OTTOBRE 1998

Fine quinta ora, cioè fine mattinata per i quattro quinti della scuola, tranne che per le sezioni b e c che fanno il tempo prolungato e si beccano ancora una sesta ora, rispettivamente di chimica e di francese. La terza b sciama nel corridoio per sgranchirsi le gambe mentre il corridoio medesimo si riempie di studenti che più che uscire sembrano stare fuggendo. Come sempre. Vani guarda i compagni e pensa che, vista la velocità con cui abbandonano l’edificio scolastico alla fine di ogni mattinata, c’è da gridare al miracolo se si ripresentano ogni volta il giorno dopo. Diresti che preferirebbero migrare di nascosto in Australia. Pure lei, per inciso.

Comunque gli allievi della b e della c non sono gli unici a soffrire: ci sono anche gli insegnanti che alla sesta ora sono di turno per il ricevimento genitori. Si intravedono alcuni padri e madri – più madri – entrare dal portone mentre il resto del mondo esce, controcorrente come i salmoni. Una delle madri viene raggiunta dalla figlia che le va incontro per salutarla e guidarla alla sala professori. La figlia è Lorenza.

Vani se le vede passare davanti. Fa un cenno di saluto a Lorenza perché tanto cosa le costa, anzi, prova sempre un sottile piacere a essere signorile con le teste di cazzo. Lorenza si irrigidisce – per forza: dopo mesi che fa finta di non conoscerla più, la sua coda di paglia deve somigliare a uno strascico nuziale – e sua madre, che è ancora meno abituata alle scaltrezze sociali degli adolescenti, si lascia sfuggire una squadrata a Vani proprio inequivocabile, un testa-piedi e ritorno degno del miglior primo incontro di Jane con Tarzan.

Vani ha un improvviso moto di esasperazione.

«Signora, visto che se lo sta chiedendo, se vuole glielo dico io cos’avessi più di sua figlia agli occhi di Marco Baronti.»

La Mussardi esita in un modo che significa: “Maledizione, sono stata beccata”, ma anche e soprattutto: “Cosa?”.

«Non avere ereditato il cervello di mia madre.»

Casino. Bidelli. Presidenza.

«Ci parlo io», si immola il professor Reale con la preside. Tanto era già lì a fare la muffa per il ricevimento genitori, la sua giornata non può peggiorare, e poi se lascia Vani in mano a qualcun altro chissà cosa può succedere. «Conosco entrambe le ragazze, so quali argomenti funzionano con loro.» La preside ha da controllare i preventivi per la messa in sicurezza delle palestre e gli dice subito di sì.

A placare le Mussardi Reale ci mette meno di dieci minuti, assicurando che la Sarca verrà sicuramente sanzionata e bla bla bla. Fa anche la faccia convincente. Poi fa sedere Vani in un’aula vuota e sospira.

«Perché.» Così, senza punto interrogativo.

«Perché cosa?»

«Perché fai cose del genere. Spiegamelo. Dammi un buon motivo per cui io debba pararti il culo.» A Vani non dispiace che Reale con lei si senta libero di parlare così.

Vani alza le spalle. «Perché volevo perdere l’ora di chimica?» azzarda. «A proposito, la prof Baudella è innamorata di lei.»

«La pro...? Uh.» Reale si scuote, perché sa che se si distrae i poteri jedi di Vani potrebbero avere la meglio su di lui. «Non cambiare argomento e rispondimi. Che diavolo ti prende ultimamente, Vani? Com’è che sei così inquieta, che pianti grane ogni cinque minuti?»

Vani lo fissa. «Ha presente Hawthorne? Mi sento esattamente così.»

«Oh.» Reale si blocca, preso in contropiede dal fatto che Vani abbia risposto davvero. «Intendi, come se avessi una lettera scarlatta cucita addosso che ti fa sentire diversa?»

«No, non come la protagonista del libro. Proprio come Hawthorne, l’autore. Lo sapeva che di cognome, veramente, faceva Hathorne, senza la w? Se lo cambiò quando scoprì che un suo antenato, un magistrato, aveva fatto bruciare le streghe di Salem. Voleva prendere le distanze.»

Reale la guarda. «Posso prendere due appunti? A volte sai della roba che io mi sogno.»

Vani fa un debole sorriso.

Anche Reale.

«Quindi è per questo che sei così inquieta? Vuoi prendere le distanze da tutto e tutti?»

«Quando le parla si tocca la coda di capelli in continuazione, e si torce le mani», dice Vani. «E sorride tantissimo, anche se state parlando di ore buche e copresenze. La Baudella, dico.»

«Vani.»

«Lei invece, prof, le sorride ma è sulle spine, ha la postura di chi sta sempre per andarsene o deve appoggiarsi a un banco o a una colonna per autoimpedirsi la fuga, e si torce le dita anche lei, ma più che altro si massaggia la mano sinistra. È sposato, prof? È per questo che si sente a disagio quando la Baudella la placca? O è solo perché è un tipo riservato?»

Reale guarda Vani.

Vani guarda Reale.

«Lasci stare», sospira Vani alzando le spalle. «Lo so che non è così che funziona, che radiografi uno e lui vuota subito il sacco, ma...»

«Sono separato da un anno e ancora sono innamorato di mia moglie», dice Reale, perché dopotutto Vani a lui ha parlato. O probabilmente questo è quanto si dirà dopo, quando avrà bisogno di spiegare a sé stesso cosa diavolo gli sia preso. «Lei non mi ha lasciato per un altro né frequenta nessuno, quindi è possibile che dentro di me io continui a nutrire delle speranze. Quando sono con la Baudella, mi irrigidisco perché mi sembra quasi di stare commettendo un’infedeltà. Ma vivo anche una discreta lotta interiore, perché la verità è che la Baudella mi piace. Avevo percepito la sua simpatia, ma sentirti dire che è innamorata di me, per quanto mi sembri francamente esagerato, mi ha spiazzato, perciò immagino che stasera passerò un’angosciante mezz’oretta, della quale ti ringrazio in anticipo, a fissare il telefono chiedendomi se chiamarla o meno e dicendomi che dovrei proprio decidermi a rifarmi una vita. Ah: ho anche un bambino di quattro anni, di nome Arturo – come Bandini e Conan Doyle – che vedo nei fine settimana e che amo moltissimo. Fine della mia storia. E ora sentiamo la tua.»

Vani sta continuando a fissare Reale, ma con gli occhi un tantino più sbarrati. Cavolo. Questa non le era mai successa. Dev’essere una di quelle cose che capitano con la pubertà alle tipiche protagoniste degli urban fantasy, le mezze streghe che da un giorno all’altro scoprono di saper spostare gli oggetti col pensiero o far fare telepaticamente agli altri quello che vogliono loro. Magari appena arriva a casa proverà a far dire a Lara che le lascia tutta la camera e si trasferisce sul divano.

«Perché vi siete separati?»

«Vai a sapere. Dai, ora tu.»

«Non è vero che non lo sa.»

«Volevo fare il prof.» Reale alza le spalle. «Nel senso, volevo assolutamente fare il prof. Quello e solo quello. Perché è il mestiere più bello del mondo – anche se ogni tanto ti ritrovi ad avere conversazioni imbarazzanti con adolescenti paragnoste.» Fa un mesto sorrisetto. «Quando sono entrato in ruolo ho rifiutato un posto a tempo indeterminato come responsabile del reparto traduzioni tecniche di una grande azienda. Mi aveva raccomandato il padre di mia moglie, che lavorava lì anche lui. Avrei guadagnato quasi il doppio e non ci saremmo nemmeno dovuti trasferire; Rita, che era senza mutua e maternità, avrebbe potuto avere il bambino senza patemi, eccetera eccetera. Ma io volevo insegnare e lei l’ha presa come se avessi preferito la scuola alla famiglia, e da lì a poco a poco è andato tutto a rotoli. Fine della storia. Ora tu.»

«Una donna che non vuole che lei sia un professore può davvero essere la donna giusta per lei?»

A Reale scappa uno sfavillio nello sguardo. Indica che gli piace che Vani abbia detto “sia un professore” e non “faccia il professore”, perché è proprio così che la vede anche lui.

«Ovviamente no, mi dice la mia mente razionale. Lascia dunque che ti ringrazi anche per avermi appena fatto sentire un cretino, come se già non ci pensassi da solo ogni giorno.»

«Può veramente succedere? Si può arrivare alla sua età e ancora essere vittime dell’irrazionalità, dei sentimenti? A che diavolo serve, allora, invecchiare?»

«Vani. Ho quarantadue anni.»

Si guardano.

«A volte mi scordo che tu ne hai diciassette. E pure tu, mi sa. Be’, allora ecco la lezione del giorno dall’anziano prof, visto che dopotutto siamo qui per questo.» Reale sospira. Congiunge le punte delle dita: un gesto pacato, vagamente rétro, che fra altri diciassette anni Vani rivedrà in un commissario di polizia e troverà inconsciamente rassicurante. «Invecchiare non serve a un accidente. Non ti aspettare granché dallo scorrere del tempo. Continuerai a sentirti fuori posto e a non capire come funziona gran parte del mondo. Continuerai a scoprire che c’è gente a cui non piaci senza che tu sappia bene cos’hai fatto di male, e dovrai imparare a conviverci. Continuerai a scontrarti con regole sociali che nessuna autorità che pure potrai aver acquisito ti darà mai la facoltà di ignorare del tutto. Continuerai a voler essere diversa, a essere fiera di essere diversa, e allo stesso tempo a dispiacerti, sotto sotto, che gli altri non siano uguali a te o, peggio ancora, che nemmeno vogliano esserlo. E se, come credo, sei un po’ come me, continuerai a provare la tentazione di scappare e di trovare rifugio in un mondo di carta che però a un certo punto non ti basterà più – spero solo che tu non lo capisca troppo tardi. Quindi comincia subito a trovare il tuo modo per sopravvivere a tutte queste cose, Vani, perché il passare del tempo da solo potrebbe non bastare a darti la ricetta.»

Reale smette di parlare.

Vani lo guarda.

Reale scuote la testa. «E così sei riuscita a strapparmi tutte le informazioni private che volevi, e pure un discreto pistolotto esistenziale, senza dire niente di tuo. Devo farti i complimenti. Dovresti proprio farne un mestiere.»

«Lo so», dice Vani. «Stavo pensando di farmi assoldare dalla cia per eseguire gli interrogatori.»

«Più banalmente, saresti un ottimo avvocato. Anche se la verità, lo sappiamo tutti, è che tu dovresti proprio scrivere. Hai mai provato?»

«Scrivere è una faccenda troppo personale.»

Reale non trova obiezioni valide.

Vani sospira e si alza.

«Posso tornare in classe? O la Baudella non saprà mai che sono stata tutto il tempo qui con lei, e non avrà un pretesto per raggiungerla alla fine dell’ora e chiederle cos’avevo.»

Reale si lascia scappare un sorrisetto. «Mi giuri che non causerai più cedimenti di nervi alle madri piccoloborghesi degli altri studenti?»

«Non all’interno dell’edificio scolastico. Così non sarà più un problema suo.»

«Vai, Vani. Trova la tua strada», sospira Reale raccogliendo i registri.

«E lei inviti fuori la Baudella. Così poi potrete fare un sacco di battute stupide da piccioncini sul fatto che tra voi “c’era chimica”», dice Vani, uscendo dall’aula.