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— Non è un’idea geniale? — Nell’accogliente salotto Lavinia Scaringelli aveva esposto agli ospiti, comodamente seduti attorno a lei, ciò che aveva in mente per vivacizzare la serata del martedì grasso e appariva gongolante.

— Non è un po’ troppo... sì, audace? — osservò una delle signore, sgranocchiando un dolcetto alle mandorle.

— Audace? — Lavinia scosse energicamente la testa ricciuta e incipriata rischiando di far crollare, con la sua veemenza, l’elaborata acconciatura. — Non lo è affatto, invece! Daremo ampio spazio alle danze, naturalmente, poi, verso mezzanotte, le interromperemo per giocare a mosca cieca. Le candele del salone verranno spente, così la prima persona estratta a sorte per essere bendata non avrà più svantaggi delle altre. Essendo tutti al buio, le difficoltà sono equamente distribuite, no? Chi viene preso pagherà pegno e starà sotto a sua volta solo se chi l’ha acchiappato indovinerà chi si cela dietro il travestimento.

— E se non ci riesce? — chiese divertita Elena.

— Be’, oltre a scontare una penitenza che stabiliremo via via, dovrà ricominciare da capo, semplice!

— Ma gli uomini non si prenderanno delle libertà con le dame, approfittando del buio? — commentò incerta la contessa D’Avolio.

— Confido nella correttezza dei signori — replicò Lavinia serafica. Fissando maliziosa il marito, gli domandò: — Che ne pensi, Ottavio?

— Non saprei — rispose lui con evidente riluttanza, non volendo sbilanciarsi. Tuttavia, come molti dei presenti, non appariva entusiasta, anche se si guardava bene dall'esternare la propria perplessità, soprattutto perché chi spadroneggiava tra le mura domestiche era la sua instancabile consorte: e in ogni caso, che approvasse o no, Lavinia avrebbe comunque fatto a modo suo. L’opinione del marito aveva scarso peso nelle decisioni di lei, una donnina minuta e fragile esteriormente, che nascondeva tuttavia sotto l’epidermide granito e acciaio. — Non potremmo dedicarci a qualcosa di più tranquillo, cara? — propose lui timidamente.

— Per esempio? — chiese Lavinia spazientita.

Tutti gli occhi conversero sulla figura aristocratica del marchese, che accorgendosi di essere oggetto dell’attenzione generale, sembrò schernirsi anche di più. Era un uomo dall’aspetto piacevole, non eccessivamente alto, che ovviava alla calvizie con il costante uso della parrucca. Vestiva con gusto e sobrietà, in contrasto con l’eccentricità della moglie, e per amore di pace le aveva ceduto il bastone del comando, evitando accuratamente di contrariarla. L’affetto che comunque provava per lei traspariva dai suoi miti occhi azzurri.

— Che suggerisci, dunque, Ottavio? — insistette Lavinia.

— Ah, non saprei... Sei tu quella che ha una riserva inesauribile di trovate. — Il marchese omise di aggiungere “bizzarre” per non urtare la suscettibilità della moglie.

Questa sbuffò, derisoria. — Ottavio, una caccia al tesoro è troppo banale, se ti riferisci a quella! — posando la tazza, si rivolse agli amici con un sorrisino complice. — E voi? Qual è il vostro parere?

— E perché no? — intervenne Elena, che quanto a stravaganze dava punti all’altra. — Dovrebbe risultare spassosa una mosca cieca al buio... — ridacchiò brevemente. — Siamo a Carnevale è tutto è lecito, no? Indosseremo dei costumi e avremo il volto coperto dalla maschera, il che dovrebbe rendere terribilmente eccitante scoprire l’identità di chi viene preso, particolarmente se ciascuno di noi ignorerà sotto quali travestimenti si celano gli altri.

— Giusto! — approvò soddisfatta Lavinia. — Organizzerò la serata minuziosamente, curandola fino al più insignificante dettaglio, e nessuno, esclusi i diretti interessati, saprà con quali costumi ci camufferemo.

— Abbiamo parlato di pegni e penitenze trascurando di dire quale premio otterrà chi invece indovina il nome di chi ha acciuffato... qual è la posta in palio, in tal caso? — volle sapere Gianmaria Sanvito, un giovane cugino di Lavinia, scoccando un sorriso accativante a Barbara, che distolse infastidita lo sguardo.

— Oh, be’... lo deciderà il vincitore, o la vincitrice, naturalmente! — dichiarò la marchesa. — Esprimerà un desiderio qualsiasi, che possa essere esaudito.

— Mi accontenterei di un bacio — sospirò con enfasi Gianmaria, fissando intenzionalmente Barbara.

— Sei così sicuro di vincere? — lo stuzzicò Elena, per nulla turbata dallo sfacciato approccio di questi nei confronti di una donna sposata.

— Sarò un avversario temibile — rise lui in risposta.

— Lo sono sempre, se ne vale la pena! — Lanciò di nuovo un’intensa occhiata a Barbara, incurante del suo imbarazzo. La corteggiava da quando lei ed Elena erano giunte al castello, tutt’altro che scoraggiato dall’indifferenza che Barbara gli opponeva. Gianmaria era di una bellezza che mozzava il fiato, e probabilmente nessuna donna era in grado di resistergli quando usava senza economia il suo fascino, a eccezione, appunto, di Barbara, che lo trovava detestabile. Al di là di quella faccia bella e virile, lei intravedeva il classico rampollo viziato che si riteneva in diritto di ottenere tutto ciò che desiderava, e che non andava troppo per il sottile pur di averlo.

— Allora, siete tutti d’accordo? — la voce squillante di Lavinia sovrastò il confuso bisbigliare degli ospiti.

— Per quel che mi riguarda, sì — Elena diede la sua adesione con una scrollatina di spalle. — Le novità sono ben accette per me, in ogni senso.

Mentre anche gli altri davano il loro assenso, Barbara gelò l’euforia generale con un secco rifiuto.

— Ma perché no, santo cielo? — trasecolò la marchesa.

— È un genere di intrattenimento che non mi attira granché, Lavinia — spiegò, laconica, Barbara. — E dato che non mi divertirei quanto voi, ci rinuncio volentieri.

— Sei la solita guastafeste — la rimbrottò Elena, corrucciandosi. — Che male ci trovi in ciò che propone Lavinia?

— È solo un gioco — disse la marchesa in tono persuasivo. — Non vorrete deludere il caro Gianmaria, vero? Perché non ci pensate un poco, almeno?

L’accenno al cugino indignò Barbara, che avvampò di collera. Trattenendo una replica pungente, si ricompose e annuì. — Sì, posso pensarci, ma difficilmente cambierò parere. E adesso, se volete scusarmi, esco a prendere una boccata d’aria!— Abbandonò il salotto con incedere sostenuto e, non appena varcato il massiccio portone, si strinse nel mantello e respirò a pieni polmoni.

Buon Dio, non ne poteva più! Ne aveva fin sopra i capelli di quel manipolo di smidollati aristocratici che non sapevano più che diavolo inventarsi per passare il tempo. Come se non bastasse doveva continuamente rintuzzare le insistenti avances di quel cialtrone, Gianmaria Savito, ed Elena, invece di darle manforte, sembrava facilitargli il compito. D’altra parte, il mea culpa era soltanto suo, ammise Barbara. Era pentita di non aver dato retta ad Alviero e il timore di aver irrimediabilmente incrinato il loro rapporto con quel colpo di testa non le dava pace. Si rendeva perfettamente conto che abbandonare il marito non era stata la mossa più saggia, ma la voglia di rivalersi in qualche modo su di lui le aveva forzato la mano e sollecitato in lei una ribellione che le si ritorceva contro. Alviero avrebbe potuto accusarla di non adempiere ai doveri coniugali — dimostrandolo — e chiedere l’annullamento del matrimonio. A quel punto, quale obiezione poteva muovergli? Ah, era stata una stupida a fuggire — perché la sua era una fuga — oltre che una codarda. Avrebbe dovuto restargli accanto e lottare per quell’amore, giacché, andandosene, aveva semplicemente agevolato l’amante di lui, mettendoglielo a disposizione senza nemmeno l’intralcio della moglie. Quel suo maledetto orgoglio! Il pensiero di vivere senza Alviero le era intollerabile e pur di non perderlo, purché non accadesse, sarebbe stata disposta a rimangiarsi ogni cosa, accettando perfino di... di dividerlo con l’altra.

Barbara si chiuse il viso tra le mani in un gesto sconsolato, lacerata da quelle contraddizioni e dalla paura di essersi spinta troppo oltre. Sarebbe ripartita immediatamente per “La solitaria”, ma era arrivata lassù con la carrozza di Elena e ora si trovava nelle condizioni di non potersene andare se non quando lo avesse deciso l’amica. A meno che non si fosse rivolta a Lavinia, chiedendole di farla riaccompagnare con una delle sue carrozze...

— Barbara!— il richiamo di Elena la costrinse a voltarsi. Osservò l’amica rincorrerla ansimando, intralciata dal largo guardinfante che le gonfiava la veste di velluto cremisi. Pervasa da una sorda irritazione, si fermò ad attenderla.

— Ma che t’ha preso, perbacco? — l’assalì bruscamente l’altra, quando la raggiunse. Negli occhi arrossati dal vento le brillava una luce indispettita.

— M’ha preso che sono stanca di queste insulsaggini inconcludenti, Elena. La vita non può essere fatta solo di giochi e di frivolezze... O forse è colpa mia che non riesco ad adeguarmi alla moda corrente.

— Mi pare di sentire tuo marito — la schernì Elena.— Tali e quali, voi due, eh?

Ignorando il sarcasmo di lei, Barbara riprese: — Non giudicarmi un’ingrata, ma avrei davvero dovuto tornare a casa da Alviero. Rimanere confinata quassù con l’illusione di rasserenarmi è stata un’idiozia bella e buona! Oltre a sentirmi spaesata, vi metto a disagio continuando a declinare i vostri ripetuti inviti di aggregarmi al gruppo.

— Ragione di più per partecipare al ballo in maschera del martedì grasso! — ribadì Elena con un sorriso accattivante. — Il carnevale è agli sgoccioli, tesoro, e ce ne andremo l’indomani del mercoledì delle Ceneri, te lo prometto. Non ti sembra sciocco rinunciare? Sei partita con l’intenzione di scrollarti di dosso la malinconia ma, viceversa, te ne sei stata praticamente sempre appartata, a rimuginare chissà quali lugubri pensieri.

Barbara s’incamminò di nuovo, evitando di risponderle. Benché non potesse onestamente dare la colpa a Elena, era stato uno sbaglio aderire all’invito di Lavinia. Il viaggio, a inverno inoltrato, si era rivelato disagevole e faticoso, anche perché la strada, da un certo tratto in poi, era una pista polverosa costellata di buche, pressoché impraticabile. Inoltre, risiedere seppure temporaneamente in quel cupo maniero medievale, situato in una zona aspra e solitaria dell’Umbria, non destava il suo entusiasmo. Oh, l’ospitalità di Lavinia e Ottavio Scaringelli era squisita: i pranzi e le cene erano veri e propri banchetti; le serate, con musica, danze e giochi di società scorrevano piacevolmente, senza però coinvolgerla nell’allegria un tantino esagerata che riecheggiava nelle antiche sale del castello.

Il cameratismo un po’ troppo smaccato che si era instaurato tra gli ospiti la infastidiva, come la infastidiva il volersi divertire a ogni costo. Era Carnevale, d’accordo, ma quello sfrenato e ininterrotto bailamme era eccessivo e le suscitava l’effetto opposto, quello di deprimerla. Ogni attività si svolgeva all’insegna della futilità e del capriccio più assoluti, e nell’unica occasione in cui si erano riuniti a conversare, poco prima, gli argomenti erano stati le ultime novità della.moda francese, come danzare con grazia il minuetto, gli inevitabili, gustosi pettegolezzi sugli esponenti più in vista del loro ambiente e sul come concludere degnamente il Carnevale in corso. Lavinia se ne era poi uscita con quell’idea balzana della mosca cieca al buio alla quale, esclusa lei, tutti avevano accettato di prendere parte.

“Ah, basta, basta!” smaniò tra sé. Se rimaneva era essenzialmente per non creare imbarazzo ai marchesi con una partenza precipitosa che, dal loro punto di vista, poteva apparire inspiegabile, e per la mancanza di un mezzo proprio. Se non fosse stato per quel motivo avrebbe lasciato il castello e i suoi frivoli abitanti senza un solo rimpianto.

Barbara accelerò il passo, distanziando volutamente la trafelata e sbuffante Elena la cui presenza, per una volta, era di troppo. Per di più, l’esercizio fisico era la sola cosa in grado di distenderle i nervi, e quel pomeriggio ne aveva un’estrema necessità, considerando il suo burrascoso stato d’animo. Mentre camminava spedita, fece vagare lo sguardo sull’imponente mole della rocca e rabbrividì. C’era, tra quelle mura — ma forse era un’impressione del tutto personale — un non so che di opprimente che le incuteva una strana inquietudine. Fin dal primo giorno, un’impalpabile sensazione di angoscia si era impadronita di lei, benché avesse cercato razionalmente di respingerla. Il castello risaliva al ’300 ed era incassato in una ventosa gola a ridosso dei Sibillini. Probabilmente era l’incessante e rabbioso fischiare del vento a scombussolarla, perché, oltre ad accanirsi sulla selvaggia vegetazione circostante, nonché sulle vetuste pietre della rocca, la notte le faceva prendere sonno con difficoltà. L’ululante sottofondo, pur essendo in carattere con la cupa atmosfera che aleggiava in quel posto, evocava in lei tetri pensieri e l'insopprimibile impulso di scappare. E il panorama non era da meno: di natura calcarea, i Sibillini dominavano il panorama incontrastati nella loro aspra bellezza, culminando nel Monte Vettore. Si favoleggiava che da quelle parti ci fosse la grotta in cui aveva abitato la Sibilla Appennina, ed era verosimile credere che la maga avesse scelto quella terra dai forti contrasti, brulla e alberata, scoscesa e piana, incontaminata e quasi primitiva. Davanti a certi scorci ci si trovava preda di una meraviglia intraducibile a parole. Quale commento si poteva esprimere, d’altronde, al cospetto di desolate spianate o allo splendore intatto di fitte boscaglie dove neppure il sole penetrava?

Naturalmente, gli ospiti di Lavinia erano restii ad avventurarsi all’aperto, preferendo le comodità della grande dimora e dedicandosi a passatempi che non contemplavano passeggiate tra i boschi. Di fatto, Barbara era l’unica o quasi a prediligere la solitudine alla confusione, soprattutto perché non c’era niente e nessuno per cui valesse la pena di trattenersi nelle sale del pianterreno dopo cena. Qualcuno, tuttavia, seguiva il suo esempio, e, tra questi, Gaetano Ruperti, un lontano parente di Ottavio Scaringelli. Ruperti era un signore di mezza età dotato di una innata distinzione, estremamente garbato. Era ancora un bell’uomo e nella sua persona c’era un quid che non lo faceva passare inosservato, sebbene di natura fosse piuttosto schivo. Lo si notava proprio per quel suo ritegno e per l’ostinato rifiuto, al pari di Alviero, di calzare una qualsiasi parrucca sui capelli brizzolati tagliati corti. Aveva sentito Lavinia sussurrare a una delle signore che era uno spretato, comunque, quale che fosse il suo passato, non si poteva negare che fosse un gentiluomo. Durante i pasti evitava di familiarizzare con gli altri commensali, apparentemente incurante delle chiacchiere dei vicini di tavola, ai quali, con signorile disinteresse, non dedicava che un’occhiata distratta, appena appena infastidita, dei suoi sereni occhi celesti. Se ne andava poi per i fatti suoi immediatamente dopo che le persone sciamavano nei salotti. Lo si vedeva ricomparire il mattino successivo, imperturbabile, all’ora di colazione, e si eclissava di nuovo al termine di essa per rifugiarsi nella sua oasi personale: la biblioteca. Barbara lo aveva trovato colà una notte in cui, non riuscendo a dormire, era scesa per procurarsi un libro qualunque. Si era spaventata, scorgendolo, ma lui, scusandosi, le aveva sorriso rassicurante e le aveva suggerito amabilmente alcune buone letture. Da allora, non mancava mai di rivolgerle un saluto cordiale ogni qual volta s’incrociavano, e la cosa, chissà perché, le dava molto piacere.

— Insomma, vuoi fermarti? — Stanca di arrancare dietro le sottane svolazzanti di Barbara, Elena, che finalmente l’aveva affiancata, sbuffò spazientita. — Dai quasi l’impressione di volertene tornare a casa a piedi!

— Oh, lo farei se abitassi a fondo valle — affermò Barbara.

Elena la fissò esasperata. — Sì, ne saresti capace — borbottò con acre umorismo. Poi, costringendola a girare sui tacchi, aggiunse: — Fa un freddo terribile, se per caso non te ne sei accorta, e credo sia prudente rientrare. Sta calando la sera e non vorrei imbattermi in un branco di lupi... — Cominciò a trascinare l’amica sbirciandola intanto di sottecchi, incerta se tornare o no sull’argomento del ballo in maschera. Infine, risolvendosi, attaccò determinata: — Tesoro, proprio non ti capisco, sai? Ti porto tra persone piene di verve per strapparti al deleterio isolamento in cui vivi, e tu vanifichi i miei sforzi che hanno il solo scopo di farti recuperare un po’ di vivacità! Sono tentata di arrendermi, con te, davvero. Invece di collaborare, sfoderi con fierezza quel tuo brio di mummia, salda sulle tue posizioni come se pensassi: “Con gentaglia della vostra risma non voglio aver nulla a che fare!”. Sbaglio, forse? — Sbuffò ancora. — Vuoi veramente indurmi a credere che sei una causa persa, Barbara?

Barbara scoccò un’occhiata ironica all’amica e ribatte: — Bell’ambientino davvero, questo. Distensivo e rasserenante. La notte, tra il vento, una miriade di rumori indefinibili e scricchiolìi sinistri, stento a chiudere occhio, aspettandomi da un momento all’altro di vedermi comparire davanti uno spettro vagante. Non è dei più ameni questo luogo, ammettilo. E quell’orribile cripta sotto la cappella! È agghiacciante — Barbara rabbrividì. — Credimi, Elena, non mi sarei affatto stupita se a farci gli onori di casa, assieme agli Scaringelli, ci fosse venuto incontro il fantasma di un qualche loro antenato!

— Sì, sei sul serio una causa persa! — sentenziò l’altra con un gemito. — Ah, è proprio vero che la riconoscenza non esiste. Sei ospite di una dimora esclusiva, dove si fa di tutto per metterci a nostro agio e farci trascorrere giornate gradevoli, e tu stai sul chi vive, temendo l’irruzione di spettri e fantasmi! Basterebbe che la smettessi di gironzolare come un’anima in pena tra cripte e cappelle! Se ti unissi a noi, invece di sfuggirci, le cose andrebbero meglio. Oh, Barbara, non so più che fare con te!

— L’unico favore che ti chiedo, dato che per fortuna la nostra permanenza qui sta per concludersi, è di partire subito.

— È quanto intendo fare. Esauriti i festeggiamenti, che senso avrebbe rimanere? — rispose Elena e si strinse meglio nel mantello pesante, mantenendosi ai limiti dell’intricata boscaglia che si estendeva lungo la scarpata. Un paesaggio scarno, inquietante, interrotto da quella strada tutta curve e buche che conduceva a valle.

Di fronte, abbarbicato alla roccia come un avvoltoio al suo nido, la massa scura e massiccia del maniero si stagliava sullo sfondo anche più scuro del cielo al crepuscolo. Grossi nuvoloni, di un minaccioso grigio plumbeo, imbrattavano l’orizzonte. Le montagne incombevano su quel solitario angolo di mondo come nemici in agguato. C’era aria di neve, e il vento, che come il solito mugolava impietoso, portava infatti sporadici spruzzi di nevischio ghiacciato che s’infilavano sotto i mantelli, nonostante le due giovani donne li tenessero ben chiusi.

— Perciò, stabilito che ce ne andremo senza ulteriori indugi — continuò Elena — spero che interverrai alla festa, Barbara. Almeno a quella, visto che hai disertato ogni altro intrattenimento!

Barbara emise un sospiro rassegnato. — Proprio non cedi, eh?

— Tu dovresti saperlo meglio di chiunque altro, no?— ridacchiò Elena.

— Come a Bologna, eccoci nuovamente a discutere su qualcosa che tu pretendi e io sono riluttante a fare.

— Per startene invariabilmente per tuo conto, tesoro, tanto valeva che restassi dov’eri. Ma, dal momento che sei qui, non ti permetterò di mancare al ballo in maschera.

— Santo cielo, Elena, sembra che la mia presenza ti sia indispensabile. Mi fai sentire in colpa ogni volta che rifiuto di lasciarmi coinvolgere nelle vostre baldorie!

— Ma hai sistematicamente dato forfait a qualsiasi proposta di unirti a noi, Barbara! Il troppo è troppo!

— Io avrò dato forfait, ma tu te la sei spassata ugualmente. Hai fatto anche la mia parte, se è per questo, civettando sfrontatamente con tutti gli uomini presenti, tanto che, come sempre, li hai tutti ai tuoi piedi.

— Tutti, mia cara? — Elena le lanciò uno sguardo allusivo. — E che mi dici di quell’insulso individuo dagli occhi celesti, quel Ruperti? Non degna della sua attenzione nessuno, ma come compari tu, sembra che abbia di fronte la Beata Vergine del Rosario. Gli si illumina il volto al punto che potremmo fare a meno dei candelabri, a tavola.

— Stai equivocando, Elena. Ruperti mi onora della sua simpatia, null’altro, quindi non mi sembra carino malignare sull’affabilità più che corretta di un uomo che non mi mancherebbe mai di rispetto. E guarda più le che me, se proprio vogliamo puntualizzare su chi dirige le sue preferenze.

— Sì, è vero — Elena scrollò le spalle. — Anche se mi è del tutto indifferente, è stato sorprendente constatarlo.

— Questo avrà lusingato la tua vanità, presumo.

— In verità, non mi fa né caldo né freddo... — rispose l’interpellata con un cenno di noncuranza. — Semplicemente non m’interessa. Figuriamoci, uno spiantato senza denaro! Lavinia lo tiene in casa per puro spirito di carità, sai? È un riguardo che usa al marito, dato che è un parente di Ottavio. Era un prete, o un monaco. Poi, chissà perché, un giorno ha gettato la tonaca alle ortiche e si è messo a viaggiare per tutta l’India, dilapidando ogni suo avere. Sarebbe finito a mendicare se Ottavio, impietosito, non lo avesse accolto presso di sé. Un bel gesto, non trovi?

— Trovo che, per essere uno che non t’interessa, sei informata mica male sul conto di Gaetano Ruperti.

— E che significa? Lavinia ne parlava con la contessa Albisetti e io ero lì a sentire, ecco tutto — si giustificò Elena, distogliendo gli occhi.

— Sono comunque affari tuoi — proseguì Barbara.

— In ogni caso, Ruperti è alquanto discreto nell’imporre la propria presenza, quasi non volesse creare disagio a Ottavio e a Lavinia con un’invadenza esagerata. È un peccato, però, perché è un uomo con cui è molto stimolante conversare e...

— Senti, cambiamo argomento se non ti dispiace — tagliò corto Elena — e dimmi piuttosto se interverrai al ballo.

— Mi sei corsa dietro per perorare la causa di quel perdigiorno, forse? — Barbara la guardò accigliata.

— Quale perdigiorno?

— Sai benissimo a chi mi riferisco.

— Intendi Gianmaria?

— E chi altri, sennò?

— Io non peroro la causa di nessuno, ci mancherebbe! — negò Elena con enfasi. — Ma già che siamo sul discorso, sappi che trovo la tua ritrosia patetica! Qualche parola con lui potresti anche scambiarla... O temi di compromettere la tua reputazione?

— Oh, con tipi simili si corre effettivamente quel rischio, e comunque non voglio avere nulla a che fare con quella persona.

— Suvvia, mi pare che esageri. — Elena guardò l’amica con espressione derisoria. — Gianmaria è...

— Per favore — la interruppe Barbara, seccamente.— Risparmiami ulteriori commenti su di lui.

— Come vuoi, ma ne riparleremo, anche perché adesso mi preme di più convincerti a partecipare alla festa.

— Spiacente di deluderti, ma non ci sarò.

— E' per Alviero, suppongo...

— Per svariati motivi e, sì, anche per Alviero.

— Scusa, ma mi sembra una sciocchezza. — Elena fissava torva la compagna, manifestando il suo biasimo. — Alviero, eh? Pensi dunque che meriti una tale abnegazione? — scalciò stizzita un sassolino, soggiungendo: — Non volevo dirtelo, ma corrono delle voci... su tuo marito...

Barbara ebbe l’impressione che una mano le strizzasse il cuore. — Voci? Quali voci? — domandò con tono improvvisamente spento.

Elena sfuggì lo sguardo ansioso dell’altra. — Si mormora che abbia una relazione — confessò alla fine con palese riluttanza.

— E perché lo hai negato, quando a Bologna ti ho interrogato in merito? — ribattè Barbara, risentita.

L’altra fissò il terreno gelato per un lungo momento prima di rispondere esitante: — Ho taciuto per non ferirti, tesoro... In fondo, avrebbero potuto essere nient’altro che pettegolezzi privi di fondamento, chiacchiere dettate dall’invidia.

— E cos’è cambiato, ora, per spingerti a rivelarmi che Alviero mi tradisce? — incalzò Barbara, fronteggiandola.

— È che li ho visti io stessa, capisci? — mormorò Elena con imbarazzo.

— Visti? Dove?

— Stavo uscendo dal negozio di una modista, a Reggio Emilia, e loro... Alviero e la donna con la quale ha la tresca, erano all'interno di una carrozza che passava proprio allora sulla strada. Ho riconosciuto lui, naturalmente, dato che la signora aveva il viso in ombra ed era impossibile distinguerne i lineamenti.

Barbara, pallidissima, era ammutolita. Le sue illusioni erano ormai macerie fumanti e un dolore insopportabile le attanagliava il petto in una morsa che le rendeva difficile persino respirare.

— Mai e poi mai te lo avrei detto — proseguì Elena a bassa voce. — Volevo evitarti un dispiacere come questo, ma vederti tutta dedita a chi non se lo merita è stata la molla che mi ha spinto ad aprirti gli occhi. Perciò, cara, non ha davvero senso che tu rinunci a distrarti mentre lui ti insulta così ostentatamente... — Elena fece una pausa e osservò Barbara con crescente preoccupazione, allarmata dal viso terreo di lei. — Tesoro, non farmi rammaricare di avertelo confidato — la redarguì.

— Semmai, uno squallore del genere dovrebbe spronarti a dargli una lezione. Compiangersi è del tutto inutile, a mio avviso... — Sì accostò di più all’amica, infilò il braccio sotto il suo e cercò di scuoterla con frasi incoraggianti. — Ti consolerai anche tu, diamine! Morto un papa, se ne fa un altro, no? I corteggiatori non ti mancano e supererai l’amarezza che ti ha cagionato Alviero. Vuoi impazzire per qualcuno che ti tradisce senza il minimo riguardo? E poi è talmente démodé essere innamorate del proprio marito! La sua riprovevole condotta deve piuttosto indurti a dimostrargli che non accetti passivamente che ti trascuri per un’altra donna...

— Elena scostò un ricciolo dal volto esangue di Barbara con un gesto pieno di tenera sollecitudine. — Su, non fare così... Alviero non è l’unico uomo esistente al mondo.

— Hai ragione, naturalmente — Barbara ricorse all’amor proprio per superare l’umiliazione, la sofferenza, lo svanire dei suoi sogni. L’ultimo dubbio era stato spazzato via e, se non voleva soccombere, doveva reagire. — Perché struggersi per lui quando posso impiegare meglio il mio tempo? E il ballo in maschera non sarà che il primo degli innumerevoli “svaghi” che mi offrirò. Dopotutto, come giustamente mi hai fatto notare, le occasioni abbondando, e i cavalieri pure!— rise con forzata allegria. — Ah, Elena, non mi muoverai più alcun rimprovero circa il mio... Come lo hai definito? “Brio da mummia”, vero? Be’, ti batterò sicuramente, quanto a spensieratezza, stanne certa!

— Oh, brava! — Elena espresse il sollievo con un rapido abbraccio. — Detesto chi si autocommisera! Conosco inoltre ciò che ti occorre per superare in fretta un simile momentaccio, e ci divertiremo, tu e io! — affermò categorica. — Oh, guarda, sta cominciando a nevicare!

Minuscoli e candidi fiocchi avevano cominciato a scendere lievi dal cielo, spolverando di bianco gli alberi e il suolo brullo. Era molto suggestivo quello spettacolo invernale, malgrado il freddo pungente.

— Affrettiamoci! — sollecitò Elena, tirando Barbara con impazienza verso il castello. — Sai, sono andata a curiosare in guardaroba tra i costumi e ne ho intravisti un paio che sembrano fare esattamente al caso nostro. Saremo splendide, tesoro, e non ci sarà uomo che, posandoci lo sguardo addosso, riuscirà a resisterci! — disse eccitata all’amica.

Barbara si limitò a sorridere, un sorriso che non raggiunse gli occhi, e la neve che le si era posata sulle guance, sciogliendosi, assomigliò alle lacrime che stava piangendo la sua anima.