Capitolo 9

 

 

 

 

 

 

 

 

La mattina dopo, al mio risveglio scopro che sta piovigginando.

Ma la temperatura è ancora alta e le previsioni dicono che più tardi tornerà il sole. Piena di ottimismo, sposto il tavolino e le sedie fuori dalla tenda.

Toby sta ancora dormendo, perciò mi faccio una tazza di caffè e mi siedo davanti al lago, assaporando il lieve picchiettio della pioggia sulle braccia nude. L’odore di erba appena tagliata mi solletica il naso, mentre osservo la distesa d’acqua grigia e ripenso a ieri.

È stato strano attraversare Appley Green.

Quella sensazione ha risvegliato in me il desiderio profondo di scoprire la verità sulle mie origini. Ho sempre messo da parte quel desiderio per non dare un dispiacere alla mamma. Ma adesso che sono qui sento che non potrei andare via senza almeno vedere la Maple Tree House…

La vacanza non è iniziata nel migliore dei modi, anche se alla fine siamo riusciti ad avere la nostra cena e il cibo era eccellente, come previsto. Ma spero che le cose andranno meglio adesso che ci siamo sistemati. Toby ha apprezzato molto grembiule e stivali di gomma, anche se devo ammettere che l’incontro con il tizio maleducato nei bagni mi ha impedito di entrare appieno nello spirito delle cose. Non riuscivo a togliermi di testa i suoi commenti sarcastici.

Ma Toby si è divertito. Perciò spero che oggi sia di umore più rilassato, dopo tutto lo stress di ieri.

Osservo le altre tende del campeggio e mi chiedo se il tizio maleducato ne occupi una. Magari abita da queste parti e non è in vacanza. So che nella tenda accanto alla nostra c’è una giovane coppia scozzese. Quando siamo tornati dal ristorante ieri sera, stavano litigando. Il ragazzo è uscito dalla tenda, con una lattina di birra in mano, seguito dalle urla di lei. «E non pensare che ti basti tornare dentro e scoparmi, per farti perdonare, Dane Cuthbertson. Toglitelo dalla testa!».

Mentre gli passavamo davanti, scuotendo la testa Dane ha borbottato in direzione di Toby: «Donne». E poi ha gridato verso la tenda: «Non dire cazzate, Chantelle. Fatti un altro paio di gin e poi vedrai che mi pregherai in ginocchio, di scoparti».

«C’è qualcuno?». La testa bionda di Chantelle è spuntata da dentro la tenda. Vestita solo di una maglietta rosa con Topolino, ci ha lanciato una rapida occhiata prima di rientrare all’istante, inorridita.

Toby è arrossito violentemente mi ha preso per mano.

Appena rientrati, sono iniziate subito le grida e le risate di Chantelle. Dane aveva ragione, anche se si era sbagliato di grosso sulla quantità di gin necessaria per dare il via alle danze.

Sorridendo, ho detto a Toby: «Che signora affascinante, eh? Mi piacerebbe avere un fisico come il suo».

Toby ha alzato un sopracciglio. «Non ci ho fatto caso».

Sorrido ancora, ripensandoci.

Stamani non giungono segni di vita dalla tenda di Chantelle e Dane. Probabilmente stanno ancora dormendo, dopo aver fatto abbondantemente la pace ieri sera.

Toby continua a dormire della grossa, perciò decido di farmi una doccia e andare da Clemmy, tentata dall’idea delle paste fresche di Poppy.

Clemmy mi accoglie sulla porta sorridente, con indosso pantaloncini corti e maglietta e i capelli color castagna sciolti sulle spalle.

«Ciao, Daisy. Prego, entra. Avete mangiato bene all’hotel?»

«Sì, grazie. Per fortuna la manager ci ha rimediato un tavolo».

«Fantastico».

La seguo in salotto. «Io… credo di aver incontrato un altro dei tuoi ospiti, all’hotel».

«Davvero?», chiede perplessa. «Chantelle e Dane?».

Scuoto la testa. «Un ragazzo alto, spalle larghe… Capelli rosso scuro, barba incolta».

«Sembra un bel bocconcino, ma non so chi sia. Al momento ci siete solo voi due coppie. Abbiamo aperto solo lo scorso aprile, anche se abbiamo in mente di espanderci con altre tende per l’estate prossima», dice sorridendo.

«Oh, allora chissà chi era», dico con noncuranza, come se il pensiero di lui non mi avesse più sfiorato dopo ieri sera. Perché è così. Cioè, non proprio. Mi giro a guardare un quadro per nascondere il fatto che sono arrossita, in modo assolutamente sconveniente. «Mi sembrava proprio un tipo da campeggio».

«Campeggio di lusso, prego!», dice Clemmy in un tono che sembra veramente offeso.

Ma quando mi giro verso di lei, la trovo che sorride.

Sento il pianto di un neonato in sottofondo. Guardo Clemmy con aria interrogativa e lei scoppia a ridere. «Non è mio. Poppy ha partorito da poco. Vieni, te la presento».

La seguo lungo il corridoio, fino alla cucina-soggiorno sul retro. Poppy, che abita nella vicina Casa del focolare con il fidanzato Jed, è in piedi vicino alla finestra e sta cercando di calmare la bambina che porta addosso avvolta in una fascia.

«Poppy e la piccola Keira. Questa è Daisy, una vecchia amica. Andavamo a scuola insieme. È qui in vacanza con il suo ragazzo, sono nell’harem numero tre. È venuta ad assaggiare le tue paste». Clemmy dà una pacca a un cestino di vimini appoggiato sull’isola della cucina. È pieno di paste appena sfornate.

«Harem numero tre?», dico ridendo.

«Ops, scusa», risponde Clemmy ridendo a sua volta. «Non è molto professionale da parte mia. Ma continuo a dimenticarmi che oltre che un’amica, sei anche un’ospite. Li chiamo harem uno, due e tre perché mi ricordano le tende degli arabi nel deserto».

Annuisco. «Sì, è proprio vero».

«Ma forse non è il caso di chiamarli in quel modo con gli ospiti», interviene Poppy. «Harem dà l’idea di una vacanza… di tutt’altro tipo».

Scoppiamo a ridere tutte e tre e Poppy dice: «Piacere di conoscerti, Daisy».

«Piacere mio». Le sorrido e poi mi avvicino alla piccola. «È stupenda».

«Già, è proprio vero», dice Poppy. «Anche se io sono di parte, ovviamente».

«No, davvero. È perfetta», dice Clemmy.

Poppy sorride di nuovo. «Non quando ci sveglia gridando come una matta alle tre del mattino». Poi indica il cesto. «Daisy, stamattina ho fatto delle girelle alla cannella e mela, oppure mandorle e cioccolato. Altrimenti dei cornetti con la marmellata di fragole di Clemmy?».

«È una combinazione letale», geme Clemmy. «Ecco perché non sono dimagrita di un solo etto da quando ho iniziato la mia cosiddetta dieta a gennaio, nella speranza di riuscire a entrare nel vestito da sposa». E si stringe mestamente il girovita con le mani.

«Stai benissimo così come sei, Clem», ribatte Poppy e la piccola Keira fa un delizioso rumorino nasale, come se anche lei fosse d’accordo.

«È vero. E poi l’abbronzatura ti dona», dico ammirando le sue gambe sode lasciate scoperte dai pantaloncini. Inizio a scegliere le paste dalla cesta.

«Sono così emozionata per il tuo matrimonio», dice Poppy dando un bacio leggero sulla testa di Keira e sorridendo soddisfatta. «Non vedo l’ora di farti da damigella».

Clemmy fa una specie di smorfia, molto meno entusiasta dell’amica. «È contenta solo perché il nostro matrimonio a ottobre sarà una specie di prova generale per quando loro si sposeranno a dicembre!».

Poppy ride. «Esattamente».

Il telefono sul tavolo suona e Clemmy dà un’occhiata al messaggio. Una ruga preoccupata le compare sulla fronte e poi si perde con lo sguardo fuori dalla finestra.

«Tutto ok?», chiede Poppy.

Clemmy si gira e scuote appena la testa. «Non avrei dovuto leggere. È il telefono di Ryan». Poi sfoggia un gran sorriso. «Tutto a posto».

«Lo faccio anch’io con il telefono di Toby, ogni tanto», dico.

«Come?». È chiaro che i pensieri di Clemmy sono da tutt’altra parte.

Mi stringo nelle spalle. «Ogni tanto mi ritrovo a leggere un messaggio sul telefono di Toby, senza volere. Come d’istinto».

Lei sorride e annuisce, ma sembra ancora distratta. Mi chiedo che cosa ci fosse scritto nel messaggio.

«A proposito, congratulazioni per il matrimonio, Poppy», dico. «Hai un sacco di cose da fare. Come fai a gestire il tuo servizio di catering e prenderti cura di una neonata e organizzare un matrimonio, tutto insieme?».

«Ha un’assistente assolutamente magica, Roxy», risponde una voce maschile. «È arrivata a Natale e non è più andata via».

«Grazie al cielo», sospira Poppy. «Non potrei fare neanche la metà di quello che faccio, senza di lei. Questa settimana è in Grecia con il suo ragazzo, Alex, a prendere un po’ di sole».

«Ciao, tesoro». Clemmy si gira verso il ragazzo appena entrato, con un gran sorriso. «Daisy, ti presento Ryan».

Ryan e io ci stringiamo la mano, poi lui ruba una pasta dal cesto e dà subito un morso. «Mandorle e cioccolato», mormora alzando la pasta davanti a sé. «Quattro morsi di perfezione assoluta».

«Oh be’, grazie Ryan», ride Poppy. «Ma so che mi stai solo lisciando per farti dire: “Prendine pure un’altra!”».

«Grazie, non me lo faccio ripetere due volte», dice Ryan con un sorrisone. «Bene, ti amo, ma adesso devo andare». Prende il telefono, legge il messaggio, e lo infila in tasca. «Ho una riunione alle dieci».

Clemmy ieri sera ha detto che Ryan lavora come avvocato in un grande studio di Londra, se non ricordo male.

«Pensavo di fare una bistecca stasera», dice lei. «A che ora torni?».

Ryan si gira per buttare l’incarto delle paste nel cestino. «Ehm, tardi, credo. Dopo le nove. Cena pure quando hai fame, io mangio qualcosa quanto torno».

Clemmy annuisce, un po’ abbattuta. «Oh. Va bene».

«Ti chiamo mentre torno», dice Ryan e la bacia sulle labbra. «Ciao a tutte. Keira, fai la brava». Sorride alla piccola e le porge un dito, perché lei possa stringerlo nella manina. Lui scuote la testa, incantato. «È così piccola».

«Presto ne avrete uno vostro», dice Poppy.

Ryan fa una buffa smorfia di terrore e poi esce, salutando con la mano.

«Io credo di no», mormora Clemmy. «Non se continua a tornare sempre così tardi. Ci vediamo a malapena e, quando capita, siamo troppo distrutti per fare sesso».

Poppy sorride come una che la sa lunga. «Si chiama relazione fissa. Jed e io abbiamo a malapena le forze per un bacino sulla guancia, figuriamoci per il sesso. Dormire è improvvisamente un’attività mooolto più interessante, quando hai una neonata».

«Sì, ma almeno tu hai la scusa di Keira, per la mancanza di passione tra voi».

Nemmeno a farlo apposta, Keira inizia a piangere.

Poppy si stringe nelle spalle. «Ryan ha un sacco da fare in ufficio. Lo hai detto anche tu. Vedrai che la situazione si stabilizzerà».

Sorrido. «La mia dolce metà, Toby, non smette mai di lavorare. L’unico modo che ho per attirare la sua attenzione, è mettermi una tuta da lucertola verde smeraldo e saltellargli davanti gridando: “Al fuoco!”».

Clemmy e Poppy mi guardano e scoppiano a ridere.

Anche la piccola Keira si tranquillizza.

Il campanello suona e Clemmy sorride. «Devono essere Gloria e Ruby, le nostre parenti di Newcastle. Gloria è fidanzata con Bob, zio di Ryan e Jed, e Ruby è sua figlia. Sono arrivate ieri per vedere la piccola. Stanno da Poppy».

Clemmy e Poppy vanno ad aprire la porta, perciò decido di seguirle.

Sugli scalini c’è una signora dai capelli rossi sulla quarantina, con gli occhiali appoggiati sulla testa. Presumo che lei sia Gloria, mentre la ragazza sui diciotto anni deve essere Ruby.

«Ciao, la mamma e io andiamo a fare una passeggiata intorno al lago», dice Ruby. «Volete venire? Oh, ciao», aggiunge vedendomi.

Clemmy ci presenta e, dato che tutte rifiutiamo l’offerta della passeggiata, Gloria e Ruby fanno per andarsene.

«Ma che sta facendo quel tizio strano?», esclama Ruby. Tutte ci giriamo a guardare.

Sconcertata, riconosco il tizio in questione. Toby è uscito dalla tenda, con indosso solo i boxer, e sta correndo in cerchio sul prato, agitando le mani sopra la testa.

«Forse si sente male?», chiede Gloria preoccupata.

«Sembra una danza tribale», dice Ruby in tono di ammirazione.

«È Toby», dice Clemmy, e scendiamo sul prato per cercare di capire cosa sta succedendo.

«Toby? Stai bene?». Corro verso di lui allarmata, temendo che sia arrivata la goccia che fa traboccare il vaso della sua sopportazione della campagna.

«È un’ape del cavolo. Non riesco a mandarla via», grida lui. «Era dentro la tenda e ora mi sta seguendo, la bastarda!». Sventola le mani in aria, saltando a destra e a sinistra in preda al panico.

«Probabilmente lei ha più paura di te di quanto tu ne abbia di lei», dice Ruby in tono calmo. «Mettiti fermo. Vedrai che si stuferà di starti intorno e andrà via».

«Se mi metto fermo, mi pungerà!», grida Toby, continuando con la danza tribale. «Avete altre idee geniali? Ahia, brutta stronza! Mi ha punto!». Gemendo per il dolore e l’indignazione stende il braccio, guardandolo orripilato.

«Dobbiamo solo togliere il pungiglione», dico prendendolo per l’altro braccio, cercando di calmarlo.

«Vieni, ci penso io», dice Ruby. «Ho fatto un corso di pronto soccorso». Afferra il braccio con la puntura e, con cautela, fa uscire il pungiglione usando un’unghia. Mentre lei esegue la delicata operazione, Toby è talmente sbilanciato all’indietro che per poco non rischia di perdere l’equilibrio e di finire a terra tirandosi addosso anche Ruby.

«Miele», dice Gloria. «Vi serve del miele. Va spalmato sulla puntura e coperto con una benda. Guarirà in un batter d’occhio».

Clemmy si allontana in cerca di miele e bende e poco dopo torna per occuparsi del braccio di Toby.

«Mi sento un po’ debole», dice lui guardandomi accigliato e tenendosi il braccio bendato, come se fosse un corpo estraneo, che non appartiene a lui. «Forse è meglio se mi stendo un attimo».

«Ottima idea. Andiamo, Toby. Grazie a tutte per l’aiuto», aggiungo mentre accompagno Toby verso la tenda.

«Figurati», dice Ruby. «Guarisci presto, Toby».

Clemmy mi raggiunge e mi infila una busta di carta sotto il braccio. «Le paste», dice e io le rispondo con un sorriso pieno di gratitudine.

«Oddio, sto per vomitare», dice Toby all’improvviso e si mette a correre verso la tenda.

Dopo qualche minuto riemerge dal bagno, bianco come un lenzuolo, e si sdraia sul letto di schiena, fissando il soffitto, completamente traumatizzato dall’esperienza.

Mi siedo sul letto accanto a lui. «Ruby ha tolto il pungiglione. È tutto a posto».

Lui risponde con un grugnito e io mi sento terribilmente in colpa, dato che è stata mia l’idea di portarlo in questo posto orribile infestato dagli insetti…

 

Un’ora dopo, Toby emerge dalla camera e mi raggiunge fuori, dove sono seduta a prendere il sole.

«Mangiamo qualcosa?», chiede.

Sorridendo, mostro la busta di carta. «Paste fresche. Siediti, preparo la colazione. Ti senti meglio?».

Annuisce, quasi suo malgrado. «Un po’».

Una mosca gli vola vicino all’orecchio e lui si schiaffeggia la guancia, mancando la mosca, poi prende un giornale e inizia a dare sferzate violente all’aria.

«Mosche del cazzo. La campagna non sarebbe male, se non ci fosse merda di mucca ovunque a fare da esca per tutti questi cazzo di insetti».

E se ne va infuriato, di nuovo dentro la tenda.