CeCe
Alice Springs, Territori del Nord
Gennaio 2008
Simbolo aborigeno per indicare un luogo di riposo
33
"E quindi, ecco come conobbi Sarah. So che sembra ridicolo, ma fu davvero amore a prima vista per tutti e due. Possiamo dire di aver “cavalcato verso il tramonto” sin dal primo istante." Francis ripensava a quel momento con aria rapita.
"Non tornò ad Adelaide con Kitty?"
"No, rimase con me a Hermannsburg. Furono tutti contenti di accoglierla, vista anche la sua bravura come sarta." Francis indicò i cuscini ricamati. "E con i più piccoli. Era nata per essere madre. Ironia della sorte, però, impiegammo anni per mettere al mondo nostra figlia."
"Mia madre?" mormorai.
"Sì. Purtroppo i medici ci dissero che sarebbe stata l'unica, per noi. La adoravamo." Francis faticò a soffocare uno sbadiglio. "Scusami, è che si sta facendo tardi."
Prima che si alzasse, c'era un'altra domanda che dovevo fargli. "E Kitty e Drummond?"
"Per loro ci fu un lieto fine. Lui la seguì in Europa. Dio sa come riuscì a ottenere il passaporto, visto che era stato dichiarato ufficialmente morto nel naufragio della Koombana, ma conoscendolo probabilmente se ne procurò uno falso. A quei tempi era una cosa fattibile." Francis sorrise. "Andarono in Italia, a Firenze, dove nessuno li conosceva, e vissero felici e contenti per il resto dei loro giorni. Kitty non vide mai l'Ayers Rock, pensa. Rimase a Hermannsburg fino alla morte di mia nonna."
"Kitty ti disse che anche lei era tua nonna? E che Drummond era il tuo prozio?"
"No, lasciò il compito a Camira, che mi raccontò tutta la storia sul letto di morte, qualche giorno più tardi. Dall'Italia Drummond e Kitty si tennero in contatto regolarmente con me e Sarah, e nel 1978, alla morte di Kitty, ereditammo l'appartamento di Firenze. Lo vendemmo e con il ricavato comprammo questo posto, pensando di venirci a stare da vecchi. Kitty lasciò poi la casa di Broome in un fondo per nostra figlia Elizabeth, insieme alle azioni e alle quote della società, e oggi in banca abbiamo un gruzzolo considerevole."
"Cosa successe a Ralph junior e alla sua famiglia ad Alicia Hall?" chiesi.
"Il caro zio Ralph" mormorò Francis con un sorriso. "Era un brav'uomo; affidabile e deciso. La sua famiglia ci accolse sempre bene ad Alicia Hall, nelle rare occasioni in cui andavamo a trovarli. Anche il piccolo Eddie se la cavò egregiamente. Rifiorì grazie alle cure amorevoli di Ruth e Ralph, e quando fu certo di essere ormai al sicuro iniziò a parlare a ruota libera. Sarah, che fino alla morte si era tenuta in contatto con lui, diceva sempre che da quando aveva cominciato, non si era più zittito! Era brillante e diventò un avvocato di successo. È andato in pensione l'anno scorso. Forse, un giorno, ti porterò a conoscerlo ad Alicia Hall."
"Sì, forse. Ma…" Dovevo chiederglielo. "Anche mia madre è morta?"
"È morta, sì. Mi dispiace, Celaeno."
"E mio padre? Chi era?"
"Si chiamava Toba e tua madre lo conobbe quando vivevamo ancora a Papunya. Aveva solo sedici anni e Papunya era un villaggio pieno di gente creativa, un paradiso per le comunità aborigene dei Pintupi e dei Luritja. Tua madre si innamorò di un… uomo inadatto. Era un pittore aborigeno di talento, ma con una passione per l'alcol e per le donne. Quando annunciò di essere incinta di te, noi le consigliammo di interrompere la gravidanza. Mi dispiace, Celaeno, ma è la verità."
Rimasi un attimo in silenzio. "Lo capisco, davvero. Sembra quasi una ripetizione della tua storia."
"Ovviamente tua madre non ci ascoltò. Minacciò che sarebbe fuggita con il suo amato, se non le avessimo dato il permesso di sposarlo. Era un'impulsiva, ma immagino sia un tratto distintivo della famiglia." Mi sorrise tristemente. "Purtroppo né Sarah né io pensavamo che l'avrebbe fatto davvero, quindi le negammo la nostra benedizione. Il giorno dopo scapparono insieme e…" gli si ruppe la voce "non la vedemmo mai più."
"Deve essere stato terribile per voi. Non ci fu proprio modo di rintracciarla?"
"Come avrai capito, qui è facilissimo scomparire. Per anni tutti continuarono a cercarla; Sarah e io ci adoperammo senza sosta per perlustrare l'Outback sulla base di presunti avvistamenti. Poi un giorno, ormai stanchi e sfiduciati, abbiamo deciso di arrenderci."
"Capisco. Troppo doloroso non arrivare a nulla."
"Esatto. Poi però, quando due anni fa Sarah si è ammalata gravemente, mi ha implorato di riprovarci e ho assunto un detective privato. Sei mesi dopo la morte di tua nonna mi telefonò, aveva trovato una donna a Broome che affermava di aver assistito alla tua nascita. Ammetto di non averci fatto caso all'inizio, avevo seguito fin troppe piste false. Eppure, quella donna conosceva il nome di tua madre, Elizabeth, come l'amata regina inglese della mia Sarah."
"Elizabeth…" Pronunciai il suo nome ad alta voce per la prima volta.
"Quella donna faceva l'infermiera all'ospedale di Broome e mi dissero in quale giorno Lizzie si era fatta ricoverare. A quanto pare arrivò che stava per partorire. Le date coincidevano."
"Okay. Quella donna parlò anche di mio padre?"
"No, disse che Lizzie era sola. Ricordi che prima ti ho detto che Kitty aveva lasciato a lei la casa di Broome? Tua madre, una volta, c'era stata con noi, e probabilmente aveva creduto che fosse un nido d'amore perfetto per lei e quel disgraziato del suo ragazzo. Posso solo presumere che lui l'abbia scaricata da qualche parte tra Papunya e Broome. Nella sua condizione, e visti i rapporti con noi, tua madre deve aver pensato di non avere altra scelta se non proseguire da sola per Broome."
"Quindi che cosa successe dopo che sono nata?"
Francis si alzò, si avvicinò allo scrittoio e tirò fuori una cartellina. "Qui c'è il certificato di morte di tua madre. Risale a sette giorni dopo la tua nascita. Fu colpita da una grave forma di infezione post-parto. L'infermiera mi disse che non era forte abbastanza per combatterla. Perdonami, Celaeno, ma non esiste un modo semplice per dire una cosa del genere."
"Va tutto bene" mormorai guardando il certificato. Erano le due passate, e ormai quelle parole scritte sul foglio mi sembravano solo un ammasso di scarabocchi. "E io?"
"Be', qui la storia va un po' meglio. L'infermiera mi raccontò che, alla morte di tua madre, ti tennero in ospedale il più a lungo possibile, sperando di trovare una famiglia che ti adottasse. Quando ci parlai mi parve subito chiaro che avesse un debole per te. Disse che eri una bambina molto carina."
"Io?" esclamai. "Carina?"
"A quanto pare" disse Francis sorridendo. "Tuttavia dopo un paio di mesi non ebbero altra scelta che prepararti per il passaggio all'orfanotrofio locale. È una cosa bruttissima, stiamo parlando di appena ventisette anni fa, e neanche allora c'era qualcuno pronto ad adottare una bambina di razza mista. Proprio mentre stavano per firmare le carte e mandarti via, l'infermiera disse che si presentò un signore con un abito di lusso. Dal suo racconto pare che si fosse recato a Broome per cercare una parente, ma aveva trovato la casa vuota. Una vicina l'aveva informato che l'ex proprietaria era morta, ma che da qualche settimana in quella casa ci viveva una ragazza. La vicina gli aveva anche detto che quella ragazza era incinta, e quindi di provare a cercarla in ospedale. Quando l'infermiera incontrò quest'uomo e gli disse che Lizzie era morta lasciandoti orfana, lui si offrì di adottarti all'istante."
"Pa' Salt" dissi trasalendo. "Che ci faceva a Broome? Che cercasse Kitty?"
"La donna non ricordava come si chiamasse quel signore" disse Francis "ma, viste le circostanze, gli consigliò di portarti in Europa e completare lì le formalità legate all'adozione. L'uomo le lasciò il nome di un avvocato in Svizzera." Francis sfogliò le pagine nella cartellina. "Un certo avvocato Georg Hoffman."
"Il vecchio Georg" dissi. Ero delusa, Pa' era riuscito ancora una volta a celare la sua vera identità.
"Scrissi così al signor Hoffman quando provai a rintracciarti. Gli dissi che avevi ricevuto un'eredità: il denaro e le proprietà che Kitty aveva messo nel fondo per tua madre, che appartenevano a te di diritto in quanto figlia di Lizzie. Alla vendita della casa di Broome, oltre al ricavato delle azioni e delle quote, è venuta fuori una bella sommetta, come ben sai. L'avvocato Hoffman mi scrisse per confermare che il suo cliente ti aveva adottata, e che stavi bene. Mi assicurò che il denaro ti sarebbe stato inviato senza intermediari. Quindi diedi istruzioni all'avvocato di Adelaide perché trasferisse i fondi e gli consegnai anche la fotografia di me con Namatjira, da inviare insieme ai soldi."
"Perché non una foto di Sarah e Lizzie?"
"Celaeno, non volevo mandare all'aria la tua vita. Potevi preferire di non essere trovata. Allo stesso tempo sapevo che, se davvero avessi voluto cercarmi, qui in Australia non ci avresti messo molto a trovare qualcuno in grado di riconoscere Namatjira e di metterti sulla via di Hermannsburg." Francis sorrise di piacere. "Il mio piano ha funzionato."
"Sì, ma all'inizio non volevo venire."
"Avevo già deciso che, se non ti fossi fatta viva entro la fine dell'anno, avrei contattato Georg Hoffman per venire a cercarti di persona. Hai risparmiato alle mie vecchie ossa un bel viaggetto." Mi prese le mani e me le strinse forte. "So che ti ho sommersa di informazioni, molte delle quali spiacevoli. Stai bene?"
"Sì." Feci un bel respiro. "Sono contenta di aver saputo tutto. Significa che posso tornare a Londra."
"Sì."
Sapevo che avrebbe voluto che cambiassi idea. "Non preoccuparti" aggiunsi subito. "Come ho detto prima, devo solo sistemare alcune cose prima di trasferirmi qui definitivamente."
Mi strinse più forte le mani. "Hai deciso di venire a vivere in Australia? Davvero?"
"Sì. Cioè, scommetto che noi due staremo bene insieme. Siamo gli ultimi della famiglia Mercer, vero? I sopravvissuti."
"Sì, è vero. Anche se non voglio che ti senta in debito con me, né con il tuo passato. Se hai una vita a Londra, non fare la cosa sbagliata spinta dal senso di colpa. Il passato è andato. È il futuro che conta."
"Lo so, ma il mio posto è qui" dissi. Ero sicura, più di quanto non lo fossi mai stata in vita mia. "Il passato è ciò che sono."
Il mattino successivo mi svegliai con un brutto mal di testa, sicuramente per il sovraccarico di informazioni, non certo per l'alcol. Rimasi sdraiata sul letto; le tende a motivi floreali nella stanza erano state indubbiamente cucite da mia nonna Sarah in una delle tante serate calde di Alice Springs.
Chiusi gli occhi e ripensai alla decisione che avevo preso il giorno prima e allo strano sogno di quella notte. Sentivo di dover liberare tutta l'angoscia e il dolore che sentivo dentro, affinché non mi avvelenassero più.
E sapevo come.
Mi alzai dal letto, indossai una delle camicie di mia nonna e un paio di pantaloncini che si allargavano in fondo, che facevano sembrare le mie gambe dei portalampada troppo grossi per la lampadina che dovevano sostenere.
Francis stava facendo colazione in cucina, a una tavola apparecchiata per due.
"Per caso hai delle tele che ti avanzano? Me ne serve una enorme" gli chiesi.
"Certo. Seguimi."
Gli fui grata, perché capì il mio bisogno e non fece domande. Mi condusse nella serra che usava come magazzino. Presi la tela e il cavalletto e mi sistemai in una zona in ombra del giardino. Francis mi prestò il suo pennello speciale di zibellino, e iniziai a mescolare i colori. Appena il pennello toccò la tela fui sopraffatta dalla strana sensazione che mi veniva a volte nel dipingere; quando alzai lo sguardo constatai che non restava un solo punto bianco sulla tela e che il cielo era scuro.
"Celaeno, è ora di rientrare" mi disse Francis dalla porta sul retro. "Se rimani fuori le zanzare ti mangeranno viva."
"Non guardare! Non è ancora finita!" Feci un patetico tentativo di coprire l'enorme tela con le mani, anche se probabilmente l'aveva già vista benissimo dalla finestra del soggiorno.
Venne in giardino ad abbracciarmi; mi strinse forte. "È proprio un bisogno che senti dentro, vero?"
"Assolutamente" dissi sbadigliando. "Non riesco a fermarmi. Ah, è per te, fra l'altro."
"Grazie, la conserverò come la cosa più preziosa che ho."
Ero rimasta seduta immobile per troppo tempo e non sentivo più le gambe, perciò Francis dovette aiutarmi a rientrare come se, tra i due, fossi io la vecchietta.
"Farà sicuramente schifo" dissi lasciandomi cadere su una poltrona, esausta.
"Forse, ma so già dove lo appenderò." Indicò lo spazio vuoto sopra il caminetto. "Hai fame?" chiese.
"Sono troppo stanca per mangiare, ma una tazza di tè mi andrebbe."
Me la portò, poi sistemò il mio lavoro davanti al caminetto e lo studiò a lungo.
"Hai deciso il titolo?"
"I pescatori di perle" dissi, e mi sorpresi, perché di solito non mi riusciva proprio scegliere i titoli. "Parla della… be', della nostra famiglia. Ho sognato di essere a Broome, di nuotare in mare. C'eravamo tutti e cercavamo una perla e…"
"… Quella al centro è una luna?" disse Francis studiando il dipinto. "Sai che mia madre si chiamava Alkina, che significa “luna”…"
"Forse lo sapevo, forse no," riflettei "ma il cerchio bianco rappresenta la bellezza e il potere della fertilità e della natura femminili, l'infinito circolo della vita e della morte. In altre parole, è la storia della nostra famiglia."
"Lo adoro" disse Francis, osservando le morbide forme delle onde sotto la luna, costellate di piccoli puntini color perla che giacevano sul fondo del mare. "E la tua tecnica sta già migliorando. È impressionante per un solo giorno di esercizio."
"Grazie, ma devo ancora imparare molto" dissi sbadigliando. "Credo che me ne andrò a letto."
"Prima che tu vada voglio darti una cosa." Tirò fuori di tasca un piccolo portagioie. "Lo custodisco da quando è morta Sarah, e speravo di darlo a te."
Lo mise nelle mie mani e lo aprii trepidante. Dentro c'era un anellino con una goccia d'ambra al centro. "È quello che mio padre Charlie diede ad Alkina la notte prima che lei se ne andasse" disse Francis.
Sollevai l'anello alla luce e l'ambra brillò di un bel colore mielato. Al centro c'era sospesa una formica, perfetta come se fosse stata catturata pochi istanti prima. Non riuscivo a credere che avesse migliaia di anni. Né che avessi sognato da poco quello stesso insetto fermo sul palmo della mia mano. Era proprio uguale a questo.
"Camira l'ha portato con sé a Hermannsburg quando è morta Alkina" proseguì Francis. "E il giorno che le ho detto di voler sposare Sarah, l'ha dato a me."
"Wow." Infilai l'anello al dito della mano destra. "Grazie, Francis."
"Non c'è bisogno di ringraziarmi" mi sorrise. "Ora faresti meglio ad andare a letto, prima di addormentarti in piedi. Buonanotte, Celaeno."
"'Notte, Francis."
Il mattino dopo andammo in centro, perché il nonno voleva che portassi a Mirrin la nuova tela che avevo dipinto nel Bush, e anche perché dovevo prenotare il volo per tornare a Londra.
"Andata e ritorno?" mi chiese la donna dell'agenzia di viaggi.
"Sì."
"Data di ritorno?"
"Starò via almeno una settimana, quindi direi il sei di febbraio" dissi.
"Sicura che basti?" disse Francis. "Prenditi tutto il tempo che ti serve. Se hai bisogno di un biglietto con date flessibili te lo compro io."
"Una settimana basterà" lo rassicurai, e conclusi la prenotazione. Alla fine comunque dovette pagare davvero lui, perché la mia carta di credito aveva deciso di non rispondere più. Credetti di morire di vergogna quando la rifiutarono – la mia regola era “non chiedere mai soldi in prestito a nessuno”. Era chiaro che avevo raggiunto il limite mensile, e non avrei potuto riutilizzarla finché non avessi fatto una visita alla mia banca.
"Davvero, Celaeno, non ci sono problemi" disse quando uscimmo dall'agenzia di viaggi. "Tanto alla fine tornerà tutto a te. Consideralo un anticipo sull'eredità."
"Mi hai già dato troppo" commentai imbarazzata. "Forse posso compensare dandoti quello che ricaverò vendendo il quadro a Mirrin."
"Come vuoi."
Nella galleria Mirrin guardò la tela e annuì in segno di approvazione. "È ottima."
"Meglio" disse Francis. "Io direi che è eccezionale."
"Proviamo a venderla per mille dollari."
"Facciamo il doppio" ribatté Francis. "E mia nipote prenderà il sessantacinque per cento."
"Non diamo mai più del sessanta, signor Abraham, questo lo sa."
"D'accordo, allora lo portiamo alla Many Hands, in fondo alla strada." Francis fece per riprendersi il quadro, ma Mirrin lo fermò.
"Dato che è lei facciamo uno strappo alla regola, ma non lo dica agli altri artisti." All'improvviso fece una smorfia e si portò una mano al ventre. "Il piccolino è pronto a nascere" disse massaggiandosi la pancia. "E non ho ancora trovato nessuno che possa sostituirmi. Di questo passo partorirò sul bancone."
Mi venne un'idea. "Le serve qualcuno che prenda il suo posto durante la maternità?"
"Sì, ma è difficile trovare la persona giusta. Gli artisti devono potersi fidare, bisogna capire a cosa stanno lavorando, incoraggiarli. E poi è necessario saper negoziare, anche se fortunatamente non sono tutti come lei, signor Abraham" disse Mirrin inarcando un sopracciglio.
"Potrei avere la persona che fa per lei" dissi con finta noncuranza. "Si ricorda della ragazza che era con me un paio di settimane fa?"
"Chrissie? Quella che ha contrattato con lo stesso accanimento di tuo nonno?"
"Sì. Ha studiato storia dell'arte all'università" esagerai "e sa tutto quello che c'è da sapere sull'arte aborigena, specialmente su Albert Namatjira. E anche su tanti altri tipi di arte" aggiunsi per buona misura.
"Sta lavorando in una galleria, al momento?"
"No, è nel settore del turismo, perciò è abituata a parlare con gli stranieri e, come sa, proviene da una famiglia indigena. Agli artisti piacerà."
"Parla arrernte?" chiese Mirrin speranzosa.
"Dovrà chiederlo a lei, ma di certo parla yawuru. E quando si tratta di vendere, non va tanto per il sottile."
"Sta cercando un lavoro?"
"Sì."
Vidi che Francis mi guardava divertito mentre tessevo le lodi di una persona che lui non conosceva.
"Non le mentirò, Celaeno, la paga non è granché" disse Mirrin.
"Nessuno fa arte per denaro, o mi sbaglio? Si fa per amore" risposi.
"Alcuni sì, invece" ribatté guardando mio nonno. "Be', le dica di venire a trovarmi. E in fretta." Fece un'altra smorfia. "Questa settimana sarò qui tutti i giorni."
"Okay. Può scrivermi il suo numero? Le dirò di chiamarla per mettervi d'accordo."
Uscii dalla galleria con il numero, felice.
"Allora, chi è questa Chrissie?" mi chiese Francis mentre tornavamo al suo pick-up.
"Una mia amica" dissi salendo a bordo.
"E dove abita?"
"A Broome."
"Non è un po' lontano per lei?" chiese mentre usciva dal parcheggio.
"Sì, ma se ottiene il lavoro sono sicura che si trasferirà. Quando siamo state qui si è divertita da matti. È una persona superbrillante, è una vera fonte di ispirazione e ama tantissimo l'arte. Ti piacerebbe molto, sono sicura."
"Se piace a te, Celaeno, non ho dubbi."
"La chiamo appena arriviamo a casa, le dirò di contattare Mirrin. Deve venire qui il prima possibile. È un peccato che abbia prenotato il volo per domani."
"Sei stata tu a insistere per il biglietto non rimborsabile" mi ricordò il nonno.
"Be', se ottiene il lavoro forse potremo andare a vivere insieme in città." Con la mente corsi subito a un futuro al fianco di Chrissie, in cui vivevamo circondate dall'arte.
"Oppure potreste venire a vivere con me, lasciando un po' di spazio per il tuo vecchio nonno" suggerì Francis mentre imboccavamo il vialetto di casa.
"Sarebbe bello" dissi.
"Dille che c'è un letto per lei. Di sicuro dovrà fermarsi in città la notte prima del colloquio. Le darò un po' di lezioni di lingua arrernte" aggiunse aprendo la porta. Entrai di corsa e mi precipitai a prendere il cellulare.
"È gentile da parte tua, grazie" dissi, e chiamai Chrissie. Rispose al secondo squillo.
"Salve straniera" disse. "Pensavo fossi svanita dalla faccia della Terra."
"Ti ho scritto per dirti che ero a dipingere nel Bush" dissi. Ero felicissima di sentire la sua voce. "Con mio nonno" aggiunsi.
"Non ci posso credere! Quindi sei imparentata con Namatjira?"
"No, anche se pure mio nonno è un artista."
"Come si chiama?"
"Francis Abraham."
Calò il silenzio.
"Mi stai prendendo per stupida?"
"No, perché? Lo conosci?"
"Ma certo, Cee! Ha vissuto a Papunya con Clifford Possum e ha dipinto la Ruota di fuoco e…"
"Sì, è lui" la interruppi. "Ascoltami, potresti prendere un paio di giorni per venire a Alice Springs?"
"Perché?"
Le spiegai tutto e dalla sua voce sparì ogni traccia di gelo.
"Fico, anche se non credo che mi assumerà quando le dirò che lavoravo al banco delle informazioni turistiche dell'aeroporto di Broome. Mi hai dipinta come la curatrice della Canberra National Gallery!"
"Dov'è finita la tua positività? Certo che ti assumerà!" la incoraggiai. "Vale la pena provare, comunque, e mio nonno dice che puoi passare la notte a casa sua."
"Il problema è che non ho soldi per il biglietto, Cee. Li ho finiti l'ultima volta, per venire laggiù."
"Perché hai voluto pagare l'albergo…" le ricordai. "Aspetta un attimo."
Chiesi a mio nonno se Chrissie poteva usare la sua carta di credito per prenotare l'aereo. In cambio gli avrei dato i soldi che mi sarebbero rimasti dopo la vendita del dipinto.
"Ma certo" fece lui porgendomi la carta. "Dille che andrò a prenderla all'aeroporto."
"Grazie infinite" dissi, e andai a riferire a Chrissie la notizia.
"Sto sognando? E io che pensavo di averti spaventata a morte, visto che non ti sei più fatta viva…"
"Scusa se non ho chiamato. Sono stati giorni caotici e… mi serviva tempo per riflettere."
"Capisco. Comunque ora non ha importanza, mi dirai tutto al mio arrivo."
"In realtà no, perché domani ho un volo per l'Inghilterra."
"Ah." E tacque.
"Ho prenotato anche il ritorno, Chrissie. Devo andarci per sistemare alcune questioni, mettere in vendita la casa e vedere la mia famiglia."
"Vuoi dire che tornerai?"
"Sì, ma certo, appena posso. Voglio vivere qui a Alice. E… sarebbe bello se ci fossi anche tu."
"Dici sul serio?"
"Non dico mai cose che non penso, dovresti saperlo. Comunque ci sarà mio nonno a tenerti compagnia fino al mio arrivo, e ho come l'impressione che tu sia più ansiosa di conoscere lui che di rivedere me" scherzai.
"Sai che non è vero. Quando torni?"
"Fra una decina di giorni. Ora smetti di parlare con me e telefona a Mirrin, poi prenota il volo. Ti invio un messaggio con il numero di mio nonno così potrai mandargli tutti i dettagli."
"Okay. Sinceramente, Cee, non so come ringraziarti."
"Allora non farlo. In bocca al lupo, ci vediamo presto."
"Sì. Mi manchi."
"Anche tu. Ciao."
Riagganciai e pensai che mi mancava davvero. La strada era lunga, perché ancora non ero sicura di come avrebbe potuto evolversi il nostro rapporto, ma non mi pesava perché finalmente stavo voltando pagina. In un modo o nell'altro, nelle ultime settimane, mi ero sentita molto meglio a… essere me.
Per grazia di Dio… Sono quello che sono, sussurrai, e di colpo capii di aver imparato una lezione.
Di sicuro biculturale, probabilmente bisessuale, ma di certo non volevo avere due identità. Volevo essere solo me stessa.
"Tutto a posto?" chiese Francis.
"Lo spero, Chrissie prenota il volo e ti fa sapere a che ora arriva."
"Perfetto" disse. "Io ho fame, tu?"
"Moltissima."
"Vado a preparare qualcosa con le uova."
"D'accordo, io faccio i bagagli."
"Bene." Si fermò in corridoio. "Questa Chrissie sa cucinare?"
Annuii, memore dei suoi dolci fatti in casa. "Sì, è brava."
"Bene. Sono felice tu abbia trovato qualcuno, Celaeno" disse, e andò in cucina.
"Stammi bene, d'accordo?" si raccomandò mio nonno in aeroporto, abbracciandomi. Ero contentissima che ci fossero ben due persone che non volevano che me ne andassi.
"Certo."
"Tieni, ti ho portato qualche documento." Mi porse una grossa busta marrone. "Dentro c'è il tuo certificato di nascita, l'ho preso all'anagrafe di Broome quando sono andato a trovare quell'infermiera. Se hai davvero intenzione di tornare qui per sempre…"
"Certo che sì!"
"Allora ti consiglio di fare domanda per ottenere il passaporto australiano, e al più presto. Dentro c'è anche il formulario, oltre al certificato di nascita di tua madre."
"Benissimo." Misi la busta nello zaino cercando di non spiegazzarla. "Salutami Chrissie, d'accordo? Spero che ti stia simpatica."
"Ne sono sicuro."
"Grazie di tutto" dissi mentre annunciavano l'imbarco del mio volo. "Odio gli aerei."
"Forse li odierai meno quando sarai su quello che ti riporterà a casa, da me. Arrivederci, Celaeno."
"Ciao, Francis." Salutai con la mano e attraversai i controlli di sicurezza, preparandomi per il lungo volo verso Londra.
34
Quando uscii dall'aeroporto di Heathrow fui aggredita dall'aria fredda di Londra, che mi avvolse come una coperta di ghiaccio. Intorno a me tutti erano imbacuccati fino alla punta dei capelli, e l'aria pungente mi dava fastidio al naso e alle orecchie. Alzai il cappuccio della felpa e chiamai un taxi, sperando di avere abbastanza sterline in tasca per raggiungere Battersea.
Quando il taxi accostò davanti al mio palazzo pagai la corsa con qualche banconota stropicciata e delle monete trovate chissà dove, poi scesi dall'auto. Al posto delle luci di Natale, che avevano salutato la mia partenza, ora mi accoglieva la foschia di fine gennaio; ebbi la sensazione di aver abbandonato un film a colori per fare ritorno a uno in bianco e nero.
Salii in ascensore fino al terzo piano. Aprii la porta dell'appartamento e mi sorpresi nello scoprire che c'erano tutte le luci accese. Che stupida, non le ho spente prima di partire?, pensai sbattendomi la porta alle spalle. Faceva caldo e si sentiva un buon profumo di torta. Non c'era puzza di chiuso, c'era odore di… Star.
Quando avevo fatto scalo a Sydney le avevo scritto per farle sapere il giorno in cui sarei arrivata a casa, chiedendole anche se avrebbe avuto tempo per vedermi. Dovevo dirle che avrei venduto l'appartamento, e pur avendolo pagato io, era anche casa sua, fino a prova contraria.
Guardai con una smorfia lo spaventapasseri di Guy Fawkes che troneggiava nel mio studio e vidi con orrore che la luce nel forno era accesa. Stavo giusto per spegnerla quando la porta di ingresso si aprì.
"Cee! Sei già qui! Oh, cavolo, pensavo che ti ci sarebbero volute ore per passare la dogana, e poi il traffico di Londra…"
Mi voltai e vidi Star, quasi completamente nascosta dietro un enorme mazzo di gigli, che mi porse con un sorriso.
"Ero uscita a comprare questi per darti il bentornato a casa" disse senza fiato. "Avresti dovuto trovarli in un vaso sul tavolo, ma pazienza. Oh, Cee, è così bello vederti."
Ci abbracciammo forte, schiacciando i gigli tra i nostri corpi. Non ce ne importava niente dei fiori, volevamo solo stringerci tra le braccia.
"Wow!" Fece un passo indietro appoggiando i fiori sul tavolo. "Stai benissimo, ti si sono schiariti i capelli. E anche allungati."
"Sì, è per via del sole australiano. Anche tu stai da favola. Ti sei tagliata la frangia!" Prima la portava più lunga, in modo che potesse in parte nasconderle il viso. Ora invece i suoi bellissimi occhi azzurri brillavano come zaffiri.
"Sì, era ora di cambiare. Senti, perché non vai di sopra a farti una doccia? Io preparo la cena."
"Sì, ma… Questo è odore di torta, per caso?"
"Sì, è la mia torta al limone. Ne vuoi una fetta?"
"Se ne voglio una? La sogno da quando sono partita."
Mi porse un po' di torta e diedi un morso. La finii in pochi secondi e, con un'altra fetta generosa in mano, portai lo zaino di sopra. La camera da letto era immacolata, le lenzuola pulite. Andai in bagno, mi infilai sotto la doccia e decisi che era bello essere a casa.
Tornai di sotto e vidi Star che mi aspettava con una birra.
"Salute" dissi, e feci tintinnare la bottiglia con il suo bicchiere di Chardonnay.
"Bentornata" disse. "Ti ho preparato il tuo piatto preferito; sarà pronto fra una ventina di minuti."
"Arrosto e pudding?" dissi adocchiando il forno.
"Sì. Dài, voglio sapere tutto quello che ti è successo negli ultimi due mesi."
"Be', non è poco. Quanto tempo hai?"
"Tutta la notte."
"Dormi qui?" chiesi sorpresa.
"Se ti va bene, sì."
"Certo che va bene, Sia! Questa è – era – anche casa tua, ricordi?"
"Lo so, ma…" disse con un sospiro.
"Ascolta, prima che tu dica qualcosa, voglio scusarmi" dissi. "In autunno sono stata insopportabile. Anzi, probabilmente lo sono sempre stata."
"No, non è vero. Sono io che devo scusarmi, avrei dovuto starti accanto in quel brutto periodo al college." Star si morse il labbro. "Sono stata egoista e soffro tantissimo a ripensarci."
"Sì, all'epoca ci sono rimasta male, ma mi ha dato la spinta di cui avevo bisogno. Ora capisco che dovevi farlo, Sia. Il nostro rapporto non era salutare. Dovevi andare via a farti una vita, trovare la tua strada. E se non l'avessi fatto, io non avrei trovato la mia."
"Hai incontrato qualcuno? Si tratta di quell'Ace, vero? Sembravate così felici insieme sulla spiaggia di Phra Nang."
"Ehm, no, non si tratta di Ace, ma…" Ero del tutto impreparata per quella conversazione, perciò cambiai argomento. "Come sta Mouse?"
"Bene" rispose Star tirando fuori dal forno l'arrosto. "Parliamo mentre mangiamo, d'accordo?"
Per una volta fu lei a condurre il discorso, mentre io mi abbuffavo senza ritegno. Mi parlò di High Weald, la casa di Mouse, e dei lavori di ristrutturazione; mi disse che lei, Mouse e suo figlio Rory, erano andati ad abitare nella fattoria di fronte.
"Ovviamente ci vorranno anni per finire. È una proprietà di valore storico e Mouse è un architetto, perciò ogni dettaglio dovrà essere impeccabilmente curato." Star alzò gli occhi al cielo e fui felice di scoprire che dopotutto anche il suo compagno non era perfetto. Era un essere umano, in fondo.
"Ma sei felice con lui?"
"Oh, sì, anche se a volte sa essere fastidiosissimo, specialmente quando parla di architettura. Rory e io andiamo a fare una passeggiata e lo lasciamo da solo, quando gli prendono i suoi attacchi. E non appena Rory va a letto e Mouse si mette a progettare differenti tipi di comignoli, io scrivo."
"Hai iniziato il tuo romanzo?"
"Sì. Cioè, non sono molto avanti, ho scritto solo un'ottantina di pagine, ma…" Star si alzò e iniziò a sparecchiare. "Ho preparato il pudding allo sherry per dessert. Mi sembra che tu abbia bisogno di nutrirti un po'."
"Senti un po', cara, hai davanti una che si è divorata un canguro intero" scherzai. "E la tua famiglia? Hai più sentito tua madre da quando è tornata in America?"
"Oh, sì, spesso" disse Star portando a tavola il dolce. "Ma ora voglio sapere delle tue avventure. Soprattutto di quelle con Ace. Come vi siete conosciuti? Com'era?"
Glielo dissi, e mentre raccontavo mi ricordai di quanto era stato gentile con me. E mi intristii di nuovo, perché pensava che l'avessi tradito.
"Andrai a trovarlo in prigione?" mi chiese.
"Probabilmente non mi vorrà ricevere" dissi finendo il dolce. "Ma potrei provarci."
"Ti pongo una domanda: è colpevole?"
"Credo di sì."
"Anche se fosse, come dice Mouse, è improbabile che abbia fatto tutto da solo. Perché gli altri non si fanno avanti?"
"Perché non vogliono passare i prossimi dieci anni in gabbia, forse?" dissi alzando gli occhi al cielo. "Una volta ha detto che una certa Linda conosceva la verità."
"Non credi di dovergli qualcosa? Forse ti perdonerebbe se provassi ad aiutarlo."
"Non lo so, perché se ci penso ho l'impressione che abbia accettato la situazione e basta, che si sia arreso."
"Se fossi in te chiamerei la banca e chiederei di parlare con quella Linda."
"Forse, ma potrebbe essercene più di una."
"Quindi non era amore?" incalzò Star.
"No, ma mi piaceva moltissimo. Era premuroso. Si è fatto spedire la biografia di Kitty Mercer, la persona su cui Pa', nella sua lettera, voleva che indagassi. Ace me l'ha letta quando gli ho confessato di essere dislessica."
"Sul serio? Non sembra proprio lo stesso Ace di cui abbiamo letto sui giornali. L'hanno fatto sembrare un idiota totale, un playboy alcolizzato a cui importa solo accumulare denaro."
"Non era affatto così. Non l'uomo che ho conosciuto, almeno. Ha bevuto solo un bicchiere di Champagne in tutto il tempo che sono stata con lui." Sorrisi al ricordo di quella notte.
"Quindi questo è Ace. E la tua famiglia? L'hai trovata?"
"Sì, anche se sono quasi tutti morti. Mia madre di sicuro, e mio padre, be', chissà dov'è."
"Mi dispiace, Cee." Mi prese una mano. "Anche il mio padre biologico è sparito, non credo che lo conoscerò mai."
"Tranquilla, la persona che ho incontrato è fantastica. È mio nonno, è un artista e anche piuttosto famoso."
"Oh, Cee, sono felicissima per te!"
"Grazie. È bello trovare qualcuno che ha il tuo stesso sangue, vero?"
"Sì. Dài, allora, dimmi come l'hai rintracciato e raccontami chi sei."
E così feci. Star mi ascoltò a bocca aperta.
"Quindi hai sangue giapponese, aborigeno, tedesco, scozzese e inglese." Contò sulle dita.
"Già. Ora capisco perché sono sempre stata un po' confusa" dissi sorridendo.
"È tutto molto esotico – specialmente se paragonato a me, che sono inglese e nient'altro. È strano, però, che tua nonna Sarah e mia madre venissero entrambe dall'East End di Londra, no? E noi oggi viviamo a poche miglia dal luogo in cui sono nate."
"Sì, immagino di sì."
"Hai qualche foto dei tuoi dipinti?"
"Me ne sono scordata, ma credo che Chrissie ne abbia una del primo, scattata con la mia macchina. Te lo dirò quando avrò sviluppato i negativi."
"Chi è Chrissie?"
"Un'amica australiana." Non potevo ancora dirle niente di lei, non avevo idea di come esprimere a parole quello che provavo. "In realtà, Sia, credo di dover andare a dormire. In Australia a quest'ora è tipo mezzogiorno e non ho dormito per nulla sull'aereo."
"Ma certo. Vai di sopra, ti seguirò appena avrò caricato la lavastoviglie."
"Grazie." Ero sollevata di essere sfuggita a ulteriori domande. Confortata dai rumori domestici di Star che risistemava in cucina, mi misi a letto e mi coprii con il piumone.
"È bello che tu sia tornata, Cee" disse Star entrando in camera. Si spogliò e si infilò nel letto accanto al mio, poi spense la luce.
"Sì, è bello. Meglio di quanto credessi" dissi assonnata. "Voglio solo chiederti di nuovo scusa per essere stata… difficile, in questi anni. Non era mia intenzione. Mi tengo tutto dentro e a volte le cose escono fuori nel modo sbagliato, ma sto imparando, sul serio."
"Shhh, Cee, non c'è bisogno di scusarsi. So bene chi sei dentro, ricordi? Dormi bene."
Il mattino dopo mi svegliai insieme a Star, cosa che di solito non succedeva. Cominciai ad aggirarmi per l'appartamento cercando di capire cos'avrei portato con me in Australia, mentre mia sorella era in terrazza, in camicia da notte, a parlare al telefono. Quando alla fine scese per fare colazione aveva uno sguardo compiaciuto, e immaginai che avesse parlato con Mouse. A farmi sentire meglio ci pensò Chrissie, che mi inviò un messaggio proprio in quel momento: EHI CEE! TUTTO OK IL VOLO? IL COLLOQUIO È STATO ASSURDO, MI FARÀ SAPERE DOMANI. INCROCIAMO LE DITA! MI MANCHI!
"Allora, hai deciso cosa farai ora che sei tornata?" mi chiese Star a colazione. Le uova alla Benedict erano talmente buone che per un attimo valutai la possibilità di restare a Londra.
"Be', volevo giusto parlartene, Sia. Sto pensando di vendere questa casa."
"Davvero? Perché? Pensavo la adorassi."
"La adoravo, cioè, la adoro, ma ho intenzione di trasferirmi in Australia."
"Oh mio Dio! Davvero? Oh, Cee…" Gli occhi di Star si riempirono di lacrime. "Ma è lontanissimo."
"In aereo è a un solo giorno di distanza" scherzai, per nascondere la sorpresa suscitata dalla sua reazione. Solo poche settimane fa ero convinta che sarebbe stata felice di vedermi andare via.
"Ma… i ragni? Hai sempre avuto una paura matta."
"E ce l'ho ancora, ma immagino di poterla gestire. La cosa strana è che non ne ho visto neanche uno mentre ero lì. Senti, Star, quel posto è… casa mia. Lo è più di altri, per lo meno. E Francis, mio nonno, non sta certo ringiovanendo. Vive solo da quando è morta sua moglie, e voglio passare con lui più tempo possibile."
Star annuì, asciugandosi le lacrime con la manica. "Lo capisco, Cee."
"Quel posto mi dà anche l'ispirazione per dipingere. Forse è la mia natura aborigena, ma quando ero nel Bush sapevo cosa fare, senza neanche pensarci."
"Ti sei avvicinata alla tua musa. Questo sì che è un motivo valido per trasferirti ai confini del mondo" ammise tristemente.
"Appena lasciata Londra mi sentivo persa, non sapevo cosa dipingere, ma quando Chrissie mi ha portato davanti a quell'albero della gomma, con la catena dei MacDonnell sullo sfondo, è successo qualcosa di magico. Due giorni dopo ha venduto il mio dipinto per seicento dollari!"
"Wow, ma è fantastico, Cee. E chi è questa Chrissie? Vive lì dove hai intenzione di andare anche tu?" Star mi guardò.
"Ehm, al momento no, ma potrebbe trasferirsi presto."
"Per starti vicino?"
"Sì, più o meno… potrebbero darle un lavoro alla galleria d'arte e ehm…" Continuavo ad annuire come uno di quei pupazzi con la testa gigante che si mettevano sul cruscotto delle auto. "Siamo buone amiche. È fantastica, superpositiva, sai? Ha avuto una vita difficile, e ha una specie di gamba finta dal ginocchio in giù e…"
Mi resi conto di balbettare: probabilmente Star aveva già capito tutto.
"Cee," Star mi mise una mano sul polso "Chrissie sembra meravigliosa, e un giorno spero tanto di conoscerla."
"Lo spero anch'io, perché quello che ha passato mi ha fatto capire quanto fossi viziata. Abbiamo avuto un'infanzia magica ad Atlantis, al riparo da tutto, mentre Chrissie ha dovuto lottare davvero per arrivare dov'è adesso."
"Capisco. Ti rende felice?"
"Sì" riuscii a dire dopo una pausa. "Molto."
"Quindi è lei la tua persona speciale?"
"Forse, ma siamo solo all'inizio e… maledizione!" Diedi un pugno sul tavolo. "Ma che c'è in questa città? Non riesco più neanche a parlare."
"Ehi, Cee, sono io, Sia. Non abbiamo mai avuto bisogno di parole, ricordi?" Iniziò a muovere le mani nel linguaggio dei segni che avevamo inventato da bambine, quando non volevamo che le altre sorelle sapessero quello che dicevamo.
La ami? mi fece segno.
Non lo so. Forse.
Lei ti ama?
Sì, le feci segno, senza fermarmi a riflettere.
"Allora sono felicissima per te!" disse ad alta voce, e si alzò per stringermi in un grande abbraccio.
"Grazie" le borbottai tra i capelli. "Anche se, conoscendomi, potrei sempre mandare tutto all'aria."
"È quello che penso ogni giorno a proposito di Mouse. Si chiama fiducia, no?"
"Sì."
"E ricordati," disse facendo un passo indietro per guardarmi "qualunque cosa accada, ci saremo sempre l'una per l'altra."
"Grazie." Chiusi gli occhi per ricacciare le lacrime.
"E ora ascolta," disse sedendosi "ho fatto qualche ricerca su “Linda”."
"Davvero?" dissi tentando di ricompormi.
"Già." Star mi mise davanti un nome e un numero.
"Ci sono tre donne che si chiamano Linda nella banca. Dato che una lavora al catering e l'altra è lì da appena due mesi, la candidata più probabile è Linda Potter. Era l'assistente personale dell'amministratore delegato della banca, David Rutter."
"Sul serio? Come l'hai scoperto?"
"Ho chiamato la banca e ho chiesto di parlare con Linda. Ogni volta che me ne passavano una fingevo che fosse quella sbagliata e me le hanno passate tutte e tre, una dopo l'altra. Alla fine sono arrivata all'ufficio dell'amministratore delegato. A quanto pare Linda Potter è andata in pensione da poco."
"Okay."
"Be'?" Star mi guardò.
"Be' cosa?"
"Se Ace ha detto che “Linda sa”, e lei era l'assistente del capo, deve sapere per forza tutto quello che succedeva nell'azienda. Le assistenti personali sono sempre informate su ogni cosa."
"È vero…" annuii, chiedendomi dove volesse arrivare.
"Cee, credo davvero che tu debba andare a trovare Ace per chiedergli di Linda. E poi non si tratta soltanto di lui, ma anche di te! Pensa che sia stata tu a “venderlo” alla stampa, no? Di sicuro vorrai mettere in chiaro le cose, prima di tornare in Australia."
"Sì, ma non ho alcuna prova. Il rullino era quello della mia macchina fotografica, e l'ho dato io alla guardia di sicurezza per farlo sviluppare."
"Allora diglielo. E chiedigli anche perché non stia facendo alcuno sforzo per difendersi."
"Accidenti, ti sei presa parecchio a cuore questa storia, eh?"
"Non mi piace che si incolpi qualcuno per qualcosa che non ha fatto. Specialmente se si tratta di mia sorella" disse con fierezza.
"Sto cercando di imparare a tenere la bocca chiusa" dissi io facendo spallucce.
"Per una volta nella vita sono io a parlare per te. Credo che tu debba andare."
Fu lì che capii quanto fosse cambiata negli ultimi mesi. La vecchia Star si sarebbe tenuta tutto dentro, e non avrebbe mai detto una parola. Mentre io ne avrei dette fin troppe. Forse ci stavamo entrambe preparando ad allontanarci l'una dall'altra.
"Okay, okay" dissi. "So che è nella prigione di Wormwood Scrubs. Mi informerò sugli orari di visita."
"Promesso?" mi chiese.
"Promesso."
"Bene. Fra un po' devo andare a prendere Rory a scuola."
"D'accordo, ma prima che tu vada, mi chiedevo se potessi aiutarmi a riempire i moduli per richiedere il passaporto australiano. Mio nonno mi ha dato tutti i documenti necessari, ma sai cosa combino con i formulari."
"Ma certo. Vai a prenderli."
Portai di sotto la busta e sparpagliammo i documenti sul tavolo. Star lesse prima il certificato di nascita di mia madre, poi il mio.
"Quindi sei nata a Broome il cinque agosto 1980" lesse; teneva la testa inclinata per la concentrazione mentre leggeva altri dettagli. "Oddio, Cee! L'hai visto, questo?"
"Ehm, no. Il nonno mi ha dato la busta poco prima di partire."
"Quindi non sai come ti hanno chiamata alla nascita?" Indicò la riga sul documento e mi avvicinai per guardare.
"Cavolo!"
"Eh sì, signorina Pearl Abraham!" disse Star, che si mise a ridacchiare.
"“Pearl”, bleah" gemetti. "E io che mi sono sempre lamentata di “Celaeno”… Scusami, Pa'."
Poi non riuscii più a trattenermi e scoppiai a ridere insieme a mia sorella, cercando di immaginare l'altra me che si chiamava “Pearl”. Non era possibile. Eppure era anche perfetto, sotto molti punti di vista.
Quando ci fummo calmate rimisi il certificato di nascita nella busta.
"A proposito di certificati, tra qualche giorno viene a trovarmi mia madre. E Ma'" disse Star.
"Oh, ma è fantastico!" esclamai, pensando che mi sarei potuta risparmiare il viaggio a Ginevra. "Vengono qui per conoscersi?"
"Più o meno" disse Star. "Quando mia madre mi ha trovata, si è messa in contatto con altri membri della sua famiglia. Molti di loro vivono ancora nell'East End; organizzeremo una festa a sorpresa per un nostro parente. Mia madre mi ha detto che le sarebbe piaciuto conoscere la donna che mi aveva cresciuta, per ringraziarla di persona, e mi è sembrata l'occasione perfetta per invitare Ma'. Mi piacerebbe che conoscessi mia madre, visto che te ne ho parlato così tanto."
"Com'è?"
"Adorabile, davvero. Stavolta non si porterà dietro i figli, ma andrò presto nel New England per incontrare i miei fratellastri. Ecco, devi firmare qui." Star indicò il punto sul foglio. "Devi anche allegare una copia dei moduli di adozione. Basta che chiami Georg Hoffman" aggiunse. "Di sicuro lui ce li ha."
"Come stanno le altre sorelle? Non le ho più sentite da quando è uscita la storia sui giornali."
"Maia ha iniziato a insegnare inglese ai bambini di una favela di Rio, e Ally mi ha detto la settimana scorsa che diventa ogni giorno più grossa, ma sembrava felice. Ho chiamato Tiggy dopo Capodanno, ha cambiato lavoro e ora vive in una tenuta vicino al rifugio per animali. Vorrebbe organizzare un ritrovo ad Atlantis per l'anniversario della morte di Pa', a giugno. Electra non la sento da settimane, né l'ho più trovata sulle riviste, il che è insolito. Il premio per la notorietà stavolta va a te, sorellina" disse ridacchiando. "Quando tornerai in Australia?"
"Mercoledì prossimo."
"Così presto?" Star sembrava distrutta. "La festa è martedì sera, riesci a venire?"
"Probabilmente no. Devo fare i bagagli e tutto il resto."
"Capisco. Allora potremmo organizzare una festicciola d'addio privata, martedì pomeriggio… Così potrai conoscere mia madre e salutare Ma'."
"Se puoi fare a meno di Ma' per una notte, potrei andare a prenderla io a Heathrow e farla stare da me lunedì notte, poi la lascerò libera di venire alla tua festa martedì."
"Magnifico! Grazie, Cee. Ora devo andare a prepararmi. Perché non contatti il carcere, nel frattempo, per capire come si fa a visitare un detenuto? Ti ho lasciato il numero sul tavolo."
Andò di sopra a sistemarsi e io mi avvicinai al telefono. Sapevo che Star non mi avrebbe dato pace, se non avessi chiamato. All'altro capo la persona che mi rispose fu abbastanza gentile, anche se mi fece il terzo grado sul mio rapporto con il “prigioniero”.
"È un amico" dissi. Volle sapere la mia data di nascita, il mio indirizzo e mi disse che avrei dovuto presentare un documento per entrare.
"Ce l'hai fatta?" chiese Star quando scese di sotto con un borsone.
"Sì, anche se temo di non poter indossare quegli short sexy che mi piacciono tanto. È contro le regole dell'istituto."
"Certo" fece lei sorridendo. "Quando vai a trovarlo?"
"Ho prenotato per le due di domani pomeriggio. Già che ci sono potrei farmi fare le fototessere per il nuovo passaporto." Rabbrividii. "È molto strano pensare a Ace come a un “prigioniero”."
"Immagino. Sei sicura di cavartela qui tutta sola, Cee?" Star mi mise una mano sulla spalla.
"Ma certo. Sono cresciuta, sai?"
"Fammi sapere come va con Ace. Ti voglio bene, Cee, ci vediamo la settimana prossima."
Mentre attraversavo i cancelli della “Scrubs”, come la chiamavano gli altri visitatori in fila insieme a me, mi pareva davvero di essere entrata in un film. Ognuno di noi fu sottoposto a un'accurata perquisizione e alla fine fummo condotti in un ampio salone pieno di tavoli e sedie di plastica, che non trovai così deprimente come mi ero immaginata. Per evitare che i carcerati e i loro visitatori si tagliassero le vene per la tristezza, qualcuno aveva appeso alle pareti dei bei poster colorati. Ci fecero sedere ognuno a un tavolo diverso e ricevemmo istruzioni su cosa fare e cosa non fare. Poi entrarono i carcerati.
Mentre cercavo Ace con lo sguardo sentivo il cuore che mi batteva all'impazzata. Sentii una voce familiare che mi salutava e mi resi conto di non averlo neanche riconosciuto. Aveva i capelli rasati, era senza barba e magro da far paura.
"Che ci fai qui?" mi chiese sedendosi.
"Io… ho pensato di venire a trovarti, visto che sono tornata in Inghilterra."
"Certo. Sei la prima visita che ricevo. A parte il mio avvocato, ovviamente."
"Be', scusa se sono solo io."
Calò il silenzio. Ace si guardava le mani, poi si girava a sinistra, a destra… Cercava in tutti i modi di evitare il mio sguardo.
"Perché l'hai fatto, CeCe?" chiese alla fine.
"Non sono stata io, giuro! Sono venuta per questo. È stato Po, la guardia di sicurezza, corrotto da un tizio di nome Jay. Al Railay Beach Hotel mi avevano detto che ti aveva riconosciuto, ma io non volevo farti preoccupare, perciò non te l'ho riferito. Non sapevo chi fossi, quindi non ho dato importanza a quella storia."
"Falla finita, CeCe" disse lui. "Quella foto è stata scattata con la tua macchina. Ti ho permesso di farla perché mi fidavo di te, pensavo fossimo amici."
"Ma lo siamo! Sei stato fantastico con me!" insistetti, cercando di tenere basso il tono di voce. "Non avrei mai fatto nulla per tradirti. Po ha duplicato il rullino e dopo l'ha venduto a Jay. È la verità, è andata così."
"Sì, certo." Ace guardò un punto in lontananza. "Doveva succedere, prima o poi, immagino. Sapevo di non poter rimanere nascosto per sempre. Hai soltanto affrettato l'inevitabile."
"Io voglio che tu mi creda! Sono stata malissimo quando sono arrivata in Australia, ho ricevuto una valanga di messaggi dalle mie sorelle e ho scoperto di essere finita sulle prime pagine di tutti i giornali! Credi che lo desiderassi?"
"Cosa? Farti vedere con il più famigerato criminale del momento?"
"Esatto!"
"Molte ragazze lo vorrebbero."
"Be', io non sono “molte ragazze”" ribattei con fermezza, cercando di mantenere la calma.
"No" concordò lui alla fine. "Hai ragione. Pensavo davvero che fossi diversa, di potermi fidare di te."
"E potevi – puoi! Ascolta, lasciamo perdere. Se non mi credi, fai come vuoi, ma io non sono bugiarda. Sono qui per chiederti se ti serve aiuto. Potrei testimoniare, o fare qualunque altra cosa."
"Grazie, Cee, ma per colpa dei giornali ormai la mia reputazione è compromessa per sempre, e me lo merito. Sono sicuro che tu abbia letto delle mie imprese. Non che abbiano nulla a che vedere con quello che è successo alla banca, ma sta di fatto che sono l'uomo più odiato del Regno Unito."
"Ho una buona notizia per te: sono dislessica, ricordi? Leggere non è il mio forte."
Finalmente mi rivolse una specie di sorriso. "Sì, okay."
"Chi è Linda Potter?"
Mi guardò negli occhi per la prima volta. "Come?"
Capii che Star aveva trovato la donna giusta. "Linda Potter. Una sera mi hai detto che lei “sa”. Che cosa sa?"
"Niente, non è nessuno."
"Be', so che è qualcuno, perché guarda caso era l'assistente personale dell'amministratore delegato della Berners."
"Non… non impicciarti, CeCe, d'accordo?" disse a denti stretti.
"Sa qualcosa? Ace, perché non mi permetti di aiutarti?"
"Ascoltami," disse sporgendosi verso di me "quello che è fatto è fatto, va bene? Qualunque cosa accada, sono fregato. Sono stato io, io e nessun altro."
"Devono per forza esserci altre persone informate."
"Ho detto che non devi impicciarti."
Alzò la mano per attirare l'attenzione di un secondino, che aveva il fisico e la grinta di uno che era preferibile non incontrare di notte. Si avvicinò.
"Voglio tornare in cella" disse Ace.
"D'accordo, amico. Tempo scaduto, signorina" mi disse la guardia.
Ace si alzò. "Grazie per aver tentato di aiutarmi, Cee, ma non c'è nulla che tu possa fare, credimi."
Fuori dalla prigione, in attesa dell'autobus per tornare a Londra, mi resi conto che Star aveva ragione. Anche se non fossi riuscita a combinare nulla per aiutare Ace, dovevo dimostrargli che qualcuno che teneva a lui c'era.
Sapevo cosa si provava a sentirsi un cane bastonato.
35
Il jet lag non mi dava pace, e anche il mattino successivo mi svegliai prestissimo. Per prima cosa chiamai Ma', per dirle che sarei andata a prenderla all'aeroporto lunedì pomeriggio. Poi, alle nove in punto, telefonai alla banca Berners usando il numero che mi aveva lasciato Star.
"Salve, potrei parlare con Linda Potter, per favore?"
"Non lavora più qui" disse una voce femminile. "È la signorina che ha chiamato un paio di giorni fa?"
"Sì, volevo solo…" pensai in fretta "parlarle, perché doveva venire alla mia festa di compleanno, stasera, e ancora non ho saputo nulla."
"Be', farebbe meglio a chiamarla a casa."
"Sì, ma…" Esitai, spremendomi le meningi e ripercorrendo tutti i film di spionaggio che avevo visto per venirmene fuori con un'idea decente. "Sono già qui dove c'è la festa e non risponde al cellulare. Non ho il numero fisso qui con me, lei può procurarmelo?"
"Sì, aspetti un attimo."
Trattenni il respiro.
"Eccolo, glielo detto."
"Grazie infinite" dissi annotandomi il numero. "È un compleanno speciale e non sarebbe la stessa cosa senza di lei."
"Capisco. Forse riuscirà a rallegrarla un po'. Arrivederci."
"Arrivederci."
Feci un piccolo balletto di trionfo in soggiorno, poi mi ricomposi e chiamai Linda a casa. Il telefono squillò più volte, mentre il cuore mi batteva all'impazzata. Alla fine rispose la segreteria e riagganciai. A quel punto chiamai Star, perché non avevo idea di cosa altro fare.
"D'accordo" disse lei. "Ti serve il suo indirizzo. Aspetta un secondo."
La sentii chiacchierare con un uomo dalla voce profonda e vellutata.
"Cee, ti passo Orlando, il fratello di Mouse. È bravissimo a fare il detective."
"Signorina Celaeno?"
"Sì, mi chiami pure CeCe."
"Cielo, quanto vorrei che le persone battezzate con nomi insoliti li usassero. Se qualcuno, a eccezione ovviamente di mio nipote, pensasse bene di chiamarmi “Lando”, non uscirei di casa per un anno. Senta, la signorina Star mi ha detto che le serve l'indirizzo di una persona."
"Sì, esatto" risposi, cercando di non scoppiare a ridere per come parlava.
"Be', ho controllato sul computer e il prefisso 01233 mi dice che la sua donna misteriosa viene dal Kent. Anzi," ci fu una pausa in cui lo sentii digitare su una tastiera "per la precisione, da Ashford. Una bella cittadina, che per puro caso è molto vicina a dove ci troviamo. Sto cercando sul registro elettorale di quella zona il nome “Linda Potter”. Ah, ecco! Eccola qui. The Cottage, Chart Road, Ashford, Kent."
"Te lo scrivo in un messaggio, Cee" disse Star tornando in linea. "Andrai a trovarla? È ad appena un'ora di treno dalla stazione di Charing Cross."
"Potrebbe non esserci."
"Oppure non vuole farsi trovare. Aspetta…"
Attesi mentre Star discuteva con Orlando.
Quando riprese il telefono mi disse: "Il tragitto da High Weald a Ashford è breve. Che ne dici se andiamo noi al posto tuo a dare un'occhiata a quella casa?".
"Non è necessario, Sia. Non è una questione di vita o di morte."
"Potrebbe esserlo per Ace. Andremo a vedere se c'è qualche segno di vita prima di farti venire qui apposta."
"Okay" cedetti. Mi chiesi se la vita di Star fosse davvero tanto noiosa da doverla per forza animare con bizzarre missioni alla ricerca di una donna mai vista prima. Il tutto, poi, per aiutare un uomo finito in galera per frode e che non mi voleva più nella sua vita.
"Ci andremo nella pausa pranzo" disse Star. "Orlando mi farà da palo." I due si misero a ridere come ragazzini, perciò li ringraziai e riagganciai.
Dieci minuti più tardi suonarono alla porta. Era l'agente immobiliare che avevo contattato per mettere in vendita l'appartamento.
Ci stringemmo la mano e iniziò ad aggirarsi qua e là, annuendo e grugnendo. Alla fine tornò da me e si produsse in un sospiro drammatico.
"Che succede?"
"Conoscerà di certo la situazione immobiliare di Londra, in questo periodo."
"No, non ne ho idea."
"Per dirla schiettamente, è terribile."
Così l'agente, lo stesso che mi aveva venduto la casa elencandone le virtù, spiegò con dovizia di particolari che nessuno l'avrebbe mai comprata, di sicuro non per il prezzo che avevo pagato io.
"Il mercato è invaso da una marea di nuovi immobili lungo il fiume, un terzo dei quali al momento è vuoto. È tutta colpa del mercato dei subprime in America, ovviamente, e noi ne subiamo le ripercussioni."
Quanto la fa lunga!
"Mi vuole dire, in una lingua comprensibile, grazie, a quale cifra dovrei mettere in vendita la casa?"
Me lo disse e per poco non gli feci un occhio nero.
"Ma si rende conto che è inferiore del venti per cento al prezzo d'acquisto?"
"Purtroppo, signorina D'Aplièse, il mercato immobiliare è un mondo a sé. Fa leva sui sentimenti della gente che, eccezion fatta per gli edifici lungo il fiume, in questo periodo non è molto interessata all'acquisto. Torneranno momenti più favorevoli, come succede sempre a Londra. Se fossi in lei e non avessi bisogno di soldi, aspetterei a venderla e la affitterei."
Parlammo di quanto avrei potuto ricavarci affittandola, e per una come me era abbastanza da mantenermi per anni. Disse che la sua agenzia si sarebbe occupata di tutto, perciò firmai qualche documento e ci stringemmo di nuovo la mano. Gli consegnai una copia delle chiavi e lo accompagnai alla porta, ma proprio in quell'istante squillò il mio cellulare.
"Sia?"
"Siamo qui."
"“Qui” dove?"
"Davanti alla casa di Linda Potter, e lei c'è."
"Come fai a saperlo?"
"Orlando ha bussato, e si è presentato come il candidato conservatore della zona. Io gli avevo detto di scegliere un altro partito, magari quello dei “Lunatici al Potere”, ma non mi ha dato retta…"
Seguì una cacofonia di risatine. Quando si degnarono di ricomporsi, Star proseguì: "Comunque, io mi sono presentata come la sua segretaria e lei si è illuminata tutta. Mi ha detto che una volta era “la segretaria personale di un uomo molto importante”".
"Ah" dissi io. "È una cosa buona?"
"Aspetta, Cee, fammi finire. Poi le ho chiesto se fosse in pensione, e lei ha risposto di sì. “Messa in naftalina prima del tempo”, sono state le sue parole. Orlando e io crediamo che l'abbiano fatta fuori."
"Forse doveva davvero andare in pensione."
"Ma no, scommetto che non ha neanche cinquant'anni."
"Ah" ripetei. "Cosa pensate che dovrei fare?"
"Vieni a trovarla. Domani ti vengo a prendere alla stazione di Ashford, basta che tu non arrivi dopo le tre e mezza perché vado a prendere Rory a scuola."
"Vuoi dire che mi farai da spalla?"
"È a questo che servono le sorelle, no?"
"Sì. Grazie, Sia. Ciao."
Mi diedi da fare infilando qualche oggetto a caso negli scatoloni, e col passare del tempo iniziai a provare quella brutta sensazione che avevo sempre quando mi sentivo sola. Star aveva “la sua gente”, adesso – e anche io; peccato però che i miei fossero dall'altra parte del mondo. Mi abbandonai sul divano, triste. Poi, come per magia, squillò il cellulare.
"Pronto?"
Dopo una lunga pausa piena di scariche elettrostatiche, una voce familiare disse: "Cee? Sono io, Chrissie".
"Ciao! Come stai?"
"Bene, anzi benissimo. Tuo nonno ti manda i suoi saluti."
"Ricambia. Come procede?"
"Bene, bene. Volevo che fossi la prima, anzi, la seconda, a sapere che mi hanno offerto il lavoro alla galleria!"
Chrissie squittì di gioia e mi fece sorridere.
"Che bello!"
"Vero? La paga fa ridere, certo, ma il tuo caro nonnino mi ha detto che posso stare con lui finché non avrò risparmiato abbastanza da prendere in affitto un appartamento. Non scherzo, Cee, è la mia nuova persona preferita nel mondo, ma ci manchi tantissimo."
"Anche voi."
"Sto per telefonare a Broome per mollare il lavoro. Credi sia la cosa giusta da fare?"
"Chrissie, io sto per mollare la mia vita qui in Inghilterra. Certo che è la cosa giusta! È quello che vuoi, no?"
Ci fu un attimo di silenzio.
"Quindi tornerai? Sul serio?"
"Ma certo" dissi con fermezza.
"Allora sì."
"Sì cosa?"
"Mollo il lavoro! E Ace? L'hai visto?"
"Ieri. Non se la passa bene."
"Oh, ma torni davvero?"
"Te l'ho appena detto!"
"Sì, hai ragione. Senti, questa telefonata sta costando una fortuna a tuo nonno, perciò ti devo salutare. Mi manchi."
"Mi manchi anche tu."
Riattaccai e decisi di innaffiare le piante di Star. Era il minimo che potessi fare per lei, che aveva fatto così tanto per me. Quel pensiero mi fece riflettere su quanto dipendessi da mia sorella. Senza accorgermene, avevo già ricominciato ad affidarmi a lei per fare ciò in cui non ero brava.
Più tardi, a letto, decisi che se proprio dovevo andare a trovare la famosa Linda, l'avrei fatto da sola.
Dopo il breve viaggio in treno fino a Ashford, il mattino dopo, presi un taxi fino all'indirizzo che mi aveva dato Orlando.
"Siamo arrivati, signorina" mi avvertì il tassista indicando la casa. Gli chiesi di non fermarsi e di svoltare alla strada successiva.
"Se non torno entro dieci minuti, se ne vada pure" dissi allungandogli cinque sterline in più. "La richiamerò."
Mi incamminai verso la casa e mi fermai davanti con tutta la nonchalance che riuscii a mostrare. Su un piccolo cartello di legno appeso al cancello c'era scritto “The Cottage”. Attraversai la strada e mi accorsi che il giardino era perfettamente in ordine, molto ben tenuto. Aprii il cancello e feci per suonare, cercando di immaginare cos'avrei detto. Prima di arrivare alla porta, però, quella si spalancò.
"Se è qui per cercare il mio sostegno alle prossime elezioni, non sono interessata."
La donna stava per sbattermi la porta in faccia, ma la tenni aperta con una mano.
"No, mi chiamo CeCe D'Aplièse, l'amica di Ace della Thailandia…"
"Cosa?" La donna mi guardò. "Santo cielo, sei tu!"
"Sì." Rimanemmo ferme così, con la porta semiaperta e lei che mi guardava a bocca spalancata. Ebbi modo di osservarla: aveva i capelli castani tagliati in uno scialbo caschetto, una camicetta e una gonna che Star e io avremmo definito “da vecchia”, che le arrivava appena sotto il ginocchio. Era rimasta senza parole, perciò fui io a farmi avanti: "Volevo solo parlarle". Lei distolse lo sguardo, a disagio.
"Come mi hai trovata?"
"Dal registro elettorale. Ho visto Ace in prigione, crede che sia stata io a vendere la foto ai giornali, ma non è vero. So che nonostante tutto è una brava persona. E poi mi ha aiutata quando ero nei guai. Ho la sensazione che non gli siano rimasti più amici e che ne abbia davvero bisogno" conclusi, ansimando per lo sforzo.
Alla fine lei annuì.
"Meglio che entri."
"Grazie." Entrai e lei mi richiuse la porta alle spalle, girando anche la chiave nella serratura.
"Nessun altro sa che sei qui, vero?"
"Nessuno." La seguii lungo uno stretto corridoio fino a un soggiorno così pulito e ordinato che mi metteva in soggezione. Se mi avesse offerto da bere avrei persino avuto paura di versare del liquido sulla superficie lucida del tavolino. Perfino i cuscini sul divano erano sistemati in maniera simmetrica.
"Prego, siediti. Posso offrirti un tè?" chiese la donna.
"No, grazie, sto bene così" risposi sedendomi. "Non resterò a lungo."
Linda si accomodò sulla poltrona di fronte a me e rimase un po' a guardarmi, poi si girò, con gli occhi improvvisamente lucidi. Come se stesse per piangere.
"Allora," sussurrò, ricomponendosi con un certo sforzo "sei la fidanzata di Anand?"
Mi ci volle un attimo per rendermi conto a chi si riferisse. "Non direi proprio, ma ci siamo tenuti compagnia, diciamo. A proposito, perché mi ha detto di chiamarsi “Ace”?"
"È un soprannome che gli avevamo dato in banca, perché è un vero asso negli affari. O almeno, lo era… Perché sei qui, di preciso?"
"Senta, mi importa soltanto di lui, okay? Una sera ha fatto il suo nome. Ha detto: “Linda sa”. All'epoca non avevo idea di cosa intendesse, ma ora sì, e siccome sto per andare a vivere in Australia, prima di partire ho pensato fosse giusto conoscerla."
"È un bravo ragazzo" disse Linda dopo una lunga pausa.
"Sì, è vero. Mi ha permesso di stare da lui quando non avevo un posto dove andare. Non so neanche cosa dovrei chiederle, ma…"
Vidi che Linda era distratta, guardava un punto in lontananza, perciò tacqui e aspettai che parlasse.
"È venuto in Inghilterra a tredici anni per studiare" disse alla fine. "Sono stata io ad accoglierlo all'aeroporto e a portarlo alla Charterhouse, una scuola qui vicino. Era piccolo, non dimostrava più di nove, dieci anni, era un bambino. Aveva perso la madre da poco, eppure era davvero coraggioso, non ha pianto quando l'ho presentato al preside e l'ho lasciato lì. Deve essere stato un vero shock per lui lasciare Bangkok e venire a studiare nella fredda e grigia Inghilterra."
Linda fece una pausa e sospirò, poi proseguì il racconto: "I ragazzini sanno essere crudeli, sai?".
"Non saprei, a essere sincera. Ho cinque sorelle."
"Davvero?" Mi rivolse un sorriso. "Che fortuna. Io sono figlia unica. Comunque, lo chiamavo ogni settimana per assicurarmi che stesse bene. Al telefono era sempre allegro, ma sapevo che non era facile per lui. Di tanto in tanto, all'inizio andavo a trovarlo la domenica, per portarlo a pranzo. Siamo diventati intimi e alla fine, con il permesso di suo padre, è venuto a stare da me durante le vacanze. Comunque, ormai, questo appartiene al passato."
Restammo in silenzio per un po', mentre cercavo di sbrogliare quella matassa senza riuscirci. Ero certa che Ace mi avesse detto di non conoscere il padre, eppure Linda lo aveva appena menzionato. Era imparentata con Ace? Forse era per quello che si era occupata di lui quando era piccolo?
"Lei era l'assistente personale dell'amministratore delegato della Berners, vero?"
"Lo ero, sì. Come già saprai, sono cambiate diverse cose negli ultimi mesi. Ora sono ufficialmente in pensione."
"Ah, bene."
"No, non va affatto bene" sibilò. "È terribile! Non so proprio cosa fare, a casa tutto il giorno. Alla fine mi ci abituerò, ne sono sicura, ma è difficile quando ti allontanano dal tuo stile di vita così all'improvviso."
"Sì, è vero" dissi con trasporto. "È perché hanno comprato la banca?"
"In parte, sì, ma David ha creduto che fosse meglio farmi sparire."
"David?"
"L'amministratore delegato. Ho lavorato trent'anni per lui, vivevo per lui e per il mio lavoro. E adesso…" Si strinse nelle spalle. "Be', eccomi qui. Sei sicura che non ti vada una tazza di tè?"
"Sono a posto, davvero, grazie. Il suo capo lavora ancora lì, giusto?"
"Ah, certo" disse con veemenza. "Ho sentito dire che si è preso una “nuova me”, si chiama Deborah. È molto… bionda, a quanto dicono. Non che questo abbia importanza" aggiunse in fretta. "Sono sicura che sia una brava assistente."
"Linda" dissi. Quella conversazione non ci stava conducendo da nessuna parte, la stava solo facendo innervosire. "Cosa sa di Ace? Qualcosa di utile che possa usare per aiutarlo."
"Oh, so tutto di Anand" disse piano. "So che gli piace farsi accarezzare i capelli prima di addormentarsi, che è un po' sordo da un orecchio per un vecchio infortunio rimediato giocando a rugby, e che ama i miei shortbread fatti in casa."
"Volevo dire se sa qualcosa che possa servirgli durante il processo" precisai. "Per… alleggerirgli la condanna, almeno."
Linda si morse il labbro e arrivò di nuovo sull'orlo del pianto. "Sai, è quasi mezzogiorno e credo che mi farò un goccio di sherry. Tu ne vuoi?"
"No, grazie."
Si alzò e andò a prendere nella credenza una bottiglia e un minuscolo bicchiere. Lo riempì di liquido bruno. "Oddio, non bevo sherry a pranzo da anni. Salute."
"Salute" risposi. Per essere una che non beveva da anni, svuotò il bicchiere piuttosto in fretta.
"Ora va meglio" disse. "Cielo, adesso capisco perché la gente si rifugia nell'alcol, soprattutto quando è sotto pressione. Anand beveva quando era con te in Thailandia?"
"No. Non ha bevuto niente, solo un bicchierino di Champagne a Capodanno."
"Magnifico. Prima di cominciare a fare l'operatore finanziario non beveva. Il problema è che alzare il gomito è un po' un rito di passaggio nella City, e lui voleva essere uguale ai suoi colleghi. Nessuno vuole sentirsi diverso, dico bene? Specialmente chi lo è davvero."
"Ha ragione" dissi annuendo.
"Ho detto subito a David che per me era un errore assumere Anand in banca dopo il diploma, ma lo trovava un ragazzo molto dotato. Anand non voleva fare quel lavoro. Era seduto lì dove sei tu quando me l'ha detto, ma David non ha voluto sentire ragioni" disse sospirando.
"Significa che il suo capo ha costretto Ace a diventare un operatore finanziario?" chiesi, ancora più confusa.
"Mettiamola così: Anand ammirava David a tal punto che avrebbe fatto qualsiasi cosa gli dicesse."
"Perché?"
Linda si accigliò. "Non te l'ha detto? Te l'ha detto di sicuro, altrimenti non saresti qui."
"Detto cosa?"
"Che David è suo padre."
"Ah" annaspai, sconvolta da quella rivelazione. "No, non me l'ha detto."
"Oh, santo cielo, pensavo lo sapessi…" Linda si coprì il viso con le mani. "Non lo sa nessun altro, di questo… legame di sangue."
"Davvero? E come mai?"
"David è paranoico riguardo alla sua reputazione nella City. Non voleva che si sapesse che aveva un figlio illegittimo. E ovviamente era già sposato quando è nato Anand, e aveva già un bambino con sua moglie."
"Okay. E Ace sa che David è suo padre?"
"Certo che lo sa, ed è per questo che cercava continuamente di compiacerlo. Quando ha saputo della morte della madre di Anand, David ha placato il proprio senso di colpa portando suo figlio in Inghilterra e facendolo studiare in una delle migliori scuole. Poi gli ha offerto un lavoro in banca, a condizione che nessuno venisse a conoscenza del loro rapporto di parentela."
"Quindi sta dicendo che David si vergognava del suo figlio mezzosangue?"
"Era orgoglioso del suo status di “perfetto gentiluomo inglese”. E si mostrava sempre a tutti come un padre premuroso, attento alla famiglia."
"Gesù" mormorai tra me. Era il 2008, eppure cose del genere succedevano ancora. "Quindi Ace voleva fare di tutto per impressionare il padre, giusto? Spingendosi fino a concludere operazioni illecite?"
"Sin dall'inizio fu chiaro che Anand avesse lo stesso talento di suo padre, e questo era il motivo per cui David l'aveva assunto. Nel giro di due anni è diventato l'operatore finanziario più bravo della Berners, e ha scalato le gerarchie in fretta. Nel suo campo ci sono soltanto tre parole che contano: profitto, profitto e profitto, e Anand faceva più soldi di tutti i suoi colleghi messi insieme."
"Suo padre era orgoglioso di lui?"
"Sì, moltissimo, ma poi Anand ha avuto un periodo sfortunato e, invece di mantenere la calma si è fatto prendere dal panico. È stato lì che ho iniziato a sospettare che imbrogliasse. Il problema è che se rischi una volta, solo una, per rientrare di una perdita e nessuno se ne accorge, poi ti viene voglia di riprovarci. Diventa una specie di droga, e Anand dipendeva dagli elogi e dalle attenzioni di suo padre."
"Cavolo, che tristezza" commentai scuotendo la testa. "Linda, crede che David sapesse cosa stava combinando Ace? L'avrà saputo, no? Ha perso un sacco di soldi."
Linda andò a versarsi un altro sherry e lo bevve di nuovo tutto d'un fiato. "Questo non lo so per certo. Quello che so è che David non lo sta difendendo, e invece dovrebbe fare qualcosa. È suo figlio, per l'amor del cielo! E non mi sorprenderebbe affatto se scoprissi che David sapeva dei casini in cui si stava infilando Anand. È l'amministratore delegato, in fondo. Mi sono perfino chiesta se non abbia dato del denaro ad Anand perché “sparisse” in Thailandia."
"Accidenti, che caos."
"Sì, è un gran caos. Povero, povero ragazzo. Io…" Gli occhi di Linda si riempirono di lacrime. "Non ho mai avuto figli, ma amavo Anand come se fosse mio, CeCe. Gli sono stata accanto quando sua madre e suo padre non c'erano, l'ho aiutato a superare gli anni difficili dell'adolescenza."
"Allora perché non è andata a trovarlo in carcere?"
"David me l'ha proibito. Mi ha ordinato di stare alla larga."
"Per impedire che qualcuno potesse risalire al suo rapporto con Ace e David e scoprisse la verità su di loro?"
"Sì, anche se non ci sono prove scritte. Il nome di David non compare mai, neppure sul certificato di nascita di Anand."
Sentii la rabbia montarmi dentro. "Esistono i test del DNA. Mi dispiace dirlo, ma questo David sembra proprio un…" cercai la parola più adatta "farabutto. Ace ha bisogno di tutto il sostegno possibile. È solo, deve sopportare la situazione senza l'aiuto di nessuno."
"Su David hai ragione" disse cupa Linda. "Ci ho messo trent'anni a togliermi il paraocchi. Il problema è che l'ho adorato sin dal primo giorno di lavoro, quando facevo l'apprendista dattilografa in banca. Quando mi ha presa come sua assistente è stato il momento più felice della mia vita. Gli ho dato tutta me stessa. Ovunque fossi, a qualsiasi ora del giorno o della notte, ero pronta a organizzargli la vita. E non solo a lui, ma anche a quella strega arrogante e saccente che ha sposato e a quei due deficienti viziati dei figli, che non hanno mai lavorato in vita loro. Ero innamorata di lui, ecco" confessò. "Che brutto cliché: la segretaria innamorata del suo capo. E ora mi ha gettata via, insieme ad Anand. Non ha avuto neanche l'accortezza di dirmelo di persona quando hanno annunciato i tagli al personale, dopo che la Jinqián ha acquistato la banca per una sterlina. Mi hanno convocata nell'ufficio del personale insieme a tutti gli altri."
Ormai avevo voglia di strozzare con le mie mani quel bastardo. "È perché sapeva troppo."
"Ero la sua ombra, gli ricordavo sempre chi era davvero. È suo padre, CeCe. Deve intervenire ora che suo figlio ha bisogno di lui, e lo sa."
"Ha mai pensato di rivelare la verità ai giornali?"
"Certo che ci ho pensato, ci penso in continuazione! Immagino la faccia che farebbe David!" Ridacchiò e vuotò il bicchiere di sherry.
"E dunque?"
"È che… non posso. Non è una persona così odiosa. E il mio sarebbe solo un dispetto, perché non otterrei nulla se non umiliarlo pubblicamente."
"A me basterebbe e avanzerebbe" commentai.
"No, CeCe. Cerca di comprendere, l'unica cosa che ormai mi resta è l'integrità. E non gli permetterò di compromettere anche quella."
"E Ace?" insistetti. "Capisco che abbia agito in maniera illegale volontariamente, ma se al processo lei comparisse per spiegare perché è accaduto, di certo lo aiuterebbe, no? Dopotutto lo conosce da quando era un ragazzino, e ha lavorato in banca con lui, perciò potrebbe essere un testimone chiave. Sono pronta a testimoniare anch'io!"
"È gentile da parte tua, cara. Il problema è che la mia buonuscita dipende dalla mia capacità di tenere la bocca chiusa. Ho dovuto firmare un accordo di riservatezza in cui accetto di non parlare in difesa di Anand, né con la stampa né al processo."
"Ma questo è un ricatto, Linda" esclamai.
"Ne sono consapevole, ma senza sembrare egoista, quel denaro è l'unico mezzo di sostentamento che avrò per i prossimi sette anni, fino a quando potrò andare veramente in pensione."
"Può trovarsi un altro lavoro, no? A quanto mi ha detto era un'ottima assistente personale."
"Oh, CeCe, sei tanto dolce, cara, ma ho quarantotto anni. I dirigenti vogliono donne giovani, non zitelle di mezza età come me."
"Ma non può… ricattare a sua volta David? Ha lavorato tanti anni per lui, avrà qualcosa in mano."
"Ce l'ho eccome. Ah, quante cose potrei raccontare ai giornali. Per cominciare, le sue infinite scappatelle, e io lo coprivo sempre quando sua moglie chiamava in ufficio. E poi la sua stravaganza allucinante – gli andava bene solo il meglio del meglio, e per ottenerlo smuoveva mari e monti. Anche il giorno in cui la sua preziosa banca stava per essere venduta per una misera sterlina mi ha mandato a Hatton Garden per prendere una perla a cui dava la caccia da anni. Finalmente era riuscito a trovarla e se l'era fatta spedire a Londra con un jet privato. Ho incontrato l'intermediario dopo aver preso una valigetta contenente un milione di sterline in contanti. Una volta tornato in ufficio, ho visto David aprire la scatolina e tirare fuori la perla. L'ha sollevata alla luce, e lo ammetto, era enorme e aveva un bel colore rosa. Sembrava più innamorato di quel gioiello che di qualunque altra cosa o persona."
Rimasi a bocca aperta e guardai Linda sbalordita. Non poteva essere quello che pensavo…
"E… da dov'è arrivata quella perla? Lo sa?"
"Dall'Australia, mi sa. A quanto pare era stata ritrovata dopo tanti anni."
"David ha… ha detto se avesse un nome? Dato che era tanto speciale?"
"Sì, l'ha chiamata “Perla Rosata”, perché?"
Gli spiriti trovano uomini avidi e li uccidono…
"Ero curiosa." Stavo per mettermi a ridacchiare in maniera isterica, ma Linda non avrebbe capito, perciò mi controllai. "Ora devo proprio andare, ma le lascio il mio numero, così possiamo tenerci in contatto."
"Sì, d'accordo" disse. Ci scambiammo i numeri, poi mi alzai e mi affrettai a guadagnare l'uscita prima che dentro di me la diga si rompesse.
"È stato bello parlare con qualcuno che capisce e che tiene ad Anand quanto me" disse Linda posandomi una mano sul braccio. "Grazie di essere venuta."
"La prego, Linda, anche se non potrà testimoniare in tribunale, vada a trovarlo. Ha bisogno di lei. È… be', è sua madre."
"Sì, hai ragione. Ci penserò, cara. Ciao."
Uscii e mi incamminai lungo la strada; imboccai uno stretto vicolo finché non trovai un parco. Mi sedetti su una panchina e iniziai a ridere. Era inopportuno, lo sapevo, ma non riuscivo a trattenermi. Se il padre di Ace aveva comprato davvero la Perla Rosata maledetta, allora forse quel gioiello era finito nelle mani della persona che lo meritava di più.
Non che volessi il peggio per lui, ovvio… be', non così tanto.
Rabbrividii dal freddo e presi il cellulare per chiamare un taxi. Quando arrivò mi infilai dentro e telefonai al carcere per prenotare un'altra visita.
Arrivai a casa e mi resi conto di essere più tranquilla per la situazione con Ace. Presagivo che gli Antenati avessero tutto sotto controllo e che il destino di David Rutter fosse già segnato.
Quando andai a prendere Ma' a Heathrow la vidi uscire dall'area arrivi, sempre molto elegante nonostante il lungo volo. Mi feci largo tra la folla e la strinsi forte tra le braccia.
"Chérie, stai benissimo!" disse baciandomi sulle guance.
"Grazie, in effetti mi sento piuttosto bene" risposi e la presi a braccetto. Salimmo su un taxi fino a Battersea e la feci entrare nel mio appartamento.
"Mon dieu! È sbalorditivo." Ma' si guardò intorno allargando le braccia e ammirando l'enorme open space.
"È bello, vero?"
"Sì, ma Star mi ha detto che hai intenzione di venderlo."
"Non più. Secondo l'agente immobiliare i prezzi delle case sono crollati, perciò ho deciso di affittarlo. Mi ha chiamato stamani, ha già trovato degli inquilini, quindi bene così. Ti prendo il cappotto."
"Grazie." Ma' si sedette lisciandosi la gonna di tweed. Aveva un aspetto impeccabile, come sempre, e la sua presenza era confortante come al solito.
"Posso offrirti una tazza di tè?" chiesi.
"Volentieri. Non ho bevuto né mangiato nulla sull'aereo."
"Non ti biasimo" dissi andando ad accendere il fuoco sotto il bollitore. "Anche se ho dovuto farlo per forza tornando dall'Australia, altrimenti avrei rischiato di morire di fame."
"Ancora non ci credo che tu abbia fatto tutti quei viaggi da sola. So quanto odi volare. Sono fiera di te, chérie."
"Be', nella vita bisogna affrontare le proprie paure, no?"
"È vero. E hai fatto grandi progressi."
"Ci sto provando." Le portai una tazza del suo Darjeeling preferito e mi sedetti accanto a lei sul divano. "È bello vederti, Ma', grazie di essere venuta."
"Anche se Star non mi avesse invitata in Inghilterra non ti avrei certo permesso di sparire in Australia senza venire a trovarti. Sono felice di essere qui, ed è bello allontanarsi da Atlantis, per qualche giorno. Allora…" Bevve un sorso di tè. "Vuota il sacco."
"C'è tanto da raccontare."
"Abbiamo tempo. Inizia dal principio."
E così feci. In un primo momento provai imbarazzo perché, mi resi conto, non ero mai stata troppo a lungo da sola con Ma' senza Star accanto. Ma era solo un altro passo necessario, ora che ero diventata la persona che volevo essere. Ma' fu la migliore confidente del mondo, e mi prese le mani nei passaggi più intensi sul piano emotivo – il che fu una buona cosa, perché ce n'erano diversi.
"Oh cielo, che percorso incredibile. Mi piacerebbe molto conoscere tuo nonno" disse Ma' quando finii di aggiornarla.
"È una persona speciale." Mi fermai, perché dovevo trovare le parole giuste senza impappinarmi. "Sai, Ma', tutta questa situazione, e la ricerca che abbiamo portato a termine, Maia, Ally, Star e io mi hanno fatto riflettere."
"Ah sì?"
"Sì, su cosa significhi essere genitore, sull'importanza dei legami di sangue."
"E cosa ne pensi, chérie?"
"Che è stato davvero bellissimo conoscere mio nonno; purtroppo ho aggiunto una persona sola alla famiglia che già ho. Non ho bisogno di sostituire te e Pa'. È un po' come con il mio amico Ace, quello che hanno arrestato. Sua madre era thailandese e lui l'amava molto, però è morta. Qui ha trovato un'altra madre, per puro caso, e questa donna ci tiene tantissimo a lui, come tu tieni a noi sorelle."
"Grazie, chérie. Faccio del mio meglio."
"Ma'…" Stavolta fui io a prenderle la mano. "È stato difficile per te vedere alcune di noi partire alla ricerca delle nostre famiglie biologiche? Ci hai cresciute tu, praticamente."
"Ah, CeCe, sai che sei l'unica ad avermi fatto questa domanda? Lo apprezzo, chérie. Sì, hai ragione, vi ho viste crescere e vi conosco da quando eravate in fasce, e sono onorata della fiducia che vostro padre ha riposto in me. Per qualsiasi genitore è difficile vedere i propri piccoli abbandonare il nido, e magari trovare altre famiglie che spuntano fuori dal passato o dal presente. Ma il fatto che stasera siamo qui, a parlare, che tu abbia voluto vedermi, mi basta, credimi."
"Ho sempre voluto vederti, Ma', sei sempre stata la migliore."
Ci mettemmo a ridere per non scoppiare a piangere, e poi ci abbracciammo. Le appoggiai la testa sulla spalla come facevo sempre da bambina.
Guardai il cellulare e vidi che erano le nove passate: Ma' stava sicuramente morendo di fame. Ordinai a domicilio del delizioso pollo al curry verde thailandese.
"Quindi, mercoledì parti per l'Australia?" chiese Ma'.
"Sì." E aggiunsi: "Posso chiederti una cosa?".
"Certo che puoi, chérie."
"Credi che Pa' abbia scelto noi ragazze una a una o è successo tutto per caso? Prendi me, ad esempio: come ha fatto a trovarsi a Broome proprio nei giorni in cui sono nata e avevo bisogno di una famiglia?"
Ma' appoggiò sul piatto le posate. "Chérie, davvero, ti risponderei se lo sapessi. Tuo padre viaggiava molto e non sono a conoscenza di un piano, se ce n'era uno. Ogni bambina giunta ad Atlantis è stata una sorpresa per me, soprattutto tu, CeCe. Star era arrivata appena sei mesi prima" disse annuendo e bevendo un sorso di vino. "Tu sei stata la sorpresa più grande."
"Davvero?"
"Davvero." Ma' sorrise. "Tutti noi vogliamo sempre credere che esista un piano. E forse è così, ma ti dico per esperienza che non è sempre… studiato dall'uomo."
"Stai dicendo che è il fato a guidarci, o un potere superiore?"
"Sì" disse Ma' annuendo vigorosamente. "Credo proprio di sì. A me è successo di sicuro." Si pulì la bocca con il tovagliolo. "La gentilezza degli sconosciuti" sussurrò, poi fece un bel respiro. "Ti dispiace se mi ritiro per la notte? A quanto mi ha detto Star, domani sarà una giornata intensa."
"Ti riferisci alla festa organizzata per il parente di Star?"
"Sì, e ovviamente, alla tua festa di addio" mi ricordò.
"Ah, già." Ero stata così presa da tutto che stavo per dimenticarmi che tra meno di ventiquattro ore mi attendeva un volo di sola andata per l'Australia.
"E conoscerò Mouse per la prima volta" proseguì Ma'. "Tu l'hai incontrato?"
"Sì, una volta. È… un bel tipo" riuscii a dire. "Sono contenta che Star sia felice."
Di sopra, nella stanza per gli ospiti in cui non aveva mai dormito nessuno, mi sembrò strano mostrare a Ma' dove fossero gli asciugamani e come funzionava la doccia, come se io fossi l'adulta e lei la bambina.
"Grazie, CeCe. Sei stata una padrona di casa impeccabile, e spero che un giorno mi inviterai anche in Australia."
"Certamente. Quando vuoi, Ma'."
"Buonanotte, chérie." Ma' mi baciò sulle guance. "Sogni d'oro."
36
Il giorno dopo sorpresi Ma' svegliandomi di nuovo di buon'ora, e dopo una rapida colazione a base di caffè e croissant la lasciai a prepararsi per la serata. Presi l'autobus e mi recai a Wormwood Scrubs.
Appena mi vide, Ace si abbandonò sulla sedia davanti a me. Aveva l'aria infastidita.
"Pensavo di averti detto di lasciarmi in pace" disse incrociando le braccia.
"Be', ciao anzitutto" risposi. "Indovina un po' chi ho incontrato ieri?"
"CeCe, dimmi che non…"
"Sì, sono andata a trovare Linda e abbiamo chiacchierato a lungo; ti vuole un bene dell'anima" esclamai, e mi sporsi sul tavolo verso di lui. "Mi ha detto la verità su tuo padre. Deve aiutarti, Ace. Sapeva cosa stavi facendo? Perché se lo sapeva, allora…"
"Smettila! Non sai di cosa parli" sibilò con rabbia. "È molto più complicato di quanto immagini."
"Lo so, Linda me l'ha detto, ma David è tuo padre e questo è un dato di fatto. Dovrebbe starti accanto, in quanto tuo genitore e tuo ex capo, perché io credo proprio che fosse al corrente di tutto. Lo stai proteggendo, e non è giusto!"
Ace mi guardò un istante, poi mi porse un fazzoletto preso dalla scatola sul tavolo. Non mi ero neanche resa conto di aver cominciato a piangere, ma immaginavo che i secondini fossero abituati a vedere scene ben peggiori.
"CeCe" disse Ace con tono più gentile. "Ho avuto molto tempo per pensare, qui dentro, e anche quando ero in Thailandia con te. Sapevo che prima o poi avrei dovuto pagare le conseguenze di quello che avevo fatto, ed eccomi qui. Che mio padre sapesse o meno, e ammesso sia davvero mio padre, è irrilevante. Sono stato io a premere quei tasti sul computer e a concludere le trattative illegali. Mi sono anche reso conto che mio pa… che David non mi ha mai voluto bene, né ha mai tenuto a me. Anche se, a essere sincero, non credo abbia mai tenuto a nulla tranne che al denaro."
"Concordo" dissi.
"Perciò sia lui sia ciò che ho messo in atto mi hanno fatto capire chi stavo diventando: una persona che non mi piaceva. In un certo senso quest'esperienza mi ha salvato. L'avvocato mi ha detto che posso laurearmi mentre sono in galera. Credo che studierò filosofia e teologia. Ho solo ventotto anni, e ho tempo per rifarmi una vita quando uscirò."
"Be', questo sì che è un atteggiamento positivo" dissi. Cominciavo a capire il suo punto di vista e lo ammiravo moltissimo.
"E comunque ora so che non sei stata tu a vendermi, CeCe. Ho controllato online e quella foto appartiene a un certo “Jay”. Avevi ragione, e mi scuso per aver pensato che fossi stata tu. Ho tanti ricordi felici dei momenti passati con te sulla spiaggia di Phra Nang, e vorrei che restassero tali."
"Anch'io" dissi, con un groppo in gola. "Ascolta, domani mi trasferisco in Australia. Quando esci, ti prego, vieni a trovarmi. Forse è proprio lì che potrai rifarti una vita. È la terra delle opportunità, ricordi?"
"Chi lo sa? Di sicuro ci terremo in contatto. A proposito, hai scoperto qualcosa di più su quella Kitty Mercer?"
"Molto di più" dissi sorridendo. "Ho trovato la mia famiglia."
"Allora sono felice per te, CeCe." Per la prima volta lo vidi aprirsi in un gran sorriso. "Te lo meriti."
"Ora devo andare, ma appena mi sarò stabilita ti farò avere il mio indirizzo."
"Promesso?" Mi prese la mano mentre mi alzavo.
"Promesso. Ah, e poi…" sussurrai "non preoccuparti per tuo padre. Ho la sensazione che avrà quello che si merita."
Trascorsi il pomeriggio a infilare, dentro sacchi della spazzatura, la mia roba, che Star mi aveva permesso di parcheggiare da lei a High Weald. Poi andai a comprare delle cose che sapevo di non poter trovare a Alice Springs, tipo fagioli in scatola Heinz e un barattolo gigante di crema di cioccolata bicolore. Star, sua madre e Mouse sarebbero arrivati alle sei per un brindisi di saluto, prima di recarsi alla festa nell'East End. Comprai quindi tre bottiglie di Champagne e qualche birra per augurarci a vicenda buon viaggio.
Quando tornai a casa, carica di buste della spesa, vidi che Ma' aveva preso il posto di Star e armeggiava in cucina con indosso il grembiule bianco di mia sorella. Mi accolse con un'aria abbacchiata.
"Mon dieu, c'è una pasticceria nei paraggi? I canapé che ho fatto non sono venuti bene. Vedi?"
Indicò dei piccoli ammassi verdi informi. Sembrava che qualcuno li avesse calpestati.
"Non c'è problema, Ma', ho delle tortillas e delle salse, ho comprato tutto adesso."
"Oh, CeCe, che imbarazzo! Mi hai scoperta." Si sedette e si prese il viso tra le mani.
"Davvero?"
"Mais oui! Sono francese, eppure qualsiasi cosa io cucini alla fine è sempre un disastro! La verità è che per tutti questi anni mi sono nascosta dietro a Claudia. Se fosse stato per me vi avrei lasciate morire di fame. O peggio, avvelenate!"
"Davvero, Ma', non importa. Ti vogliamo bene comunque anche se sei una pessima cuoca." Ridacchiai della sua espressione sconvolta. "Abbiamo tutti i nostri punti di forza e le nostre debolezze, no? È quello che ci hai sempre detto" aggiunsi, versando le tortillas in una ciotola e mettendo gli alcolici in frigo.
"È vero, chérie, e hai ragione, devo accettarmi per quello che sono."
"Già." Capii che aveva bisogno di un abbraccio, perciò glielo concessi senza indugio.
"Oh, CeCe, tra tutte le mie ragazze sei quella di cui vado più fiera, ora come ora" disse scompigliandomi i capelli.
"Perché?"
"Perché sai essere te stessa. Ti lascio, vado a prepararmi per la festa."
Arrivarono poco dopo le sei e vidi che la madre di Star, Sylvia, era esattamente una versione più anziana di mia sorella vestita con abiti più costosi. Era molto simpatica e mi disse di aver sentito molte cose belle su di me, poi mi abbracciò.
"Grazie di esserti occupata di lei quando non potevo" mi sussurrò all'orecchio.
La presi subito in simpatia e fui felice di sapere che Star aveva accanto un'altra persona che la amava con la stessa intensità con cui la amavo io.
Mouse era il solito scontroso e decisi che, se avessi dovuto scegliere a chi affidare la parte del signor Darcy in un film tratto dal romanzo di Jane Austen Orgoglio e pregiudizio che a Star piaceva tanto, avrei scelto lui. Dovevo ammettere che era bello, per chi amava quel genere di uomo, ma era un po' scostante, come quasi tutti gli aristocratici inglesi che avevo incontrato. Poi mi ricordai che tecnicamente discendevo anch'io da un'aristocratica scozzese, e subito mi sentii più solidale.
Vidi Sylvia avvicinarsi a Ma' e mi chiesi che cosa Ma' provasse. Chiusi gli occhi e immaginai un cuore, che battendo abbracciava me e tutte le persone nella stanza. Capii che il cuore aveva una capacità infinita di espandersi, e più era pieno, più gioiosamente batteva. Il prurito alle dita, mi fece capire quale sarebbe stata l'idea per il mio prossimo dipinto.
Tornai alla realtà quando Ma' mi porse un bicchiere di Champagne. Notai che erano tutti silenziosi, in cerchio intorno a me. Mi guardavano con aria di attesa.
"Ehm…" dissi stupidamente.
Fu Ma' a salvarmi. "Volevo solo dire" cominciò "che sono molto fiera di te, CeCe, per il percorso che hai fatto. Chérie, sei una ragazza coraggiosa e di talento, e hai un cuore grande. Spero che l'Australia ti dia tutto quello che hai sempre cercato nella vita. Mancherai a tutti, ma devi spiccare il volo. Bon voyage!"
"Bon voyage!" ripeterono tutti, e brindarono alla mia salute. Rimasi a guardare quell'eclettico e variegato gruppo di personaggi, lì riuniti grazie all'amore. E avrei fatto sempre parte di quel collage di umanità, anche se il giorno dopo avrei preso un aereo per andare dall'altra parte del mondo.
"Stai bene?" mi chiese Star.
"Sì, sì. La tua famiglia è fantastica."
Mouse le comparve accanto. "Dobbiamo andare, o faremo tardi. Scusaci, CeCe."
"D'accordo." Star mi guardò con aria triste. "Cee, sei sicura di non voler venire alla festa con noi?"
"Tranquilla, non preoccuparti per me. Devo ultimare le pulizie e chiudere i bagagli. Non ho proprio tempo."
"Dovrei rimanere qui con te, stasera." Star si morse il labbro mentre Mouse le porgeva il cappotto. "Oh, Cee, non so quando ci rivedremo."
Sylvia venne a salutarmi e ad augurarmi buona fortuna, poi fu il turno di Ma'.
"Arrivederci, chérie, promettimi che ti prenderai cura di te e che ti farai sentire." Mi abbracciò. Vidi Star venire verso di me con il cappotto addosso.
"Amore, faremo tardi" le disse Mouse, che la prese per il braccio e la condusse con fermezza alla porta. "Ciao, CeCe."
"Ti voglio bene" mi disse Star usando il linguaggio dei segni.
"Anch'io" risposi.
La porta si chiuse dietro di lei con un tonfo; feci del mio meglio per non piangere. Odiavo quel Mouse, non ci aveva concesso neanche un addio come si deve.
Misi piatti e bicchieri in lavastoviglie, lieta di quella distrazione, poi andai nel mio studio a smantellare l'installazione, portando ogni pezzo nei cassonetti della spazzatura davanti a casa.
"Addio" dissi a Guy Fawkes, buttandolo via e chiudendo con forza il coperchio del cassonetto. Tornai di sopra e bagnai per l'ultima volta le piante di Star. Mi aveva riconsegnato la sua chiave, prima, chiedendomi di assicurarmi che i nuovi inquilini trattassero bene le sue “bambine”.
"È proprio la fine di un'era" mormorai. Camminavo qua e là per la casa, e quel silenzio avvolgente mi ricordava perché avevo scelto di andare in Australia. Indossai la felpa e uscii in terrazza sfidando il freddo della sera. Pensai a Linda, alla vita che non aveva mai avuto amando una persona che non l'avrebbe mai ricambiata. Mi sentii un po' meglio perché, a differenza sua, io avevo un futuro davanti, popolato da persone che mi amavano. Cosa mi aspettava ancora non lo sapevo, ma ero l'unica che potesse scrivere il proprio destino. O meglio, dipingerlo.
Alzai gli occhi e individuai il piccolo ammasso lattiginoso. Pensai a quanto fossero più luminose le Sette Sorelle giù a Alice Springs.
La mia nuova casa.
Quando arrivò il taxi, alle cinque del mattino, il cielo era ancora plumbeo. Alla fine ero rimasta sveglia tutta la notte, sperando così di riuscire a prendere sonno sull'aereo. Durante il tragitto mi arrivò un messaggio: CECE, SONO LINDA POTTER. CI HO PENSATO MOLTO E HO DECISO DI ANDARE A TROVARE ANAND. AVEVI RAGIONE, HA BISOGNO DEL MIO AIUTO E FARÒ QUELLO CHE POSSO. DIO TI BENEDICA, BUON VIAGGIO.
Mi sentii pervadere dal sollievo e dall'orgoglio, perché avevo fatto cambiare idea a Linda. Io, con le mie parole esitanti e goffe… ero riuscita a fare la differenza, per una volta.
A Heathrow feci il check-in e mi diressi verso il gate. Chissà se mi sarei ricordata per sempre questo momento. Di sicuro era importantissimo… In realtà non rammentavo mai i momenti decisivi; soltanto le piccole cose mi rimanevano in mente per tutta la vita, selezionate a caso da chissà quale processo mentale.
Frugai nella borsa alla ricerca della carta d'imbarco, e nel farlo sfiorai la busta di carta marrone che conteneva gli indizi che mi avevano portata a trovare traccia del mio passato.
Santo cielo, dissi fra me e me porgendo il biglietto all'impiegata in uniforme. Avevo la sensazione di ripercorrere i miei passi, di essere tornata indietro nel tempo di due mesi.
La donna prese la carta d'imbarco con aria assonnata. Stavo per iniziare i controlli di sicurezza quando sentii una voce alle mie spalle.
"CeCe! Fermati!"
Ero così stanca che credevo di sognare.
"Celaeno D'Aplièse, ferma! Arrête!"
Mi voltai e vidi Star.
"Oh mio Dio, Cee!" ansimò quando mi raggiunse. "Pensavo di non farcela. Perché diavolo non rispondi al cellulare?"
"L'ho spento quando sono scesa dal taxi" dissi. "Che ci fai qui?"
"Ieri sera non ci siamo salutate come volevo. E non potevo lasciarti andare senza darti un abbraccio vero e dirti quanto mi mancherai. E poi," aggiunse pulendosi il naso con la manica "grazie, grazie infinite di tutto quello che hai fatto per me."
Mi buttò le braccia al collo e mi strinse più forte di quanto non avesse mai fatto, come se non sopportasse il pensiero di separarsi da me. Rimanemmo lì per un bel po', poi mi staccai perché, se non l'avessi fatto, sarei rimasta con lei per sempre.
"Meglio che vada" mormorai con voce roca dall'emozione. "Grazie per essere venuta."
"Ci sarò sempre per te, Cee."
"Anch'io. Ciao, Sia."
"Ciao. Fatti sentire, va bene? E promettimi che verrai ad Atlantis per l'anniversario della morte di Pa', a giugno."
"Certo che verrò."
Le lanciai un ultimo bacio, mi voltai e attraversai i controlli di sicurezza. Verso il futuro.