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Epilogo
Isola di Nosy Be, Madagascar, maggio 1997.
Il tramonto è un incendio arancione e fucsia sul mare di zaffiro.
Antonio Assisi finisce il suo margarita ormai tiepido e riflette sul fatto che, scuola alberghiera e gestione italiana o no, i malgasci restano delle scimmie e non impareranno mai a fare un cocktail appena decente.
«Un altro drink?».
Il giovane cameriere con la faccia da luna piena gli si materializza accanto all'improvviso, nella sua giacca immacolata, come se l'avesse evocato. Assisi lo scaccia come una zanzara senza neanche degnarsi di rispondere.
Scimmie. Uomini e donne. Le ragazze scopano come babbuini, squittendo, neanche fingono di provare qualcosa, gli uomini lo ascoltano imbambolati, annuiscono e, al momento di obbedire, ti rendi conto che non hanno capito un cazzo.
Assisi contempla il sole che si tuffa velocemente nel mare e si prepara a tornare in albergo. Forse è venuto il momento di mettersi sotto e imparare il francese, forse deve piantarla di vivere tra alberghi e resort, forse deve avviare il piano di costruzione di una villa ad Antananarivo (teoricamente gli stranieri non potrebbero possedere case in Madagascar ma qui come in tutto il mondo basta pagare e le cose si aggiustano sempre), darsi un minimo di stabilità, fare un po' di esercizio fisico visto che ha messo su una trippa da sultano, trovarsi un hobby per passare il tempo, smettere di trascorrere le giornate tra spiaggia, cocktail, ristoranti e puttane, evitando accuratamente la piccola colonia di italiani che vivono nel Paese, in fuga dai debiti, da un amore infelice, dalle tasse o semplicemente da una vita che non funzionava più.
Lui ha ottimi motivi per scappare. E non ha la minima voglia di farsi individuare, quindi ha tenuto un profilo basso, ha declinato ogni invito, ha evitato come la peste le occasioni mondane, ha cambiato albergo di continuo e ha vissuto come un eremita a cinque stelle, abbandonandosi a una dolce, torpida pigrizia con la meravigliosa consapevolezza di potersi togliere qualsiasi sfizio, comprare qualunque cosa gli capitasse sott'occhio, vivere come un nababbo in una nazione senza estradizione o accordi giudiziari internazionali e dove lo stipendio medio non arriva a centomila lire.
Un re in esilio, carico di soldi, che si crogiola in solitudine.
L'ex vicequestore Antonio Assisi si alza dalla sdraio, s'aggiusta la maglietta sui bermuda e si incammina lentamente verso l'hotel dove lo aspettano una cena luculliana, un po' di musica e, se gli andrà, un'altra scimmietta da fottere quando sarà abbastanza sbronzo da non far caso al fatto che è minorenne.
I due uomini in abiti chiari e cappelli di paglia che l'hanno tenuto d'occhio a distanza per tutto il pomeriggio si alzano a loro volta, con movimenti sincronici, e iniziano a seguirlo.