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Consegnato il mantello alla domestica, Barbara salì in camera e si sedette allo scrittoio per scrivere ad Alviero. Voleva informarlo della sua decisione di accettare l’invito della marchesa Scaringelli. Sì, avrebbe seguito Elena in Umbria. Al ritorno, si sarebbe recata alla “Solitaria” e avrebbe preteso una spiegazione dal marito. Doveva dargliela! Alviero non sarebbe stato granché contento di saperla insieme a Elena, però. Non era mai corso buon sangue tra loro e, pensando alla sua reazione, Barbara si accigliò.

L’amicizia con Elena Sigismondi era nata alle Orsoline e si era consolidata con l’avvicendarsi degli anni. L’estroversione di Elena, il suo carattere forte, la sua vistosa bellezza e la carismatica personalità gettavano in ombra l’aspetto e le doti di chiunque le stesse accanto, ma era piena di calore umano e come amica era insostituibile. Orfana dei genitori, era stata allevata come una discendente da stirpe reale dalla nonna, la contessa Sigismondi, la quale, oltre a dargliele tutte vinte, morendo le aveva lasciato un patrimonio che le consentiva di vivere nel lusso cui l’aveva abituata. Elena era raffinata quanto anticonformista, ribelle e insofferente a qualsiasi regola, e la sfarzosità barocca che caratterizzava la prima metà del secolo si adattava come un guanto alla sua indole frivola e godereccia. Era comunque inspiegabile l’avversione che si era instaurata tra lei e Alviero, dato che, per certi versi, avevano molto in comune. Erano entrambi immediati nelle simpatie come nelle antipatie, per esempio, nel senso che o una persona piaceva loro subito, oppure mai più, senza vie di mezzo.

Alviero diceva che Elena era intrigante e dissoluta, che la influenzava negativamente. Era la dimostrazione di ciò che una donna “non dovrebbe” fare, e lui non si sforzava di nascondere il proprio fastidio nelle rare occasioni in cui s’incontravano. Ne tollerava la presenza soltanto per compiacere la moglie, e “dissoluta” non era che uno degli sprezzanti appellativi con i quali Alviero si riferiva a Elena. Lei, del resto, ricambiava apertamente l’acredine e, all’occorrenza, non gli risparmiava taglienti frecciate.

A Barbara dispiaceva che tra il marito e l’unica amica ci fosse quella reciproca animosità, e si barcamenava tra loro come un equilibrista in bilico su una corda tesa fra sponde opposte. Alviero era davvero un’eccezione, perché solitamente Elena conquistava anche le pietre con quel suo charme travolgente. Biondissima, un corpo statuario, un viso di impareggiabile bellezza e occhi da gitana che ammiccavano maliziosi a nugoli di estimatori, non aveva praticamente rivali. Gestiva la sua esistenza come meglio le garbava, era indipendente e volitiva come un uomo e sfruttava con raro talento i suoi trionfi mondani. Le sue giornate erano fitte di inviti e di appuntamenti, e le serate altrettanto. Non c’era esponente dell’aristocrazia che non la includesse tra i propri ospiti, e nella sontuosa casa di lei entravano i più iiei nomi della nobiltà. Elena era una preda allettante e sfuggente: aborriva l’istituzione matrimoniale e l’idea ili sposarsi non le sfiorava neppure l’anticamera del eervello, nonostante gli uomini le cadessero ai piedi. Con adorabile improntitudine civettava indistintamente con tutti affermando: “In amore sono una vagabonda e non voglio guinzagli”. E intanto elargiva a piene mani la sua irresistibile sensualità, svolazzando da questo a quel corteggiatore come una variopinta farfalla che, avendo a disposizione infinite distese di fiori, si posasse a capriccio qua e là. Barbara, invece, era l’esatto contrario di Elena e sebbene fosse consapevole di essere meno seducente dell’amica, non si era mai sentita migliore né invidiava il successo che l’altra riscuoteva in società. L’esibizionismo e la volubilità sentimentale di Elena le suscitavano, semmai, una sorta di sgomento, poiché era di indole riservata e aveva voluto e amato un solo uomo, Alviero, pur potendo vantare diversi pretendenti. Quindi non le importava che il suo corpo non fosse voluttuoso come quello di Elena, né di non avere una facciata conturbante come la sua purché Alviero continuasse ad amarla, purché le dicesse ancora, come quella volta durante il fidanzamento: “Se un uomo ci si mettesse, non finirebbe mai di scoprirti, Barbara. Sei come una terra inesplorata la cui bellezza nascosta si rivela a poco a poco. Poi le aveva affondato le mani tra i capelli e, baciandola profondamente, le aveva fatto assaporare attimi indimenticabili, e lei si era rammaricata di non essere già sua moglie.

— Barbara...

La voce, calda e maschia, parve scaturire dai suoi sogni stessi. Incredula, sollevò lentamente lo sguardo e fissò l’alta figura del marito, che si stagliava poderosa sulla soglia. Con il cuore che le batteva forsennatamente in petto, si alzò malgrado il tremolio alle gambe, incapace di staccare gli occhi da lui. Alviero non si era ancora tolto il mantello, ma il corpo asciutto e muscoloso si delineava ugualmente tra le ricche pieghe dell’indumento. Teneva il tricorno in una mano e i capelli scuri, legati sobriamente in un codino sulla nuca, scintillavano alla luce delle candele.

— Alviero! — Barbara padroneggiò la violenta emozione a fatica; era terribilmente felice di vederlo lì, e se il motivo che aveva portato suo marito a Bologna era quello che sperava, era veramente valsa la pena di resistere all’esilio che si era imposta.

— Aspettavi qualcun altro, forse? — s’informò lui in tono discorsivo, togliendosi il pastrano che gettò con noncuranza da parte. Era calmo e a suo agio, come se si apprestasse a intavolare una qualunque conversazione da salotto, e questo urtò Barbara più del necessario. “Be’, ma che diamine dovrebbe fare? Prostrarsi al mio cospetto implorandomi di perdonarlo?” si ammonì.

— Ti sarai messo in viaggio di buon’ora — gli disse invece con gentilezza. — Vuoi mangiare qualcosa?

— Più tardi, magari. E poi abbiamo faccende più urgenti delle quali occuparci, non sei d’accordo? — Alviero si sedette davanti al camino scoppiettante e, stendendo le lunghe gambe, la invitò ad accomodarsi a sua volta. — Sono venuto a riprenderti, Barbara — dichiarò esplicito, schiudendo le belle labbra in una parvenza di sorriso. — Ne ho abbastanza delle tue fisime.

Lei si irrigidì, avvampando d’indignazione. — Fisime, Alviero?

Negli occhi chiari di lui passò un lampo d’irritazione.

— Sì, fisime! — ribattè aspramente. — Hai una casa a cui badare, e un marito al quale hai promesso, tra le altre cose, obbedienza, te ne sei dimenticata?

— Tu, piuttosto, hai scordato di avere una moglie!— ritorse Barbara, trattenendo la collera. — E un’amante, tanto per puntualizzare, non la ritengo una “fisima”, tutt’altro.

Alviero si limitò a scrollare le ampie spalle, e a lanciarle un’occhiata esasperata. — Non ti credevo il tipo da dar credito a chiacchiere infondate. — I denti bianchi balenarono brevemente in un sorriso di scherno, die accrebbe l’irritazione di Barbara. — Le ciance da cortile, mia cara, lasciamole alle comari!

— Non ho mai prestato ascolto ai pettegolezzi di bassa lega! — si risentì lei.

— Sì che lo hai fatto, altrimenti non avresti abbandonato me e “La solitaria” da un giorno all’altro, precipitandoti qui a Bologna, dove ti trattieni tutt’ora, dimentica dei tuoi doveri di moglie.

— Se stai insinuando che mi sono comportata male con te, sei nel torto, perché ho agito con correttezza, andandomene solo “dopo” che ti eri rifiutato di fornirmi una spiegazione in merito alle lettere che ti avevo mostrato. Era troppo esigere un chiarimento?

— Signora, mi hai giudicato colpevole prima che potessi pronunciare anche una sola parola in mia difesa — ribattè Alviero sbuffando spazientito. La fissò con rimprovero e aggiunse: — Con una mente offuscata dai sospetti, converrai che era inutile sprecare il fiato.

— Ti offro l’opportunità di farlo adesso, Alviero. Se pensi che sia stata precipitosa nel trarre conclusioni, smentisci le accuse che ti sono state mosse e io tornerò a casa con te.

— Smentire? — L’uomo inarcò le folte sopracciglia scure e protese il volto adirato verso quello di lei. — Io non smentisco nulla, non ne ho bisogno! Soltanto chi è colpevole deve difendersi e siccome non lo sono posso solo augurarmi che mia moglie mi stimi quanto basta por fidarsi dalla mia parola.

Barbara socchiuse le palpebre e gli piantò gli occhi addosso. — Quale parola? Non rammento che tu abbia in qualche modo negato di avere una relazione con un’altra donna.

— Ma neppure confermato — sottolineò lui con freddezza.

— Già, sei stato di un’ambiguità esemplare, se è per questo — gli rinfacciò la moglie con amarezza. — Ti domandavo semplicemente di essere rassicurata, dopotutto, niente di più.

— È insultante che tu lo pretenda, non trovi?

Barbara fremette di rabbia. — Tu come avresti reagito se ti avessero informato che io ho un amante?

— Ti avrei concesso almeno il beneficio del dubbio.

— Oh, quale generosità! Però, per combinazione, su di me non corrono certe voci, quindi è facile per te parlare così. Ma hai provato a metterti nei miei panni?

— Senti, se ti compiaci di tormentarti inutilmente, accomodati! Comunque, fidandomi di mia moglie, se mi dicessero che te la intendi con qualcuno, mi metterei a ridere. Oh, non fraintendermi — si affrettò a precisare Alviero — non scarto a priori la possibilità che un altro ti corteggi... — Fece scorrere gli occhi incupiti sulla flessuosa figura di lei, soffermandosi tanto a lungo sui seni da costringerla ad abbassare le ciglia. Approfittando del suo imbarazzo, Alviero lasciò pigramente vagare lo sguardo su ogni dettaglio: la vita sbocciava esile dal voluminoso guardinfante, slanciando l’armonioso corpo di lei, che nemmeno l’abito privo di fronzoli di pesante broccato celava. Il viso dai lineamenti delicati era contratto dallo sdegno, ma non per questo meno delizioso. — Potresti far perdere la testa a chiunque, indubbiamente — disse alla fine di quell’accurato esame.

— E tu l’hai persa per me, Alviero? — sbottò lei.

— Per quale dannata ragione pensi che ti abbia sposato?

Lui scattò in piedi, l’espressione corrucciata. — Non capisco a cosa vuoi alludere, Barbara.

— Dimmelo tu, a questo punto...

Rialzandosi a sua volta, lei lo fronteggiò determinala. — Poteva farti gola la mia dote, Alviero. — disse con studiata calma, spiando la sua reazione. — Le tue terre erano ipotecate, e il mio denaro ha risolto le tue difficoltà economiche. D’accordo, ciò non significa che li ho comperato, ma...

Livido, lui le afferrò le spalle e la scosse con forza. — Dio, se è questo che pensi...

— Mi sono sempre rifiutata di considerarti un uomo venale — lo interruppe Barbara con veemenza — ma quasi subito dopo le nozze, qualche anima pia si è premurata di informarmi che ti dedichi a particolari passatempi quando ti allontani dal tetto coniugale, e tu non hai compiuto il minimo tentativo per provarmi che erano falsità. Inoltre, invece di precipitarti qui a dissipare i miei legittimi dubbi, osi presentarti dopo quasi due mesi ! C'he idea dovrei farmi sul tuo conto? La mia assenza non ti ha disturbato poi così tanto, sennò saresti giunto prima.

— Volevo punirti! — si giustificò Alviero con foga.

— Volevo punire la tua offensiva sfiducia nei miei confronti! Che matrimonio può mai essere quello che si basa sulla diffidenza? Tu sei la sola donna che ho voluto per moglie, Barbara, e credo di non meritare simili accuse. È vero, avevo ipotecato le terre, ma avrei risolto la situazione anche senza la tua dote!

— Sorvoliamo pure su tale questione, ma che mi dici dell’altra faccenda? Chi è la signora che frequenti più o meno regolarmente a Reggio Emilia?

Sul volto di lui apparve un’espressione indefinibile.

— Non esiste nessuna signora, Barbara.

— Puoi giurarlo?

Il silenzio del marito la bruciò come uno schiaffo. Mordendosi le labbra per impedirne il tremito, Barbara soffocò l’umiliazione ricorrendo all’orgoglio. — Non è con le menzogne o con la reticenza che appianeremo i nostri dissidi — mormorò. — La tua mancanza di sincerità mi ferisce così profondamente da non poter scendere ad alcun compromesso con te, nemmeno per quieto vivere.

— Non è come pensi. — Gli insondabili occhi di lui sfuggirono quelli di Barbara. — Credimi, ti stai sbagliando.

— Davvero? E allora provamelo.

— Non posso, Barbara. Non tanto per me, quanto per te.

Lei raddrizzò le spalle e lo fissò inespressiva, dissimulando la disperazione che l’aveva assalita. — Se è così, non posso passarci sopra neppure io. Mi manchi di rispetto, te ne rendi conto, almeno? Buon Dio, non sembri nutrire una briciola di considerazione per quella che diventerà la madre dei tuoi figli!

— Figli? — ribattè lui caustico. — Di questo passo, signora, non ne avremo mai! — Poi, con tono più dolce e alzandole il mento aggiunse, suadente: — Avanti, smetti di fare le bizze e torna a casa con me.

Barbara si ritrasse, furente. — No! Non finché ti ostinerai a farmi passare da stupida. E non sono neanche la moglie docile e remissiva che, per salvare le apparenze, chiude un occhio, magari anche due, sulle scappatelle del marito! Voglio tutto o niente, Alviero, e se non puoi darmi tutto, preferisco il niente! Tieni presente, tuttavia, che quello che puoi fare tu, posso farlo anch’io.

— Che vuoi dire? Che intenzioni hai? — la interrogò il marito allarmato.

— Di partire con Elena, tanto per cominciare.

— Elena Sigismondi? E per andare dove? — proruppe Alviero incollerito, afferrandole i polsi.

Lei si liberò con uno strattone e, senza scomporsi, rispose con freddezza: — Saremo ospiti della marchesa Scaringelli per tutto il periodo del Carnevale.

Uno stupore incredulo si dipinse sulla faccia dell’uomo. — Stai scherzando, spero...

— Assolutamente no! — Barbara gli voltò le spalle di scatto. — Puoi venire anche tu, naturalmente.

— Sai benissimo che detesto questo genere di cose,che non sopporto l’ostentazione dello sfarzo, della pompa e delle raffinate mollezze così in voga di questi tempi. Privilegio di gran lunga la sobrietà, l’onestà, l’operosità, prerogative ormai démodé nel nostro ambiente; mi trovo più a mio agio tra la gente che si suda il pane che tra coloro che lo mangiano a ufo!

— Questo non m’impedirà di andarmene con Elena — ribadì Barbara.

Alviero l’afferrò costringendola a voltarsi e sibilò: — Una vecchia eccentrica e una sgualdrina! È questo il tipo di compagnie che prediligi?

— Sempre meglio di quelle che frequenti tu! — replicò lei con livore. — Comunque, tenuto conto delle lue scarse attitudini per i rapporti umani, devo ammettere che riesci abbastanza bene a barcamenarti tra moglie e amante!

— Smettila di prestare ascolto a illazioni inconsistenti! Non so immaginare chi stia cercando di seminare zizzania tra noi... O meglio, un sospetto l’avrei, ma non potendolo provare...

— Naturalmente — commentò la moglie con sarcasmo.

— Devi fidarti di me, Barbara — incalzò Alviero infervorandosi — altrimenti, chiunque sia, il malvagio detrattore sta riuscendo nel suo intento, visto che credi più a lui che a me. In quanto a partire con Elena, ti proibisco...

— Tu non puoi proibirmi nulla, Alviero! — Ribollendo di rabbia, Barbara retrocesse e strinse i pugni.

Era venuto da lei solo per esercitare la sua autorità di marito, senza un po’ di tenerezza né una parola affettuosa che la confortassero. Contava soltanto la sua volontà, le esigenze della moglie erano irrilevanti. — Non ho intenzione di rimanere qui segregata mentre tu ti sollazzi senza ritegno — lo assalì lei furente. — Una moglie è qualcosa di più di una schiava cui abbaiare degli ordini e, che tu lo voglia o no, trascorrerò il Carnevale al castello degli Scaringelli.

Alviero si accostò alla moglie e, obbligandola a retrocedere fino alla parete, ringhiò: — È tutto programmato, non è vero? Con o senza il mio consenso! E, dimmi, hai già provveduto a procurarti un cavalier servente? Farà freddo lassù, no? Chi ti scalderà il letto al posto mio? Dovrai pur ingannare il tempo con qualche cicisbeo disponibile, presumo.

— Non sono affari tuoi!

— Ah, è così, dunque... — osservò lui con sarcasmo.

— Imito il tuo esempio, dopotutto.

— O quello di Elena? Ti circonderai di stucchevoli damerini come la tua amica? Un uomo solo ti è venuto a noia?

L’alito caldo di Alviero le provocò un brivido di desiderio e Barbara dovette lottare con se stessa per reprimere il bisogno quasi doloroso di offrirgli le labbra, di stringersi a lui arrendendosi alla passione. — E se anche fosse? — lo sfidò con voce tremula.

Un sorriso ironico alterò il volto scarno dell’uomo.

— Oh, non ti basto dunque più, amor mio? — bisbigliò sfiorandole la nuca con una carezza, i fianchi premuti contro quelli di lei.

— Può darsi che sia io a non bastarti, Alviero — Barbara respirava con affanno, ormai. L’eccitazione che lui le accendeva nel sangue le scatenava sensazioni devastanti e minacciava di far crollare miseramente il poco autocontrollo che le restava, conducendola a una disfatta totale. E inoltre era vittima del gioco perverso della sua stessa mente che le riproponeva le immagini dei momenti appassionati vissuti con il marito notte dopo notte. Con uno sforzo, Barbara riuscì a dominarsi e proseguì sferzante: — Sei tu quello che spiluzzica altrove. Be’, tanto perché tu lo sappia, non spartisco con nessuno ciò che mi appartiene, né intendo raccattare gli avanzi di un’altra donna. O io o lei, e mi pare che, non essendoci smentite da parte tua, tu abbia optato per lei. Forse ti sarà congeniale tenere il piede in due scarpe ma pretendere che mi ci adegui lo trovo eccessivo. Stabilito questo, non m’imporrai di...

Il resto della frase venne soffocato dalla dura bocca di Alviero; il furore con cui si avventò su quella morbida di Barbara vanificò sul nascere il debole tentativo della moglie di respingerlo. Lei sentì vibrare ogni singolo nervo per la spasmodica voglia di cedere al sordo pulsare dei sensi, di stringersi selvaggiamente al marito, di annullarsi in lui fino allo smarrimento della ragione, fino al raggiungimento dell’estasi, dimenticando tutto ciò che li divideva.

Tremante, Barbara smise di pensare, assillata dal bisogno di lui, dalla voglia di aprirgli la camicia, di accarezzare la sua pelle, i muscoli sodi e scattanti, di baciarlo ovunque ed essere baciata ovunque, di diventare una cosa sola con Alviero fondendosi in quella sublime celebrazione che un uomo e una donna compiono nel reciproco dono di se stessi.

Ma Alviero non si spinse oltre quel bacio, e quando sollevò il capo, il suo sguardo parve deriderla. — Stai commettendo un errore che rimpiangerai, Barbara — disse con ira contenuta. — Vai dove vuoi e con chi vuoi, non posso e non voglio impedirtelo, ma attenta a ciò che fai perché le ritorsioni a volte lasciano l’amaro in bocca, specialmente se sono assurde.

— E tu? Dove andrai? Da lei?

Un sorriso enigmatico guizzò sulle labbra di Alviero.

— Io torno a casa, ed è lì che mi troverai se, recuperato un barlume di buonsenso, la smetterai di comportarti da sconsiderata. — Alviero prese mantello e tricorno, abbozzò un mezzo inchino e si diresse alla porta. — E voglio che ti sia ben chiaro — soggiunse da sopra la spalla in tono tagliente — che neppure io gradisco gli scarti altrui. Datti perciò una regolata! — Poi, senza salutarla, uscì sbattendo rabbiosamente la porta mentre Barbara, scossa da un tremito convulso, crollava affranta su una poltrona.