Kitty
Edimburgo, Scozia
Ottobre 1906
6
Kitty McBride era sdraiata a letto e guardava il piccolo ragno impegnato a catturare nella sua tela un moscone azzurro in un angolo del soffitto. L'aveva visto la notte precedente, prima di spegnere la lampada a gas, mentre ronzava vicino alle travi. Pensò che il ragno doveva aver lavorato tutta la notte per mummificare l'insetto nella sua bara di seta.
"Potrai sfamare la tua famiglia per un mese" disse al ragno, poi fece un bel respiro e si tolse di dosso le coperte. Attraversò rabbrividendo la stanza gelida fino al lavatoio, dove si sciacquò più in fretta di quanto sua madre avrebbe approvato. Dalla finestrella vide la fitta nebbia mattutina che avvolgeva le case dall'altro lato della strada stretta. Indossò l'abito di lana e si chiuse i bottoni fino al collo, lungo e robusto, poi si scostò dalla faccia la criniera di capelli color nocciola e se li legò in una crocchia in cima alla testa.
"Sembro proprio un fantasma" disse al suo riflesso nello specchio, poi aprì il cassetto della biancheria per prendere il belletto. Se ne mise un po' sulle guance, lo spalmò e poi si pizzicò la pelle. Aveva acquistato il trucco da Jenners, su Princes Street, due settimane prima, dando fondo ai risparmi accumulati grazie alle lezioni di piano che dava due volte la settimana.
Suo padre, ovviamente, avrebbe detto che la vanità era peccato. Ma suo padre riteneva che ogni cosa fosse peccato. Passava le sue giornate a scrivere sermoni e a diffondere le sue idee alla congregazione. Contro la blasfemia, la vanità, il demone del bere… e contro il peccato più grave in assoluto: i piaceri della carne. Kitty si chiedeva spesso come fossero giunte sulla Terra lei e le sue tre sorelle. Di certo suo padre aveva dovuto indulgere in quei “piaceri”, per rendere possibile la loro nascita. E ora sua madre aspettava un altro bambino, il che significava che avevano fatto cose insieme anche piuttosto di recente…
Kitty trasalì quando si figurò all'improvviso l'immagine dei suoi genitori nudi. Dal canto suo, dubitava che sarebbe mai stata in grado di togliersi le vesti dinanzi a chicchessia, men che meno un uomo. Rabbrividì e rimise il prezioso cosmetico nel cassetto in modo che Martha, una delle sue sorelle minori, non fosse tentata di rubarglielo. Poi aprì la porta della camera da letto e scese le tre rampe di scale per andare a fare colazione.
"Buongiorno, Katherine." Ralph, suo padre, era seduto a capotavola accanto alle tre figlie più piccole. Alzò lo sguardo e le rivolse un gran sorriso. Tutti le dicevano che gli somigliava, con i folti riccioli nocciola, gli occhi azzurri e gli zigomi pronunciati. Sulla pelle chiara l'uomo non aveva neppure una ruga, nonostante Kitty sapesse che aveva più di quarant'anni. Tutte le sue parrocchiane lo amavano profondamente e pendevano dalle sue labbra quando parlava dal pulpito. E allo stesso tempo, pensò, forse sognavano di fare con lui tutte quelle cose che nei suoi sermoni riteneva proibite.
"Buongiorno, padre. Avete dormito bene?"
"Io sì, ma non la tua povera madre. È afflitta dalla nausea, come sempre nelle prime fasi della gravidanza. Ho mandato Aylsa a portarle la colazione a letto."
Kitty capì che sua madre non stava per nulla bene. Il rituale della colazione, in casa McBride, era sacro.
"Povera madre" disse Kitty, sedendosi a un posto di distanza dal padre. "Dovrei andare a trovarla dopo colazione."
"Forse, Katherine, potresti essere così gentile da far visita ai suoi parrocchiani e occuparti di ciò di cui ha bisogno?"
"Certamente."
Ralph rese grazie, prese il cucchiaio e iniziò a mangiare il denso porridge d'avena, segnalando che anche le figlie potevano cominciare.
Quella mattina, un giovedì, durante la colazione Ralph interrogò le ragazze su addizioni e sottrazioni. Il programma settimanale era inviolabile: lunedì ortografia, martedì capitali del mondo. Mercoledì si ripassavano le date di ascesa al trono dei re e delle regine d'Inghilterra, oltre alla biografia di un sovrano scelto da Ralph. Il venerdì era il più facile, perché toccava ai monarchi scozzesi, e non ce n'erano stati più molti dopo l'arrivo degli inglesi. Il sabato ogni ragazza doveva recitare a memoria una poesia, e la domenica Ralph digiunava per prepararsi al suo giorno più duro, quando andava in chiesa prima ancora che la sua famiglia si svegliasse.
Kitty adorava la colazione domenicale.
Osservò le sue sorelle che si impegnavano a risolvere le operazioni e rispondevano ai quesiti dopo aver inghiottito il boccone: parlare con la bocca piena sarebbe valso loro uno sguardo di disapprovazione da parte di Ralph.
"Diciassette!" gridò Mary, otto anni, la più piccola delle quattro. Non ce la faceva più ad aspettare che Miriam, undici anni, desse la risposta corretta.
"Ben fatto, mia cara" disse Ralph con orgoglio.
Kitty pensò che fosse proprio ingiusto nei confronti della povera Miriam, che aveva sempre fatto fatica con i numeri e la cui personalità instabile veniva sempre messa in ombra dalla sorella minore, più sicura di sé. Segretamente, Kitty adorava Miriam.
"Allora, Mary, dato che hai dato la risposta prima delle tue sorelle, potrai scegliere la parabola di oggi."
"Il Figliol prodigo!" disse immediatamente lei.
Ralph iniziò a declamare con la sua voce bassa e tonante. Kitty avrebbe tanto voluto che avesse insegnato loro più parabole; era davvero stanca di sentire sempre le stesse. E poi, per quanto si sforzasse, non riusciva proprio a comprendere la morale della storia del figlio che scompare per anni, lascia al fratello l'incombenza di occuparsi dei genitori e degli altri fratelli e poi, quando torna…
"… portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa!" tuonò Ralph.
Kitty voleva chiedere a suo padre se quella parabola significasse che ci si poteva comportare come si voleva per poi tornare a casa accolti con gioia e feste, perché a lei sembrava che fosse proprio così. Sapeva che Ralph le avrebbe detto che il loro Padre celeste avrebbe perdonato chiunque si fosse pentito dei propri peccati, ma in realtà non le sembrava molto giusto nei confronti degli altri, quelli che erano rimasti e si erano comportati bene; per loro il vitello grasso non era stato ammazzato. A quel punto suo padre avrebbe detto che chi si comporta bene ottiene la propria ricompensa nel regno dei cieli, ma a Kitty pareva un'attesa smisuratamente lunga, visto che gli altri ottenevano ciò che volevano lì, sulla Terra.
"Katherine!" esclamò suo padre interrompendo quei pensieri. "Stai ancora sognando a occhi aperti. Ti ho chiesto se per favore puoi portare le tue sorelle nella loro stanza e organizzare il loro studio mattutino. Dato che tua madre non è in condizioni di far loro lezione, alle undici verrò su per un'ora di lavoro sulla Bibbia." Ralph sorrise benigno alle figlie, poi si alzò. "Fino ad allora, sarò nel mio studio."
Alle undici Ralph comparve nella stanza delle bambine e Kitty corse in camera sua a prendere i libri che voleva riportare in biblioteca prima di far visita ai parrocchiani della madre. Scese le scale fino all'ingresso e si mise in fretta il pesante scialle, ansiosa di abbandonare l'atmosfera oppressiva della canonica. Mentre si allacciava la cuffia entrò in soggiorno e vide sua madre seduta davanti al fuoco; il suo bel viso era ingrigito ed esausto.
"Cara madre, hai l'aria così stanca."
"Ti confesso che oggi mi sento più stanca del solito."
"Riposa, madre, ci vediamo più tardi."
"Grazie, mia cara." Le sorrise debolmente, e Kitty le diede un bacio prima di lasciare la stanza.
Uscì nell'aria fredda del mattino e iniziò a camminare lungo le stradine di Leith, dove si imbatté in numerosi parrocchiani, alcuni dei quali la conoscevano sin da quando era una “creaturina pigolante”, come amavano ricordarle spesso. Incontrò la signora Dubhach che, come al solito, le chiese come stesse il reverendo e prese a blaterare del sermone dell'ultima domenica. Kitty era nauseata.
Dopo essersi congedata dalla donna salì sul tram elettrico diretto a Edimburgo. Cambiò a Leith Walk, scese vicino al George IV Bridge e si diresse alla biblioteca centrale. Lanciò un'occhiata agli studenti che chiacchieravano e ridevano mentre si dirigevano verso l'enorme edificio di mattoni grigi, dalle cui finestre filtrava una moltitudine di luci che si perdevano nel grigio cielo invernale. Nella sala principale faceva quasi freddo come all'esterno, e Kitty appoggiò i libri sul bancone, stringendosi nello scialle mentre la bibliotecaria si occupava delle scartoffie.
Kitty attese con pazienza ripensando a un libro che aveva appena restituito: L'origine delle specie di Charles Darwin, pubblicato più di quarant'anni prima. Per lei era stato una rivelazione. Era stato la scintilla che l'aveva spinta a mettere in discussione la fede religiosa e tutti gli insegnamenti che suo padre le inculcava sin dall'infanzia. Sapeva che Ralph avrebbe reagito con orrore se avesse saputo che sua figlia aveva letto parole tanto blasfeme. Figurarsi se avesse saputo che ci credeva.
Il reverendo si limitava a tollerare le visite di Kitty in biblioteca, che per lei era il paradiso, un luogo dove aveva acquisito delle conoscenze su temi che andavano ben oltre gli studi biblici e le basilari lezioni di letteratura e aritmetica che le aveva impartito sua madre. Aveva scoperto Darwin per caso, quando suo padre aveva raccontato che la signora McCrombie, la benefattrice più ricca della sua chiesa, stava pensando di andare a trovare i suoi parenti in Australia. Kitty si era subito interessata, visto che non sapeva praticamente nulla di quel continente lontano, e aveva setacciato gli scaffali della biblioteca alla ricerca di qualche libro; si era così imbattuta nel Viaggio di un naturalista intorno al mondo, il racconto del giovane Darwin dei cinque anni trascorsi in giro per il pianeta, tra cui anche due mesi in Australia. Un libro dopo l'altro, Kitty era rimasta affascinata e al contempo turbata dalle teorie rivoluzionarie esposte dal signor Darwin.
Avrebbe tanto voluto avere qualcuno con cui parlarne, ma immaginava come avrebbe reagito suo padre se solo avesse accennato alla parola “evoluzione”. L'idea che le creature sulla Terra non fossero un'opera di Dio, bensì il prodotto di millenni di adattamento all'ambiente naturale, sarebbe stata inaccettabile per lui. Per non parlare poi dell'insinuazione secondo cui nascita e morte non erano un Suo dono, bensì il risultato della selezione naturale, per cui solo le specie più forti sopravvivevano. La teoria dell'evoluzione faceva sembrare la preghiera un'attività inutile, perché secondo Darwin la fede non aveva alcun potere sulla natura, la forza più potente del mondo.
Kitty guardò l'orologio appeso alla parete e decise di non indugiare oltre tra gli scaffali come avrebbe fatto di solito, ma di uscire subito e di riprendere un tram per Leith.
Quella sera si diresse verso casa percorrendo le freddissime strade del paesino. Edifici alti e austeri sorgevano sui due lati, tutti fatti con la stessa, noiosa arenaria che si confondeva con il costante grigiore del cielo. Dal bagliore sfocato delle lampade a gas capì che stava calando di nuovo la nebbia. Era stanca. Aveva trascorso il pomeriggio a far visita ai parrocchiani ammalati, sia quelli assegnati a lei sia quelli della madre. Con suo grande sgomento, una volta giunta alla porta del condominio su Queen Charlotte Street, aveva scoperto che la signora Monkton, una cara vecchietta che secondo suo padre aveva fornicato e bevuto fino a ridursi in povertà, era morta il giorno precedente. A dispetto dei commenti del reverendo, Kitty ogni volta non vedeva l'ora di andare a trovarla, sebbene le risultasse parecchio difficile interpretare i mormorii dell'anziana donna: oltre a non avere i denti parlava con un accento fortissimo. La grazia con cui aveva accolto le sue condizioni disagiate, senza mai lamentarsi dello squallore in cui viveva dopo esser caduta in disgrazia – "Sì, un tempo ero la domestica di una vera signora, sai? Ho vissuto in un palazzo, fino a quando il padrone non mi ha messo gli occhi addosso" le aveva rivelato una volta.
Quella donna era divenuta una specie di punto di riferimento. Dopotutto, anche se conduceva una vita insoddisfacente, aveva un tetto sopra la testa e del cibo in tavola, cosa che non si poteva dire di molte altre famiglie della zona.
"Spero che siate in paradiso, è quello il vostro posto" sussurrò Kitty nella densa aria della sera mentre attraversava Henderson Street per raggiungere casa sua. Quando fu vicina alla porta un'ombra le passò davanti, e Kitty dovette fermarsi di colpo per non andare a sbattere su quella persona. Si trattava di una ragazza, che si era immobilizzata di colpo e la fissava. Aveva una sciarpa tutta rovinata che le era scivolata via e lasciava scoperto un viso scarno, con due occhi tormentati e la carnagione pallida, circondato da folti capelli marroni. Kitty pensò che quella povera creatura dovesse avere all'incirca la sua età.
"Chiedo scusa" disse, e fece un passo laterale per lasciarla passare. Ma la ragazza non si mosse, continuò semplicemente a fissarla senza battere ciglio, finché fu Kitty a distogliere lo sguardo e ad aprire la porta di casa. Entrò, sentendosi sulla schiena lo sguardo della sconosciuta, e si chiuse precipitosamente la porta alle spalle.
Si tolse lo scialle e la cuffia, cercando di togliersi dalla mente anche quegli occhi. Le tornarono alla memoria i romanzi di Jane Austen che aveva letto, le descrizioni delle pittoresche canoniche costruite in giardini deliziosi nella campagna inglese, i loro abitanti circondati da vicini gentili che conducevano vite all'insegna dei privilegi. Si disse che la signorina Austen non doveva aver mai visitato il nord, perché di certo non aveva idea di come vivessero davvero i parroci di città nella periferia di Edimburgo.
Come gli altri edifici di quella strada, la canonica in cui Kitty abitava era una robusta costruzione Vittoriana a quattro piani, costruita per essere pratica, non bella. La povertà era lì, a un battito di ciglia, si respirava nelle casupole vicino al porto. Suo padre diceva spesso che nessuno poteva accusarlo di vivere in condizioni migliori rispetto al suo gregge, ma se non altro – rifletté Kitty entrando in soggiorno per scaldarsi le mani davanti al fuoco – a differenza delle case dei vicini la canonica era calda e asciutta.
"Buon pomeriggio, madre." Adele era seduta davanti al fuoco a rammendare calzini.
"Buon pomeriggio, Kitty. Com'è andata la giornata?" Il delicato accento della madre tradiva le origini aristocratiche. Suo padre era un proprietario terriero del Dumfriesshire. Kitty e le sue sorelle adoravano andare a sud ogni estate a trovare i nonni, e lei amava particolarmente cavalcare nelle campagne, anche se non si spiegava perché Ralph non le avesse mai accompagnate. Lui diceva di dover restare accanto al suo gregge, ma Kitty aveva sempre sospettato che fosse per via del fatto che i suoceri non lo vedevano di buon occhio. I McBride, anche se benestanti, venivano da quello che definivano “mondo del commercio”, mentre i genitori di sua madre discendevano dal nobile clan dei Douglas, ed esprimevano spesso perplessità per la scelta della figlia, che aveva deciso di condurre un'esistenza tanto disagiata diventando la moglie di un ministro di culto.
"La signora McFarlane e i figli ti mandano i loro auguri, e l'ascesso sulla gamba della signora Cuthbertson sembra guarito. Tuttavia ho anche delle brutte notizie, madre. Purtroppo la signora Monkton è spirata ieri."
"Dio abbia pietà della sua anima" disse subito Adele facendosi il segno della croce. "Forse però è stato un sollievo, considerando come viveva…"
"La sua vicina dice che hanno portato il corpo all'obitorio, ma dato che la signora Monkton non aveva né parenti né denaro, non è possibile organizzare un funerale o darle uno spazio decente per la sepoltura. A meno che…"
"Parlerò io con tuo padre" disse Adele. "Anche se al momento i fondi della chiesa sono scarsi."
"Sì, madre, ti prego. Anche se secondo lui era una peccatrice, si è sinceramente pentita prima della fine."
"Ed era una bella compagnia, anche. Oh, odio così tanto l'inizio dell'inverno. La stagione della morte… da queste parti sicuramente." Adele rabbrividì e si posò una mano sul ventre con fare protettivo. "Tuo padre stasera è a un incontro del consiglio pastorale, poi va a cena con la signora McCrombie. Spera di riuscire a convincerla a fare un'altra donazione alla nostra chiesa. E il cielo solo sa quanto ne ha bisogno. Non può andare avanti soltanto con la salvezza eterna."
Né con la promessa di qualcosa che non possiamo vedere, sentire né toccare…
"Sì, madre."
"Forse ti va di salire dalle tue sorelle, Kitty cara? Mandale da me quando si saranno preparate per la notte. Mi sento così stanca stasera, non sopporto neanche l'idea di salire le scale per dar loro la buonanotte."
Kitty si sentì prendere dal panico. "Stai ancora male, madre?"
"Un giorno, mia cara, capirai quanto sia estenuante la gravidanza, specialmente alla mia età. Ceniamo alle otto, e non c'è bisogno di vestirsi bene, visto che tuo padre è fuori" disse.
Kitty salì le scale interminabili, maledicendo la doppia sfortuna che l'aveva resa al contempo figlia di un ministro di culto e la maggiore di tre sorelle. E presto si sarebbe aggiunto un altro bambino. Entrò nella stanza delle sorelle e trovò Martha, Miriam e Mary che bisticciavano per un gioco.
"Ho vinto io!" disse Martha, che aveva quattordici anni e un carattere ostinato quanto le credenze religiose del padre.
"No, io!" ribatté Mary con il broncio.
"In realtà ho vinto io" disse Miriam con gentilezza. E Kitty sapeva che aveva ragione.
"Be', chiunque abbia vinto, nostra madre vuole che facciate le vostre abluzioni e che vi mettiate in camicia da notte. Dopo potrete scendere di sotto a darle la buonanotte."
"Scendere di sotto in camicia da notte?" ripeté Mary con aria sconvolta. "Che cosa dirà nostro padre?"
"È fuori a cena con la signora McCrombie. Forza" disse Kitty vedendo Aylsa entrare nella stanza con un catino. Era la loro unica governante. "Vediamo in che condizioni avete faccia e collo."
"Vi dispiace pensarci voi, signorina Kitty? Io devo andare a preparare la cena" le chiese Aylsa.
"Certo che no." Kitty sapeva che a quell'ora Aylsa era sempre esausta.
"Vi ringrazio, signorina Kitty." La governante le rivolse un cenno di gratitudine e uscì dalla stanza.
Quando le tre bambine ebbero indossato la camicia da notte di mussola, Kitty le fece scendere in soggiorno. Mentre sua madre le baciava una per una, si disse che l'esperienza che aveva accumulato con le sorelle le sarebbe tornata utile quando avesse avuto dei figli suoi. Poi, lanciando un'occhiata al ventre gonfio della madre e alla sua espressione stravolta, pensò che forse, dopotutto, sarebbe stato meglio non averne affatto.
Dopo aver messo a letto le sorelle, Kitty si sedette a tavola in sala da pranzo insieme alla madre, per consumare una cena a base di brodo di manzo, patate e cavolo. Parlarono di questioni di chiesa e delle festività imminenti, che per la famiglia McBride erano il periodo più caotico dell'anno. Adele le sorrise.
"Sei una così brava ragazza, Kitty, e sono tanto felice che tu mi aiuti, sia in casa sia fuori, fintanto che sono… indisposta. Certo, presto arriverà anche il momento di trovare un marito e farti una famiglia tua. La settimana prossima compirai diciotto anni. Cielo, non riesco quasi a crederci."
"Non ho fretta, madre" disse Kitty. Le venne in mente il parroco di North Leith, che era venuto a prendere il tè e le aveva presentato suo figlio Angus. Il ragazzo arrossiva ogni volta che le parlava, e le diceva sempre che avrebbe seguito le orme del padre tra le braccia della Chiesa. Lo trovava un ragazzo a posto, ma pur non sapendo ancora cosa voleva dalla vita, di certo non avrebbe voluto diventare la moglie di un ministro di culto. Né tantomeno di Angus.
"Sarei perduta senza di te" proseguì Adele, "ma un giorno accadrà."
Kitty decise di approfittare di quel momento, perché non capitava spesso che lei e sua madre fossero sole. "Volevo chiederti una cosa."
"Che cosa?"
"Mi chiedevo se mio padre potesse prendere in considerazione l'idea di farmi studiare per diventare maestra. Mi piacerebbe moltissimo lavorare. E come sai, adoro insegnare alle mie sorelle."
"Non sono sicura che tuo padre approverebbe l'idea che tu lavori" rispose Adele accigliandosi.
"Ma non potrebbe considerare un'opera di Dio aiutare i meno fortunati a leggere e scrivere?" insistette Kitty. "Non sarei più un fardello per voi se riuscissi a guadagnarmi da vivere."
"Kitty cara, è a questo che serve un marito" spiegò Adele con gentilezza. "Dobbiamo ricordare che anche se tuo padre si è altruisticamente concesso al Signore e le Sue vie ci hanno portati qui a Leith, tu discendi dal clan dei Douglas. Nessuna donna della mia famiglia ha mai dovuto lavorare per vivere. Solo per beneficenza, come facciamo adesso."
"Non capisco come mai qualcuno, che siano i miei nonni o l'Altissimo, dovrebbe considerare una vergogna che una donna lavori. Sullo Scotsman ho visto un annuncio in cui si cercano ragazze da istruire affinché diventino maestre e…"
"Prova a chiedere a tuo padre, se proprio lo desideri, ma sono certa che lui voglia che tu prosegua con il tuo lavoro alla parrocchia fino a quando troverai un marito adatto. Ora aiutami, mi fa male la schiena su questa sedia così dura. Andiamo a sederci in soggiorno, fa più caldo e staremo più comode."
Frustrata dalla mancanza di supporto da parte di sua madre, Kitty obbedì. Andò a sedersi davanti al fuoco mentre Adele ricominciava a lavorare a maglia per il neonato in arrivo, fingendo di leggere un libro.
Venti minuti dopo sentirono aprirsi la porta d'ingresso. Era tornato il reverendo McBride.
"Credo che mi ritirerò, madre" disse Kitty, che non era dell'umore giusto per fare conversazione con suo padre. Incrociandolo in corridoio gli fece una riverenza. "Buonasera, padre. La cena con la signora McCrombie è stata piacevole?"
"In effetti sì."
"Bene, allora. Buonanotte." Kitty si avviò verso le scale.
"Buonanotte, mia cara."
Pochi minuti dopo Kitty si mise a letto. Il ragno aveva avvolto il moscone così stretto nella sua tela che ormai non si riconosceva più. Kitty pregò che suo padre non le avesse preparato una trappola simile, costringendola a sposarsi.
"Ti prego, Signore. Tutti ma non Angus" gemette.
Il mattino successivo Kitty era seduta alla scrivania nello studio di suo padre. Si era offerta di occuparsi della contabilità della parrocchia mentre sua madre era indisposta, e doveva riuscire a sfruttare al meglio le donazioni per controbilanciare le uscite, che le sembravano ogni giorno più ingenti. Sentì bussare alla porta d'ingresso e corse ad aprire prima che svegliassero sua madre, che riposava al piano di sopra.
Aprì e vide una ragazza. Era la stessa che aveva incrociato davanti alla canonica la sera prima.
"Buongiorno. Posso aiutarvi?"
"Devo vedere Ralph" disse lei con tono impaziente.
"Il reverendo McBride è in visita ai suoi parrocchiani" rispose Kitty. "Volete lasciargli un messaggio?"
"Non mi state mentendo, vero? Secondo me mi evita. Devo parlare con lui. Ora."
"Come ho detto, non è in casa. Volete lasciargli un messaggio?" ripeté Kitty con fermezza.
"Ditegli che Annie deve parlargli. Ditegli anche che è urgentissimo."
Prima che Kitty potesse ribattere, la giovane donna si voltò e corse via.
Kitty chiuse la porta e si chiese come mai quella sconosciuta avesse usato il nome di battesimo di suo padre…
Quando il reverendo rientrò, due ore dopo, sua figlia andò a bussare alla porta del suo studio.
"Avanti."
"Scusate se vi disturbo, padre, ma prima è passata una ragazza a cercarvi."
"Davvero?" Ralph alzò lo sguardo, appoggiò la penna e si tolse gli occhiali da lettura. "E che cosa voleva? Denaro, indubbiamente. È sempre così."
"No. Mi ha chiesto di riferire esattamente che “Annie deve parlargli”. E che è urgentissimo, a quanto sembra." Ci fu un attimo di silenzio, poi Ralph si rimise gli occhiali e riprese la penna. Iniziò a scrivere, con Kitty che attendeva sulla soglia.
"Credo di conoscerla" rispose alla fine. "La domenica è sempre fuori dalla chiesa. Una volta ho avuto pietà di lei e le ho dato qualche moneta dalla cassetta delle offerte. Me ne occupo io."
"Sì, padre. Adesso vado a fare le mie commissioni." Kitty uscì dallo studio e corse a prendere la cuffia, lo scialle e il mantello, sollevata di poter allentare una tensione improvvisa che era calata su di lei.
Sulla via del ritorno, trasportando un pesante cesto di uova, latte, verdure e haggis avvolto nella carta cerata, una pietanza che suo padre adorava e il resto della famiglia si limitava a tollerare, il vento freddo aumentò di intensità. Kitty si strinse nello scialle e imboccò uno stretto vicolo che tagliava verso Henderson Street. La vista di una figura familiare davanti a lei la fece fermare di colpo. Sulla soglia di una casa c'era suo padre insieme alla povera Annie, la giovane che quella mattina era andata a cercarlo in canonica. Kitty si nascose nell'ombra, perché l'istinto le disse che non doveva farsi vedere.
I tratti della ragazza erano stravolti per il dolore, o forse la rabbia, e gli sussurrava qualcosa con veemenza. Kitty vide Ralph afferrare saldamente le mani di Annie, poi chinarsi a mormorarle qualcosa all'orecchio e infine baciarla teneramente sulla fronte. Poi, con un cenno della mano, si voltò e si allontanò. Annie rimase lì da sola, tormentandosi le mani sopra il ventre palesemente gonfio. Un secondo più tardi scomparve in casa chiudendosi la porta alle spalle.
Kitty attese cinque minuti buoni prima di tornare a casa, con passo malfermo. Svolse le faccende domestiche in modo meccanico, ma con la mente continuava a tornare a quello che aveva visto e alle possibili implicazioni. Forse non era quello che credeva, forse suo padre stava solo confortando quella poveretta in difficoltà…
Tuttavia, dentro di sé, Kitty aveva già capito.
Nei giorni successivi evitò suo padre il più possibile. Fu facile, anche perché il suo diciottesimo compleanno si avvicinava a grandi passi. La casa vibrava di eccitazione alla prospettiva di una festa, le sue sorelle la scacciavano dalla loro stanza per comunicare tra loro chissà quali segreti, e i suoi genitori se ne stavano spesso in soggiorno, con la porta ben chiusa.
Alla vigilia del suo compleanno Ralph la intercettò mentre stava salendo in camera.
"Mia cara Katherine, domani non sarai più una bambina."
"Sì, padre." Kitty non riusciva a guardarlo negli occhi.
"Sia tua madre che io siamo orgogliosi di te." Si chinò a baciarla sulla guancia. "Buonanotte, e che Dio ti benedica."
Kitty annuì in segno di ringraziamento e salì le scale.
A letto si coprì fin sopra i capelli, rabbrividendo nel freddo di fine autunno.
"Signore, perdonami" sospirò "perché non so più chi sia mio padre."
Il mattino successivo, quando scese le scale, Kitty trovò Aylsa ad accendere il fuoco. Aveva bisogno di un po' d'aria fresca per schiarirsi le idee dopo l'ennesima notte insonne, perciò uscì di casa e si incamminò verso il porto.
Si mise a sedere su un muretto a guardare il cielo svegliarsi lentamente, proiettando dappertutto suggestive sfumature di viola e rosa. Poi si voltò e vide una persona percorrere la strada da cui era arrivata lei. Era Annie. Kitty si rese conto che doveva averla seguita.
Le due ragazze si guardarono negli occhi.
"È venuto a trovarmi" disse Annie bruscamente. Aveva gli occhi segnati dalla stanchezza. "Non può più nascondersi dietro a Dio. Egli conosce la verità!"
"Io…" Kitty si scostò un po'.
"Che dovrei fare?" gemette Annie. "Mi ha dato qualche spicciolo e mi ha detto di sbarazzarmene. Non posso, ormai è troppo tardi."
"Non lo so, mi dispiace, io…"
"Ah, vi dispiace! Questo sì che mi aiuterà! È il vostro paparino che deve dispiacersi!"
"Devo andare. Vi chiedo scusa" ripeté Kitty alzandosi in piedi. Raccolse l'orlo della gonna e si incamminò in fretta verso la canonica.
"Quell'uomo è il diavolo!" le gridò dietro Annie. "È questa la verità!"
In qualche modo Kitty riuscì ad arrivare in fondo alla giornata. Aprì i regali fatti in casa con premura dalle sorelle e spense le candeline sulla torta preparata da Aylsa. Soffocò un brivido quando Ralph la baciò e la abbracciò, un atto di tenerezza che fino a pochi giorni prima le faceva piacere. Ora in qualche modo le sembrava malsano.
"Mia cara, sei diventata una splendida donna" disse Adele con orgoglio. "Prego che un giorno tu abbia una famiglia tua e diventi la donna di casa."
"Grazie, madre" rispose piano Kitty.
"Carissima Katherine, la mia straordinaria ragazza. Buon compleanno, e che il Signore ti dia un futuro radioso. Credo di avere in serbo qualcosa di speciale per te, mia adorata."
Più tardi, quella sera, Kitty fu convocata nello studio del padre.
"Katherine, entra e siediti." Ralph indicò la sedia di legno dallo schienale rigido in un angolo della stanza. "Sai che sono stato a cena con la signora McCrombie, di recente?"
"Sì, padre." Ogni volta che Kitty dava un'occhiata alla donna, in chiesa, la trovava sempre vestita in modo stravagante; una signorotta paffutella di mezza età che sembrava fuori posto in quella congrega di poveretti. La signora McCrombie non andava mai a trovarli in canonica. Era suo padre che si recava da lei, nella sua maestosa casa di Princes Street. Di conseguenza le uniche parole che Kitty avesse mai scambiato con la donna erano un educato “buongiorno” ogni volta che la incrociava fuori dalla chiesa dopo la messa.
"Come sai, Katherine, la signora McCrombie è da sempre una generosa benefattrice della chiesa e della nostra comunità" disse Ralph. "Il suo figlio maggiore era un religioso ma è rimasto ucciso nella prima guerra boera. Suppongo che mi consideri un po' un suo sostituto e, ovviamente, fa donazioni alla chiesa in sua memoria. È una brava donna, una brava cristiana che vuole aiutare i meno fortunati, e le sarò eternamente grato di aver scelto la mia chiesa per esprimere la sua carità cristiana."
"Sì, padre." Kitty si chiese dove volesse andare a parare e sperò che la conversazione finisse presto. Dopotutto era il suo diciottesimo compleanno, e ultimamente non sopportava neppure di respirare la stessa aria del padre.
"Il fatto è che, come sai, la signora McCrombie ha dei parenti in Australia che non vede da anni. Una sorella minore, un cognato e due nipoti, che vivono in una città di nome Adelaide, sulla costa meridionale. Ha deciso di andare a trovarli, fintanto che è ancora in buona salute."
"Sì, padre."
"E… vorrebbe qualcuno che la accompagnasse in questo lungo viaggio. Ovviamente deve essere una ragazza di buona famiglia cristiana, in grado di aiutarla nella cura del guardaroba, a vestirsi e cose del genere. Perciò… ho proposto te, Katherine. Starai via per nove mesi o giù di lì, e dopo averne parlato con tua madre, riteniamo che sia una splendida opportunità per vedere un po' di mondo e, allo stesso tempo, placare un po' il tuo spirito inquieto."
Kitty rimase talmente sconvolta che non aveva idea di cosa rispondere. "Spirito inquieto? Padre, davvero, io qui sto bene. Io…"
"Ce l'hai dentro, Kitty, proprio come ce l'avevo io prima di trovare il Signore."
Kitty vide gli occhi del padre perdersi in chissà quale momento del passato. Alla fine tornò a guardarla. "So che sei in cerca di uno scopo nella vita, e prego che un giorno tu lo trovi nell'essere una buona moglie e madre. Ma per ora, che ne dici?"
"In verità non so proprio cosa dire" rispose con sincerità.
"Ti mostrerò l'Australia sull'atlante. Avrai certo sentito dire che è un posto pericoloso e per lo più inesplorato, e di certo è pieno di nativi pagani, ma la signora McCrombie mi ha assicurato che ad Adelaide sono civilizzati tanto quanto a Edimburgo. Molti dei nostri fedeli approdarono lì negli anni Trenta dell'800 per sfuggire alle persecuzioni. Mi ha detto che ci sono diverse chiese luterane e presbiteriane. È un luogo timorato di Dio e non ho alcun problema a mandartici, con la protezione della signora McCrombie."
"Verrò… verrò pagata per i miei servigi?"
"Ma no, assolutamente, Katherine! La signora McCrombie ti pagherà il biglietto e tutte le spese. Hai idea di quanto costi un viaggio del genere? E poi credo che sia il minimo che possiamo fare, visto quanto ci ha generosamente donato nel corso degli anni."
Quindi offri me come sacrificio umano in cambio delle sue offerte alla chiesa…
"Allora, mia cara? Che cosa ne pensi?"
"Quello che credete sia meglio per me, padre" riuscì a dire, abbassando gli occhi per non mostrargli la rabbia che provava. "Ma come farà mia madre quando arriverà il bambino? Di certo avrà bisogno di me."
"Ne abbiamo parlato, e ho assicurato a tua madre che, a tempo debito, vedrò se ci saranno fondi disponibili per assumere un aiuto."
Nei diciotto anni vissuti alla canonica, non c'erano mai stati “fondi” per assumere un aiuto. Mai.
"Katherine, parlami" la implorò Ralph. "Non sei felice di questa decisione?"
"Io… non lo so. È una sorpresa, questo sì."
"Lo capisco." Ralph si sporse per prenderle la mano, guardandola negli occhi con quello sguardo ipnotico. "Ovviamente sarai confusa. Però ora ascoltami. Quando ho conosciuto tua madre ero capitano del 92° Highlanders e il nostro futuro appariva ben delineato. Poi mi hanno mandato a combattere nella guerra boera. Ho visto molti amici, e molti nemici, uccisi dal fuoco dei fucili, e anch'io sono rimasto ferito durante la battaglia di Majuba Hill. E in ospedale, ho avuto un'illuminazione. Quella notte ho pregato e ho deciso che, se mi fossi salvato, avrei dedicato la mia vita a Dio, avrei impiegato ogni respiro per provare ad arrestare le ingiustizie e gli spargimenti di sangue cui avevo assistito. Il mattino dopo, con i dottori che non credevano neppure che avrei superato la notte, mi sono svegliato. Mi era calata la febbre e nel giro di pochi giorni la ferita che avevo al petto è guarita. Lì ho capito quale sarebbe stato il mio futuro. E anche tua madre l'ha capito: anche lei è piena dell'amore di Dio, ma ha sofferto quando ho iniziato a fare quello che dovevo, così come avete sofferto tu e le tue sorelle. Capisci, Katherine?"
"Sì, padre" rispose Kitty automaticamente, anche se non capiva affatto.
"Questo viaggio in Australia con la signora McCrombie ti aprirà una porta nell'alta società, quella di cui fa parte la famiglia di tua madre. Non è giusto che debba privare le mie figlie di un futuro solo perché sento il bisogno di salvare le anime degli altri. Sono certo che, se imparerete a conoscervi meglio durante il viaggio, la signora McCrombie sarà felice di introdurti in una vasta cerchia di gentiluomini, sia qui sia in Australia, che di certo rappresenteranno un partito più adatto a te rispetto a quello che potrei mai darti io, vista la mia umile situazione finanziaria. È consapevole del sacrificio che ho fatto in nome del Signore e conosce le aspirazioni della famiglia di tua madre nel Dumfriesshire. Vuole il meglio per te, Katherine. E anch'io. Capisci, ora?"
Kitty guardò suo padre, poi le mani morbide che stringevano le sue; al ricordo di un momento simile si ritrasse. Finalmente capiva cosa passava per la testa di suo padre, il piano che aveva ordito per sbarazzarsi di lei.
"Sì, padre, se credete che sia giusto, andrò in Australia con la signora McCrombie."
"Magnifico! Certo, prima dovrai incontrarla affinché veda con i suoi occhi che brava ragazza sei. E lo sei, vero, cara Katherine?"
"Sì, padre." Kitty sapeva di doversene andare prima che la rabbia la sopraffacesse e finisse per sputargli in faccia. "Posso andare, ora?" chiese con freddezza, alzandosi.
"Certo."
"Buonanotte." Kitty fece la riverenza, girò sui tacchi e uscì dallo studio quasi di corsa, precipitandosi in camera sua.
Chiuse la porta a chiave e si buttò sul letto.
"Ipocrita! Bugiardo! Traditore! E la mia povera mamma, tua moglie, che aspetta pure un bambino!" Pronunciò quelle parole vomitandole sul cuscino. Poi pianse a lungo, disperata. Alla fine si alzò, infilò la camicia da notte e si spazzolò i capelli davanti allo specchio. Il suo riflesso era pallido alla luce della lampada a gas.
Sai che ti ho scoperto, padre. Ed è per questo che mi mandi via.
7
"Tuo padre mi dà tanta ispirazione, signorina McBride, e sono sicura che sia lo stesso per te."
"Ma certo" mentì Kitty sorseggiando un Earl Gray da una delicata tazza di porcellana. Erano sedute nell'ampio soggiorno, troppo riscaldato, di una magnifica casa di St. Andrews Square, uno dei quartieri più ambiti di Edimburgo. La stanza era piena di oggetti eleganti, più di quanti ne avesse mai visti nell'emporio della signorina Anderson. Su una parete c'era una vetrina piena di statuette di cherubini, vasi cinesi e piatti decorativi. Un candelabro di cristallo diffondeva una luce morbida che risplendeva sui mobili di mogano lucido. La signora McCrombie non era tipo da nascondere la propria ricchezza, a quanto pareva.
"È così devoto al suo gregge e ha rinunciato a tutti i privilegi di cui avrebbe avuto il diritto di godere, vista la famiglia di tua madre."
"Sì" rispose Kitty automaticamente. Poi, guardando negli occhi la donna che presto sarebbe diventata la sua datrice di lavoro, si rese conto che sembrava una ragazzetta innamorata. Notò anche quanta cipria si era messa sulla faccia, e capì quanto dovesse costarle nascondere le rughe che si facevano largo sul suo viso. Il rossore di guance e naso, inoltre, tradiva i troppi bicchierini di whisky.
"Signorina McBride?" Kitty si rese conto che la signora McCrombie stava ancora parlando.
"Vi chiedo perdono. Osservavo quel dipinto meraviglioso" improvvisò Kitty, indicando una patetica rappresentazione di Gesù che portava la croce sulle spalle fino al Calvario.
"L'ha dipinto Rupert, il mio adorato figlio, che riposi in pace. Poco prima di partire per la guerra boera e finire tra le braccia di Cristo. Quasi come se sapesse…" Poi sorrise calorosamente. "Hai un certo gusto per l'arte."
"Certo, mi piacciono le cose belle" rispose Kitty, sollevata di essere riuscita a cavarsela.
"Un punto in più a tuo favore, mia cara, dato che ne hai avute così poche intorno durante l'infanzia, per via del sacrificio compiuto da tuo padre. Se non altro sei già pronta per quello che troveremo ad Adelaide. Mia sorella mi ha assicurato che hanno tutte le comodità moderne di cui godiamo a Edimburgo, ma non riesco proprio a credere che un Paese tanto giovane possa competere con secoli di cultura."
"Sono molto curiosa di vedere Adelaide."
"Io invece per nulla" disse con fermezza la signora McCrombie. "Tuttavia ritengo che sia mio dovere far visita a mia sorella e ai miei nipotini prima di morire. E, dato che non paiono propensi a venire qui, tocca a me muovermi." La signora McCrombie fece un sospiro rassegnato mentre Kitty finiva il suo tè. "Il viaggio durerà almeno un mese a bordo della Orient, una nave che mia sorella Edith ritiene più che confortevole. Tuttavia…"
"Sì, signora McCrombie?"
"Se mi accompagnerai non dovrai fraternizzare con alcun giovanotto a bordo della nave. Niente rinfreschi, né balli nei salotti delle classi inferiori. Dividerai una cuccetta con un'altra ragazza e sarai a mia disposizione in ogni momento. Siamo intese?"
"Assolutamente."
"Mia sorella mi ha anche avvisata che, nonostante qui sia inverno, laggiù sarà estate. Mi sono fatta preparare una serie di abiti e gonne di mussola e cotone da una sarta, e ti suggerisco di fare lo stesso. Laggiù farà caldo."
"Sì, signora McCrombie."
"Sono sicura che tu sappia di essere molto carina, mia cara. Spero che tu non sia una di quelle sciacquette che perdono la testa alla vista di un uomo."
"Non mi sono mai considerata tale" disse Kitty "e vi assicuro che non succederà nulla del genere. Dopotutto mio padre è un ministro del culto e mi ha insegnato la decenza."
"Tuo padre mi ha detto che sai cucire e rammendare, è vero? E acconciare i capelli."
"Mi occupo io delle vesti di mia madre e delle mie sorelle" mentì Kitty. Decise di dire tutto quello che serviva per compiacere la signora McCrombie.
"Ti ammali spesso?" La signora McCrombie inforcò il monocolo per studiarla con più attenzione.
"Mia madre mi ha detto che sono sopravvissuta alla difterite e al morbillo, e raramente prendo il raffreddore."
"Non penso che in Australia dovremo preoccuparci di questo, anche se ovviamente mi porterò dietro dell'olio di canfora per il petto. Be', c'è poco altro di cui parlare. Ci rivedremo il tredici di novembre." La signora McCrombie si alzò e le porse la mano. "Buona giornata, signorina McBride. Attraverseremo insieme l'oceano con grande spirito di avventura."
"Sì. Arrivederci, signora McCrombie."
Kitty trascorse le due settimane successive a infilare vestiti nel piccolo baule che le aveva comprato suo padre. Partire per recarsi nei luoghi dove era stato Darwin, così poco tempo dopo aver letto i suoi libri, le sembrava una cosa surreale. Forse avrebbe dovuto essere spaventata: dopotutto aveva letto abbastanza da sapere che i nativi australiani erano molto ostili verso l'uomo bianco, e che si mormorava addirittura fossero cannibali. Dubitava però che la signora McCrombie si sarebbe avventurata in un posto del genere, visto che se fosse finita nella pentola di qualche nativo avrebbe sfamato un intero villaggio per un bel po'.
La sera si metteva a lavorare alla macchina da cucire e continuava anche dopo che tutti erano andati a letto. Cucì delle semplici gonne sperando fossero adatte a un clima caldo. Almeno quell'attività le permise di concentrarsi su qualcosa di diverso, qualcosa che non fosse Annie e suo padre. Sapeva però di dover fare un'ultima cosa prima di partire.
Il giorno della partenza Kitty si svegliò prima dell'alba e uscì di casa evitando che qualcuno potesse vederla. Si incamminò verso il porto e tentò di calmarsi, imprimendosi nella memoria Leith e i suoi rumori. Era l'unica dimora che avesse mai avuto, e chissà se e quando l'avrebbe rivista.
Arrivò alla porta di casa di Annie, fece un profondo respiro e bussò. Dopo un po' comparve la ragazza, con indosso un camice e un grembiule. La guardò in faccia per un attimo, poi si scostò e la fece entrare.
La stanzetta era freddissima e poco arredata. Il materasso di crine, tutto macchiato e steso sul pavimento, non sembrava per nulla invitante, ma almeno la casa era pulita e il tavolo di legno grezzo al centro della stanza pareva ben levigato.
"Sono… venuta a vedere come stavi" esordì Kitty con titubanza.
Annie fece segno di sì. "Sto bene. E anche il marmocchio."
Kitty abbassò gli occhi sul ventre di Annie, che conteneva il suo futuro fratello o sorella.
"Te lo garantisco, non sono una peccatrice" disse Annie con voce roca. Kitty vide che aveva le lacrime agli occhi. "Ho solo… sono stata solo due volte col reverendo. Mi sono affidata all'amore di Dio, all'amore di tuo padre, credevo… che Ralph mi avrebbe guidata. Io…" Distolse lo sguardo e andò a cercare qualcosa in un cassetto, in un angolo.
Tornò con un paio di occhiali da lettura che Kitty riconobbe all'istante. Erano identici a quelli che suo padre si metteva per scrivere i sermoni.
"Ralph li ha lasciati qui l'ultima volta che è venuto. Gli ho promesso che mi sarei tenuta per me quello che mi è successo. E l'ho giurato su Dio. Restituisciglieli tu. Non voglio più nulla di suo sotto il mio tetto."
Kitty prese gli occhiali. Temeva di essere sul punto di vomitare. Infilò una mano nella tasca della gonna e tirò fuori un piccolo astuccio con la chiusura a cordoncino.
"Guarda. Anch'io ho qualcosa per te" disse porgendolo ad Annie.
Lo aprì, guardò dentro e trasalì. "Non posso accettare. Non posso."
"Puoi, eccome" insistette Kitty. Nelle ultime due settimane aveva sottratto in segreto qualche moneta dalle donazioni dei parrocchiani, e la notte precedente aveva preso anche un po' di banconote dal barattolo che suo padre teneva chiuso in un cassetto. Era una somma sufficiente a mantenere Annie e il bambino fino a quando la giovane gestante non fosse stata in grado di tornare a lavorare. Quando Ralph avrebbe scoperto il furto, Kitty sarebbe stata in viaggio verso il capo opposto del mondo.
"Allora grazie." Annie tirò fuori l'altro oggetto che c'era nell'astuccio, una piccola croce d'argento appesa a una catenella. Ci passò sopra le dita.
"Me l'hanno regalata i miei nonni per il battesimo" spiegò Kitty. "Voglio che tu la tenga per… per il bambino."
"È gentile da parte tua, signorina McBride. Molto gentile. Grazie." Gli occhi di Annie brillavano di lacrime.
"Oggi parto per l'Australia. Starò via qualche mese, ma al mio ritorno posso venire a trovarti per vedere come te la passi?"
"Ma certo."
"Nel frattempo ti lascio anche l'indirizzo del mio alloggio, in caso di emergenza" aggiunse Kitty porgendole una busta. Si sentì subito sciocca, però, perché non aveva idea se sapesse leggere e scrivere, né se fosse in grado di inviare una lettera in un altro Paese.
Annie la prese. "Non dimenticheremo mai la tua gentilezza" disse quando Kitty fece per andarsene. "Arrivederci, signorina McBride. E che il Signore ti regali un viaggio tranquillo."
Kitty uscì dalla casupola, poi arrivò al molo e si mise a guardare i gabbiani che sorvolavano l'albero di una nave diretta in porto. Tirò fuori di tasca gli occhiali e li scagliò con tutta la forza che aveva nelle acque grigie sotto di lei.
"Perfino Satana si maschera da angelo della luce" mormorò. "Dio aiuti mio padre e quella povera illusa di mia madre."
"È tutto pronto?" chiese Adele comparendo sulla porta della stanza di Kitty.
"Sì, madre" rispose lei chiudendo il baule e prendendo la cuffia.
"Mi mancherai moltissimo, Kitty." Adele le si avvicinò e la strinse in un abbraccio.
"Anche tu, madre, soprattutto ora che so che il bambino nascerà senza la sua sorella maggiore. Ti prego, riguardati quando non ci sarò."
"Non preoccuparti, Kitty. Ho tuo padre, Aylsa e le tue sorelle. Ti manderò un telegramma appena avrò dato alla luce tuo fratello o tua sorella. Kitty, ti prego non piangere." Adele asciugò una lacrima dalla guancia di sua figlia. "Pensa alle storie che ci racconterai quando tornerai a casa. Sono soltanto nove mesi, il tempo che ci vuole per far nascere un bambino."
"Perdonami, è solo che mi mancherai tantissimo." Kitty singhiozzava sulla spalla della madre.
Poco dopo, mentre il suo baule veniva caricato sulla carrozza della signora McCrombie, Kitty abbracciò le sorelle. Erano inconsolabili, soprattutto Miriam.
"Katherine, mi mancherai tanto." Ralph la strinse tra le braccia. Lei rimase immobile, rigida. "Ricordati di dire ogni giorno le tue preghiere, e che il Signore sia con te."
"Arrivederci, padre" riuscì a dire. Poi si districò dall'abbraccio e, salutando per l'ultima volta la sua adorata famiglia, salì in carrozza. Il cocchiere richiuse la portiera dietro di lei.
La RMS Orient fece suonare la sirena e prese il largo. Kitty era sul ponte e guardava i suoi compagni di viaggio gridare gli ultimi saluti ai parenti rimasti a terra. Il molo era ingombro di persone che sventolavano la Union Jack e qualche bandiera australiana. Non c'era nessuno a salutare lei, ma almeno, a differenza di molti altri su quella nave, sapeva che un giorno sarebbe tornata.
Man mano che la gente sul molo diventava sempre più piccola e irriconoscibile e la nave procedeva lungo l'estuario del Tamigi, intorno a lei calò il silenzio. I passeggeri si stavano rendendo conto di cosa significasse intraprendere quel viaggio. In molti si chiedevano se avrebbero più rivisto i loro cari. Mentre si disperdevano Kitty sentì qualche singhiozzo.
Anche se aveva visto diverse grandi navi ormeggiate nel porto di Leith, ora che si era imbarcata su una di esse le sembrava un compito incredibilmente gravoso per quella nave a vapore portarli dall'altra parte del mondo, a dispetto degli altissimi fumaioli e degli alberi da cui pendevano enormi vele.
Kitty scese le scalette e percorse il corridoio della seconda classe in direzione della sua cuccetta, ed ebbe la sensazione che quell'esperienza la stesse vivendo un'altra persona. Aprì la porta e si chiese come avrebbe fatto a dormire con il frastuono di quegli enormi motori che rombavano sotto di lei. Si chiuse la porta alle spalle: la stanza, se così si poteva chiamare visto che aveva le dimensioni di un minuscolo corridoio, conteneva due brande simili a bare e un piccolo armadietto in cui mettere i vestiti. In un angolo c'era un lavatoio e Kitty notò che era avvitato al pavimento, come tutti i mobili.
"Ciao. Sei la mia compagna di stanza?"
Dalla ringhiera del letto superiore comparvero un paio di occhi color nocciola incorniciati da un'impressionante criniera di ricci scuri.
"Sì."
"Mi chiamo Clara Dugan. Come va?"
"Molto bene, grazie. Io sono Kitty McBride."
"Scozzese, eh?"
"Già."
"Io vengo dal caro, vecchio East End di Londra. Dove sei diretta?"
"Adelaide."
"Mai sentita. Io vado a Sydney. Hai un bel vestito. Sei la governante di qualche signora?"
"No. Cioè, sono… la sua dama di compagnia."
"Oooh, ho capito" disse Clara in tono gentile. "Be', se ne so qualcosa dell'aristocrazia, a meno che la tua signora non si sia portata una donna di servizio, toccherà a te fare tutto quanto. Dovrai anche pulirle il vomito quando troveremo il mare grosso. Mio fratello Alfie mi ha detto che le navi puzzano per giorni dopo una tempesta. Lui è già laggiù, dice che si sta costruendo una carriera. Mi ha detto di risparmiare per non fare il viaggio in terza classe. Sono morti in cinque, lì" aggiunse Clara. "Ho lavorato giorno e notte per due anni in fabbrica per pagarmi il viaggio. Ma ne sarà valsa la pena, se mai arriveremo."
"Cielo! Speriamo che il nostro viaggio sia più tranquillo."
"Quando arriverò potrò essere chi mi pare! Sarò libera! Non è favoloso?" Gli occhi di Clara brillavano di felicità.
Si udì bussare alla porta e Kitty andò ad aprire. Un giovane steward le sorrideva.
"Siete la signorina McBride?"
"Sì."
"La signora McCrombie ha richiesto la vostra presenza in cabina. Ha bisogno di aiuto per disfare i bagagli."
"Certo."
Kitty seguì il giovane fuori dalla cabina e Clara le fece un sorriso furbo.
"Be', almeno una di noi sarà libera" le gridò dietro.
Dopo qualche notte passata a girarsi e rigirarsi sulla sua branda, in preda a incubi di tempeste, naufragi e morti raccapriccianti per mano dei nativi australiani, il tutto accompagnato dal russare di Clara, Kitty ben presto trovò la sua routine e le giornate cominciarono a passare in fretta. Mentre Clara dormiva fino a tardi, Kitty si alzava alle sette per lavarsi, vestirsi e sistemarsi i capelli. Poi saliva le scale della prima classe, sul ponte superiore.
Si abituò quasi subito al rollio della nave, e mentre Clara e la signora McCrombie furono costrette a stare a letto per un po' per vincere il mal di mare, Kitty scoprì di sentirsi a suo agio. Questo le valse l'ammirazione dell'equipaggio, specialmente di George, lo steward personale della signora McCrombie, che secondo Clara l'aveva “adocchiata”.
Rispetto all'arredamento frugale della seconda classe, le cabine di prima erano lussuose. Sul pavimento c'erano soffici tappeti con intricati motivi in stile William Morris, mentre i mobili di ottone erano lucidati fino a brillare e alle pareti c'erano raffinate pannellature di legno intagliato. La signora McCrombie era nel suo luogo ideale, e tutte le sere a cena indossava gonne e abiti stravaganti.
Kitty trascorreva la mattinata a occuparsi dei bisogni della signora McCrombie, che la costringeva spesso a dedicarsi al rammendo. La prima volta che vide quanti corsetti e abiti erano strappati o scuciti sospirò, e intuì che per vanità la signora McCrombie doveva aver mentito sulla taglia con la sarta. A pranzo scendeva nella sala mensa della seconda classe e mangiava con Clara. Kitty scoprì con stupore che il cibo era di buona qualità e i camerieri bravissimi: riuscivano a trasportare vassoi di cibo e bevande senza mai farli cadere, nonostante spesso la nave rollasse pericolosamente. Nel pomeriggio faceva una passeggiata sul ponte superiore, poi si ritirava nel salone della prima classe per giocare a carte con la signora McCrombie.
Dopo qualche giorno l'imbarcazione entrò nel Mediterraneo, dove fece una breve sosta a Napoli prima di ripartire per Port Said e attraversare il canale di Suez. Il clima si fece più caldo. Anche se la signora McCrombie rifiutava di scendere dalla nave quando faceva sosta in porto, dicendo che c'era il rischio di prendersi qualche “malattia mortale dai nativi”, guardando quelle coste esotiche e sconosciute Kitty cominciò a provare una gran voglia di avventura.
Per la prima volta nella vita se ne infischiò delle regole e ballò alle feste tradizionali scozzesi che organizzavano nel salone di terza classe, fumoso e illuminato da lampade a gas. Clara ce l'aveva praticamente trascinata, la prima volta, e Kitty era rimasta a guardare mentre la sua amica ballava come una matta al ritmo vivace della band celtica. Ben presto si era convinta a unirsi alle danze, e si ritrovò a vorticare tra le braccia di uomini sempre diversi, tutti perfetti gentiluomini.
Cominciò anche a provare qualcosa di simile all'affetto per la signora McCrombie che, dopo due o tre bicchierini di whisky all'ora dell'aperitivo, mostrava un perverso senso dell'umorismo con le sue barzellette, che di certo avrebbero fatto venire un attacco di cuore a suo padre, se le avesse sentite. Fu durante una di quelle serate che la signora McCrombie le confidò di essere molto nervosa all'idea di rivedere la sorella.
"Non la vedo da quando aveva diciott'anni, la tua età, mia cara, da quando è partita per l'Australia per sposare il caro Stefan. È più giovane di me di quasi quindici anni, il suo arrivo fu uno shock per mio padre." La signora McCrombie le fece un sorrisetto e poi emise un rutto discreto. "Non mi assomiglia per nulla, fra l'altro" aggiunse facendo cenno a un cameriere di riempirle il bicchiere. "E immagino che tu sappia che tuo padre era un bel donnaiolo, ai tempi, quando la mia famiglia l'ha conosciuto."
"Davvero? Oh, cielo" rispose Kitty neutra, sperando che la signora McCrombie continuasse a raccontare. Tuttavia la sua mecenate si era già distratta: l'orchestra aveva iniziato a suonare e la conversazione si interruppe lì.
Quando furono quasi in vista di Porto Colombo, sull'isola di Ceylon, la Orient si ritrovò ad affrontare il mare grosso. Kitty rimase sveglia a occuparsi della signora McCrombie e di Clara, che assunsero un colorito verdognolo e dovettero mettersi a letto. Rifletté sul fatto che il mal di mare era fantastico per azzerare le differenze sociali, dato che non c'era ricchezza che tenesse: i passeggeri erano alla mercé delle onde, in qualunque classe viaggiassero, e il personale della nave aveva il suo bel daffare a portare qua e là infusi allo zenzero, che in teoria avrebbero dovuto aiutare lo stomaco a placarsi. Kitty non riuscì a impedire alla signora McCrombie di allungare i suoi infusi con generose quantità di whisky. Diceva: "Nulla impedirà a questa nave di agitarsi, perciò tanto vale che giri pure io, mia cara".
Mentre attraversavano l'Oceano Indiano, con il continente australiano che si stagliava dinanzi a loro come una terra promessa, Kitty si sentì assalire da un caldo opprimente, più violento di quanto avrebbe mai potuto immaginare. Sedeva con la signora McCrombie sul ponte aperto superiore – il miglior posto in cui godere di un po' di brezza – leggendo un libro preso nella biblioteca della nave e pensava che forse era riuscita ad acquisire un'identità tutta sua. Non era più solo la figlia del reverendo McBride, ma una donna in gamba che reggeva il mare meglio di qualsiasi altra, stando alle parole di George, ed era in grado di cavarsela da sola senza la protezione dei genitori.
Alzò lo sguardo verso il cielo senza nuvole e si rese conto che l'orrore di quello che aveva scoperto prima di partire si stava piano piano affievolendo, man mano che si allontanava dalla Scozia. Quando la signora McCrombie annunciò che mancava appena una settimana di viaggio alla loro destinazione, Kitty si sentì lo stomaco sottosopra, ma non per colpa del rollio della nave. Stava per raggiungere la terra di Darwin, la terra di un uomo che non si era nascosto dietro alla fede in Dio per spiegare le proprie teorie, un uomo che aveva esaltato il potere e la creatività della natura. Aveva celebrato il meglio e il peggio del mondo naturale, che si manifestava in tutta la sua crudeltà dinanzi agli occhi dell'uomo. La natura era onesta, priva di ipocrisia e per niente bigotta.
Per trovare un'immagine in grado di descrivere la sensazione che provava, Kitty pensò alla signora McCrombie che si toglieva finalmente il corsetto troppo stretto e decideva di tornare a respirare.
La mattina in cui dalla Orient si cominciarono ad avvistare le coste australiane, gran parte dei passeggeri salì sul ponte. L'eccitazione e la trepidazione erano palpabili e tutti allungavano il collo per vedere quella che per molti sarebbe diventata una nuova casa, l'inizio di una nuova vita.
All'orizzonte comparve la costa e un mormorio si diffuse sul ponte. Stretta tra il blu del mare e l'azzurro del cielo c'era una striscia di terra rossa.
"Piuttosto piatta, eh?" osservò Clara scrollando le spalle. "Non vedo neanche una collinetta."
"Sì, è vero" rispose Kitty con aria sognante. Non riusciva a crederci, stava vedendo con i suoi occhi un luogo che prima di allora era stato soltanto una macchia irraggiungibile su un atlante.
La nave attraccò nel porto di Fremantle e gettò l'àncora; i passeggeri esultarono. A Kitty sembrò perfino più grande del porto di Londra, dove si erano imbarcati, e osservò meravigliata le navi passeggeri e i cargo incredibilmente alti attraccati ai moli, mentre a terra una folla multicolore se ne andava per i fatti propri.
"Caspita!" Clara gettò le braccia al collo di Kitty. "Ce l'abbiamo fatta, siamo in Australia! Che ne dici?"
Kitty guardò i passeggeri scendere dalla passerella, stringendo al petto i loro averi e i figli. Alcuni furono accolti da amici o parenti, ma i più rimasero sul molo sotto il sole, con aria smarrita e confusa, finché non vennero radunati e condotti altrove da un agente di polizia. Kitty ammirava ognuno di loro per il coraggio dimostrato: si erano lasciati alle spalle il paese natale per farsi una nuova vita laggiù.
"È parecchio affollato, a quanto vedo" disse la signora McCrombie in sala da pranzo, seduta a tavola davanti a un piatto di agnello. "All'inizio l'Australia era popolata solo dagli scarti della società, spediti qui dall'Inghilterra. Galeotti e criminali, gentaglia. Tranne ad Adelaide, ovviamente, costruita apposta per incoraggiare i più… raffinati di noi a trasferirsi qui. Edith mi ha detto che è una bella città, timorata di Dio." Fece una smorfia di fastidio quando l'accento confuso degli australiani la raggiunse attraverso le finestre aperte. Si sventolava in continuazione e non smetteva di sudare. "Spero solo che ad Adelaide la temperatura sia un po' più mite" proseguì. "Buon Dio, per forza i nativi vanno in giro senza vestiti. Fa un caldo insopportabile."
Dopo pranzo la signora McCrombie si ritirò nella sua cabina e Kitty tornò sul ponte, affascinata dal bestiame che stavano ancora scaricando dalla nave. Gli animali avevano un'aria emaciata e spaventata. "Com'è diverso dai prati verdi della Scozia" sussurrò fra sé.
Il mattino dopo la nave ripartì, prossima fermata Adelaide. Kitty impiegò i due giorni di viaggio che mancavano a rimettere nei vari bauli l'inesauribile guardaroba della signora McCrombie.
"Potresti venire a trovarmi a Sydney quando mi sarò sistemata. Le due città non saranno così lontane, no? Sulla mappa sembrano vicine" disse Clara durante il loro ultimo pranzo insieme a bordo.
Kitty chiese allo steward George se fosse possibile, e lui ridacchiò a quella domanda.
"In linea d'aria ci sono più di settecento miglia tra Adelaide e Sydney. Bisognerebbe attraversare un territorio popolato di tribù di neri armati di lance, per non parlare dei canguri, dei serpenti e dei ragni che possono uccidere un uomo con un solo morso. Avete dato uno sguardo alla mappa, signorina McBride? Non vi siete chiesta come mai non vi siano città nell'interno dell'Australia? Nessun bianco può sopravvivere a lungo nell'Outback."
Quando Kitty andò a dormire, per la sua ultima notte a bordo, formulò una rapida preghiera.
"Ti prego, Signore, non mi importa dei serpenti e dei canguri, e nemmeno dei selvaggi, ma ti prego, non farmi finire cucinata viva in una pentola!"
Quando la Orient attraccò nel porto di Adelaide, Kitty disse addio a Clara, che piangeva a dirotto.
"Allora è un addio. È stato bello conoscerti, Kitty. Prometti che mi scriverai?"
Le due ragazze si abbracciarono.
"Certo che ti scriverò. Abbi cura di te, e spero che i tuoi sogni si avverino."
A sua volta sull'orlo delle lacrime, Kitty aiutò la signora McCrombie a scendere la passerella. Soltanto adesso che stavano sbarcando si rendeva conto di quanto le sarebbe mancata la sua compagna di viaggio.
"Florence!" Kitty vide venire verso di loro una donna magra ed elegante, con una criniera di folti capelli mogano.
"Edith!" Le due sorelle si scambiarono un bacetto casto sulle guance.
Kitty camminò dietro di loro mentre un cocchiere in livrea le conduceva verso una carrozza. Guardò l'abito di Edith – un vestito di broccato abbottonato fino al collo – e si chiese come facesse a resistere con quel caldo. Kitty avrebbe tanto voluto spogliarsi e buttarsi nell'acqua che lambiva il molo.
Quando raggiunsero la carrozza i loro bauli vennero caricati a bordo da un ragazzo con la pelle più scura che Kitty avesse mai visto.
"Cielo!" disse la signora McCrombie girandosi verso di lei. "Ero talmente contenta di vederti, sorella mia, che mi sono dimenticata di presentarti la signorina Kitty McBride, la figlia maggiore di un caro amico di famiglia, il reverendo McBride. È stata la mia aiutante e colei che mi ha salvata durante il viaggio" aggiunse con affetto.
"Allora sono lieta di fare la vostra conoscenza" disse Edith guardandola con distacco. "Benvenuta in Australia. Spero che vi godrete il soggiorno ad Adelaide."
"Vi ringrazio, signora Mercer."
Mentre attendeva che le due sorelle salissero in carrozza, Kitty ebbe la sensazione che l'ospitalità di Edith sarebbe stata fredda come quell'accoglienza.
8
Durante il tragitto dal porto, tra la polvere e il caldo soffocante, si imbatterono in un paesaggio variegato. Le baracche con il tetto di lamiera, nella zona del molo, lasciarono il posto a file di bungalow e, infine, a un ampio stradone fiancheggiato da casette aggraziate.
La casa, “Alicia Hall” in onore della suocera di Edith, era una maestosa villa coloniale bianca che sorgeva in Victoria Avenue. Costruita per sopportare la calura australiana, era circondata su ogni lato da verande fresche e ombrose e da terrazze con ringhiere elegantemente lavorate. Al tramonto un esercito di insetti, di cui Kitty non conosceva il nome, produceva una cacofonia di suoni variegati.
Dal loro arrivo, ormai tre giorni addietro, la signora McCrombie – Florence, come la chiamava Edith – aveva trascorso tutto il tempo dormendo per riprendersi dal lungo viaggio, oppure chiacchierando con la sorella in veranda per rimettersi in pari sugli avvenimenti degli ultimi trent'anni.
In quel momento, le tre donne erano le uniche abitanti di Alicia Hall. Il signor Stefan Mercer, marito di Edith e padrone di casa, a quanto pareva era in viaggio d'affari, e non c'erano neanche i due figli maschi della coppia. Al di là di colazione, pranzo e cena, quando nessuna delle due sorelle la includeva nella loro conversazione a eccezione di un saluto prima e dopo mangiato, Kitty se ne stava nella sua camera dai colori pastello, al piano superiore.
Fino a quel momento la solitudine non era stata un problema; era ben felice di prendere un libro nella biblioteca al piano terra e leggerlo sulla terrazza che si apriva dinanzi alla sua stanza. Ma con i giorni che continuavano a trascinarsi tutti uguali e l'avvicinarsi del Natale, Kitty cominciò a pensare a casa. Mentre scriveva una lettera alla sua famiglia, le parve quasi di sentire la fredda aria nebbiosa di Leith, e di vedere con chiarezza l'enorme albero di Natale eretto in Princes Street, addobbato con lucine che danzavano nella brezza.
"Mi mancate tutti" sussurrò ripiegando il foglio in due, con gli occhi pieni di lacrime.
Dopo colazione di solito faceva una passeggiata nell'enorme giardino. Era diviso in sezioni, con sentieri netti, tracciati in mezzo all'erba, alcuni dei quali protetti dal sole da gazebo coperti di glicine. I cespugli verde scuro erano potati alla perfezione e tenuti con grande cura, così come le aiuole, in cui crescevano piante dai colori vivaci che Kitty non aveva mai visto prima – fiori rosa e arancio brillante, grasse foglie verdi e boccioli dai profumi incredibili intorno ai quali svolazzavano grosse farfalle blu.
Lungo i confini del giardino c'erano enormi alberi dall'insolita corteccia bianca. Ogni volta che si avvicinava sentiva un magnifico profumo di erba, e si riprometteva sempre di chiedere a Edith che tipo di piante fossero.
Eppure, per quanto il giardino e la casa fossero splendidi, Kitty iniziava ad avere la sensazione di stare in una prigione dorata. In vita sua non si era mai annoiata tanto. Un esercito di servitori si faceva carico di ogni bisogno delle tre donne e, con l'Australia che l'aspettava dietro le mura del giardino, quella totale inerzia iniziò a pesarle.
Qualche giorno prima di Natale Kitty aveva appena finito la sua passeggiata mattutina quando vide un uomo entrare dal cancello posteriore. Aveva i capelli, gli abiti e gli stivali completamente ricoperti di polvere rossa. Il suo primo istinto fu di precipitarsi in casa e di avvertire i servitori che era entrato un vagabondo.
Si nascose dietro una colonna in veranda e guardò l'uomo con sospetto mentre si avvicinava all'entrata riservata alla servitù.
"Buongiorno" la salutò l'uomo, e Kitty si chiese come avesse fatto a vederla, dato che si era nascosta bene. "Vedo la vostra ombra, chiunque voi siate. Perché vi nascondete?"
Se fosse corsa in casa per mettersi al sicuro l'uomo avrebbe potuto fermarla con facilità, ma si ricordò che in Scozia si era ritrovata in situazioni ben peggiori con gli ubriachi, giù al porto. Perciò fece un bel respiro e uscì allo scoperto.
"Non mi nascondevo. Mi riparavo dal sole."
"In questo periodo è piuttosto forte, in effetti, ma nulla in confronto al caldo che fa su a nord."
"Non saprei. Sono arrivata da poco."
"Davvero? E da dove?"
"Dalla Scozia. Vi è permesso stare qui?" chiese.
Sembrò divertito da quella domanda. "Be', direi di sì."
"Allora dirò alla signora Mercer che ha visite, quando tornerà."
"La signora Mercer non è in casa?"
"Mi hanno detto che tornerà presto" rispose Kitty rendendosi conto dell'errore che aveva commesso. "Ma ci sono molti servitori e…"
"Allora vado a parlare con loro" sancì l'uomo avviandosi verso l'entrata che portava in cucina. "Vi auguro buona giornata."
Kitty corse dentro e salì nella sua stanza. Dalla terrazza, pochi minuti dopo, vide un cavallo e un carretto uscire dai cancelli. Sollevata nel constatare che i servitori avevano mandato via quel vagabondo, si buttò sul letto e si sventolò con forza.
Quella sera Kitty si preparò per scendere a cena. Si meravigliava ancora che, nonostante si trovassero dall'altra parte del mondo in una terra di pagani, ci fossero la luce elettrica e la vasca da bagno, che poteva addirittura riempire a qualsiasi ora di qualsiasi giorno. Fece un lungo bagno rinfrescante, legò i capelli maledicendo le sue lentiggini, poi imboccò l'elegante scalinata curva per scendere in sala da pranzo. Rimase di stucco appena vide ciò che la aspettava di sotto: un bellissimo albero di Natale carico di ornamenti che scintillavano alla luce lieve del lampadario al soffitto. Il profumo familiare di pino le ricordava talmente tanto le vigilie con la sua famiglia che le venne da piangere.
"Dio vi benedica tutti" sussurrò riprendendo a scendere le scale. Si consolò pensando che l'anno successivo, nel periodo natalizio, sarebbe stata a casa. Arrivò in fondo alla scalinata e vide un uomo in abito formale che appendeva una pallina all'albero.
"Buonasera" disse spuntando attraverso i rami.
"Buonasera." A Kitty sembrò che in quella voce ci fosse qualcosa di familiare.
"Vi piace l'albero?" chiese avvicinandosi a braccia conserte.
"È bellissimo."
"È un regalo per mia… la signora Mercer."
"Davvero? Ma che gentile."
"Già."
Kitty lo guardò nuovamente. Gli occhi scuri dell'uomo brillavano alla luce.
"Credo che ci siamo già incontrati, signorina…?"
"McBride" riuscì a dire Kitty. Finalmente capì chi era, e perché le sembrava di conoscerlo.
"Io sono Drummond Mercer, il figlio della signora Mercer. O almeno, il figlio numero due" precisò.
"Ma…"
"Sì?"
"Voi…"
Kitty vide che era divertito e si sentì arrossire per l'imbarazzo.
"Sono terribilmente spiacente. Pensavo…"
"Che fossi un vagabondo venuto a rubare."
"Sì. Vi prego di accettare le mie scuse."
"E voi accettate le mie, perché non mi sono presentato adeguatamente. Sono tornato da Alice Springs a dorso di cammello; è per questo che avevo un'aria tanto… trasandata."
"Siete venuto in cammello?"
"Sì, esatto. Ne abbiamo a migliaia qui in Australia, e contrariamente a quanto potrebbero dirvi, è il mezzo di trasporto più affidabile in questo territorio insidioso."
"Capisco" disse Kitty incredula. "Allora non mi stupisco che foste sporco. Voglio dire, se avete cavalcato per tutta l'Australia… Io sono arrivata in nave e ci ho messo molte settimane e…" Kitty si rese conto di blaterare a vanvera, come le diceva sempre suo padre.
"Siete perdonata, signorina McBride. È incredibile come anche un vagabondo tanto sporco possa ripulirsi a dovere, eh? Appena sono arrivato ho attaccato un cavallo al carro e sono andato a prendere l'albero al porto. Ce ne facciamo spedire uno ogni anno dalla Germania e volevo assicurarmi di scegliere il migliore. Quello dell'anno scorso ha iniziato a perdere gli aghi dopo appena un giorno. Dunque, vogliamo andare in soggiorno a bere qualcosa?"
Kitty raddrizzò le spalle e la schiena e prese il braccio dell'uomo. "Molto volentieri."
Quella sera a cena, con Drummond a tavola, Kitty sentì che l'atmosfera si era alleggerita. Lui la prendeva in giro senza pietà per la sua gaffe di quella mattina, e la signora McCrombie dovette più volte asciugarsi le lacrime dal gran ridere. Solo Edith se ne stava in silenzio e osservava quell'ilarità con espressione disgustata.
Perché ce l'ha con me? si chiese Kitty. Non ho fatto nulla di male…
"Allora, signorina McBride, vi siete già avventurata per la nostra cittadina?" chiese Drummond durante il dessert.
"No, ma mi piacerebbe molto, devo ancora comprare i doni di Natale per la mia famiglia" confessò lei a bassa voce.
"Be', io domani andrò in città a occuparmi di certi affari. Potrei offrirvi un passaggio sul carro, se desiderate."
"Ve ne sarei grata, signor Mercer. Vi ringrazio."
A dispetto del loro spiacevole primo incontro, Kitty doveva ammettere che Drummond si stava rivelando di ottima compagnia. Era alla mano e per niente formale, cosa che Kitty trovava molto affascinante. Era anche l'uomo più bello su cui avesse mai posato lo sguardo: alto, con le spalle larghe, gli occhi azzurri e i capelli scuri folti e mossi. Non che fosse rilevante, ovviamente, pensò Kitty infilandosi a letto. Figurarsi se l'avrebbe considerata, lei, figlia di un povero ministro di culto e coperta da centinaia di lentiggini. E poi il pensiero di avvicinarsi a un uomo la faceva rabbrividire. Quando si trattava di intimità fisica riusciva a pensare solo e soltanto all'ipocrisia di suo padre.
Il mattino successivo Drummond la aiutò a salire sul carro e Kitty gli si accomodò accanto.
"Pronta?" chiese.
"Sì" rispose lei. "Grazie mille."
Il cavallo uscì dai cancelli e imboccò il largo viale. Kitty annusò ancora quel buon profumo che non sapeva riconoscere.
"Che odore è questo?" gli chiese.
"Sono alberi di eucalipto. I koala li adorano. Mia nonna mi ha detto che nel 1860, quando hanno costruito Alicia Hall, c'erano alcune famiglie di koala che vivevano tra gli alberi."
"Cielo! Ho soltanto letto di loro sui libri."
"Somigliano molto a degli orsacchiotti. Se ne vedo uno ve lo mostrerò. E se di notte sentite uno strano verso, una via di mezzo tra uno starnuto e un ringhio, è un koala maschio in cerca di cibo o di una compagna."
"Capisco." Pian piano Kitty cominciava ad abituarsi al bizzarro accento di Drummond, un misto tra il tedesco e lo scozzese, colorito di tanto in tanto con qualche strana espressione tipicamente australiana. Il sole picchiava forte, e Kitty si coprì meglio il viso con la cuffietta.
"Siete in difficoltà per il caldo, vero?"
"Un po'" ammise. "E poi mi scotto in un attimo."
"Ci farete l'abitudine in fretta. E devo dire che avete delle lentiggini davvero adorabili."
Lanciò un'occhiata a Drummond per capire se si stava prendendo gioco di lei, ma la sua espressione era concentrata sulla strada, che si era fatta più affollata. Kitty rimase in silenzio mentre entravano in città. Notò che le vie erano molto più larghe che a Edimburgo, e gli edifici solidi ed eleganti. Gli abitanti, ben vestiti, passeggiavano sui marciapiedi e le donne con ombrellini parasole si proteggevano dai raggi inclementi.
"Allora, che ne pensate finora di Adelaide?" le chiese Drummond.
"Non ho visto abbastanza per giudicare."
"Qualcosa mi dice che tenete per voi i vostri pensieri, signorina McBride. È la verità?"
"Più o meno. Non credo che gli altri siano interessati a ciò che penso."
"Alcuni lo sono" disse lui. "È strano, eh?"
Kitty non rispose. Non sapeva se fosse un complimento o un insulto.
"Sono stato in Germania, una volta" disse lui rompendo il silenzio. "È stato per ora il mio unico viaggio in Europa. L'ho trovata fredda, buia e piuttosto noiosa. L'Australia avrà i suoi problemi, ma almeno qui splende il sole ed è tutto molto teatrale. Vi piace il teatro, signorina McBride?"
"Penso di sì" rispose lei.
"Allora vi troverete bene qui da noi, perché non è un Paese per i deboli di cuore. O almeno, non lo è fuori dai confini cittadini" aggiunse facendo fermare il cavallo. "Questa è King William Street." Indicò una via piena di negozi dalle facciate dipinte con colori vivaci e dalle insegne splendenti. "Ed è la zona più civilizzata. Vi lascio qui, a Beehive Corner, e vi verrò a riprendere tra due ore, all'una in punto. Vi sta bene?"
"Benissimo, grazie."
Drummond scese dal carro e aiutò Kitty. "Ora dedicatevi pure a quello che piace a voi signore, e se fate la brava vi porterò a vedere Babbo Natale in Rundle Street, più tardi." Drummond le fece l'occhiolino e risalì a cassetta.
Kitty rimase nella strada polverosa a guardare le carrozze, i carretti e i pony su cui montavano uomini dai larghi cappelli. Alzò lo sguardo e capì a cosa si riferisse Drummond parlando di Beehive Corner: c'era un bellissimo edificio bianco e rosso con archi e decorazioni, sormontato dal dipinto di una splendida ape. Era sicura di riuscire a ritrovarlo, perciò si avventurò lungo la via a guardare le vetrine. Sudava in abbondanza, quindi entrò in una merceria per cercare qualcosa di adatto tra la sorprendente varietà di nastri e pizzi. Nel negozio, anche se le pareva impossibile, faceva perfino più caldo che per strada. Sentiva il sudore colare lungo la schiena, perciò si affrettò a comprare del pizzo per la signora McCrombie e la signora Mercer e del tessuto di cotone bianco per gli uomini, pensando che avrebbe potuto farci dei fazzoletti ricamandoci sopra dei cardi scozzesi.
Pagò e uscì in fretta, prima di svenire in quel caldo soffocante. Percorse la strada a grandi passi, alla disperata ricerca di un riparo dal sole e di un bicchiere d'acqua fresca, e alla fine vide un'insegna in lontananza: The Edinburgh Castle Hotel.
Si precipitò dentro e si ritrovò in una sala affollata e fumosa, dove enormi ventilatori a soffitto smuovevano l'aria. Si fece largo fino al bar senza notare che, al suo ingresso, nella sala era calato il silenzio. Si sedette su uno sgabello e chiese dell'acqua a una barista, con un corsetto corto, perfetto per quel caldo. La ragazza annuì e le versò in una tazza un po' d'acqua presa da un barile. Kitty bevve tutto d'un fiato, poi ne chiese ancora. Svuotò anche la seconda tazza e cominciò a sentirsi meglio. Alzò la testa e si accorse che all'incirca quaranta paia d'occhi maschili erano posati su di lei.
"Grazie" disse alla barista. Con tutta la dignità che le era rimasta si alzò e si avviò verso l'uscita.
"Signorina McBride!" Si sentì afferrare per un braccio mentre stava per uscire. "Che coincidenza ritrovarvi qui."
Alzò gli occhi e vide Drummond Mercer. Subito sentì le guance andarle a fuoco.
"Avevo sete" rispose sulla difensiva. "Fuori fa caldissimo."
"Sì, è vero. Col senno di poi non avrei mai dovuto lasciarvi sola per strada, dato che non siete abituata a questo clima."
"Ora sto benissimo, grazie."
"Ne sono felice. Avete concluso i vostri acquisti?"
"Be', no. Come si fa a fare compere con questo caldo, proprio non lo so" rispose sventolandosi.
"Volete un goccetto di whisky, signorina?" disse una voce alle sue spalle.
"Io…"
"È per scopi medici" la rassicurò Drummond. "Le farò compagnia, Lachlan" aggiunse riportandola verso il bar. "E a proposito, questa signorina viene da Edimburgo."
"Allora, offre la casa. Immagino che shock quando siete arrivata, signorina" disse l'uomo scivolando dietro il bancone e aprendo una bottiglia. "Ricordo la mia prima settimana: credevo di essere sbarcato all'inferno. Sognavo il freddo e la nebbia di casa. Forza, venite qui, facciamo un brindisi alla vecchia Scozia."
Anche se non aveva mai bevuto alcol, dopo aver visto la signora McCrombie farsi un whisky dopo l'altro sulla Orient, Kitty si disse che un bicchierino non poteva certo farle male.
"Alla Scozia" brindò Lachlan.
"Alla Scozia" fece eco Kitty. I due uomini buttarono giù il liquido dorato in un solo sorso, mentre lei lo assaggiò con cautela. Le scorse lungo la gola, bruciandola. I clienti la guardavano con curiosità, e quando il whisky cominciò a scaldarle piacevolmente lo stomaco, buttò indietro la testa e vuotò il bicchiere. Poi, come avevano fatto i due uomini, lo sbatté sul bancone.
"Ah, una vera scozzese." Lachlan le rivolse un finto inchino, e tutti esultarono e applaudirono. "Un altro giro per tutti!"
"Bene, bene" disse Drummond porgendole un secondo bicchierino. "Sono impressionato, signorina McBride. Potremmo già considerarvi un'australiana come si deve."
"Non sono una codarda, signor Mercer, questo dovreste già saperlo" disse Kitty buttando giù il secondo whisky, poi si sedette sullo sgabello. Si sentiva molto meglio, adesso.
"Questo lo vedo, signorina McBride." Drummond annuì con aria saggia.
"Forza, intoniamo Over the Sea to Skye per la nostra ragazza, che ha nostalgia di casa" gridò Lachlan.
Tutto il locale iniziò a cantare. Dopo la canzone Kitty accettò un terzo whisky e cantò anche lei Loch Lomond. Poi la accompagnarono a un tavolo, dove si sedette insieme a Drummond e Lachlan.
"Allora, dove vivete, signorina?"
"Leith…"
"Ah!" Lachlan diede una manata sul tavolo e si versò un altro whisky. "Io sono nato al sud. Tra i plebei, ovviamente. Ma basta parlare di me, vediamo un altro po' del caro, vecchio coraggio scozzese!" Versò un altro whisky a Kitty e la guardò con un sopracciglio inarcato.
Senza dire una parola, Kitty si portò il bicchiere alle labbra e lo svuotò, tenendo sempre lo sguardo fisso su Drummond.
Un'ora più tardi, dopo aver dato ai presenti una dimostrazione di alcuni balli tipici scozzesi insieme a Lachlan, Kitty stava per bere un altro whisky, ma Drummond le coprì il bicchiere con la mano. "Basta, adesso, signorina McBride. È ora di tornare a casa."
"Ma… i miei amici…"
"Prometto che vi ci riporterò, ma ora dobbiamo proprio tornare, o mia madre penserà che ti abbia rapita."
"Ah, se fossi più giovane io lo farei. La nostra Kitty è una vera bellezza, altroché. E non preoccuparti, piccola. Starai bene, qui in Australia."
Kitty tentò di alzarsi, ma senza successo, perciò fu Drummond a tirarla su. Lachlan le diede due baci affettuosi sulle guance. "Buon Natale! E ricordati, se sei nei guai, Lachlan è al tuo servizio."
Kitty non ricordò un granché del percorso fino al carro, anche se non avrebbe mai dimenticato la sensazione del braccio di Drummond intorno alla vita. Durante il tragitto si addormentò, perché quando si riebbe era già ad Alicia Hall, dove fece un ingresso poco trionfale di nuovo tra le braccia di lui, che la portò di sopra e la mise a letto.
"Grazie molte" mormorò; poi emise un singhiozzo. "Sei un uomo molto gentile."
9
Kitty si svegliò intontita, al buio e con la sensazione di avere nella testa un branco di elefanti imbizzarriti. Si mise a sedere e fece una smorfia, perché gli elefanti le stavano riducendo il cervello in pappa con le loro gigantesche zampe; e poi sentiva risalire in gola il contenuto dello stomaco…
Si sporse così oltre il bordo del letto e vomitò. Gemette, prese la bottiglia d'acqua sul comodino e la bevve tutta d'un fiato, poi si ributtò sui cuscini, tentando di recuperare un po' di lucidità. E quando ci riuscì, se ne pentì all'istante.
"Oh Signore, che cosa ho fatto?" sussurrò, inorridita al pensiero della faccia che avrebbe fatto la signora McCrombie. Certo, lei non si faceva mancare il whisky, ma di sicuro non avrebbe approvato che la sua “dama di compagnia” ne avesse bevuto uno dietro l'altro cantando vecchie ballate scozzesi in un bar…
Era una situazione terribile… Kitty chiuse gli occhi e decise che era meglio dormirci su.
Fu svegliata dal suono di alcune voci e dalla puzza di vomito nella stanza.
Era ancora sulla nave? C'era stata una tempesta?
Si mise a sedere e fu sollevata nel constatare che il branco di elefanti se n'era andato dalla sua testa. La camera era immersa nel buio e Kitty accese la lampada a gas. Si trovò subito davanti, sul pavimento, la testimonianza della sua sbornia.
"Oh Signore" mormorò, alzandosi con le gambe di gelatina. La testa le pulsava, ma riuscì a raggiungere barcollando il lavatoio, dove prese alcuni asciugamani per ripulire quel disastro. Quando ebbe rimediato alla meglio buttò tutto quanto nel lavatoio, domandandosi cosa farne. La porta si aprì di uno spiraglio e Kitty vide Drummond fare capolino.
"Buonasera, signorina McBride. O devo chiamarti Kitty, l'orgoglio della Scozia e dell'Edinburgh Castle Hotel?"
"Ti prego…"
"Ti prendo in giro, tranquilla. Lo facciamo spesso qui in Australia, come avrai sicuramente notato. Come ti senti?"
"Penso tu possa arrivarci da solo." Guardò il catino che teneva sulle gambe.
"Allora non entro, un po' per la puzza che c'è qui – ti consiglio di aprire la portafinestra quando vieni giù – ma soprattutto perché sarebbe inopportuno farsi sorprendere nella stanza di una signora. Ho detto a mia madre e a mia zia che, a causa della mia negligenza, hai preso un colpo di sole mentre facevi compere in città, e perciò non saresti stata in grado di raggiungerci per cena."
Kitty abbassò lo sguardo, imbarazzata. "Grazie."
"Non ringraziarmi, Kitty. Anzi, dovrei scusarmi con te. Non avrei mai dovuto incoraggiarti a bere quel primo bicchierino di whisky, per non parlare del secondo e del terzo, sia per il caldo, sia perché non sei abituata a bere."
"Non avevo mai bevuto una goccia d'alcol prima d'ora" sussurrò Kitty. "E mi vergogno profondamente del mio comportamento. Se i miei genitori mi avessero vista…"
"Non ti hanno vista, e di certo non lo sapranno da me. Te l'assicuro, Kitty, quando si è lontani dalla famiglia a volte è piacevole essere se stessi. Senti, fra un po' arriverà Agnes con un po' di brodo, e porterà via quel catino che tieni in grembo come un orfano dei romanzi di Dickens."
"Non berrò mai più finché avrò vita."
"Be', anche se mi hai regalato il miglior intrattenimento di cui abbia goduto da tempo immemore, mi ritengo responsabile delle tue sofferenze. Prova a riposare e butta giù un po' di brodo. Domani è la vigilia di Natale, sarebbe un peccato che tu te la perdessi. Buonanotte."
Drummond chiuse la porta e Kitty appoggiò il catino puzzolente sul pavimento, piena di orrore e umiliazione.
Cosa diceva sempre suo padre in situazioni del genere? Forse non proprio di quel genere, ammise Kitty, ma le aveva insegnato che dopo aver commesso un errore bisognava rialzarsi e trarne degli insegnamenti. Perciò, decise, non sarebbe rimasta a letto lasciando che Drummond pensasse di lei che era una debole femminuccia. No, sarebbe scesa a cena insieme a tutti gli altri.
Gliela farò vedere io. Fece un bel respiro e andò all'armadio. Quando Agnes, la domestica, bussò alla porta, la trovò vestita e con i capelli legati in una crocchia in cima alla testa.
"Come vi sentite, signorina McBride?" le chiese la ragazza. Era più giovane di Kitty e parlava con un forte accento irlandese.
"Mi sono ripresa, adesso, grazie Agnes. Quando torni di sotto, puoi dire al signor Mercer che scenderò a cena con loro?"
"Ne siete sicura, signorina? Scusate se ve lo dico, ma non avete un bell'aspetto e non sarebbe una buona idea scendere a tavola ammalata" disse Agnes, arricciando il naso per la puzza che proveniva dal catino.
"Sto benissimo, grazie. E mi scuso per quello" disse Kitty indicando il mucchietto di asciugamani sporchi.
"Oh, non vi preoccupate, ho visto di molto peggio prima che costruissero una latrina in questa casa" disse Agnes alzando gli occhi al cielo.
Dieci minuti dopo Kitty scese le scale con cautela. Sperava di non aver commesso un terribile errore, perché perfino il profumo del pino le faceva venire la nausea. Vide Drummond in fondo alla scalinata, con le braccia conserte, che ammirava l'albero di Natale.
"Buonasera" disse quando fu in fondo. "Ho deciso che mi sentivo bene a sufficienza per cenare con voi."
"Davvero? E voi chi sareste?"
"Io… ti prego, non prendermi in giro" lo implorò lei. "Sai benissimo chi sono."
"Vi assicuro che non ci hanno mai presentati formalmente, anche se presumo che siate la signorina Kitty McBride, la dama di compagnia di mia zia."
"Sai chi sono, perciò ti prego, smettila di deridermi. Se è uno dei tuoi soliti scherzi, una punizione per prima, io…"
"Signorina McBride, è bello vedere che vi siete alzata nonostante il brutto colpo di sole!"
In quel momento Kitty credette di stare davvero malissimo, perché dal soggiorno era comparso un altro Drummond, che la guardava con occhi divertiti ma ammonitori.
"Vi prego, lasciate che vi presenti mio fratello Andrew" proseguì. "Come avrete capito siamo gemelli, anche se Andrew è nato due ore prima di me."
"Oh" disse Kitty. Ringraziò Dio che Drummond fosse arrivato in tempo, altrimenti avrebbe rivelato tutto a uno sconosciuto. "Perdonatemi, signore, non me ne ero resa conto."
"Non vi preoccupate, signorina McBride. Vi assicuro che è un errore che commettono in molti." Andrew le si avvicinò e le porse la mano. "Sono felice di fare finalmente la vostra conoscenza, e mi rallegro che siate in condizione di cenare con noi. Posso accompagnarvi in sala da pranzo? Voglio presentarvi nostro padre."
Kitty prese con gratitudine il braccio di Andrew, perché le gambe le tremavano ancora. Vide che Drummond le faceva l'occhiolino, ma decise di ignorarlo.
La tavola era imbandita e ricca di decorazioni natalizie: eleganti portatovaglioli d'oro e rametti di abete con palline rosse brillavano alla luce delle candele. Kitty si guardò intorno affascinata mentre ascoltava la preghiera formulata dai Mercer in tedesco, poi Andrew accese l'ultima candela dell'intricato centrotavola.
Tutti si sedettero e Andrew notò lo sguardo incuriosito di Kitty.
"Sono candele dell'Avvento" spiegò. "I miei genitori sono stati così gentili da aspettare che tornassi a casa per accendere l'ultima, prima della vigilia di Natale. Da bambino adoravo farlo. È una vecchia tradizione dei luterani tedeschi, signorina McBride."
Nel corso della cena a base di carne, Kitty si rese conto che poteva azzardarsi a inghiottire qualcosa, se dava dei morsi minuscoli e masticava a lungo. Era seduta tra i gemelli e ogni tanto li osservava senza farsi vedere. Anche se nell'aspetto erano identici, con i capelli scuri e gli occhi azzurri, avevano personalità assai diverse. Andrew sembrava il più serio e giudizioso dei due, le faceva domande cortesi sulla sua vita a Edimburgo.
"Devo scusarmi per mio fratello. Avrebbe dovuto sapere che il sole di mezzogiorno è troppo forte per una signora, specialmente se arrivata da poco in Australia." Andrew lanciò un'occhiataccia a Drummond, che rispose con una scrollata di spalle.
"Mi conosci, fratello caro. Sono un irresponsabile. Per fortuna ora c'è Andrew a proteggervi, signorina McBride."
A capotavola sedeva Stefan Mercer, il padre dei gemelli. Aveva gli stessi occhi azzurri dei figli, ma era più corpulento e aveva una pelata coperta di lentiggini. Le parlò delle circostanze che avevano portato la sua famiglia su quelle coste, settant'anni prima.
"Forse già saprete che molti dei nostri antenati giunsero qui ad Adelaide per poter venerare il Signore secondo la confessione che preferivano. Mia nonna era tedesca e si stabilì in un piccolo insediamento di nome Hahndorf, sulle colline intorno alla città. Mio nonno era un presbiteriano inglese; si conobbero e si innamorarono ad Adelaide. L'Australia è un Paese libero, signorina McBride, e io non appartengo più a nessuna dottrina stabilita dall'uomo. Tuttavia la nostra famiglia prega nella cattedrale anglicana. Domani sera ci andremo per la messa di mezzanotte. Spero che vi sentirete abbastanza in forze da accompagnarci."
"Sarà un piacere" disse Kitty, commossa del fatto che Stefan l'avesse avvertita che non era una chiesa presbiteriana.
Durante il dessert, una deliziosa zuppa inglese con sopra vera panna, Kitty ascoltò i tre uomini parlare degli affari della famiglia, che sembravano avere molto a che fare con delle “conchiglie” e con quante tonnellate ne erano state riportate a terra su qualcosa che chiamavano “trabaccoli”. Drummond parlava di “raduno”, un termine che Kitty capì essere legato ai capi di bestiame. Il suo miglior “mandriano” non era ancora tornato e Drummond annunciò, senza ironia, che era stato fatto a pezzi dai neri e mangiato per cena.
Lì, in quella casa comoda ed elegante, Kitty pensò che fosse incredibile che accadessero cose del genere al di fuori dei confini di una città che era un luogo decisamente raffinato rispetto alla sua Leith.
"Questa conversazione deve sembrarvi sconvolgente" disse Drummond.
"Ho letto un libro di Darw…" Kitty si interruppe, perché non sapeva se Drummond avrebbe approvato. "… Di un autore che ha passato del tempo su queste coste. I nativi uccidono davvero la gente a colpi di lancia?"
"Purtroppo sì" rispose Drummond. "A mio parere lo fanno solo quando vengono provocati dagli invasori, che per loro sono ospiti indesiderati. Le tribù aborigene vivono su questa terra da migliaia di anni, forse sono la popolazione indigena più antica del mondo. Sono state defraudate della loro terra e del loro stile di vita. Ma…" Drummond si diede un contegno "parleremo un'altra volta di argomenti del genere."
"Certo" disse Kitty, che poi riportò lo sguardo su Andrew. "Voi dove vivete?"
"Sulla costa nordoccidentale, in un insediamento chiamato Broome. Di recente ho rilevato l'attività di pesca delle perle di nostro padre. È una… zona del Paese interessante, con una lunga storia. C'è perfino un'impronta di dinosauro su una roccia, visibile con la bassa marea."
"Cielo! Quanto mi piacerebbe vederla. È lontano Broome? Forse potrei venirci in treno."
"Purtroppo no, signorina McBride" disse Andrew con un sorriso. "Via mare impieghereste diversi giorni, come minimo, e a dorso di cammello molti di più."
"Certo" disse Kitty, imbarazzata dalla sua scarsa conoscenza della geografia. "Anche se in teoria so quant'è grande il Paese, è difficile credere che attraversarlo richieda così tanto tempo. Spero di avere la possibilità di uscire un po' dalla città, anche solo per toccare una roccia che esiste dall'alba dei tempi. Ho sentito che molte caverne sono decorate con dipinti interessanti."
"Avete assolutamente ragione. Comunque, le zone interne, specialmente quelle intorno all'Ayers Rock, sono il regno di mio fratello. Sono vicine, almeno secondo i canoni australiani, al nostro ranch."
"L'Ayers Rock… Mi piacerebbe andarci, un giorno. Ne ho sentito parlare" disse Kitty.
"Intuisco che siate interessata di storia antica e geologia, signorina McBride."
"Mi interessa per lo più come siamo…" Kitty dovette di nuovo controllarsi. "… come Dio ci ha messi su questa Terra, signor Mercer."
"Vi prego, chiamatemi Andrew. Eh sì, è un tema affascinante. Magari, nel periodo della vostra permanenza" Andrew alzò la voce per farsi sentire dalla signora McCrombie, "la zia Florence e la signorina McBride potrebbero fare un viaggetto fino alla costa nordoccidentale, se vogliono. Dopo la fine della stagione delle piogge a marzo, naturalmente."
"Florence cara, non pensarci neppure" intervenne Edith. "L'ultima volta che mi sono recata a Broome c'è stato un ciclone e la nave si è arenata appena dopo Albany. Mio figlio vive in una città assolutamente incivile, piena di neri, gialli e Dio solo sa di quali altre provenienze. Ladri e vagabondi, tutti quanti! Ho giurato di non rimetterci mai più piede."
"Su, su, mia cara." Stefan Mercer posò una mano sull'avambraccio della moglie. "Dobbiamo comportarci da buoni cristiani, specialmente in questo periodo dell'anno. Broome è di certo un posto insolito, signorina McBride, un miscuglio di tante razze e colori. Io la trovo affascinante, e ci ho vissuto dieci anni quando la mia attività era agli albori."
"È una città dalla moralità corrotta, dimenticata da Dio, dominata dall'avidità e piena di personaggi avari che indulgono nel peccato!" esclamò Edith.
"Ma non è proprio questa l'essenza dell'Australia, madre?" intervenne Drummond ad alta voce. "E anche" aggiunse indicando l'enorme sala da pranzo e tutto il suo contenuto "della nostra famiglia?"
"Almeno noi ci comportiamo civilmente e abbiamo dei valori cristiani" ribatté Edith. "Se proprio devi, sorella cara, vai, ma io non ti accompagnerò di certo. Ora, signore, che ne dite di ritirarci in soggiorno per lasciare gli uomini a fumare e parlare del lato sgradevole dell'Australia?"
"Se volete scusarmi" disse Kitty, "ancora non mi sento benissimo, e vorrei riposarmi in vista della vigilia di Natale."
"Ma certo. Buonanotte, signorina McBride" la congedò Edith, che chissà perché sembrava sollevata.
"Dormi bene, Kitty cara" le augurò la signora McCrombie, che poi seguì la sorella in soggiorno.
Di sopra, Kitty uscì sulla terrazza, guardò le stelle e cercò quella di Betlemme, la stella che lei e le sue sorelle guardavano sempre a ogni vigilia di Natale. Non la vedeva, forse perché lì ad Adelaide erano molto lontani dall'Inghilterra.
Rientrò lasciando la portafinestra aperta, perché nella stanza c'era ancora cattivo odore. Spinta dal caldo, con una mossa audace Kitty si infilò sotto le lenzuola senza mettersi la camicia da notte, solo con la sottoveste.
Il mattino dopo fu svegliata da un sole abbacinante. Si mise a sedere ricordandosi che era la vigilia di Natale. Stava per scendere dal letto quando dal soffitto venne giù qualcosa di grande e marrone, piombandole sulle gambe coperte dal lenzuolo. Quell'affare cominciò subito a muoversi dirigendosi verso la sua pancia, e Kitty emise uno strillo lacerante quando si rese conto che si trattava di un gigantesco ragno peloso. La bestia le risaliva il corpo verso il seno, ma Kitty era immobilizzata dal terrore e gridava all'impazzata.
"Che diavolo succede?!" esclamò Drummond comparendo di colpo nella stanza. La guardò e capì subito il problema. Con un movimento esperto afferrò il ragno per una zampa e uscì in terrazza, con la bestia che si dibatteva. Kitty lo vide gettare la creatura oltre la balaustra e tornare dentro, chiudendosi la portafinestra alle spalle.
"Ecco cosa succede a lasciare aperto" la ammonì agitando il dito.
"Sei stato tu a dirmi di aprire!" ribatté Kitty piagnucolando.
"Intendevo per un po', non per tutta la notte. Be', che ingratitudine." La guardò male. "Vengo destato dal mio sonno all'alba della vigilia di Natale per aiutare una signora in pericolo, e invece di un grazie, vengo sgridato."
"Era… velenoso?"
"Il ragno cacciatore? No. Ogni tanto morde, ma di solito è amichevole come un cucciolo. Sono solo bestie utilissime per tenere a freno la riproduzione degli insetti. E quello non era nulla rispetto ai ragni dei Territori del Nord, in cui vivo io. Le latrine all'aperto ne sono piene, e alcuni sono davvero pericolosi. Ho già dovuto aspirare via il veleno a un paio dei miei mandriani. Creaturine tremende, quei ragnetti dalla schiena rossa."
Kitty, con il cuore che le batteva ancora all'impazzata, stabilì che Drummond si divertiva un mondo a spaventarla.
"Là fuori la vita è diversa" disse lui come se le avesse letto nel pensiero. "È una questione di sopravvivenza. Ti rende più forte."
"Ne sono certa."
"Be', ti lascio riposare ancora, visto che sono solo le cinque e mezza." Le rivolse un cenno del capo e fece per uscire. "A proposito, signorina McBride, posso sapere se di solito dormi in sottoveste? Mia madre ne sarebbe sconvolta." Con un ghigno, Drummond uscì.
Tre ore dopo, davanti a una colazione a base di pane fresco e una deliziosa marmellata di fragole, la signora McCrombie tirò fuori un enorme pacco che consegnò a Kitty.
"Per te, mia cara" disse con un sorriso. "Tua madre mi ha chiesto di dartelo solo a Natale. So quanto ti manca casa, e spero che questo riesca a farti passare la nostalgia della Scozia."
"Oh…" Kitty prese il regalo. Aveva le lacrime agli occhi, ma riuscì a non piangere.
"Forza, bambina, aprilo! Me lo porto dietro da una vita e sono curiosissima di sapere cos'è."
"Non dovrei aspettare domani?" chiese Kitty.
"La tradizione tedesca prevede di aprire i regali alla vigilia" rispose Edith. "Anche se i nostri li apriamo al vespro. Forza, mia cara, apritelo."
Kitty strappò la carta marrone al colmo della felicità e tirò fuori vari oggetti: un barattolo dei famosi frollini di sua madre e nastri da parte delle sue sorelle, corredati da disegni e biglietti. Suo padre le aveva regalato un libro di preghiere rilegato in pelle, che Kitty rimise nella scatola senza neppure leggere la dedica.
Passò il resto della mattinata a fare faccende domestiche, mostrando alla cuoca di colore come stendere la pasta e riempirla con la carne macinata che la signora McCrombie si era portata dietro dalla Scozia. Quella sera il menù prevedeva anatra arrosto, e in dispensa era già pronto il tacchino per il banchetto di Natale. Nel caldo soffocante del pomeriggio Kitty rivolse pensieri d'amore alla sua famiglia, che in quel momento si stava svegliando, e in particolare alle sue sorelle, che dovevano essere emozionatissime. Era ancora frastornata per aver “alzato il gomito” il giorno prima, perciò andò a schiacciare un pisolino finché non la svegliarono bussando alla porta.
"Avanti" disse, ancora assonnata. Agnes entrò nella stanza con le braccia cariche di seta turchese.
"Lo manda la signora McCrombie, signorina. Un regalo di Natale, ha detto che dovete indossarlo stasera a cena."
Kitty guardò Agnes appendere l'abito davanti al guardaroba. Era il vestito più bello che avesse mai visto, ma temeva che alzando le braccia si sarebbe notato l'alone sotto le ascelle.
Alle cinque la famiglia si radunò in soggiorno, dove Kitty fu presentata alla famosa matriarca dei Mercer, nonna Alicia in persona. Non era come Kitty l'aveva immaginata. Non aveva lo sguardo di perenne disapprovazione tipico di Edith, e il suo viso paffuto e rugoso sembrava simpatico, con due occhietti azzurri che brillavano. Era un peccato, pensò Kitty, non poter conversare con lei, visto che Alicia parlava praticamente solo tedesco nonostante vivesse da anni ad Adelaide. Andrew tradusse le sue scuse per il pessimo inglese, ma il tocco gentile della mano bastò per far capire a Kitty che la matriarca le aveva dato il benvenuto in casa sua.
Si meravigliò nel constatare che i gemelli passavano senza problemi da una lingua all'altra. Era anche commossa che l'avessero inclusa nello scambio di regali. Edith e Stefan le avevano regalato un pettine d'avorio, Andrew dei delicati orecchini di perla e Drummond le porse un pacchetto con un biglietto scritto a mano.
Cara signorina McBride,
questo biglietto è per dirti che il vero regalo si trova sul fondo del guardaroba in camera tua. Prometto che non si tratta di un ragno vivo.
Drummond
Kitty guardò la sua espressione divertita, poi tirò fuori un nastro blu. "Grazie, Drummond. È un colore molto bello, lo userò stasera a cena per legarmi i capelli."
"Si abbina ai tuoi occhi" le sussurrò quando l'attenzione di tutti fu attratta dal regalo di Stefan a Edith.
"Mia cara, buon Natale." Stefan baciò la moglie sulle guance. "Spero che ti piaccia."
Nella scatola c'era una splendida perla, appesa a una delicata catenina d'argento. La superficie liscia e opalescente brillava agli ultimi raggi del sole calante.
"Santo cielo" mormorò Edith mentre la sorella gliela metteva al collo. "Ancora perle."
"Ma questa è speciale, mia cara. La migliore della pesca di quest'anno. Dico bene, Andrew?"
"Sì, padre. L'ha detto anche T.B. Ellies, madre. Quest'anno non ne hanno trovate di più grosse nelle acque al largo di Broome."
Kitty guardava rapita il luccichio di quel gioiello, poco sopra il petto esuberante di Edith. Era sbalordita sia dalle dimensioni di quella perla, sia dall'indifferenza con cui Edith l'aveva accolta.
"Vi piacciono le perle?" le chiese Andrew, seduto accanto a lei su una chaise longue coperta di velluto.
"Le adoro" rispose. "Sulle spiagge di Leith aprivo sempre tutte le ostriche sperando di trovarne una, ma ovviamente non è mai accaduto."
"No, dubito che sia possibile. Servono un clima particolare e un certo tipo di ostriche. Per non parlare poi di quanti anni impiegano a formarsi."
Dopo l'apertura dei regali si ritirarono tutti nelle loro stanze per cambiarsi prima di cena, e Kitty colse al volo l'occasione per scoprire cosa le aveva regalato Drummond. Conoscendolo, una bottiglia di whisky, o magari un ragno cacciatore morto e messo in cornice… Il pacchetto che trovò era talmente piccolo che le ci volle un po' a trovarlo sul fondo del guardaroba. Era una scatolina normale, legata con un semplice nastro. La aprì trepidante e vi trovò dentro una piccola pietra grigia.
La prese in mano e sentì che era fredda. Non capiva che razza di regalo fosse. Era un semplicissimo ciottolo che avrebbe potuto trovare sulle spiagge di Leith, grigio e senza nessuna striatura particolare.
Ma quando lo girò vide che dall'altro lato era inciso. Con gran sorpresa, passò un dito su quei segni, creati dal tempo e dall'usura, ma non riuscì a individuare parole intelligibili.
Lo ripose nel comodino accanto al letto, sentendosi meschina per aver pensato male del regalo di Drummond, poi chiamò Agnes per farsi aiutare a indossare il vestito nuovo e chiudere i piccoli bottoni di madreperla che correvano dal fondoschiena fino al collo. Il caldo era insopportabile e si sentiva strizzata come un tacchino di Natale, ma quando si guardò allo specchio dimenticò ogni disagio. La seta risplendeva di un delicato color turchese, perfettamente intonato ai suoi occhi. Agnes le legò i capelli con il nastro che le aveva regalato Drummond, poi Kitty si tamponò le guance con un po' di belletto e scese di sotto per unirsi agli altri.
"Bene, bene, hai proprio un bell'aspetto questa sera, signorina McBride" disse la signora McCrombie con l'aria orgogliosa di una madre. "Ho capito che quel colore sarebbe stato perfetto per te appena l'ho visto."
"Grazie infinite, signora McCrombie. È il più bel regalo che abbia mai ricevuto" rispose Kitty. In quel momento suonò il campanello; erano arrivati altri ospiti. Lei e la signora McCrombie andarono in soggiorno per unirsi agli altri.
"Il più bel regalo, eh?" disse una voce alle sue spalle. "Ti è piaciuto, a quanto vedo."
Era Drummond in abito da sera.
"L'ho detto solo per essere gentile. Grazie del nastro… e della pietra, ma devo confessarti che non ho idea di cosa sia."
"Quella, mia cara signorina McBride, è una pietra molto rara e preziosa. Si chiama tjurunga, e un tempo apparteneva a un nativo della tribù aborigena degli Arrernte. Era il suo bene più caro, ricevuto in dono al momento dell'iniziazione all'età adulta come simbolo delle sue responsabilità."
"Cielo" sussurrò Kitty. Poi strinse le palpebre. "Non l'hai rubata, vero?"
"Per chi diamine mi hai preso? No, l'ho trovata qualche settimana fa nell'Outback, mentre tornavo dal ranch. Ho dormito in una caverna, era abbandonata lì."
"Spero che la persona cui apparteneva non ne senta la mancanza."
"Sono sicuro che è morto da tempo, e non credo si lamenterà. Dunque, signorina McBride" Drummond prese due bicchieri dal vassoio di un cameriere di passaggio, "posso offrirvi un po' di sherry?"
Kitty gli vide negli occhi una luce divertita e rifiutò. "No, grazie."
"Devo ammettere che ti sei combinata piuttosto bene stasera" disse buttando giù il suo sherry in un solo sorso. "Buon Natale, Kitty" disse piano. "Finora è stata una vera… avventura fare la tua conoscenza."
"Signorina McBride…"
Kitty si voltò e si ritrovò accanto Andrew. Trovava davvero sconcertante stare nella stessa stanza con due gemelli identici; le pareva di vederci doppio.
"Buonasera, Andrew, e grazie dei bellissimi orecchini. Me li sono messi subito."
"Sono lieto di vedere che si intonano perfettamente al vostro vestito. Posso offrirvi un po' di sherry per brindare in onore del Natale? Happy Yuletide!"
"La signorina McBride è astemia. Non beve mai, vero?" disse Drummond.
Poi si allontanò, e Kitty si chiese quanto ci avrebbe messo a togliergli dalla faccia a suon di schiaffi quel sorrisetto compiaciuto. Gli ospiti si riunirono in sala da pranzo, dove li attendeva un sontuoso banchetto: anatra arrosto, le tradizionali patate al forno e perfino l'haggis che la signora McCrombie aveva portato dalla Scozia. A giudicare dai bei vestiti e dai gioielli che sfoggiavano i commensali, Kitty capì che stava passando il Natale con la crème de la crème dell'alta società di Adelaide. Un distinto signore tedesco, che si esprimeva perfettamente in inglese, era seduto alla sua destra, e le parlò della sua azienda vinicola e delle vigne, che a quanto pareva prosperavano sulle colline intorno alla città.
"Il clima è simile a quello della Francia meridionale, e l'uva cresce molto bene. Vedrete, tra qualche anno tutto il mondo acquisterà il vino australiano. Questo, ad esempio" disse mostrandole una bottiglia "è uno dei nostri. Posso tentarvi con un sorso?"
"No, signore, vi ringrazio" disse piano per non farsi sentire da Drummond seduto di fronte a lei.
Al termine della cena tutti si radunarono intorno al pianoforte per cantare Stille Nacht, seguito poi dai canti natalizi tradizionali della Gran Bretagna. Alla fine, Edith, che aveva già mostrato un talento sorprendente come pianista, si rivolse al figlio maggiore: "Andrew, canteresti per noi?".
Gli invitati applaudirono educatamente per convincerlo.
"Perdonatemi, signore e signori, sono un po' arrugginito. Come potete immaginare non mi capita spesso di esibirmi, su a Broome" disse Andrew. "Canterò “Ev'ry Valley”, dal Messiah di Händel."
"E io farò del mio meglio per accompagnarlo" disse Edith.
"Santo cielo, che voce" mormorò l'imprenditore vinicolo quando Andrew ebbe finito. Tutti applaudirono fragorosamente. "Avrebbe potuto cantare per professione, ma la vita – e suo padre – avevano altri piani. L'Australia è questa" aggiunse. "Piena di pecore, bestiame e gente ricca sfondata, ma senza un briciolo di cultura. Ma un giorno il nostro Paese cambierà, ve l'assicuro."
Erano ormai le undici e gli ospiti furono accompagnati alle loro carrozze; sarebbero andati in centro per assistere alla messa di mezzanotte.
La cattedrale di San Pietro era imponente e decorata con intricate spirali gotiche che sembravano ergersi fino al cielo. Dalle finestre di vetro colorato giungeva la luce fioca delle candele. Drummond accompagnò la madre e la zia all'interno, mentre Andrew aiutò Kitty a scendere dalla carrozza.
"Avete una voce bellissima" gli disse.
"Grazie. Me lo dicono tutti, ma forse non si dà mai valore a ciò che ci viene naturale. E a dire il vero, a parte intrattenere gli ospiti dei miei genitori in occasioni come questa, non mi serve a un granché" commentò Andrew seguendo la folla sulle scale della cattedrale.
L'interno era impressionante come la facciata. Gli alti archi incorniciavano le file degli inginocchiatoi. Per la funzione, che suo padre avrebbe definito “dell'alto clero”, era stato acceso dell'incenso profumato e i religiosi indossavano le vesti dai fili d'oro che Ralph dileggiava sempre senza risparmiarsi. Kitty andò a prendere la comunione, inginocchiandosi davanti all'altare tra i fratelli Mercer. Almeno, pensò, non era costretta a tenere le dita dei piedi in tensione per il freddo, come invece faceva sempre nella chiesa di suo padre a Leith.
"Vi è piaciuto? So che non è a questo che siete abituata" le chiese Andrew quando uscirono.
"Sono dell'idea che al Signore non importi dove lo si venera, o come, fintanto che si esalta il Suo nome" rispose con tatto Kitty.
"Se un Dio esiste. Cosa di cui, personalmente, dubito" commentò Drummond alle sue spalle.
Più tardi, quando poté ritirarsi nella sua stanza, Kitty controllò che la portafinestra fosse ben chiusa e setacciò il soffitto e gli angoli della stanza alla ricerca di qualche mostro a otto zampe. Quando finalmente si mise a letto, stabilì che la giornata era stata molto, molto interessante.
10
Tra Natale e Hogmanay, o “ultimo dell'anno”, come lo chiamavano lì, vennero organizzate alcune brevi gite per tenere impegnati i residenti di Alicia Hall. Fecero un picnic a Elder Park dove un'orchestrina si esibiva sul palco, e il giorno successivo andarono allo zoo di Adelaide. Mentre Kitty guardava con stupore gli animali, come gli opossum dai grandi occhi e gli adorabili koala, Drummond la convinse a seguirlo nel rettilario, dove le mostrò un'ampia varietà di serpenti. Fu molto preciso nello specificare quali fossero velenosi e quali no.
"I pitoni sono innocui, anche se possono farti passare un brutto quarto d'ora se li calpesti per sbaglio. I più velenosi sono quelli marroni, ed è difficile notarli sul terreno. E anche" proseguì indicando una teca "quello a strisce avvolto a quel ramo laggiù. Quello è un serpente tigre, e se ti morde sono guai. Però i serpenti attaccano soltanto se sei tu a disturbarli per primo" chiarì.
Drummond propose a Kitty di fare un giro sul dorso di un elefante, il fiore all'occhiello dello zoo di Adelaide. Venne fatta salire senza troppi complimenti sull'imponente bestia grigia; lassù si sentiva proprio come l'indiana Maharani, di cui aveva visto molte fotografie in un libro.
"Aspetta solo di salire su un cammello. Lì sì che si balla" le gridò Drummond dal basso.
Quella sera Kitty appena arrivata a casa scrisse immediatamente alla sua famiglia, per raccontare che aveva cavalcato un elefante.
Arrivò la vigilia di Capodanno e le dissero che ogni anno Edith organizzava una grande festa.
"Ogni volta ci sottopone a questa tortura" gemette Drummond a colazione. "Ci costringe a mettere il tartan."
"Cosa che a Edimburgo fanno tutto l'anno" ribatté Kitty.
"È proprio questo il punto, signorina McBride. Io sono nato e cresciuto in Australia e non ho mai messo piede in Scozia in vita mia, e non ho neanche intenzione di farlo se è per questo. Se i ragazzi del ranch sapessero che sono andato in giro con un gonnellino, come le femmine, non mi darebbero pace."
"Non è certo un grosso sacrificio per far piacere a nostra madre, suvvia" intervenne Andrew. "Ricordati, lei in Scozia ci è nata, e le manca. E poi sono sicuro che piacerà anche alla signorina McBride."
"Non pensavo di dover portare il tartan del mio clan…"
"Sono certo che nostra madre potrà prestarvene uno. Ha un guardaroba pieno zeppo di gonnellini. Scusatemi." Drummond si alzò. "Ho delle cose da fare in città prima di partire per l'Europa."
"Tuo fratello va in Europa?" chiese Kitty a Andrew quando Drummond fu uscito.
"Sì, domani, con nostro padre" rispose. "Drummond vuole comprare dei capi di bestiame. Ne ha persi molti, quest'anno, per la siccità e per le lance degli indigeni, e nostro padre ha delle magnifiche perle da vendere e non vuole delegare nessuno. E poi, su al nord è stagione delle piogge, non è un bel posto in questo periodo. I trabaccoli a Broome sono tutti in porto, troppi cicloni. Presto tornerò lì a pilotare la barca, per così dire. Ci ho messo tre anni a imparare i segreti del mestiere da mio padre e d'ora in avanti toccherà a me occuparmi dell'azienda; così lui potrà stare un po' a casa ed eviterà che nostra madre chieda il divorzio" concluse con un sorriso.
"Ricordo che ha detto di non aver mai amato Broome."
"Dieci anni fa, quando ci viveva, lassù era dura per una donna, ma con il fiorire dell'industria delle perle è cresciuta anche la città. E con una popolazione così eterogenea, di certo non ci si annoia. Personalmente la trovo entusiasmante. E credo che anche a te piacerebbe, perché hai uno spirito avventuroso."
"Davvero?"
"Secondo me sì. E ho l'impressione che non ti piaccia giudicare il prossimo basandoti solo sull'apparenza."
"Mio padre e la Bibbia" aggiunse in fretta "dicono che non bisogna mai giudicare dalla fede o dal colore, ma dall'anima."
"Sì, signorina McBride. È curioso, vero? Chi si considera un vero cristiano poi si comporta in modo diametralmente opposto…" disse, poi si ritirò in un silenzio imbarazzato.
"Be'" disse Kitty alzandosi. "Devo andare a cercare tua madre per aiutarla con i preparativi per la festa di stasera."
"È gentile da parte tua, ma dubito che ne abbia bisogno. Come ogni cosa di cui si occupa, farà funzionare tutto come una macchina ben oliata."
Quella sera Kitty indossò di nuovo l'abito turchese che Agnes aveva lavato a secco per togliere tutte le macchie. D'un tratto bussarono alla porta: entrò la signora McCrombie con un lembo di stoffa tra le braccia.
"Buonasera, mia cara. Ecco la tua fascia per i festeggiamenti di stasera. Da parte mia e del mio povero marito. Sarò fiera di vederti indossare il tartan dei McCrombie. Nelle ultime settimane ho imparato ad amarti come una figlia."
"Io… grazie infinite, signora McCrombie." Kitty era commossa. "Siete stata davvero gentile con me."
"Posso avere l'onore di mettertelo?"
"Ma certo. Grazie."
"Sai" disse la signora McCrombie avvolgendo il tartan intorno alla spalla destra di Kitty, "è stato davvero bello vederti rifiorire da quando abbiamo lasciato Edimburgo. La prima volta quando ti ho incontrata, eri proprio bruttina. Ma adesso guardati!" La donna assicurò la fascia alla spalla di Kitty con una delicata spilla a forma di cardo. "Accidenti, sei una vera bellezza, fai onore alla tua famiglia. Saresti una moglie di cui qualsiasi uomo andrebbe fiero."
"Sul serio…?" rispose Kitty mentre veniva condotta verso lo specchio.
"Guardati, Katherine McBride: con le tue fiere origini scozzesi, il tuo cervello acuto e il tuo bel fisico. Oh, quanto mi diverte vedere i miei nipoti competere per le tue attenzioni." La signora McCrombie ridacchiò e Kitty capì che aveva già attinto alla bottiglia di whisky.
"Perciò" proseguì "mi sono chiesta: quale dei due sceglierà? Sono così diversi. Mia cara, hai già deciso quale gemello sarà?"
Visto che non aveva mai neanche osato credere che uno dei due la considerasse nulla più che un divertimento (Drummond) o una sorella minore (Andrew), Kitty rispose in totale sincerità.
"Davvero, signora McCrombie, sono certa che vi sbagliate. I Mercer sono una delle famiglie più potenti di Adelaide, è evidente…"
"… forse di tutta l'Australia" aggiunse lei.
"Sì, e io sono la povera figlia di un prete di Leith, non potrei mai considerarmi all'altezza di nessuno dei due. O della loro famiglia…"
Fu salvata dal suono del campanello.
"Be', mia cara" disse la signora McCrombie abbracciandola forte. "Stiamo a vedere cosa succede, d'accordo? E nel caso non riesca ad augurarti un felice 1907, più tardi, lo faccio adesso. Perché so che sarà uno splendido anno."
La signora McCrombie uscì dalla stanza. Appena la porta fu chiusa, Kitty si abbandonò a sedere sul letto, sollevata e confusa allo stesso tempo.
Se c'era una cosa in cui Kitty sapeva di eccellere, era il ballo del reel scozzese. Sua madre l'aveva insegnato a lei e alle sue sorelle, sia perché Adele adorava ballare, ma principalmente perché non c'era molto altro da fare durante le lunghe serate invernali a Leith. E poi, così si scaldavano un po'.
E senza dubbio, pensò Kitty mentre ballava il Duke of Perth, ballare stasera di sicuro mi scalda. Invidiava gli uomini, che almeno si potevano concedere il lusso di stare a gambe nude con i loro kilt, mentre lei, con il suo vestito di seta sopra il corsetto e con il pesante tartan sulla spalla, sudava le proverbiali sette camicie. Ma quella sera non le importava, e così ballò un reel dopo l'altro con numerosi partner finché alla fine, poco prima di mezzanotte, si sedette a riposare; Andrew le portò una coppa di punch alla frutta per farla dissetare.
"Cielo, signorina McBride, stasera ci hai mostrato un altro aspetto della tua personalità. Sei una ballerina provetta."
"Grazie" disse ancora ansante. Pregava che Andrew non si avvicinasse troppo, perché era sicura di non emettere un buon odore.
Pochi minuti più tardi fu accompagnata all'ingresso con gli altri ospiti, per osservare la vecchia tradizione scozzese che prevedeva di accogliere sulla soglia la prima persona che fosse entrata in casa a mezzanotte. Radunati intorno all'albero di Natale, che ormai stava iniziando a perdere gli aghi, Kitty finì per mettersi accanto a Andrew.
"Meno dieci!" gridò Stefan da chissà dove, e gli ospiti iniziarono il conto alla rovescia finché tutti esultarono e si augurarono a vicenda buon anno.
Kitty si ritrovò improvvisamente stretta nell'abbraccio di Andrew.
"Buon anno, signorina McBride. Volevo chiederti…"
Kitty vide che aveva un'espressione ansiosa. "Sì?"
"Sei d'accordo se ti chiamo Kitty, d'ora in poi?"
"Sì, ma certo."
"Be', spero che nel 1907 la nostra… amicizia possa continuare… cioè, io, Kitty…"
"Buon anno, ragazzo mio!" Stefan si intromise dando una pacca sulla schiena al figlio. "Non ho alcun dubbio che mi renderai fiero di te, su a Broome."
"Farò del mio meglio, padre" rispose Andrew.
"E buon anno anche a voi, signorina McBride. Siete stata un'aggiunta deliziosa alla nostra famiglia, questo Natale." Si chinò per baciare Kitty sulle guance, solleticandole la pelle con i baffi a manubrio. "Speriamo tutti che vogliate prolungare il vostro soggiorno qui in Australia, dico bene, ragazzo?" Stefan fece l'occhiolino al figlio e si allontanò per il consueto giro di auguri.
Andrew si scusò in tutta fretta e andò a cercare sua madre, mentre Kitty uscì in veranda per prendere una boccata d'aria fresca.
Appena fuori, si sentì afferrare da dietro da un paio di braccia forti che la fecero vorticare su se stessa.
"Buon anno, signorina McBride, Kitty… Ti sta bene questo soprannome, è un po' felino, adatto a te, così leggiadra e, sospetto, anche più intelligente di quanto la gente creda. In sostanza, ritengo tu sia una sopravvissuta."
"Ah sì?" A Kitty girava la testa e dovette reggersi alla balaustra. Alzò lo sguardo su Drummond. "Sei ubriaco?"
"Ah, ah! Suona strano detto da te, signorina Kitty. Forse un po', ma in molti dicono che sono simpatico quando bevo. Senti, devo dirti una cosa."
"Che cosa?"
"Sai bene quanto me che si stanno formulando dei piani per fare in modo che tu entri a far parte della nostra famiglia in modo permanente."
"Ma…"
"Non fingere di non sapere di cosa parlo. È evidente che Andrew è innamorato di te. Ho perfino sentito i miei che ne parlavano. Mio padre è entusiasta, mia madre un po' meno, chissà per quale ridicolo motivo da donne. Ma dato che in questa casa è mio padre che comanda, sono sicuro che non manchi molto all'arrivo di una proposta di matrimonio."
"Posso assicurarti che questo pensiero non mi ha neanche sfiorata."
"Allora sei piena di falsa modestia, oppure più stupida di quanto pensassi. Naturalmente Andrew è il maggiore, perciò ha diritto a chiedertelo per primo, ma nell'attesa che tu decida volevo che tu sapessi che, per essere una donna, hai un mucchio di qualità che ammiro molto. E…"
Per la prima volta da quando lo conosceva, Kitty vide l'incertezza negli occhi di Drummond.
"Il fatto è…" La strinse tra le braccia e la baciò con forza sulle labbra. Forse per lo shock, o per il piacere, Kitty non oppose resistenza, e il suo corpo si sciolse come una noce di burro sotto il sole australiano.
"Ecco" disse alla fine Drummond quando allentò la stretta. Poi si chinò a sussurrarle all'orecchio: "Ricordati, mio fratello può offrirti sicurezza, ma con me avrai l'avventura. Giurami solo che non prenderai una decisione prima che io sia tornato dall'Europa. Ora vado all'Edinburgh Castle a festeggiare fino all'alba con i miei amici. Buonanotte, Kitty".
Con un cenno della mano Drummond si congedò, lasciandola sola in veranda. Kitty sentì il rumore del carro che si allontanava e si portò con cautela le dita alle labbra. E rivisse ogni secondo di piacere che aveva provato.
Il mattino successivo Drummond non si fece vedere; era andato al porto a controllare le operazioni di carico della nave. Kitty consegnò a Stefan Mercer le lettere per la sua famiglia, che sarebbero state imbucate non appena fossero arrivati in Europa.
"In realtà" le disse facendole l'occhiolino, "potrei anche consegnarle di persona. Arrivederci, mia cara." Le diede un bacio sulle guance e poi, sotto gli sguardi di tutti gli abitanti della casa usciti a salutarlo, salì a cassetta e partì.
Kitty consumò la colazione da sola con Andrew, dato che la signora McCrombie aveva deciso di farsela portare in camera ed Edith era andata al porto per salutare il marito e il figlio. Per quello che le avevano detto la sera prima, Kitty si sentiva a disagio con Andrew, che sembrava insolitamente silenzioso.
"Signorina McBride…" esordì alla fine.
"Ti prego, Andrew, avevamo deciso che mi avresti chiamata Kitty."
"Ma certo. Kitty, ti piace cavalcare?"
"Sì, o meglio, mi piaceva. Ho imparato da piccola, quando andavamo a trovare i miei nonni nel Dumfriesshire. Avevano dei pony piuttosto selvaggi, che provenivano dalle brughiere; mi hanno disarcionata diverse volte. Perché me lo chiedi?"
"Pensavo solo che non c'è niente di meglio di una galoppata per riprendersi dopo i bagordi di ieri. Abbiamo una villetta sulle colline intorno ad Adelaide, con una piccola stalla. Che ne dici se ci andiamo? Fa un po' più fresco, oggi, e penso che ti piacerà. Mia madre ha acconsentito che ti faccia da accompagnatore."
Arrivarono alla villetta dei Mercer due ore più tardi. Kitty non si aspettava niente di più di un semplice cottage di campagna, ma si accorse con stupore che si trattava in realtà di una vera e propria villa a un piano, circondata da un rigoglioso giardino e da vigne. Girò su se stessa per osservare le colline verdi tutto intorno. Le ricordava un po' le Lowlands scozzesi.
"È bellissima" mormorò.
"Sono felice che ti piaccia. Vieni, ti mostro le stalle."
Mezz'ora più tardi partirono per una cavalcata. Percorsero la valle al trotto, e dopo un po' Kitty azzardò un cauto galoppo. Andrew le andò dietro e insieme cavalcarono ridendo, godendosi l'aria fresca che sferzava loro il viso e la campagna verdeggiante tutto intorno.
Quando tornarono alla villetta, Kitty vide che sul tavolo in veranda era già pronto un pranzo leggero.
"Ha un aspetto delizioso" disse, ancora ansimante per la cavalcata. Si lasciò cadere su una sedia e, senza indugiare, addentò una fetta di pane ancora caldo.
"C'è anche del cordiale fresco al limone" disse Andrew.
"Chi ha preparato tutto questo?"
"La domestica. Vive qui tutto l'anno."
"Anche se, come hai detto prima, ci venite raramente?"
"Sì. Nostro padre è molto ricco, e ho intenzione di diventarlo anch'io."
"Sono sicura che ci riuscirai" disse Kitty dopo un attimo.
"Certo" rispose lui, rendendosi conto di aver commesso un errore. "Non è il mio obiettivo principale, ma il denaro aiuta, specialmente qui in Australia."
"Aiuta ovunque, ma credo davvero che non possa comprare la felicità."
"Non potrei essere più d'accordo, Kitty. La famiglia e… l'amore, solo questo conta."
Mangiarono in silenzio: Kitty era rapita da quel paesaggio magnifico e cercava di non pensare al probabile motivo di quella breve gita.
"Kitty…" Fu Andrew a rompere gli indugi, alla fine. "Forse sai già perché ti ho portata qui."
"Per mostrarmi il paesaggio?" rispose lei, ma suonò ingenua alle sue stesse orecchie.
"Per quello e… Non sarà certo una sorpresa per te sapere quanto… negli ultimi dieci giorni, mi sia sentito legato a te."
"Oh, sono certa che non lo diresti se mi conoscessi da più tempo, Andrew."
"Ne dubito, Kitty. Come al solito, fai la modesta. Ho parlato a lungo con mia zia, una donna che ti conosce da sempre, e non ha saputo trovare un solo aspetto negativo in te. Ai suoi occhi, così come ai miei, sei perfetta. E, ora che ho comunicato sia a mio padre sia a mia madre le mie intenzioni, e dato che entrambi sono d'accordo…"
A quelle parole Andrew si alzò e si inginocchiò davanti a Kitty. "Katherine McBride, vuoi concedermi l'onore di diventare mia moglie?"
"Santo cielo!" disse Kitty dopo una pausa che le sembrò adeguata, sperando di mostrarsi ignara di quella proposta. "Sono scioccata. Non avrei mai creduto…"
"Questo perché sei la persona che sei, Kitty. Una ragazza… una donna, anzi, che non sa riconoscere la propria bellezza, sia interiore che esteriore. Sei bellissima, Kitty, e dal primo momento che ti ho vista ho desiderato prenderti in moglie."
"Davvero?"
"Sì. Non mi definirei un tipo romantico, ma…" Andrew arrossì. "È stato davvero amore a prima vista. E poi" disse ridacchiando "ho capito di non essermi sbagliato quando hai mostrato tanto entusiasmo per l'impronta di dinosauro di Broome, quella di cui ti ho parlato. Gran parte delle ragazze non sa nemmeno cosa sia un dinosauro, figurarsi se provano interesse per le impronte fossili. Allora, che cosa rispondi?"
Kitty guardò Andrew, il suo viso era indubbiamente bello, poi alzò lo sguardo e osservò la meravigliosa tenuta che quell'uomo avrebbe ereditato. I suoi pensieri la riportarono a Leith, a suo padre, una persona che diceva di adorarla ma, per quello che aveva scoperto, l'aveva spedita dall'altra parte del mondo.
"Io…"
Un demone nella sua mente le fece comparire un'immagine vivida di Drummond, e tutti i ricordi legati a lui. Il modo in cui la derideva, il fatto che la trattasse più come una sua pari che come una bambolina di porcellana; ripensava a come l'aveva fatta ridere suo malgrado… e soprattutto, a cosa aveva provato quando l'aveva baciata, appena poche ore prima.
La domanda era: Drummond tirava fuori il meglio o il peggio di lei? Non lo sapeva ancora, ma in ogni caso quando era con lui si sentiva una persona diversa.
"Ti prego, mi rendo conto che tu sia turbata. In fondo ci conosciamo da pochissimo" disse Andrew. "Ma devo tornare a Broome, a febbraio o marzo, e come mi ha fatto notare mia madre, c'è poco tempo per organizzare il matrimonio. Non voglio metterti fretta, ma…"
Andrew si interruppe e Kitty pensò a quanto fosse dolce.
"Posso avere un po' di tempo per pensarci? Credevo di dover tornare a casa, in Scozia, dalla mia famiglia. Sposarti significherebbe… be', rimanere qui. Per il resto della vita. Insieme a te."
"Carissima Kitty, capisco perfettamente. Prenditi tutto il tempo di cui hai bisogno. Zia Florence mi ha detto che sei molto legata ai tuoi familiari e immagino che grande sacrificio sarebbe, per te, accettare di sposarmi. E poi, almeno per un anno, dovresti vivere a Broome."
"Un posto che tua madre detesta."
"Un posto che credo imparerai ad amare. È cambiato molto dall'ultima volta che mia madre si è degnata di venirci. Broome è viva, Kitty, le navi che arrivano ogni giorno da tutto il mondo portano beni di lusso e oggetti preziosi che ti sembreranno incredibili." Poi aggiunse: "È una società grezza, dove certe regole del normale vivere sociale ancora non esistono. Ma ciò nonostante sono sicuro che a te piacerebbe moltissimo, semplicemente per via del tuo carattere obiettivo e generoso. Bisogna che mi alzi prima che mi si spezzino le ginocchia." Andrew si alzò e prese le mani di Kitty. "Di quanto tempo hai bisogno?"
"Qualche giorno?"
"Ma certo. Da questo momento in poi" disse baciandole le mani, "ti lascerò in pace."
Nei tre giorni che seguirono Kitty cercò di venire a capo di quella situazione parlando con se stessa, con un magnifico pappagallino che viveva in giardino e, ovviamente, con Dio. Nessuno però fu in grado di darle consigli utili sull'argomento. Avrebbe tanto voluto approfittare della saggezza di sua madre, che l'avrebbe consigliata solo e unicamente per il suo bene.
Ma sarebbe stato davvero così? si chiese Kitty mentre camminava avanti e indietro in camera sua. Si rese conto che forse Adele l'avrebbe convinta a sposarsi immediatamente, visto che oltre a essere bello, Andrew apparteneva a una famiglia ricca.
Il quadro della situazione era ben delineato: Kitty aveva sempre saputo di doversi inevitabilmente sposare, prima o poi, una volta compiuti diciotto anni, anche se quella possibilità le era sembrata molto remota. Ora invece… La domanda che continuava a ripetersi era se fosse necessario amare il futuro marito, amarlo dal primo istante. O se all'inizio l'emozione del fidanzamento non fosse subordinata a meccanismi più pragmatici, come la consapevolezza di essere stata scelta tra un esercito di potenziali mogli – lei, una ragazza povera – da un uomo che le avrebbe assicurato un futuro agiato. Forse l'amore sarebbe sbocciato condividendo tanti momenti di una vita che un giorno avrebbe incluso anche una famiglia.
Kitty era anche sicura che, se i Mercer fossero stati a conoscenza delle condizioni in cui versava la sua famiglia, non l'avrebbero considerata una moglie degna per il loro primogenito e avrebbero guardato quel matrimonio con occhi diversi. Tuttavia non erano a Edimburgo, ma in Australia, dove lei, come chiunque altro vi fosse sbarcato, aveva il potere di reinventarsi ed essere un'altra persona.
Che futuro la aspettava in Scozia? Se fosse stata fortunata avrebbe sposato Angus e vissuto come moglie di un uomo di chiesa, una vita per nulla diversa da quella che aveva condotto fino a quel momento. Forse addirittura più difficile.
A dispetto delle parole di Drummond, che le aveva promesso “avventura”, Kitty si rese conto che per lei sarebbe stata già un'avventura sposarsi con Andrew e seguirlo a nord, attraverso quella sterminata distesa di terra sconosciuta…
Eppure… il modo in cui il suo corpo si era sciolto quando Drummond l'aveva baciata… Quando Andrew le aveva preso le mani e gliele aveva baciate non era stato spiacevole, ma…
Alla fine, esausta per quelle riflessioni, Kitty decise di andare dalla signora McCrombie. Per quanto fosse di parte, era l'unico volto familiare su cui potesse contare al momento.
Scelse un frangente in cui Edith era fuori in visita ad alcune amiche. Presero il tè insieme e la signora McCrombie ascoltò Kitty riversarle addosso tutti i dubbi di cui era preda.
"Bene, bene." La signora McCrombie inarcò un sopracciglio, senza mostrare piacere né disgusto, con grande sorpresa di Kitty. "Sapevo che sarebbe successo, mia cara, e ti comprendo. Perché sappiamo entrambe che la tua decisione, qualunque sarà, avrà un effetto irrevocabile sul tuo futuro."
"Sì."
"Quanto ti manca Edimburgo?"
"Mi manca la mia famiglia."
"Ma non la città?"
"Quando il sole è implacabile rimpiango il freddo, ma finora quel poco che ho visto dell'Australia mi piace. È una terra di infinite possibilità, dove può succedere di tutto."
"Nel bene o nel male" ribatté la signora McCrombie. "Mia cara, dal mio punto di vista posso solo ripeterti quello che ti ho detto a Capodanno. Sei fiorita da quando sei arrivata qui. Credo che l'Australia ti faccia bene, che sia il posto giusto per te."
"Mi sento decisamente più libera" azzardò Kitty.
"Tuttavia, se dovessi sposare Andrew, dovrai rassegnarti a non rivedere la tua famiglia per anni. Anche se, mia cara, non dubito che te ne formerai una tua. È il progredire naturale delle cose, che tu viva a Edimburgo o in Australia. In un modo o nell'altro, quando una donna si sposa, la sua vita cambia. E Andrew? Ti piace?"
"Sì, molto. È gentile, premuroso e intelligente. E a quanto mi ha detto, è uno che lavora senza sosta."
"Indubbiamente" concesse la signora McCrombie. "Sebbene, a uno sguardo esterno, essere il figlio di un uomo straordinariamente ricco ha i suoi lati negativi. Deve dimostrare sia a Stefan sia a se stesso di essere all'altezza. A differenza di Drummond, che per un fatto di nascita non è gravato dalle stesse responsabilità. Non è l'erede al trono dei Mercer, mi capisci?" disse ridacchiando la signora McCrombie. "Posso chiederti, Kitty… Drummond ti ha… parlato prima di partire per l'Europa?"
"Sì." Kitty decise che non era il momento di nascondere qualcosa. "Mi ha chiesto di aspettarlo."
"Lo immaginavo. Non riusciva a toglierti gli occhi di dosso. E tutte quelle sciocche prese di giro… un modo infantile di attirare la tua attenzione. E tu che cosa gli hai detto?"
"Gli ho detto… nulla. Poi se n'è andato e non l'ho più rivisto prima che si imbarcasse per l'Europa."
"Che peccato. Be', non voglio certo trattarti con condiscendenza elencandoti i pregi e i difetti dei miei due nipoti, ma Kitty cara, posso dirti solo che quando una donna decide di impegnarsi in un matrimonio, dal futuro sposo deve aspettarsi qualcosa di molto diverso da ciò che potrebbe aver sognato da ragazzina. Mi riferisco a stabilità economica, sicurezza – specialmente in un Paese come questo – e affidabilità, fondamentali per sentirsi protette. Devi avere accanto una persona che rispetti e sì, prima che tu me lo chieda, l'amore può nascere. E non ho dubbi che Andrew ti ami già."
"Grazie, signora McCrombie, per i vostri saggi consigli. Rifletterò su quanto mi avete detto. E devo farlo in fretta, perché non ho molto tempo."
"È stato un piacere, Kitty. Nulla mi renderebbe più felice che essere ufficialmente imparentata con te, ma è una decisione tua. Ricordati solo che Andrew ti sta offrendo non solo il suo amore, ma una vita completamente nuova, dalla quale sarai solo tu a dover capire cosa vuoi."
Più tardi, quel giorno, Andrew arrivò a casa con il carro e Kitty scese di sotto per accoglierlo sulla porta e comunicargli la sua decisione, prima di cambiare idea.
"Andrew, posso parlarti?" Lui si girò a guardarla, e Kitty capì che cercava di intuire il responso studiando la sua espressione.
"Certo. Andiamo in soggiorno."
Kitty notò la tensione che lo attanagliava quando si sedette.
"Andrew, perdonami se mi sono presa un po' di tempo per riflettere sulla tua proposta. Come sai è una decisione importantissima. Tuttavia ho deciso, e sarei onorata di diventare tua moglie, purché mio padre dia la sua benedizione alla nostra unione." Kitty tacque, senza fiato, e guardò Andrew. Non sembrava felice come si era immaginata.
"Andrew, hai cambiato idea, per caso?"
"Io… no. Cioè… ne sei assolutamente sicura?"
"Ne sono assolutamente sicura."
"Nessuno ti ha fatto pressioni?"
"No!" Ora che gli aveva dato la sua risposta, Andrew sembrava interrogarla sul motivo per cui ci avesse messo tanto.
"Io… be', ho creduto che ti stessi preparando a dirmi di no. Che magari ci fosse qualcun altro."
"Giuro che non c'è nessuno."
"Bene, allora, quindi…"
Kitty vide il sollievo negli occhi di Andrew.
"Santo cielo! Questo mi rende l'uomo più felice del mondo! Scriverò immediatamente a tuo padre per chiedere il suo permesso, ma… è un problema se gli mando un telegramma? Come sai le lettere ci impiegano tantissimo ad arrivare, e il tempo è fondamentale. E dovrò mandarne uno anche a mio padre per dirgli di andare a trovare i tuoi genitori, visto che si trova in Europa." Andrew parlava senza riprendere fiato e camminava avanti e indietro per il salotto con fare esultante. "Spero che tuo padre sia disposto ad affidare a me la sua adorata figlia. Conosce la mia famiglia tramite mia zia, ovviamente." Andrew si fermò e le prese le mani. "Te lo giuro adesso, Katherine McBride: ti amerò e ti darò solo il meglio per il resto della vita."
Kitty annuì e chiuse gli occhi mentre lui la baciava delicatamente sulle labbra.
Due giorni dopo Andrew mostrò a Kitty il telegramma che era appena arrivato.
ANDREW STOP FELICE DI DARE MIA BENEDIZIONE A MATRIMONIO CON MIA FIGLIA STOP TANTO AFFETTO PER TE E KATHERINE STOP MADRE E FAMIGLIA MANDANO CONGRATULAZIONI A ENTRAMBI STOP RALPH STOP
"Il verdetto finale!" esclamò Andrew giubilante. "Ora possiamo annunciarlo al mondo e iniziare i preparativi per il matrimonio. Magari non sarà una cerimonia sontuosa come vorresti, dato il poco tempo a disposizione, ma mia madre conosce tutte le persone giuste qui ad Adelaide e sicuramente saprà fare in modo che tu abbia un vestito magnifico, come minimo."
"Davvero, Andrew, non mi importano queste cose…"
"Lo so, ma questo matrimonio è importante per mia madre. Stasera lo diremo a lei e a zia Florence."
Kitty annuì, poi si voltò e salì di sopra, consapevole di avere gli occhi pieni di lacrime. Quando arrivò nella sua stanza si buttò sul letto e cominciò a singhiozzare, perché aveva avuto conferma di ciò che sospettava su suo padre: che non vedeva l'ora di liberarsi di lei.
Il giorno del matrimonio, un mese più tardi, Kitty si guardava allo specchio con indosso l'abito da sposa. Edith aveva unto qualche ingranaggio e le aveva procurato un vestito bianco degno di una principessa. Le avvolgeva la vita, fasciandola elegantemente, e il collo alto le metteva in risalto i capelli color nocciola, che Agnes aveva acconciato in una crocchia elaborata in cima alla testa. Il sontuoso pizzo di Alençon era decorato con centinaia di perline che luccicavano a ogni movimento.
"Siete bellissima, signorina Kitty, mi viene da piangere…" disse Agnes raddrizzando il velo di tulle sulle spalle della sposa.
"Buongiorno, Kitty."
Nello specchio la ragazza vide il riflesso di Edith che entrava nella stanza.
"Buongiorno."
"Non è magnifica, signora?" disse Agnes asciugandosi gli occhi.
"È vero, sì" rispose secca Edith, come se le desse fastidio ammetterlo. "Posso parlare da sola con Katherine?"
"Ma certo, signora."
Agnes uscì facendo una riverenza.
"Sono venuta ad augurarti buona fortuna, Katherine" disse Edith, girandole intorno per controllare che il vestito fosse perfetto.
"Vi ringrazio."
"Quando ero molto più giovane ho conosciuto tuo padre. L'ho incontrato a un ballo sulle Highlands. Credevo che fosse rimasto affascinato da me come io lo fui da lui. Ma all'epoca Ralph era un seduttore, come sono certa che saprai."
Il cuore di Kitty iniziò a battere più forte. Non rispose, perché sapeva che Edith non aveva finito.
"Ovviamente mi sbagliavo. Non solo era un seduttore, ma anche un opportunista. Gli piaceva sedurre le donne e, una volta finito con una, passare alla successiva. Per dirla senza giri di parole, mi ha abbandonata senza troppi complimenti. Non mi addentrerò nei dettagli, ma oltre a spezzarmi il cuore mi ha quasi rovinato la reputazione. Io… be', ti basti sapere che se non fosse stato per Stefan, giunto in quel periodo dall'Australia, se non l'avessi incontrato per caso a Londra, senza che sapesse della… “notorietà” di cui godevo grazie a tuo padre, il mio futuro sarebbe stato terribile."
Respira a fondo… si imponeva Kitty, che sentiva la sorpresa e l'imbarazzo formicolare sulla pelle, sotto il vestito.
"Ti assicuro che quello che dico è vero. Spero che tu capisca perché sono rimasta male quando mia sorella mi ha scritto dicendomi che l'avresti accompagnata e che avrei dovuto accoglierti in casa mia. Perché, ovviamente, la verità è stata tenuta nascosta a tutti, e mia sorella non ha idea di cosa mi abbia fatto il suo beneamato Ralph. E ora…" Edith le si parò di fronte "tu, sua figlia, stai per sposare il mio primogenito, e diventeremo parenti. Non mi sfugge l'ironia della cosa, così come sono sicura non sfugga a tuo padre."
Kitty abbassò lo sguardo sui metri di pizzo che le ricadevano elegantemente sulle scarpe. "Perché me lo state dicendo?" mormorò.
"Perché entrerai a far parte della famiglia e voglio che tra noi non ci siano segreti. E voglio anche avvertirti che se farai del male a mio figlio come tuo padre ne ha fatto a me, non avrò pace finché non ti avrò distrutta. Hai capito?"
"Sì."
"Bene, non ho altro da dirti. Spero solo che tu abbia preso da tua madre. Mia sorella mi ha detto che è una donna dolce e stoica. Col senno di poi mi rendo conto di essere stata fortunata a venirne fuori, perché sono certa che tua madre abbia sofferto molto con quell'uomo come marito. Lui! Lui, un ministro di culto?" Edith ridacchiò, ma nel vedere il disagio di Kitty si ricompose. "Ma adesso la questione è chiusa. Non parliamone più." Edith si avvicinò e baciò sua nuora sulle guance. "Sei bellissima, mia cara. Benvenuta nella famiglia Mercer."