Capitolo 4
Un mese dopo, sono seduta sul pavimento in camera di Toby, a disfare gli ultimi scatoloni che ho portato dal garage di Rachel.
Ho sempre pensato che andare a convivere sarebbe stato indice di crescita, un’assunzione di responsabilità. Una decisione ragionevole, presa con consapevolezza, di entrare in una relazione veramente adulta.
Non mi sto lamentando!
Ma le ultime due settimane, dopo la pubblicazione del racconto, sono volate via in un turbinio di eventi, soprattutto perché il fidanzato di Rachel, Adam, le ha chiesto di sposarla di punto in bianco. Rachel era fuori di sé dalla gioia e, dopo una settimana di festeggiamenti, mi ha detto che ha deciso di vendere la casa e di trasferirsi da Adam. Perciò dovevo trovarmi un altro posto in cui stare.
Il sabato successivo, a pranzo dalla mamma di Toby, la soluzione più ovvia si è presentata da sola…
Ero in cucina e stavo aiutando Rosalind con il pasticcio di cavolfiore.
Mi sentivo piuttosto fragile, al pensiero di dover lasciare la mia coinquilina dopo tanti anni.
Rosalind si è accorta subito del mio stato.
«Come stai, tesoro?», mi ha chiesto, in tono comprensivo. Doveva aver capito che la mamma mi manca molto e, immediatamente, mi sono sentita sopraffatta dal dolore della sua perdita, ancora così fresco.
«Sto bene. Anzi, benissimo», ho risposto con il sorriso smagliante che uso quando le persone iniziano a farmi domande che risvegliano in me il panico dei sentimenti. Sentivo gli occhi di Rosalind addosso, mentre mescolavo il formaggio fuso nel pentolino.
«Sì, ma come stai? Davvero». La sua voce era dolce, materna, e la gola mi si è chiusa in un nodo. Con orrore, mi sono resa conto che mi tremava la mano e ho iniziato a mescolare sempre più veloce per nasconderlo, schizzandomi gocce di salsa bollente sulla pelle.
Rosalind ha preso il pentolino con delicatezza, mentre io passavo la mano sotto l’acqua fredda, felice di potermi girare di spalle per nascondere le lacrime.
Perché tutti si ostinano a chiedermi della mamma e di quello che le è successo?
Non capivano che era la cosa peggiore che potessero chiedermi? Volevo solo dimenticare tutto, per non impazzire, e l’unico modo per farlo era concentrarmi sul presente e non continuare a parlare di ciò che non può più essere cambiato.
Perché non riuscivano a capirlo?
Con grande sforzo, ho cercato di ricompormi e mi sono girata verso Rosalind. «Ho un problema, in effetti», ho detto. «Rachel vuole vendere l’appartamento».
«Oh, povera Daisy. Quindi devi traslocare?». Rosalind sembrava sconvolta.
«Be’, non subito. Non lo metterà in vendita fino a questo inverno».
«Sì, ma… è un po’ preoccupante». E il suo sguardo diceva: “Come se non ne avessi già passate abbastanza…”.
Ho scrollato le spalle e ho iniziato a grattare altro formaggio per la gratinatura. «Troverò qualcosa».
«Forse c’è già qualcosa».
«Come?».
Rosalind ha sorriso, con le fossette sulle guance rosee, tirandosi su accaldata dallo sportello del forno, in cui era andata a controllare il roast-beef. «Proprio l’altro giorno Toby mi stava dicendo che le cose tra voi vanno alla grande».
«Davvero?». L’ho guardata sorpresa. Non pensavo che Toby si confessasse così con sua madre.
Lei ha scosso la testa ridendo. «In realtà mi stava dicendo che il costo della vita sta salendo e che abitando insieme potreste quasi dimezzare le spese. Ma quando gli ho chiesto se stava pensando di dividere con te il suo appartamento, lui non ha negato. Al contrario».
«Ho sentito il mio nome?». Toby è entrato in cucina proprio in quel momento.
«Daisy mi stava dicendo che presto dovrà traslocare e io le ho detto che potrebbe esserci già una soluzione al suo problema, tutto qui». Rosalind ci ha guardati con un sorriso complice. «Potete dare un’occhiata al roast-beef? Vado a controllare che i piccoli non si stiano ammazzando tra loro!».
Una volta uscita, Toby e io ci siamo guardati, con una risatina imbarazzata.
«La mamma ti vorrebbe come figlia, se non l’avessi capito», ha detto Toby con un sorriso timido.
A quel pensiero mi sono sentita stringere il cuore, e ho dovuto distogliere lo sguardo per ricacciare indietro nuove lacrime.
«In effetti è una buona idea», ha aggiunto Toby. «Che tu venga a stare da me».
«Davvero?», ho detto cercando di buttare giù il nodo che avevo in gola. «Ti farebbe piacere?». Mi sentivo travolta da sentimenti contrastanti. Fino a poco prima pensavo che non fossimo fatti l’uno per l’altra. Poi mia madre si è ammalata ed ero così grata per la presenza di Toby che ho dimenticato tutti i miei dubbi sulla potenziale durata della nostra storia. E la sola cosa importante era affrontare un giorno dopo l’altro.
Dovevo davvero trasferirmi da Toby? Significava assumermi un vero impegno. Forse potevo prendermi almeno una settimana per rifletterci?
Ma poi ho pensato che il tempo passato con Rosalind, Toby e i suoi fratelli mi riempiva di speranza per il futuro. Ogni domenica, me ne andavo da casa loro più contenta di quando ero arrivata e questo doveva pur significare qualcosa. Un senso di appartenenza. Che vale più dell’oro…
«Se ti va, io ci sto», ha detto Toby. C’era una sorta di fragilità nel suo sorriso che mi ha colto di sorpresa e mi ha fatto sciogliere il cuore. Non era proprio una proposta romantica, ma non importava. Mi stava offrendo una possibilità di voltare pagina. Di iniziare una nuova parte della mia vita e creare nuovi ricordi insieme a lui.
Un nuovo inizio, proprio ciò di cui avevo bisogno in quel momento.
E allora gli ho preso la mano sorridendo. «Anch’io ci sto».
Rosalind è rientrata in cucina mentre ci stavamo baciando.
«Oh, ditemi che avete buone notizie», ha detto raggiante portandosi le mani sul cuore. Toby e io abbiamo fatto cenno di sì con la testa e lei si è lasciata andare a una delle sue calorose risate, stringendoci entrambi in un abbraccio. Non amando mostrare le proprie emozioni, Toby si è un po’ irrigidito, ma le lacrime negli occhi di Rosalind si rispecchiavano nei miei e in quel momento ho capito che tutto sarebbe andato per il verso giusto.
Perciò, a trentadue anni, ho finalmente fatto una scelta da adulta e vado a vivere con un ragazzo! Mi sento scombussolata ed esaltata allo stesso tempo.
È sabato mattina e sto spacchettando i miei scatoloni. Ma quelli che sto aprendo in questo momento contengono le cose della mamma, oggetti che ho messo via dopo aver liberato la casa per metterla in vendita, e continuo a perdermi tra i ricordi. Ogni singolo oggetto sembra avere un significato speciale.
Toby, che si sta preparando per andare al lavoro, compare sulla porta con il telefono in mano. «È Joan».
Presa dal panico, faccio segno di no con la testa e gesticolando cerco di fargli capire che voglio che dica che non ci sono. Joan vuole sicuramente parlare della mamma e io non me la sento in questo momento.
Ma Toby dice: «Sì, te la passo, un attimo».
Mi passa il telefono, accigliato. Devo rispondere.
Chiudo gli occhi e inspiro a fondo, per prepararmi alla telefonata. «Ciao Joan, che piacere sentirti!».
All’altro capo della linea, la sua voce dolce mi provoca una stretta al cuore. Joan mi chiede come sto e quando andrò a trovarla. Lei e la mamma erano così amiche. I ricordi del tempo passato insieme a loro riaffiorano tutti insieme e inizio a sentire la familiare ondata di ansia che mi toglie il respiro. Con la mano libera, mi stringo il cardigan al petto. È un modello lungo e morbido, bordeaux, con bottoni lucidi. Toby lo detesta, ma io lo trovo comodissimo.
Joan mi chiede di Toby e io le rispondo che sto organizzando una gita romantica a sorpresa per il suo trentesimo compleanno, il mese prossimo.
«Potreste venire qua, vi ospito io», dice Joan. «È un ottimo punto di partenza per esplorare il Surrey». Poi scoppia a ridere. «Non è molto romantico, però».
«Oh, no. Non vorrei disturbare».
Joan sospira. «Mi dispiace solo non avere una stanza per gli ospiti. Oh, ho un’idea! Perché non andate a stare da Clemmy? Quello sì, che è un posto romantico!».
«Clemmy?»
«Sì, non te l’ho detto? Forse lo avevo raccontato a Maureen. A tua mamma piaceva tanto l’idea di un campeggio di lusso».
«Sì, è vero. Le sarebbe piaciuto molto».
«Vorrei che lo avesse visto», sospira Joan. «Maureen lo avrebbe adorato».
Di nuovo il nodo alla gola. La mamma e io parlavamo spesso di fare un gita in un campeggio di lusso, ma alla fine non lo abbiamo mai fatto. Se solo avessi capito che il nostro tempo era limitato…
Joan si schiarisce la voce. «Comunque, Clemmy e quel suo fidanzato adorabile, Ryan, hanno aperto uno di questi campeggi meravigliosi, in riva al lago. È un vero paradiso, le tende sono splendide. Sembra di stare in un hotel a cinque stelle!».
«Sembra bellissimo».
Clemmy è la nipote di Joan ed era una delle mie migliori amiche all’università, ma poi ci siamo perse di vista. Dopo la laurea, lei è tornata nel Surrey e io a Manchester. L’idea del campeggio di lusso è interessante ma, per quanto possa volere bene a Joan, penso che non sia il caso di passare del tempo con lei durante la nostra vacanza romantica. Finiremmo a parlare della mamma ed è l’ultima cosa che vorrei.
Non ne ho bisogno, perché tutti i ricordi più belli con lei li conservo nel mio cuore.
E in ogni caso, questa gita romantica deve essere un momento speciale, solo per Toby e per me. Finalmente avremo un po’ di tempo per parlare, parlare davvero, del nostro futuro. La rivista con il mio racconto è già arrivata, ma non l’ho ancora detto a Toby, di proposito. Gliela farò vedere quando saremo in vacanza, così avrà tempo di leggerla!
Un campeggio di lusso nel Surrey è una buona idea, magari un’altra volta…
Ma non voglio che Joan ci rimanga male, perciò le dico che ci penserò su.
Nella fretta del trasloco, non ho ancora pensato veramente a dove portare Toby. Ma giugno è già arrivato, devo prendere una decisione!
Torno ai miei scatoloni, pensando vagamente alla Grecia, o magari all’Italia. Toby e io in relax totale, sdraiati su una spiaggia con solo il mare cristallino davanti…
Apro uno scatolone che era in soffitta dalla mamma, sembra che non sia stato aperto da quando ci siamo trasferiti in quella casa, venticinque anni prima. Tolgo una ragnatela dal cardigan, mentre un vago odore di muffa si solleva dal contenuto: vecchi libri, in larga parte romanzi rosa dalle copertine pacchiane. Alla mamma piaceva leggere e non dava mai via i suoi libri. Per tutte le altre cianfrusaglie non aveva pietà e preparava continuamente scatole di vestiti, scarpe, vecchie borse e bigiotteria da dare in beneficenza. Ma non i libri. Le piaceva tenerli. Io ne ho conservati solo alcuni dei suoi preferiti, mentre molti altri li ho già dati in beneficenza.
Sto per richiudere la scatola e scriverci sopra “beneficenza”, quando noto un altro oggetto infilato tra un libro e l’altro.
Una borsetta.
Sembra una borsa da poco. Di plastica rosa lucida, con la chiusura dorata e una lunga tracolla. Sul davanti, c’è applicato un pony rosa e oro, con gli occhi grandi e la criniera fluente. Non credo che la mamma avrebbe mai indossato una borsa del genere. Non è certo nel suo stile. Ma qualcuno deve averla portata a lungo, perché è consumata lungo i bordi e sembra piuttosto usata.
Forse era mia, di quando ero adolescente?
Ma è un oggetto così particolare che me ne ricorderei.
Apro la fibbia, ma dentro non c’è niente, se non un vecchissimo biglietto del bus e un rossetto color “rosa conchiglia”. Sembra esserci qualcos’altro nella taschina interna. Apro la cerniera con cautela e ne estraggo una busta piegata a metà.
Con mio grande disappunto, la busta è vuota. Se c’era una lettera che poteva darmi un indizio sulla proprietaria della borsa, deve essere stata tolta tanti anni fa. Ma sul fronte della busta c’è un indirizzo e leggendolo mi sento mancare il fiato.
Maple Tree House, Acomb Drive, Appley Green, Surrey.
Io non sono mai stata ad Appley Green. Me lo ricordo bene, per un motivo specifico.
È il posto in cui sono nata.
Una volta ho chiesto alla mamma da dove venivo e se conosceva i miei genitori biologici. Avevo più o meno sedici anni. La mamma stava stirando una camicia. È strano ricordare certi dettagli. Lei mi ha guardato e, per un istante, ho pensato che non mi avrebbe risposto. Poi, scuotendo la testa, mi ha detto: «Mi dispiace, tesoro. So solo che sei nata in un paesino chiamato Appley Green, non lontano da casa nostra nel Surrey, e che tua madre non poteva prendersi cura di te, perciò ha deciso di darti in adozione. Vorrei poterti dire di più, ma…».
«Quindi non sai niente della mia… vera mamma?».
La mamma è arrossita a quella domanda. Il ferro le è scivolato di mano, provocandole un bruciatura, così lei è corsa in cucina a mettere la mano sotto l’acqua.
Mi sono sentita subito in colpa, perché la mia vera mamma è sempre stata lei. L’altra, quella che non era stata parte della mia infanzia, era solo la mia mamma biologica.
Dopo quella volta, non ho più fatto domande. Non volevo che la mamma pensasse che un giorno sarei andata in cerca della mia madre biologica.
Quel nome però, Appley Green, mi è sempre rimasto in testa. Ho un’immagine mentale del paese, che probabilmente non corrisponde alla verità. Ho cercato anche su internet, ma senza risultati.
Guardo la data sul biglietto dell’autobus.
15 luglio 1990.
Io sono nata nel 1987, quindi avevo tre anni all’epoca di quel biglietto.
Rimango a fissare la busta. Probabilmente conteneva un volantino pubblicitario, perché sull’indirizzo c’è scritto “Agli inquilini”. Nessun nome, nessun indizio. Mi concentro sul nome del paesino. Potrebbe essere una coincidenza, io sono nata ad Appley Green e ora lo trovo qui, scritto a macchina su questa busta. Mi sento formicolare di curiosità. La proprietaria della borsetta doveva vivere nella Maple Tree House su Acomb Drive, ad Appley Green.
Forse ci abita ancora…
Sul retro della busta c’è il nostro vecchio indirizzo nel Surrey, scritto in una calligrafia infantile. Me lo ricordo ancora, perché alla mamma faceva tanto ridere. Il nome della nostra strada significava “via case di palude” e la mamma diceva che sembrava molto più pittoresco di quanto non fosse in verità.
Ed eccolo lì sulla busta, forse scritto dalla proprietaria della borsetta.
3 Bog Houses, Chappel-Hedges, Surrey.
Ho così tante domande in testa.
Di chi era quella borsetta?
Com’è finita nella soffitta della mamma?
E perché la mamma, sempre così attenta a non accumulare cianfrusaglie, l’ha conservata per tutti questi anni in questo scatolone?