Capitolo 29
Non ancora. La frase rimase sospesa a mezz’aria, beffarda, pronta a ricordare a Dominique con quanta velocità la situazione poteva cambiare.
Mandò giù la paura che le bloccava le parole in gola e si sforzò di continuare.
«Venerdì notte mi sono svegliata ed ero in corridoio, e non sapevo come ci ero arrivata. Stanotte ho avuto un altro incubo».
Tacque un attimo prima di confessare che aveva trovato un coltello sul cuscino. Non voleva sembrare del tutto matta. La stanchezza e la preoccupazione le giocavano brutti scherzi.
«Ok». Il tono di Fiona era gentile ma inquisitorio, ostinato. Aveva indossato i panni da avvocato e il suo approccio calmo bastò a tranquillizzare Dominique.
«Riesci a ricordare cosa stavi sognando?».
Dominique tremò appena. «Sì, io… Oh, ma prima c’è una cosa che devi sapere, Fiona. Una donna è venuta da me venerdì, dopo che abbiamo pranzato insieme, e ha detto di avere una relazione con Benjamin».
«Oh. Capisco. Tu come stai? Accidenti, che domanda stupida. Non stai bene, è evidente. Perché non me l’hai detto?». Non c’era traccia di nessun “lo sapevo, io” nella sua voce.
«Ero così imbarazzata, e dovevo cercare di elaborare la cosa da sola».
«Il punto è, però, che mi sembra che non la stai elaborando, Dom, o sbaglio? Non la stai affrontando, altrimenti non saremmo qui a parlare del fatto che cammini di nuovo nel sonno».
Dominique si massaggiò la fronte e chiuse gli occhi. «Lo so. Ecco perché ti ho chiamato», spiegò all’amica. E così le raccontò tutto dell’orribile scontro con Kendra.
«La cosa stupida è che, in un certo senso, ormai lo sospettavo da un po’. Ma quando mi sono ritrovata davanti la sua amante è stato comunque uno shock. Ho passato un sacco di tempo a immaginare che aspetto avesse la mia rivale, ma non ero affatto preparata. Sono solo rimasta sconvolta da quanto fosse giovane. Non avrà nemmeno trent’anni».
«Che cliché. È uno stupido, te l’ho sempre detto. Com’era lei, comunque?»
«Carina. Biondo scuro. Tette grosse e vitino da vespa. L’incubo di ogni donna. È così diversa da me… voglio dire, io sono piatta come una tavola…».
«Ehi, tu hai un fisico pazzesco», la interruppe Fiona. «Hai avuto due figlie e hai la pancia piatta come un pancake. Stronza».
«Ma a quanto pare non è abbastanza, o sbaglio? Forse dovrei smetterla con tutto quello yoga, il jogging e le diete, e cercare di mettere su un po’ di curve».
«Non dire cavolate. E poi, che cosa hai fatto? Le hai dato uno schiaffo? Come tuo avvocato, ti consiglierei di non farlo. Come tua amica, lo incoraggio fortemente».
«Avrei dovuto farlo. O andarmene via con un briciolo di dignità. Ma ero così scioccata che mi sono ritrovata a chiederle se stesse parlando della persona giusta. Oh, Fiona, ho iniziato a farle delle domande, le ho persino chiesto quand’era il compleanno di Benjamin. Forse speravo che mi desse la risposta sbagliata e che saltasse fuori che non ero sposata con il suo Benjamin Thomas. Sono proprio un’idiota».
«Scommetto che lei non aveva idea che ti sentissi un’idiota. Scommetto che ha pensato che sei una donna di ghiaccio, così sicura di te. Ti ho vista in azione, ricordi? Sembra sempre che tu abbia il controllo della situazione, anche se io so la verità. Ti chiudi a riccio, non è vero, tesoro?»
«È vero. Vorrei non farlo, ma è così».
«Una corazza dura all’esterno, tenera dentro».
«Sì, a volte anch’io penso di essere solo capace di fingere di essere forte. Vorrei esserlo davvero. A casa non sono nemmeno riuscita ad affrontare Benjamin. Non so ancora cosa dirgli. Come posso anche solo provare a discutere con lui se non so nemmeno cosa voglio? Non so se sperare che finisca o provare a sistemare le cose. Non so se preferirei uccidere quello stronzo per ciò che ha fatto o se dirgli “ti amo ancora”».
«Ma tu lo ami ancora?»
«Non lo so! Ma è Natale, quindi devo fingere per il bene delle ragazze». Dominique gemette, massaggiandosi le tempie con le nocche, come per trovare una risposta. Sembrava che parlare dell’accaduto non facesse altro che peggiorare le cose invece di migliorarle.
Fiona sospirò dall’altro capo del telefono.
«E ora tutto questo stress ti fa camminare nel sonno, vero?»
«Sì. Ne avrei dovuto parlare con te, con Benjamin, con qualcuno, oppure fare qualcosa. E invece no. Come sempre, ho chiuso tutto in una scatola che ho nascosto dentro di me. E ora, è successo di nuovo. Non voglio che nessuno si faccia male. Non voglio finire in tribunale come l’altra volta».
«Allora raccontami del sogno».
«Oddio, è stato orribile. C’erano le ragazze… oddio, le mie piccole». La voce le si era ridotta a un sussurro spaventato. «Qualcuno era entrato in casa, ed era venuto per le mie bambine. Voleva fare loro del male. Distruggere la mia famiglia. Io ho preso in mano il fucile di Benjamin, sono corsa di sotto e soltanto quando ho sparato alla cieca nel buio, verso il rumore che avevo sentito, mi sono svegliata terrorizzata, con una nausea orribile».
Al solo ricordo le tornò il voltastomaco e Dom si afferrò l’addome. «Il cuore batteva all’impazzata. Quando mi sono guardata le mani non riuscivo a capire dove fosse il fucile… e poi ho pensato di essere sveglia, ma visto che ero in corridoio non ne ero sicura.
Fiona, mi sono dovuta concentrare bene su ogni dettaglio per convincermi del fatto che fosse reale. Penso di essermi sentita ancora peggio quando ho capito che era…». La voce si alzò di un’ottava mentre tentava di ricacciare indietro le lacrime.
«Va tutto bene, va tutto bene», la consolò Fiona. «L’importante è che eri al sicuro e lo erano anche tutti gli altri».
«Sì. Sì».
«Pensa a questo. E, lo sai, hai ammesso di avere un problema e adesso lo stai affrontando, ne parli con me».
«Sì», ripeté Dominique, mentre l’orribile nodo che aveva in gola si scioglieva appena un po’.
«Vedi. Hai fatto bene a parlarmene. Molto, molto bene. Ma, come sai, non basta. Devi andare di nuovo da un esperto. Hai bisogno di vedere qualcuno che sia davvero in grado di aiutarti, perché non vogliamo che si ripeta la storia dell’ultima volta, vero?»
«Vero. Sì, lo so». La risposta di Dominique era appena un sussurro.
«So che lo sai. Solo che a volte aiuta dire a voce alta ciò che è ovvio. Dopotutto, noi avvocati veniamo pagati a ore, quindi è facile assumere questa abitudine. Domani farai quella telefonata, vero? Oggi no perché è domenica, ma almeno hai fatto il primo passo e domani puoi fare quella telefonata. Hai ancora il suo numero?»
«Del dottor Madden? Lo chiamerò domani, promesso. Scusa se ti ho telefonato in questo stato».
«Va tutto bene. Non lasciamo che vada a finire male come l’ultima volta, però, capito?».
Finalmente Dominique si tolse la mano dalla faccia e osservò le cicatrici argentate sul braccio. Un monito permanente. «No, di sicuro non voglio che risucceda».
«Stai bene adesso?»
«Sì, mi sento molto meglio. Grazie di nuovo per avermi ascoltata».
«Ehi, quando vuoi. E dico sul serio. A qualunque ora. Anche nel cuore della notte, a prescindere da tutto, chiamami. Siamo i due moschettieri, ricordi?»
«Sì, va bene, D’Artagnan, ora vado. Ci vediamo presto».
«Ti voglio bene. Ciao».