piano. Poteva davvero funzionare, si ripetè, ma Barbara Laurenzi, quale unica testimone oculare, non sarebbe incorsa in seri pericoli? E il marito avrebbe acconsentito? Forse sì, se la moglie fosse stata adeguatamente protetta dai suoi uomini, che avrebbero dovuto, da quel momento in avanti, sorvegliarla incessantemente. — L’assassino è persuaso di essere insospettabile, e finora lo è — riprese Ranaldi. — È convinto di aver agito in modo da non doversi preoccupare. Ma se gli arrivasse alle orecchie, attraverso le chiacchiere che noi metteremo in giro, che voi potete riconoscerlo, le cose cambierebbero di colpo. Sarebbe costretto a intervenire e a correre ai ripari come può...
— E io — lo interruppe con improvviso affanno Barbara — sarei il suo obiettivo.
— Sì — ammise il magistrato.
— E se fosse invece così astuto da mangiare la foglia? Le parole, dopotutto, devono essere avvalorate dai fatti per diventare credibili.
— Ma lo avete visto, in realtà, no? Non da vicino, d’accordo, ma lui che ne sa? Anche se dubitasse della veridicità delle voci che circolano non può permettersi il lusso di prenderle sottogamba, non vi sembra?
— Per cui, potrei rappresentare la sua terza vittima...
Ranaldi assentì. — Non vi allarmate, ma sopprimervi è esattamente ciò che cercherebbe di fare, in maniera da scongiurare un vostro possibile intervento.
— Oh, mio Dio! — si spaventò lei, portandosi istintivamente le mani tremanti alla gola. — È mostruoso!
— Non dovete aver paura, baronessa — la rincuorò Ranaldi con un sorriso rassicurante. — Ci saremo noi a vigilare sulla vostra incolumità.
— E se, malgrado la vigilanza, arrivasse fino a me?— obiettò Barbara terrorizzata.
— E come potrebbe superare indenne simili barriere? Oltre a noi, avete accanto vostro marito, un uomo forte e vigoroso che è indubbiamente in grado di difendervi da chiunque tenti di aggredirvi. No, non avete nulla da temere con tanti angeli custodi attorno a voi!
Barbara annuì debolmente. — Se non esiste altro mezzo... va bene, contate su di me — accondiscese. — Elena era come una sorella, e offrire il mio contributo per catturare l’assassino è doveroso. È strano, comunque, che non mi abbia neppure accennato a quei biglietti. Posso soltanto presumere che non avesse dato eccessiva importanza alla faccenda.
— Sì, è probabile — commentò Ranaldi. Barbara Laurenzi era rimasta di stucco quando glieli aveva mostrati, dichiarando di non saperne nulla.
— Avete appurato se tra i due delitti c’è un nesso?
— Certo che c’è — confermò il magistrato.— Agostina doveva aver scoperto qualcosa che poteva compromettere il suo assassino, che è in qualche modo legato a Elena Sigismondi. Forse un ex amante... — ipotizzò.
— Lo escludo. Se qualcuno le fosse stato così morbosamente attaccato da non rassegnarsi all’abbandono, seguendola fin quassù, me ne sarei accorta, non pensate? — replicò Barbara. — L’avrebbe assillata di continuo, anche in mia presenza, e invece no, non c’è stato nessuno che lo ha fatto. Inoltre, Elena era spensierata come sempre, come se non avesse grattacapi di sorta. Vi pare che se ci fosse stato un persecutore del genere non si sarebbe angustiata almeno un po’? E poi me lo avrebbe confidato.
— Ne siete certa? Di quei biglietti, per esempio, non vi ha fatto cenno.
— Be’, conoscendo la mia tendenza a drammatizzare, non avrà voluto impensierirmi. Però mi domando come ho potuto non accorgermene. Le camere sono attigue ed era un viavai continuo di entrambe dall’una all’altra stanza. Né in giro né nelle sue mani ho notato uno di quei biglietti.
Ranaldi liquidò l’argomento con un gesto. C’era ben altro che gli premeva sapere da Barbara Laurenzi e cioè quello che gli taceva. Anche per lei aveva preparato un trabocchetto per obbligarla a parlare, e benché gli dispiacesse ricorrervi, si disse che, in caso di necessità, il fine giustificava i mezzi.
— Vi ho detto che è venuto a deporre l’uomo che le aveva fatto da cavaliere la sera della festa?
— Dovrebbe importarmi? — replicò lei di colpo guardinga.
— Temo di sì, baronessa — Ranaldi assunse un cipiglio severo — dal momento che avete omesso parte della verità.
Barbara avvampò e, subito dopo, il suo viso perse ogni traccia di colore mentre i suoi occhi sfuggivano quelli inquisitori del magistrato. — Come potete... affermarlo? — farfugliò, consapevole che la sua reazione non era passata inosservata.
— Voi non eravate nel salone quando Elena Sigismondi vi fece ritorno — scandì lui — ma avete dichiarato il contrario. Ora quel tizio vi smentisce. Chi dei due mente, dunque? Voi o Filippo Bonis?
Era una panzana completamente inventata, poiché il bellimbusto era stato vago sull’argomento, ma Ranaldi intuì di aver fatto centro vedendo l’espressione atterrita sul viso della signora.
Barbara tentò di ricomporsi scervellandosi per trovare una scusa plausibile, ma i suoi sforzi fallirono. D’altronde, a che scopo continuare a negarlo? Altre persone avrebbero potuto confermare la deposizione di Filippo Bonis. Si rendeva conto, però, che la verità poteva costarle cara. Se avesse confessato il motivo della sua assenza e se Alviero fosse venuto a saperlo, non avrebbe potuto evitare una rottura definitiva col marito. Ma come avrebbe potuto, lui, giustificarla e perdonarla? Una volta che la piccante notizia si fosse diffusa nel loro ambiente, lo scandalo sarebbe stato enorme. Lei avrebbe perso la reputazione, distrutto irrimediabilmente la fragile intesa stabilita con il marito, gettando Alviero nel ridicolo e in pasto alle malelingue. Lo avrebbe perso, perché era un’adultera.
Le lacrime le bruciavano gli occhi. “A volte le necessità spingono da parte i sogni” si disse rassegnandosi all’ineluttabile. Tacere non era più possibile. Qualcuno poteva averla vista dirigersi verso la serra in compagnia di un uomo e riferirlo al magistrato. Anche confidando nella discrezione di Ranaldi, la notizia poteva comunque trapelare e provocare scalpore e pettegolezzi che avrebbero travolto lei e Alviero sfociando in un disastro. Oltre a nuocerle pubblicamente, la confessione del tradimento avrebbe distrutto la sua vita privata. Il costume privato e pubblico delle persone restava quello del secolo precedente. La gente era sospettosa, prudente, fondamentalmente benpensante e conservatrice, poco amante degli scandali. Con il clamore che i due delitti avrebbero suscitato, se si fosse saputo come lei vi era coinvolta, i baroni Laurenzi sarebbero finiti sulla bocca di tutti.
— Dove eravate, baronessa, quando Elena Sigismondi è tornata nel salone? — incalzò con durezza il magistrato, mettendola con le spalle al muro.
Barbara trasalì e lo fissò sgomenta. — Io... io... — deglutì e sul suo viso affiorò una tale angoscia da scombussolare perfino l’incallito Ranaldi.
— Ascoltatemi — le disse questi addolcendo il tono — qualunque cosa vi opprima, vi do la mia parola di galantuomo che la risolveremo insieme. Fidatevi di me e non avrete a pentirvene, ve lo prometto. Frugare tra i segreti del prossimo rientra tra i miei compiti e sono fermamente convinto, in ogni caso, che una donna con lo sguardo onesto come il vostro non può aver compiuto azioni di cui debba vergognarsi.
Barbara si chiuse la faccia tra le mani con un gemito.
— No, voi non sapete, non sapete... — si disperò. — Alviero non mi perdonerà mai! Non vorrà più nemmeno sentirmi nominare!
Ranaldi le tolse gentilmente le mani dal volto, provando compassione davanti a quella desolazione. — Via, quali atrocità potreste aver commesso? Volete darmi a intendere che quelle poveracce le avete uccise voi? — scherzò bonariamente. — Qualsiasi peccato vi pesi sulla coscienza, non può essere così terribile da non potermelo rivelare.
Lei parve soppesare tra sé quelle parole. Sentiva d’istinto di potersi fidare di lui, e se proprio doveva togliersi quel peso dal cuore, Ranaldi era la persona adatta con cui farlo. Le lacrime le bagnarono gli occhi e scivolarono lungo le guance. — Alviero mi lascerà nel momento stesso in cui saprà ciò che gli ho fatto — bisbigliò affranta, torcendosi le mani.
— Addirittura! — il magistrato le tese il fazzoletto e lei si soffiò il naso. Era bellissima quella creatura che si struggeva per amore, molto più bella di colei che le era stata amica. Barbara Laurenzi aveva una radiosità interiore che traspariva dal suo sguardo aperto, diritto: possedeva classe e distinzione, grazia e femminilità. Era sorprendente che la Sigismondi fosse stata la più corteggiata delle due, giacché, a suo parere, quest’ultima, che Dio l’avesse in gloria, non reggeva il confronto. Alviero Laurenzi aveva evidentemente avuto l’occhio lungo prendendola in moglie, e la sua possessività nei suoi riguardi era comprensibile.
— A vostro marito non diremo niente, se non sarà necessario — la consolò.
— Davvero? — Barbara gli rivolse un sorriso incredulo.
— Davvero — garantì lui, ricambiando il sorriso. — Eviteremo di sollevare chiasso inutile, se questo vi può tranquillizzare, baronessa.
Lei chinò il capo. — È vero che... che non ero nel salone — farfugliò. — Mi ero allontanata con... con un uomo, ed è a causa di questo che sono stata reticente, per nasconderlo a mio marito.
— Capisco, ma non dovete drammatizzare. — Ranaldi capì che era disperata e tentò di tranquillizzarla.
— Minimizzare non serve a farmi stare meglio — Barbara si asciugò le lacrime — dato che ciò che ho fatto rimane. Ho taciuto per non affrontare le conseguenze della mia leggerezza, soltanto che, se nel frattempo avvengono due delitti, non ci si può trincerare dietro le ragioni personali, omettendo circostanze che possono aver favorito il vero colpevole.
— Chi era l’uomo con il quale vi siete appartata?
— Sul mio onore, ammesso che ne abbia ancora uno, non lo so. Eravamo entrambi mascherati, e nella serra era troppo scuro per poterlo eventualmente identificare. — Abbassando le ciglia, bisbigliò dolente: — Non cerco assoluzioni accampando scuse puerili, ma credetemi, una squallida avventura vissuta nello spazio di un’ora era l’ultima delle mie intenzioni, quella sera. Non ho mai fatto un torto a mio marito, ve lo giuro, e nei giorni trascorsi al castello ho tenuto un comportamento così riservato da provocare i rimproveri quotidiani di Elena.
— Tranne quella sera — puntualizzò quietamente Ranaldi.
— Già — Barbara si morse il labbro, desiderando sprofondare per l’imbarazzo. — Non so che mi abbia preso. Mi ci sono arrovellata sino allo sfinimento, senza trovare l’origine della mia disdicevole condotta, né della disinvoltura con cui ho accettato le avances di quell’uomo. Non ero più io, e non so che cosa mi abbia preso. All’improvviso sono stata colta da una irrefrenabile euforia e l’ho seguito nella serra senza opporre resistenza.
— Avevate ecceduto nel bere?
— Sì, come tutti, ma è capitato altre volte e non ho mai perso il controllo. Qualcosa mi ha spinto oltre i limiti della correttezza... Purtroppo è successo l’impensabile.
— Capisco — si limitò a commentare il magistrato, evitando di guardarla per non metterla maggiormente a disagio.
— Io no, invece! — protestò lei con veemenza. — Mi sono perfino chiesta se, tendenzialmente, ci sia in me una predisposizione a tradire, perché è inconcepibile, se non paradossale, cambiare indole da un giorno all’altro — Barbara represse un singhiozzo. — Mi sono vergognata da morire, dopo, e sono scappata via come una ladra.
— E... lui?
— Credo che dormisse. Non mi sono preoccupata di accertarmene, con la premura che avevo. La cosa strana è accaduta proprio allora, mentre correvo verso il salone.
— Ovvero?
— Ecco, mi sono accorta che sopraggiungeva qualcuno proveniente proprio dal salone e, in preda al panico, mi sono nascosta prima che potesse scorgermi. Approfittando del fatto che il salone era al buio per la mosca cieca, volevo rientrare senza che nessuno se ne avvedesse.
— Quindi, il delitto poteva essere appena avvenuto e la persona che proveniva dal salone averlo compiuto... — azzardò il magistrato.
— È precisamente quello che ho ipotizzato in seguito, riflettendoci — concordò lei.
— E sapete chi fosse quella persona? — domandò Ranaldi.
Con la mente, Barbara rivisse la scena, ma tutti i particolari di quell’episodio svanirono nella nebbia dell’indeterminatezza. — Era un uomo — disse con esitazione — ma chi fosse è un enigma. Portava una di quelle maschere veneziane che chiamano bautte, con tricorno e domino, e nonostante mi sia passato vicinissimo, non mi è stato possibile individuare la sua identità. Si è diretto alle scuderie, e potrebbe essersene andato dal castello...
— No — la interruppe l’inquirente — non manca nessuno all’appello, dunque quell’individuo non si è mosso di qui.
Barbara rabbrividì. — La sola idea mi fa star male.
— Sapreste riconoscerlo?
— Forse...
— Potrebbe essere lo stesso che si è introdotto nella cappella più tardi?
Barbara corrugò la fronte, concentrandosi mentre sovrapponeva le sagome dei due uomini visti quella notte. — Forse — ripetè.
Ranaldi assentì lentamente. — Questa è la verità?
— Nuda e cruda! — confermò Barbara con fare deciso.
Il magistrato la scrutò intensamente, senza esprimere giudizi come se stesse riordinando tra sé i pezzi di un mosaico, attraverso il riesame dei fatti e dei protagonisti di quella storia inquietante. C’era un tarlo che gli ronzava nel cervello, qualcosa che stava mettendo piano piano a fuoco e che poteva portarlo a battere una pista del tutto trascurata fino a quel momento. Sospirando, rimuginò su Barbara Laurenzi; si era trovata invischiata in un’avventura galante che, invece di restare un peccato nascosto, a causa della tragedia avrebbe potuto provocare la fine del suo matrimonio. Non conosceva Alviero Laurenzi, ma aveva l’impressione che fosse intransigente e poco disposto a passare sopra quel genere di evasioni che volgarmente si chiamavano “corna”. L’infedeltà della moglie poteva mettere seriamente a repentaglio la serenità coniugale, anzi, generare una frattura insanabile nella coppia. In quanto a lei... be’, come non ammirare il suo coraggio? Non doveva esserle stato facile confessare lo scabroso episodio, balbettato tra le lacrime, a un estraneo. E si capiva subito che Barbara Laurenzi non era tipo da indulgere a cuor leggero a incontri occasionali come quello della serra. C’era da domandarsi se sarebbe mai riuscita a perdonare se stessa e ad assolversi. Sembrava più intransigente del marito nel condannarsi per una colpa che molti del suo ambiente avrebbero ritenuto irrilevante, di quei tempi. La signora ne faceva un dramma, invece; era uscita da quella esperienza profondamente umiliata.
Ranaldi si disse che non spettava a lui giudicarla, comunque aveva già deciso come agire nei suoi riguardi. La parola “favoreggiamento” gli echeggiò nella mente, ma la scacciò con fastidio. In fondo, era improbabile che qualcuno, con la baraonda di quella sera, fosse a conoscenza del suo convegno nella serra con un uomo e, umanamente, concordava con lei che l’increscioso episodio dovesse rimanere nell’ombra. Quel momento di abbandono, di smarrimento, doveva scivolare nel dimenticatoio e basta. A chi o a che sarebbe servita la divulgazione di quell’incontro clandestino? Metterci una pietra sopra poteva viceversa contribuire a salvare l’unione di quei due, e consentirgli di compiere una buona azione.
— Potremmo fornire una versione dei fatti senza troppi particolari, superflui ai fini dell’indagine — le disse infine.
Barbara si protese verso di lui, con impeto, un’espressione di incredulità mista a sollievo sul volto. — Quale?
Il magistrato si grattò il mento. — Be’, potevate trovarvi fuori per prendere una boccata d’aria, tanto per dirne una.
— Con quel tempaccio? Non ci crederà nessuno!
— E che importanza può avere? Non dovete rendere conto ad alcuno di ciò che fate, fuorché a vostro marito, no?
Lei gli scoccò un’occhiata colma di gratitudine. — Sì...
— Bene! — Il luccichio soddisfatto nello sguardo di Ranaldi le scaldò il cuore. — In quanto al tale con la bautta, credo che possa essere l’assassino di Elena Sigi— smondi, sapete?
— Potrebbe, ma se lo fosse, perché eclissarsi quando era più conveniente restare in mezzo agli altri? Non era l’unico con quel costume, perciò che ragione aveva di filarsela?
— Poteva avere addosso macchie di sangue, per esempio, e nel dubbio era saggio sparire e liberarsi subito degli indumenti.
— Giusto. Tuttavia, poteva essere anche un innocuo personaggio che, stanco della festa, se ne andava per i fatti suoi. Io non ero forse fuori a mia volta? — Barbara arrossì violentemente, si schiarì la gola e proseguì.
— Insomma non c’è la matematica certezza che abbia ucciso Elena, solo perché sono incappata in lui mentre magari si sgranchiva le gambe nel parco.
— I tempi combaciano, però — osservò Ranaldi.
— Può essere pura coincidenza.
— Con due delitti nel giro di poche ore diffido di simili coincidenze, baronessa. Ragioniamo: il nostro uomo, per motivi a noi ignoti, uccide Elena Sigismondi non appena il salone viene oscurato. Quei minuti di buio gli sono preziosi, poiché gli consentono di dileguarsi in tutta tranquillità. Al buio non può controllare se ha addosso macchie di sangue, e deve, per ogni evenienza, disfarsi di quei vestiti che potrebbero procurargli un’infinità di guai, se finissero nelle mani degli inquirenti.
— Ma se costui è uno degli ospiti degli Scaringelli, è assurdo che si sia diretto verso le scuderie, potendo sbarazzarsene nel privato del suo alloggio, dentro il castello.
— Forse non voleva essere notato da qualche domestico o forse aveva già predisposto in precedenza un luogo isolato dove occultarli — allargò le braccia — chissà! Teniamo presente che non è affatto uno stupido, e che ha organizzato il delitto con estrema accuratezza. Sa, tra l’altro, che abbandonare la rocca sarebbe uno sbaglio madornale perché chiunque se ne allontani finirebbe immediatamente nel nostro mirino. In definitiva, presumo che, dopo essersi liberato del costume, con il caos che si scatena al rinvenimento del cadavere della Sigismondi, lui abbia raggiunto indisturbato le proprie stanze, congratulandosi con se stesso per l’abilità con cui ha eseguito il tutto. Adesso non gli rimane che aspettare che la situazione si sbrogli da sola, e quando la polizia archivierà l’inchiesta con un nulla di fatto, o con un presunto colpevole che scagiona gli altri, la faccenda sarà conclusa. A questo punto, per sua disdetta, entra in scena Agostina, la quale, credendo ingenuamente di poterlo ricattare, sconta la sua imprudenza con la morte, perché lui non può permetterle di parlare. Eliminata la ragazza, pensa che ormai non ha più niente da temere, ma, e qui venite alla ribalta voi, non immagina che una delle signore presenti alla festa, per un caso fortuito, lo ha visto. Ecco che allora voi rappresentate l’esca che lo attirerà nella trappola.
— Sempre che... abbocchi.
Rancidi assunse un’aria sorniona. — La fifa, baronessa, fa strani scherzi alla gente, soprattutto se uno è consapevole di rischiare la forca. Quindi, con la vostra collaborazione, finirà dritto dritto tra le nostre braccia.
— Spero di non essere io a finire tra le sue — borbottò tetramente Barbara.
— Non avverrà! — il magistrato sembrava più che convinto di quanto asseriva. — Farò in modo di diffondere la voce non appena me ne andrò di qui, dirò che voi eravate stata colta da un lieve malore e, pensando che una boccata d’aria vi aiutasse a riprendervi, siete uscita fuori e vi siete imbattuta in quell’uomo. Chi potrà contestarlo?
Lei ebbe un accenno di sorriso, che svanì di colpo mentre un pensiero sgradevole le attraversava la mente. — Il tale che era con me potrebbe farlo. — disse.
— Ne siete sicura? Se voi non siete in grado di riconoscere lui, lui si troverà nelle medesime condizioni, non potrà avere la certezza che sotto il costume Aeravate voi, no?
— In effetti — commentò Barbara, inarcando un sopracciglio — avrebbe potuto benissimo esserci Elena. Era difficile individuare l’una o l’altra.
Ranaldi parve valutare tra sé quel dilemma. — La vostra amica non aveva ragione di dubitare che avreste lasciato il salone, non è vero?
— E perché avrebbe dovuto? Elena sapeva perfettamente che mi avrebbe ritrovato lì al suo rientro, e neppure io, d’altronde, potevo prevedere una tale conclusione di serata. È stato tutto così inatteso che...
— Tacque per qualche istante, e c’era turbamento nel suo sguardo allorché aggiunse: — Credo che Elena non abbia avuto il tempo di rendersi conto che non c’ero.
— Sì, lo credo anch’io, e, forse, anche qualcun altro non se n’è reso conto.
— Chi?
— L’assassino, naturalmente.
Barbara si raddrizzò lentamente sulla poltrona e dilatò gli occhi, come se l’avesse sfiorata un’idea troppo spaventosa per essere presa anche solo in considerazione. Espresse quel dubbio con voce fattasi d’improvviso tremante: — Ma se ci fossi stata, come poteva quel criminale distinguere quale ero io e quale era Elena?
Il magistrato emise l’ennesimo sospiro. Così, alla fine, ci era arrivata anche lei, eh? si disse. Guardandola, ammise: — E quello che mi sono chiesto da quando mi avete informato che indossavate costumi identici, baronessa.
Barbara lo fissò inorridita, come se fosse talmente inverosimile pensare che non era Elena quella che avrebbe dovuto morire, bensì lei, da scacciare l’idea con raccapriccio. — E...? — alitò in maniera quasi impercettibile.
— E l’ipotesi che la vittima predestinata fosse... un’altra, non è da scartare — confermò Ranaldi.
La nausea le strinse la gola in una morsa soffocante.
— Significa che voleva uccidere me invece di Elena? — articolò a fatica.
— Non lo escluderei.
— Ma perché? — gridò Barbara.
Ranaldi si strinse nelle spalle. — Domande come questa rimangono per ora senza risposta, baronessa, inoltre, non bisogna dimenticare che queste sono soltanto congetture che vanno dimostrate. Prendendole provvisoriamente per buone, posso limitarmi a dedurre che, con la confusione che c’era, siete sparita da sotto gli occhi dell’omicida senza che probabilmente se ne avvedesse. Voi siete sparita ed Elena è ricomparsa rimpiazzandovi a sua insaputa. È presumibile che sia caduto nell’equivoco, colpendo lei al posto vostro. Quindi, se uccidere voi era in realtà l’intenzione dell’assassino, è indubbio che la vostra... scappatella nella serra vi ha salvato la vita.
— Oh mio Dio! — esclamò lei, illividendo.
— Capite, dunque, baronessa, perché insistevo per sapere se Elena Sigismondi era tornata nel salone? Fin dall’inizio ho dubitato che il bersaglio potesse non essere lei, bensì voi, ed era determinante stabilire se la Sigismondi era o non era presente.
— Se fosse vero, sarebbe orribile...
— In ogni caso — minimizzò lui — non traiamo conclusioni affrettate. Certamente, se riusciremo a catturarlo, il colpevole ci illuminerà in proposito.
— Ma se ero io la vittima predestinata, ormai saprà di aver commesso un errore di persona! Potrebbe... potrebbe riprovarci di nuovo?
— Sì, questa possibilità esiste anche se è difficile che possa farla in barba a me o ai miei uomini, avvicinandosi a voi fino a farvi correre un concreto pericolo. Sarete adeguatamente sorvegliata — la tranquillizzò il magistrato con fermezza.
— Alviero vorrà delle spiegazioni vedendo le guardie qua fuori e dovrò pur dirgli qualcosa in merito — osservò nervosamente lei.
— Gli direte l’indispensabile e cioè che avete incrociato quel tale per puro caso, mentre eravate fuori per riprendervi da un malessere improvviso, e che avevate troppa paura per denunciarlo. Volete che me ne occupi io?
— No, benché ve ne sia grata per avermelo proposto. — Tenendo a bada lo sgomento, aggiunse: — Vi sono oltremodo debitrice anche per... per il resto, signore. Non ho parole per dirvi quanto apprezzi ciò che fate per me. Forse i ringraziamenti sono poca cosa, paragonati al gesto, ma...
Ranaldi la tacitò con una mossa decisa. Sentiva di doverle dare una mano perché quella donna così per bene, travolta da eventi che l’avevano coinvolta e prostrata visibilmente, destava la sua solidarietà. Lei voleva salvare il suo matrimonio e se quel piccolo favore poteva contribuire in qualche maniera ad aiutarla, non poteva esimersi dal farglielo.
— Spero solo che tutto si risolva per il meglio — sussurrò ancora Barbara. — Non credo che reggerei se insorgessero complicazioni.
— Non preoccupatevi. Non appena si saprà che c’è qualcuno che può riconoscerlo non dovremo attendere troppo prima che l’assassino esca allo scoperto e finisca nella nostra rete.
— Sarò vile, ma l’idea che possa sfuggirvi mi terrorizza, sapete?
— Non accadrà! — affermò il magistrato. Poi, dopo averle sorriso con calore, si accomiatò da lei.