Capitolo 52
Benjamin un tempo era l’onestà fatta persona. Giovane, ambizioso, entusiasta, era sempre stato un gran lavoratore… e lo era ancora. Qualche anno dopo aver avviato la società con Jazmine, aveva scoperto un errore del fisco ai danni di un suo cliente. Non era nulla di eclatante, così aveva chiesto al suo assistito di riempire un modulo per consentirgli di agire per conto suo e richiedere all’Agenzia delle entrate un risarcimento per il danno di quarantacinque sterline. Non si trattava di un rimborso: sarebbe stato quasi impossibile farsi ridare i soldi dal fisco in quel modo. Gli era subito stato spedito un assegno con la cifra corrispondente, intestato alla Thomas & Bauer, e Benjamin l’aveva immediatamente trasferito al conto del cliente.
Mentre svolgeva quell’operazione, gli era venuta un’idea: l’Agenzia delle entrate non si prendeva mai la briga di controllare pagamenti di così poco conto. Venivano effettuati in automatico se la cifra era inferiore alle cinquanta sterline: retribuire un impiegato per sbrigare la pratica costava molto di più.
Wow, chiunque avrebbe potuto trarne vantaggio.
L’idea l’aveva divertito. Un giorno in cui si stava annoiando e si sentiva particolarmente spavaldo, aveva deciso di testare la sua teoria. Proprio come la prima volta, aveva compilato un reclamo da parte di un cliente, solo che l’aveva fatto senza che lui lo sapesse e senza alcun errore da parte dell’Agenzia che potesse giustificare la richiesta di risarcimento.
Nel giro di poche settimane, l’azienda aveva ricevuto un assegno di quarantotto sterline e cinquanta, che Benjamin aveva trasferito immediatamente sul proprio conto. Aveva aspettato alcuni giorni, in attesa che qualcuno se ne accorgesse e sollevasse delle domande. Ma niente.
Incredibile: l’aveva fatta franca. Il successo dell’impresa gli aveva smosso qualcosa dentro, si era sentito tutto eccitato. Poteva anche trattarsi solo di una quarantina di sterline, ma erano i soldi migliori su cui Benjamin avesse mai messo le mani, perché erano illeciti. Dimostravano quanto fosse scaltro. Erano soldi regalati, non guadagnati ma nemmeno rubati: dopotutto, non appartenevano né a un cliente né all’azienda e, in confronto ai milioni di sterline con cui aveva a che fare il fisco tutti gli anni, non erano che una goccia nell’oceano.
Ma non ci sarebbe stata una seconda volta, perché lui non era un ladro.
Dopo alcuni mesi, però, Benjamin aveva iniziato ad annoiarsi di nuovo e aveva pensato: perché no? L’avrebbe fatto solo per verificare se si fosse trattato di un colpo di fortuna, o se era stato davvero furbo come credeva di essere.
Stavolta aveva richiesto 20 sterline. Non aveva bisogno di soldi, voleva solo riprovare quel brivido.
Aveva funzionato.
Dopodiché, ogni volta che Benjamin si era annoiato e aveva avuto bisogno di una scarica di adrenalina, aveva messo in atto il raggiro. All’inizio era stato cauto. Non perché pensasse di fare qualcosa di particolarmente sbagliato, era solo una piccola frode fiscale, tutti ne fanno, ma perché non gli piaceva il pensiero di essere così imprudente da farsi scoprire. Lui era meglio di così, era più furbo.
Tra una richiesta e l’altra faceva passare alcuni mesi. Non si azzardava a farlo più di frequente per non farsi scoprire. Ma poi gli intervalli di tempo si erano fatti sempre più brevi.
Si era assicurato di rivolgersi ogni volta a un ufficio diverso, inviando i reclami falsi qua e là nell’Agenzia per evitare che qualcuno potesse accorgersene. In un mese aveva guadagnato solo 180 sterline, non una cifra da far girare la testa, ma era comunque un extra con cui avrebbe potuto farsi dei regalini.
Dopo un anno o giù di lì aveva iniziato a stancarsi del giochetto e aveva pensato di smettere. Perché sfidare la sorte?
Eppure…
Se era così facile farla franca imbrogliando l’Agenzia delle entrate, allora forse avrebbe dovuto far sì che il gioco valesse la candela.
Non solo erano soldi facili, ma era anche un crimine senza vittime. Stava derubando un governo avido e ladro per donare ai… be’, non ai poveri, lui non era affatto povero, ma di sicuro era più meritevole della maggior parte di quei parassiti che vivevano di sussidi, ai quali lo Stato tirava i soldi addosso perché stessero tutto il giorno seduti a non far niente. Almeno lui aveva pagato le tasse per anni. In effetti, tecnicamente quelli erano comunque soldi suoi, aveva il diritto di riprenderseli.
Forte di questa convinzione, aveva falsificato le proprie spese e quelle dello studio quando aveva fatto il bilancio finale quell’anno. Aveva ridotto notevolmente il profitto tassabile, così l’azienda aveva pagato molte meno tasse di quante ne dovesse. E poi, avendo orchestrato tutto quanto da solo, aveva pensato di meritarsi un cospicuo bonus per ripagarsi del tempo e del disturbo, un bonus che non aveva condiviso con Jazmine, ma che aveva tenuto nascosto con delle operazioni ancora più abili e creative.
Si era sentito un pochino in colpa per non aver detto nulla alla socia. Tuttavia, aveva pensato che meno lei avesse saputo e meno avrebbe rischiato se i nodi fossero mai venuti al pettine.
Rassicurato dal continuo successo, l’anno seguente Benjamin aveva fatto lo stesso… con l’aggiunta di un altro piccolo e audace stratagemma che gli era venuto in mente.
Aveva ridotto il ricavo della Thomas & Bauer non includendo tutte le fatture. Così sembrava che stessero guadagnando meno soldi… il che significava che l’ammontare delle tasse sarebbe stato di nuovo notevolmente inferiore.
Ancora una volta, aveva pensato di meritarsi un bonus equivalente alla cifra che aveva fatto risparmiare all’azienda. Quel che era giusto, era giusto.
Dopodiché, aveva reputato saggio tenere due serie di libri contabili. Quelli ufficiali erano per l’Agenzia delle entrate e per Jazmine, che si fidava ciecamente ed era felice del fatto che fosse lui a tenere i conti, così da potersi occupare delle questioni relative al personale. I veri libri contabili erano riservati solo a lui, in modo da tenere traccia in maniera efficace ed esatta delle operazioni.
I soldi si erano trasformati in un piccolo e consistente gruzzoletto. Ciò significava che poteva permettersi una casa più grande, un’auto migliore, la possibilità di mandare le figlie in una scuola privata e di avere abiti firmati. Al diavolo, poteva permettersi di mandare sua moglie a farsi la messa in piega ogni settimana. Doveva mantenere le apparenze perché i clienti avevano delle aspettative, quindi era proprio costretto a spendere una fortuna in tutte quelle cose. Ed era giusto che fosse tutto finanziato dalla ditta. E poi, non aveva mai preso in prestito più di quanto non potesse restituire immediatamente nel caso l’avessero beccato.
Se non altro, all’inizio.
Via via che passavano gli anni e che nessuno lo scopriva, si era ritrovato a prendere sempre di più. A sentire il bisogno di avere sempre di più.
La vita era stata dolce. Finché non era diventata amara.
L’incubo era cominciato con una lettera, diciotto mesi prima. Benjamin l’aveva aperta con indifferenza, nonostante la scritta a lettere cubitali nere sulla busta indicasse come mittente l’Agenzia delle entrate britannica.
Gentile Sig. Thomas,
vorremmo condurre un’indagine sul suo conto, ai sensi…
Benjamin aveva scorso la lista di leggi di cui si stavano servendo come scusa per metterlo sotto il microscopio. Gli richiedevano anche una consistente serie di scartoffie. E c’era una data entro la quale avrebbe dovuto produrle, insieme a un avvertimento per cui, se non avesse soddisfatto la richiesta, sarebbe finito dritto in tribunale.
Era firmata con “cordiali saluti” da un certo signor Bernard Bairden.
Per un momento, si era sentito come se avesse avuto gli occhi del mondo puntati addosso. Poteva avvertire le sirene della polizia, vedere il fascio di luce degli elicotteri che lo inseguivano, e immaginare bisbigli giudicanti indirizzati a lui.
Ma non aveva ceduto al panico. E per questo era fiero di sé. Si era obbligato a sedersi e distendere ogni singolo muscolo del corpo finché la mente non si era rilassata abbastanza da permettergli di riflettere. Lui era scaltro. Doveva solo rimandare quella data finché non fosse stato in grado di entrare nell’ufficio tributario brandendo tutte le scartoffie corrette, o per lo meno falsificate in maniera corretta, se necessario, con un sorriso stampato in faccia e la pretesa di sapere a cosa fosse dovuto tutto quello scompiglio.
Il primo passo, quindi, era guadagnare un po’ di tempo. Si era concentrato sul contenuto della lettera, rifiutandosi di lasciarsi andare al panico, di pensare a ciò che gli sarebbe potuto accadere se fosse stato indagato, se la verità fosse venuta a galla, se la sua famiglia l’avesse scoperto, se amici e colleghi l’avessero saputo.
Aveva preso carta e penna e aveva cominciato a buttare giù delle idee man mano che gli venivano in mente, innescate dalle informazioni contenute nella lettera del signor Bernard Bairden. L’ispirazione si sollevava come scintille nell’aria, prendendo il volo come braci che fluttuano nella brezza.
Man mano che gli appunti aumentavano, cresceva anche la sua sicurezza. Sarebbe andato tutto bene. Sarebbe riuscito a sistemare tutto e a uscirne illeso, e nessuno si sarebbe accorto di nulla. Certo che sì. Lui era Benjamin Thomas, accidenti, il maestro supremo della contabilità: più veloce, più furbo e più scaltro di chiunque altro.
Si muoveva più rapido di Billy Flynn, solo che lui cercava di salvare la sua, di pelle, non quella di qualche assassina di Chicago.
Dopo aver ricontrollato alcuni dati su Google e su vari manuali, si era ritenuto soddisfatto della bozza. L’aveva addirittura battuta di persona, perché non voleva che la segretaria sapesse nulla… o peggio, che lo scoprisse la socia in affari.
Il piano era semplice. Se l’Agenzia delle entrate voleva dei documenti, lui glieli avrebbe forniti. Così tanti da seppellirci sotto quei bastardi.
Gentile signor Bairden, nonostante sia convinto che non vi siano valide motivazioni per aprire un’indagine, sono disponibile ad aiutarla in ogni modo possibile per dimostrare la mia innocenza.
La risposta di Benjamin aveva finito per coprire tre pagine.
Aveva citato numerosi riferimenti di legge, non tanto per soddisfare le richieste sollevate dall’Agenzia, quanto per trovare risposta alle proprie domande, un po’ come un politico messo all’angolo. Era riuscito a sviare l’attenzione dai fatti veri e propri. L’aveva scritta con maestria.
Nonostante l’assurdità delle richieste da lui avanzate, l’Agenzia delle entrate aveva l’obbligo di rispondere a ogni singolo punto da lui sollevato. Il signor Bairden si sarebbe dovuto impegnare per contraddire ogni questione da lui menzionata, a prescindere da quanto irrilevante fosse. Per prendere tempo, doveva continuare a procedere così, ignorando i punti validi dell’impiegato tributario e sollevandone altri sempre meno importanti per fare i propri comodi.
Aveva così dato il via a una corrispondenza serrata.
Si era divertito un sacco. Gli era piaciuto un mondo far impazzire quel prolisso e presuntuoso ispettore fiscale; lo immaginava mentre si grattava la testa in preda allo sconforto, spulciando fra ogni genere di informazioni per potergli rispondere in maniera adeguata. Se non lo avesse fatto in modo corretto, allora Benjamin avrebbe potuto inviare un reclamo, una cosa alquanto seria, dal momento che l’ente incaricato di indagare sarebbe stato lo stesso che si occupava delle ispezioni sulla polizia. Buffo.
Così, aveva messo in stallo la situazione con tale successo che si era convinto che sarebbe andato tutto bene e nessuno avrebbe mai scoperto i suoi peccati.
Aveva guadagnato abbastanza tempo da sottrarre altri soldi alla ditta con i quali aveva fatto visita a un casinò. Un vincente come Benjamin non avrebbe avuto problemi a raddoppiare la posta in gioco, se l’era sempre cavata egregiamente in posti come quello, persino quando aveva giocato a poker con gli amici. Con la vincita, sarebbe stato in grado di coprire le tracce e ripagare tutti i soldi rubati.
In un’unica terribile notte, aveva perso sessantamila sterline.
E ciononostante, nemmeno questo l’aveva fermato, perché si poteva mollare soltanto quando si era in vantaggio. Aveva ancora tempo, si era detto.
Poi l’avevano convocato per un incontro.
Durante il colloquio che gli era sembrato più che altro un interrogatorio da parte dell’ispettore dell’Agenzia delle entrate, Benjamin si era sentito furioso. Con chi diavolo pensava di avere a che fare quel Bernard Bairden? Lui non era un idiota che veniva dal nulla. Sapeva che l’ispettore lo credeva un coglione arrogante, ma non gli importava. Se avesse dimostrato di avere paura adesso, sarebbe stato spacciato, e poi la migliore difesa era l’attacco.
Il signor Bairden si era chinato in avanti. Aveva appoggiato i gomiti sul tavolo e intrecciato le dita. Benjamin avrebbe voluto dargli un pugno dritto in mezzo a quei suoi occhi gonfi e furbetti.
«Signor Thomas, sa cos’è uno studio di settore, vero?»
«Certo che lo so, non sono mica un idiota. Sono un commercialista, per l’amor del cielo».
«Bene, certo. Quindi capirà che, quando ne conduciamo uno, sostanzialmente creiamo un modello di funzionamento della sua attività. Lo rileviamo dai conti in banca, le spese, i prelievi, la casa, l’auto che guida… Conosce questo genere di cose».
Benjamin aveva sentito un brivido freddo corrergli lungo la schiena. Sudore. Ma aveva continuato a fulminare l’altro con lo sguardo, rifiutandosi di far trapelare la sua paura. Con un gesto della mano, aveva elegantemente archiviato la questione.
«Sì, sì, concetti di base. Si somma tutto quanto. Io non ho nulla da nascondere».
«Questo è un bene. Allora saprà anche che, quando i bilanci d’esercizio sono inattendibili, l’Agenzia delle entrate può fare una stima della sua attività basandosi sui dati raccolti e calcolare il suo attuale giro d’affari. I nostri numeri sono così accurati che vengono accettati dalle commissioni di inchiesta dell’Agenzia delle entrate: veri e propri tribunali tributari. Un giudice a quel punto ordinerà all’attività di pagare il dovuto».
«Senta, se mi ha trascinato qui per insegnarmi l’ABC ho di certo modi migliori per impiegare il mio tempo». Benjamin aveva iniziato ad alzarsi.
«Apprezzerei davvero se lei potesse restare qui ancora un po’», aveva ribattuto l’ispettore delle tasse, mantenendo un tono di voce calmo e monocorde. «Vede, signor Thomas, abbiamo condotto uno studio di settore su di lei e i dati che ne sono emersi sono stati… inaspettati».
«Questa è un’assurdità bella e buona. Si sentirà molto stupido quando dovrà scusarsi con me».
«Uno studio del genere può essere condotto sulle finanze personali, signor Thomas. Si comincia da quello che la gente ha speso per certo e si lavora a ritroso per calcolare i guadagni. Lei saprà, dunque, che se le spese di una persona raggiungono una certa somma allora le sue entrate devono essere almeno pari. Sono concetti di economia di base, no? Nel caso di un milionario, per esempio, possiamo risalire a quanto guadagna con un margine di errore di appena cinquemila sterline, semplicemente guardando le sue uscite».
«Be’, questo, questo è… lei non ha nessun diritto».
«Sì, ce l’ho, signor Thomas. Ho confrontato quanto so che lei ha speso nel corso dell’ultimo anno con i dettagli che mi ha fornito durante la nostra corrispondenza. Le spese eccedono i guadagni dichiarati. Può spiegarmi questa discrepanza?»
«Va bene, ne ho avuto abbastanza. Non ho intenzione di parlare con lei un secondo di più. Voglio vedere il suo capo. Subito. Sono un dirigente aziendale, non ho intenzione di parlare con qualche lacchè che è ovviamente incapace di fare due più due».
«Posso assicurarle…».
«E io posso assicurare a lei, caro mio, che voglio qualcuno che sia un po’ più in alto nella catena alimentare. Comprendes?».
I due si erano fissati e a Benjamin era parso, in un momento di puro terrore, di scorgere un bagliore d’acciaio nello sguardo di Bernard Bairden. Ma il suo antagonista si era limitato ad annuire lentamente, alzarsi e offrirsi di andare a chiamare il capo. Il quale non solo si era rivelato stupido quanto Bernard, ma aveva anche insistito nel dar retta al sottoposto perché “pareva che non avesse fatto nulla di sbagliato”.
Alla fine del colloquio Benjamin si era sentito arrabbiato e insoddisfatto, e anche piuttosto inquieto.
Ne aveva tutti i motivi.
La somma che l’Agenzia delle entrate gli aveva richiesto era ingente. Gigantesca senza alcuna ragione. Accumulata negli anni in cui aveva rubato ai ricchi per dare ai poveri, ovvero sottratto all’Agenzia delle entrate per pagarsi lo stile di vita che sentiva di meritare, era diventata talmente cospicua che gli salirono le lacrime agli occhi e provò un sincero bisogno di mettersi in ginocchio a piangere.