Capitolo 93

Ruby si mise a riordinare la stanza. Certo, era da stupidi, perché ormai non aveva nessuna importanza e di certo non rischiava una sfuriata da parte dei genitori. Ma la aiutava a calmarsi e a prepararsi a ciò che la attendeva.

Vestiti piegati con cura. Chiavi lasciate sul comodino, insieme al “Libro dell’odio”. Una scatola piena di messaggi stampati ai piedi del letto.

Ne aveva una anche sulle gambe, piena di foto di quando erano felici. Disegni fatti da Topo di personaggi dei suoi libri preferiti: Matilda, gli Umpa Lumpa, la Malvagia Strega dell’Ovest, Aslan. I biglietti dei concerti a cui i suoi l’avevano portata. I biglietti di auguri pieni di inutili dediche, perché era più facile ricorrere alle parole che dimostrare affetto.

Quando avevano smesso di amarla?

Ruby sentiva di essere la ragazza più odiata di Londra.

Una volta aveva chiamato un’associazione per i diritti dell’infanzia. A scuola, aveva letto su un manifesto che nell’anno precedente avevano ricevuto quasi 19.500 telefonate da bambini con istinti suicidi. Solo lo 0,6 per cento dei fondi per il Servizio sanitario nazionale veniva speso per la salute mentale dei bambini. Quel dato l’aveva fatta imbestialire, ma ora non era rimasto nulla a parte cenere e braci tiepide.

Avrebbe avuto la forza di portare a termine il piano da sola? Oppure quello sarebbe stato l’ennesimo fallimento da aggiungere alla lista? Posò la scatola da scarpe piena di ricordi e si mise qualcos’altro sulle gambe.

Il fucile di papà.

Tutto era pronto, a parte lei.

Rimase seduta a lungo, senza muovere un muscolo. Abbastanza da sentirsi irrigidita e scomoda.

Il telefono vibrò come una vespa arrabbiata.

Allora, si mosse.

 

La morte imminente schiarì la mente di Benjamin. Niente più senso di vertigine o panico. Non sentiva nemmeno il bisogno di aprire l’armadietto dello studio per bersi un altro drink. Si sentiva leggero, come non gli capitava da anni, dopo essersi disfatto della maschera che l’aveva trascinato a fondo.

Avrebbe scritto una lettera per scusarsi con Dom, Ruby e Amber e spiegare tutto quanto. Ma che ne sarebbe stato di Kendra e del bambino?

Continuava a dimenticarsi della gravidanza, tanti erano i pensieri. E questo la diceva lunga sui suoi sentimenti nei confronti della ragazza. Ma cosa fare di questo terzo figlio in arrivo? Un figlio che non avrebbe mai conosciuto se avesse portato a termine il suo piano di uccidersi.

Non se… quando.

Una volta morto, Kendra avrebbe perso la casa, perché era lui il proprietario dell’appartamento in cui viveva… o meglio, lo era la banca. Lei credeva che Benjamin le pagasse l’affitto, non aveva idea che fosse lui il padrone di casa. Solo un’altra bugia da aggiungere alla montagna di falsità. Sarebbe rimasta senza niente, come Dominique. La consapevolezza di quanto le aveva fatto lo spinse a prendersi la testa fra le mani, disperato. Fissava il sottomano in pelle sulla scrivania antica singhiozzando.

Non amava Kendra, non l’aveva mai amata. L’aveva usata per alimentare il proprio ego. Pelle giovane e morbida per farlo sentire un po’ meno un patetico uomo di mezz’età, alla stregua del suo bell’orologio o della sua auto, uno dei tanti accessori con cui fare colpo sulla gente e dimostrare quanto avesse vinto nella vita.

Era solo una merda.

I fiocchi rosa e azzurri legati intorno al test di gravidanza si erano sporcati a forza di rigirarli in mano in preda all’ansia. Per un momento, si concesse di immaginare il bambino: un misto fra Ruby e Amber. Avrebbe voluto esserci per vederlo, per trovare una soluzione alternativa. Ma non aveva scelta. Piuttosto, doveva spiegare a Kendra quanto gli dispiacesse di averla lasciata letteralmente senza niente a parte il bambino. Quella era l’unica opzione possibile. Però, la domanda era un’altra: come avrebbe fatto a dirle tutto.

 

Cara Kendra, scrisse. Quando leggerai questa lettera, io sarò morto.

 

La biro si fermò. Era troppo melodrammatico? Ma non aveva senso girarci intorno, doveva mettere subito in chiaro le cose. Non aveva idea di che altro dire. Rilesse la frase. Una lacrima gli gocciolò giù dal naso, l’asciugò prima che potesse bagnare la carta.

 

Non sono l’uomo che la gente pensa che io sia. Ho fatto così tante stupidaggini e mi sono cacciato in un sacco di guai. La mia arroganza non è altro che codardia. Non riesco a reggere la pressione. Mi dispiace così tanto di aver deluso te e il nostro bambino.

 

Non era il momento per avere dei segreti. Benjamin raccontò all’amante tutto quanto, e lo stesso avrebbe fatto con la moglie. Quando terminò di scrivere, si appoggiò allo schienale e annuì. Si sentiva meglio ora che aveva tirato tutto fuori. Non stava facendo la cosa giusta nei confronti di Kendra, lo sapeva benissimo, ma almeno le avrebbe lasciato una spiegazione. Ora doveva soltanto farle avere la lettera.

Tese l’orecchio, per verificare che nessuno fosse sveglio, ma non sentì nessun rumore. L’orologio batté la mezzanotte e Benjamin si rese conto, con un sussulto, che era Natale. Nessuno sentì il clic della porta che si chiudeva dietro di lui.