È venerdì, gli uffici sono già chiusi, il palazzo è deserto. Nessuno, probabilmente, ha sentito gli spari altrimenti la polizia sarebbe già lì. Amparo si tocca la pancia, come per assicurarsi che il bambino sia ancora vivo, cammina come un automa fino a un quadro appeso alla parete, lo stacca, apre una cassaforte, prende le mazzette di banconote e i passaporti finti ordinatamente impilati in previsione di una fuga improvvisa, getta tutto nella borsa, la chiude, va in bagno, si lava il viso, prende le chiavi della macchina di Omar ed esce senza più guardare i due corpi stesi a terra a poca distanza l'uno dall'altro.

Non ha tempo per piangere, lo farà in seguito, ora deve solo fuggire.

Scende in garage, prende la Jaguar, respira a fondo e si prepara a guidare fino a casa, prendere i diamanti e il resto dei soldi e andare a Heathrow. Sa già quali sono le prossime mosse: volo intercontinentale per l'Argentina, trasferimento dei fondi in una banca offshore, spostamenti continui con identità diverse per almeno due mesi in modo da non essere rintracciabile. Il piano che lei e Omar avevano studiato nei dettagli e memorizzato decine di volte per non farsi cogliere di sorpresa come la loro avventura finale. Nessuno dei due aveva mai pensato di scappare da solo.

Quando arriva sotto casa fa un respiro profondo e si mette ancora la mano sulla pancia prima di scendere dalla macchina.

«Brenno. Ti chiamerai Brenno, come voleva tuo padre».