Kitty

Broome, Australia occidentale

Aprile 1912

 

22

Kitty si era chiesta spesso come facessero le persone a superare i momenti più bui. A Leith le era capitato di fare visita a famiglie decimate da un'epidemia di influenza o di morbillo. Avevano riposto la loro fede nel Signore solo perché non potevano fare altro.

Io invece finirò all'inferno, pensava costantemente.

Per tutta la settimana successiva al naufragio, anche se a sguardi esterni la sua routine non era cambiata, Kitty se ne andò in giro come un guscio vuoto, come se anche lei avesse già lasciato questo mondo. Alle finestre dei negozi di Dampier Terrace erano stati appesi dei drappi neri e in città non c'era famiglia che non fosse stata colpita da quel disastro. Come se non bastasse, presto si diffuse ulteriore sconforto alla notizia che perfino l'inaffondabile Titanic era stato inghiottito dall'oceano, e in pochissimi erano sopravvissuti.

Nessuno aveva idea di come fosse affondata la Koombana con il suo prezioso carico. La porta di una cabina, il bracciolo di un divano marocchino… erano quelli i pochi resti arrivati sulla spiaggia. Non avevano ripescato neanche un corpo, e Kitty sapeva che non ne avrebbero mai trovati. Gli squali affamati avevano banchettato con le loro carni.

Per una volta Kitty fu lieta di vivere in una piccola comunità, e di condividere il dolore con qualcuno. Le normali regole sociali vennero messe da parte e quando la gente si incontrava per strada si abbracciava, dando libero sfogo alle lacrime. Kitty rimase sorpresa dalla gentilezza della gente e dai biglietti di condoglianze che venivano fatti passare da sotto la porta, per non disturbarla.

Charlie, che all'inizio era rimasto impassibile, dopo qualche giorno aveva pianto sulle ginocchia della madre.

"So che sono andati in cielo, mamma, ma mi mancano. Voglio vedere papà e zio Drum…"

Le sofferenze di suo figlio davano a Kitty qualcosa su cui concentrarsi, e cercava di trascorrere con lui più tempo possibile. Avendo perso il padre, il nonno e lo zio, Charlie era l'unico erede maschio della famiglia Mercer. Kitty temeva che quella responsabilità potesse rappresentare un brutto fardello, in futuro.

Dopo aver messo Charlie a letto per la notte, facendolo addormentare con qualche carezza, Kitty sfiorò la pila di lettere e telegrammi ancora non letti che teneva sullo scrittoio. Non sopportava l'idea di aprirli, di sentirsi circondata da così tanta solidarietà, perché sapeva di non meritarla. Nonostante cercasse di controllarsi e di piangere Andrew, in realtà riusciva a pensare soltanto a Drummond.

Uscì in veranda e guardò le stelle infinite, alla ricerca di una risposta.

Come al solito, non la trovò.

Dato che non c'erano corpi da seppellire, alla fine di aprile il vescovo Riley annunciò che si sarebbe tenuto un servizio funebre nella chiesa dell'Annunciazione. Kitty andò da Wing Hing Loong, il sarto locale, per acquistare un abito funebre, ma scoprì che avevano terminato il tessuto nero.

"Non vi preoccupate, signora Mercer" disse il piccolo cinese. "Indossate quello che avete, a nessuno importerà niente." Kitty uscì dal negozio con un sorriso triste.

Gran parte dei trabaccoli era ormeggiata in porto per la bassa stagione, ma alcuni erano andati perduti nel ciclone. Noel Donovan, il manager irlandese della Mercer Pearling Company, si presentò a casa per comunicarle le perdite nel dettaglio.

"Venti uomini" sospirò lei. "Avete i loro indirizzi perché possa scrivere alle famiglie? Avevano qualche parente a Broome? In tal caso, vorrei far loro visita."

"Cercherò gli indirizzi in ufficio, signora. Scommetto che il 20 marzo, il giorno in cui la Koombana è affondata, verrà ricordato per sempre. Questa tragedia ci ha insegnato a non essere troppo compiaciuti, giusto? L'arroganza illude l'uomo di poter comandare l'oceano. Ma la natura ha altri piani."

"Purtroppo avete ragione, signor Donovan."

"Be', ora devo lasciarvi." Si alzò e iniziò a tormentarsi le mani. "Perdonatemi se ve ne parlo ora, ma avete avuto notizie della signora Mercer?"

"Temo di non aver avuto ancora il coraggio di aprire i telegrammi che ho ricevuto. Così come i biglietti e le lettere" disse Kitty indicando la pila sullo scrittoio.

"Be', neppure io l'ho sentita e non vorrei disturbarla, ma mi chiedevo se voi aveste idea di cosa ne sarà dell'azienda, adesso. Ora che tutti e tre i Mercer sono morti…" Noel scosse la testa.

"Confesso di non averne idea alcuna, ma adesso che non c'è più nessuno a gestirla, e con Charlie ancora così piccolo, suppongo che verrà venduta."

"Lo immaginavo, e devo avvisarvi, signora Mercer, che gli avvoltoi sono già in volo. Scommetto che verranno prima da voi, perciò vi consiglio di contattare l'avvocato di famiglia ad Adelaide. C'è un signore in particolare che è molto interessato, credo sia giapponese. Anche il signor Pigott ha intenzione di vendere tutto. Sarà un durissimo colpo per il commercio delle perle. Be', buona giornata, signora Mercer, ci vediamo al funerale."

La mattina della funzione Kitty cercò di convincere Camira e Fred ad accompagnarla. La ragazza si mostrò inorridita.

"No, signora Kitty, quello posto di bianchi. Non per noi."

"Ma devi esserci, Camira. Anche Fred… Gli volevate molto bene."

Camira si rifiutò categoricamente, perciò Kitty partì sul carretto con Charlie. Nella piccola chiesa le persone le fecero spazio per permetterle di sedere in prima fila. Gli intervenuti erano così tanti da affollare anche il giardino, e molti erano costretti a sbirciare dalle finestre per sentire il sermone del vescovo. Per tutta la cerimonia, nonostante i singhiozzi soffocati che pervadevano la chiesa, Kitty rimase seduta senza versare una lacrima. Pregò per le molte anime perdute, ma non avrebbe pianto per se stessa. Sapeva di meritare ogni attimo del dolore e del senso di colpa che provava.

Dopo fu tenuta una veglia nel Roebuck Bay Hotel. Alcuni uomini affogarono le sofferenze nell'alcol offerto dai commercianti di perle, e intonarono canti funebri scozzesi e irlandesi, che riportarono Kitty al giorno in cui era entrata all'Edinburgh Castle Hotel.

Più tardi, tornata a casa, si sedette in soggiorno e prese istintivamente il suo set da cucito. Mentre lavorava rifletté sul suo futuro e su quello di Charlie. Noel Donovan aveva ragione, avrebbe venduto l'azienda e messo il ricavato in un fondo a nome del figlio. Si chiese se tornare o meno a Edimburgo, ma dubitava che Edith sarebbe stata felice di vederla partire insieme al nipote. Forse avrebbe insistito affinché tornassero a vivere con lei ad Adelaide, e se Kitty avesse rifiutato, avrebbe anche potuto ricattarla, minacciando di non far ereditare a Charlie la sua fortuna…

Kitty si alzò e andò allo scrittoio. Ora che il funerale si era concluso, doveva iniziare ad affrontare il futuro. Separò le lettere dai telegrammi, si sedette e iniziò a leggere. Davanti alle parole generose e compassionevoli della gente di Broome, le lacrime le scesero copiose lungo le guance.

… E Drummond, che ventata d'aria fresca che era. Illuminava casa nostra con il suo acume e il suo grande senso dell'umorismo…

Kitty sobbalzò nel sentire sbattere la porta d'ingresso. Passi pesanti risuonarono in corridoio e la porta del soggiorno cigolò. Kitty trattenne il fiato. In quel momento si rese conto di essere una donna sola in una città pericolosa. Si voltò e si trovò sulla soglia una figura, una figura fin troppo familiare, anche se coperta di polvere e sporcizia. Kitty si chiese se non fosse un'allucinazione, perché non poteva essere…

Chiuse gli occhi e li riaprì. E la figura era ancora lì che la fissava.

"Drummond?" sussurrò.

Lui strinse le palpebre ma non rispose.

"Oh mio Dio, Drummond, sei vivo! Sei qui!" Gli corse incontro, ma si spaventò quando lui la spinse via bruscamente. I suoi occhi azzurri erano d'acciaio.

"Kitty, non sono Drummond, ma Andrew, tuo marito!"

"Io…" Le girava la testa e dovette reprimere i conati di vomito, ma un istinto le diceva di dovergli dare una spiegazione, e in fretta.

"Scusa, certo che sei tu. Sono talmente addolorata che non ricordo neanche più come mi chiamo. Ora lo vedo, sei tu, Andrew." Si costrinse ad accarezzargli la guancia, i capelli. "Com'è possibile? Come hai fatto a tornare dal regno dei morti?"

"Non lo so… Oh, Kitty…" Andrew crollò e si dovette appoggiare al muro. Lei lo prese per un braccio e lo guidò verso una sedia, dove si abbandonò con la testa fra le mani e le spalle scosse dai singhiozzi.

"Oh, mio caro" sussurrò lei con le lacrime agli occhi. Gli versò un bicchiere di brandy e glielo mise tra le dita tremanti. Alla fine riuscì a bere un sorso.

"Non lo sopporto" mormorò. "Mio padre, mio fratello… morti. E io sono ancora qui. Come può Dio essere tanto crudele?" La guardò con occhi tristi. "Avrei dovuto essere sulla Koombana. Sarei dovuto morire con loro…"

"Shhh, mio caro, è un miracolo riaverti con noi. Come hai fatto a scampare alla sciagura?"

Andrew bevve un altro sorso di brandy. Il dolore sembrava avergli scavato sul volto delle rughe profonde, e sotto il fango rosso aveva la pelle ingrigita per la stanchezza e lo shock.

"Sono sceso dalla nave dopo Fremantle. Avevo delle… cose di cui occuparmi. Ho viaggiato a cavallo e ho saputo del naufragio soltanto due giorni fa, a Port Hedland. Non dormo da allora…" Gli si ruppe la voce e girò il viso dall'altra parte.

"È stato uno shock per te, amore mio," disse Kitty cercando di ricomporsi "e non hai avuto tempo di elaborare tutto. Lascia che ti prepari qualcosa da mangiare. E togliti questi vestiti bagnati, te ne porto altri asciutti." Era irrequieta, voleva tenersi occupata perché la sua mente non riusciva a placarsi. Lui le prese la mano.

"Non hai ricevuto il mio telegramma? Ti avevo scritto che avevo delle cose da sbrigare."

"Sì. Hai detto che tuo padre mi avrebbe messo al corrente di tutto, ma… Andrew, non è mai arrivato."

Lui chiuse gli occhi. "Certo. Come sta mia madre? Deve essere distrutta."

"Non… non lo so. Le ho scritto subito dopo l'accaduto, ma…" Kitty indicò la pila di lettere intatte. "Noel Donovan è venuto da me giusto ieri e mi ha detto di non averla sentita neppure lui."

"Per l'amor di Dio, Kitty!" Andrew si alzò, tremante di rabbia. "Noel Donovan non fa neanche parte del mio staff. In un momento del genere pensi che mia madre gli risponderebbe? Sei sua nuora! Non hai pensato che avrebbe preferito parlare con te?" Aprì i telegrammi uno dopo l'altro, li lesse in fretta e gliene agitò uno sotto il naso.

VIENI AD ADELAIDE SUBITO STOP NON POSSO VIAGGIARE STOP DEVO SAPERE COS'È SUCCESSO STOP RISPONDI SUBITO STOP EDITH STOP

Andrew lo gettò sul pavimento. "Perciò, mentre te ne stavi qui a farti confortare dalla gente del posto, partecipavi a servizi funebri e ricevevi lettere di condoglianze, mia madre è rimasta sola con il suo dolore, a centinaia di miglia di distanza."

"Hai ragione, e mi dispiace moltissimo. Perdonami, Andrew."

"E tu perdona me per essere tornato, ansioso di rivedere mia moglie dopo aver saputo della morte di mio padre e mio fratello. E poi scopro che in queste settimane non hai avuto neppure la decenza di pensare alla mia povera madre."

Non parlarono più molto. Mentre Andrew ingurgitava il pane e la carne fredda che Kitty gli aveva portato, sul suo viso si susseguivano emozioni diverse, che però non condivideva con la moglie.

"Andrew, vieni a letto?" gli chiese lei alla fine. "Devi essere esausto." Allungò una mano ma lui si ritrasse.

"No, voglio fare un bagno. Vai a dormire."

"Te lo faccio preparare."

"No! Ci penso io. Buonanotte, Kitty, ci vediamo domattina."

"Buonanotte." Kitty uscì e, appena entrata in camera sua, si chiuse la porta alle spalle e si morse il labbro per non scoppiare a piangere.

Non ci posso credere…

Si svestì e si infilò a letto, nascondendo il viso nel cuscino.

L'ho chiamato Drummond… mio Dio, come ho potuto?

"Lo saprà?" sussurrò tra sé. "È per questo che è tanto arrabbiato? Signore, che cosa ho fatto?!"

Alla fine si mise seduta e respirò a fondo. "Andrew è vivo" mormorò. "Ed è una magnifica notizia. Charlie, Edith… saranno felicissimi. Mi diranno tutti che sono stata veramente fortunata. Sì, sono fortunata."

Andrew non andò a letto con lei quella notte. Il mattino successivo Kitty lo vide seduto a tavola con Charlie a fare colazione.

"Papà è tornato dal cielo" le disse il figlio sorridendo. "Ora è un angelo, è tornato con le ali."

"E sono felice di essere a casa" aggiunse Andrew.

Camira serviva a tavola con un'espressione confusa.

"Non è magnifico? Andrew è tornato!"

"Sissignora, signora Kitty" disse annuendo mentre si allontanava in fretta.

"La tua neretta mi sembra strana" commentò Andrew masticando un pezzo di toast con pancetta.

"Probabilmente è frastornata per il tuo ritorno miracoloso, come tutti noi."

"Vorrei che mi accompagnassi in città, Kitty. È importante che la gente ci veda di nuovo insieme."

"Certo, Andrew, naturalmente."

"Poi andrò in ufficio, perché immagino che ci sia molto da fare. Manderò un telegramma a mia madre per dirle che presto andremo a trovarla ad Alicia Hall."

Quando Camira ebbe portato Charlie a fare il bagno, Andrew si alzò e studiò Kitty.

"Ho letto i messaggi di condoglianze dei cittadini, ieri sera. Sono stati tutti molto gentili con me e mio padre, e con il povero Drummond. Lui, in particolare, a quanto sembra era molto popolare qui in città."

"Sì, è vero."

"Avete socializzato molto mentre non c'ero."

"Sono arrivati tanti inviti e ho creduto di doverli accettare. Mi dici sempre che è una cosa importante."

"E mi sembra, anche, che tu abbia sempre evitato di andarci, inventandoti una scusa dopo l'altra. O meglio, di andarci insieme a me."

"Io… quest'anno le piogge sono state peggiori del solito; siamo rimasti chiusi in casa a lungo e sentivamo il bisogno di uscire, una volta cessate" improvvisò Kitty.

"Be', ora che sono tornato dal regno dei morti, possiamo festeggiare. E spero di non deludere i nostri vicini presentandomi come me stesso e non come mio fratello, che riposi in pace."

"Andrew, ti prego, non dire così."

"Perfino mio figlio non fa che dire “zio Drum” di qua, “zio Drum” di là. A quanto pare si è fatto amare da tutti. Te compresa, mia cara?"

"Andrew, per favore, tuo fratello è morto! Non c'è più! Come puoi avercela con lui per essersi goduto le sue ultime settimane di vita con la nostra famiglia e i nostri amici?"

"Certo che non ce l'ho con lui, ci mancherebbe. Tuttavia, anche se è morto, ho la sensazione che sia entrato in casa mia e nella mia vita, e mi abbia portato via entrambe mentre non c'ero."

"Ringrazio solo Dio che ci sia stato, specialmente quando mi sono ammalata."

"Sì, ma certo." Andrew annuì con aria contrita. "Perdonami, Kitty, è stato tutto così improvviso. Vorrei andare in città verso le dieci. Pensi di essere pronta?"

"Certamente. Portiamo anche Charlie?"

"Meglio lasciarlo qui" decise Andrew.

Mentre percorrevano Dampier Terrace, Kitty capì che Andrew voleva farsi vedere da quante più persone possibile. Osservò le reazioni dei passanti che si affollavano intorno a lui, ansiosi di sapere come fosse riuscito a sfuggire alla morte. Andrew raccontò la stessa storia più e più volte, e le persone abbracciarono Kitty e le dissero che era molto fortunata.

È vero, sono fortunata, pensava mentre si dirigevano all'ufficio vicino al porto.

Lì, Kitty fu testimone di stupore e gioia quando Noel Donovan corse ad abbracciare il suo capo. Fu portata una bottiglia di Champagne con cui si diede inizio a una festicciola improvvisata. Sembrava che tutti, in città, volessero festeggiare il miracoloso ritorno di Andrew; Kitty si stampò sulla faccia un sorriso forzato mentre la gente la abbracciava, piangendo di felicità per il ritorno di suo marito. Anche Andrew era sempre circondato da persone che gli davano pacche sulla schiena come a volersi assicurare che fosse davvero lì, in carne e ossa.

"Forse dovrebbero rinominarmi Lazzaro" scherzò Andrew quella sera quando la festa si spostò al Roebuck Bay Hotel. Fu uno dei suoi rari momenti di umorismo, e Kitty ne fu felice.

Nella settimana successiva accolsero un flusso costante di visitatori, giunti per ascoltare di nuovo la storia di Andrew, della sua decisione di scendere dalla nave a Geraldton.

"Hai avuto una visione?" chiese la signora Rubin. "Sapevi cosa stava per succedere?"

"Assolutamente no," rispose Andrew "altrimenti non avrei permesso alla nave di proseguire. È stata solo una coincidenza…"

Ma a quanto pare non ci voleva credere nessuno. Andrew aveva assunto il ruolo del Messia, e il fatto di essere sopravvissuto annunciava l'arrivo della buona sorte a Broome. I capitani e i marinai dei trabaccoli, che dopo il naufragio erano stati presi dallo sconforto, trovarono nuovo vigore. Perfino i colleghi commercianti di perle, sicuramente ansiosi di vedere la Mercer Pearling Company in difficoltà, vennero a congratularsi con Andrew.

In quel turbinio di eventi Kitty passava le giornate sballottata come una marionetta, si sentiva manovrata da qualche forza superiore e la sua mente era costretta a osservare una vita che non avrebbe dovuto vivere. Il senso di colpa la affliggeva costantemente, giorno e notte. Di giorno Andrew era cortese, gentile e grato con quelli che lo circondavano, ma la sera, a cena, le parlava a stento. Quando andava a letto preferiva coricarsi nella branda del suo camerino.

"Non staresti più comodo a letto con me?" gli aveva chiesto una sera Kitty.

"Sono inquieto e non prendo sonno, non farei che disturbarti, mia cara" rispose lui, freddo.

Alla fine della settimana Kitty aveva i nervi a pezzi. Si sedette a fare colazione con il marito e Charlie, e notò che perfino il bambino era mogio in presenza del padre. Forse Andrew si comportava così solo per via della grave perdita che aveva subito, ma… Kitty non osava neanche pensare all'altro probabile motivo della sua freddezza.

"Kitty, oggi vorrei che mi accompagnassi a fare delle commissioni" le disse Andrew senza neanche guardarla.

"Va bene."

Dopo colazione la aiutò a salire a cassetta e si accomodò sul carro accanto a lei, rigido, impugnando le redini. Ma invece di dirigersi in città, Andrew si mosse verso Riddell Beach.

"Dove andiamo?" chiese lei.

"Tu e io dobbiamo parlare. Da soli."

Il cuore di Kitty prese a martellarle forte nel petto, ma riuscì a restare in silenzio.

"Charlie mi ha detto che sei andata spesso alla spiaggia mentre non c'ero" disse Andrew. "A quanto pare nuotavi. Con i pantaloni."

"Sì, be'… faceva molto caldo e…" cercò di giustificarsi Kitty, ricacciando indietro le lacrime.

"Buon Dio! Ma dove andremo a finire? Mia moglie che nuota in mare come una nativa." Andrew fermò il carro e legò il pony a un palo. "Facciamo due passi?" disse indicandole la spiaggia.

"Come vuoi" rispose. Se Andrew voleva dirle che sapeva del suo tradimento, aveva scelto proprio uno dei posti in cui, solo qualche settimana prima, aveva fatto all'amore con suo fratello. Mai prima di allora Andrew le aveva proposto di fare una passeggiata sulla spiaggia. Odiava quando la sabbia entrava negli stivali.

Soffiava una lieve brezza, e quello stesso mare che aveva portato via a Kitty il suo amante ora era calmo e piatto come una tavola. Andrew si incamminò verso l'oceano e lei, che non osava togliersi gli stivali per paura di scatenare le ire del marito, gli andava dietro con difficoltà. Raggiunsero l'insenatura rocciosa da dove si era tuffata con Drummond. Andrew si fermò a un passo dall'acqua.

"Mio padre e mio fratello giacciono là, da qualche parte" disse indicando l'oceano. "Andati per sempre, mentre io sono vivo."

Si abbandonò a sedere su una roccia e chinò il capo, prendendosi il viso tra le mani. "Mi dispiace tanto, tesoro." Ora Kitty capiva perché erano venuti lì: per piangere in privato suo padre e suo fratello. Vide che gli tremavano le spalle ed ebbe compassione.

"Andrew, hai ancora Charlie e me, e tua madre, e…" Si inginocchiò e cercò di abbracciarlo, ma lui la scansò e si alzò, allontanandosi lungo la spiaggia.

"Oh, perdonami, ti prego. Dio, perdonami."

Kitty era confusa. Sembrava quasi che ridesse, invece di piangere.

"Andrew, ti prego!" Gli corse dietro con le onde che le lambivano gli stivali. Andrew si buttò sulla sabbia, piangendo, con il viso ancora nascosto dietro le grandi mani abbronzate. Alla fine alzò lo sguardo: aveva gli occhi pieni di lacrime.

"Che Dio mi perdoni" disse alla fine. "Ma dovevo farlo. Per me, per te e per Charlie. Mia Kitty. Mia Katherine…"

"Andrew, non capisco…" Lo guardò e si rese conto che le lacrime non erano di sofferenza, ma di gioia. "Perché diamine stai ridendo?"

"Lo so che non è divertente, anzi, tutto il contrario, ma…" Fece alcuni respiri profondi e poi la guardò. "Kitty, non mi riconosci? Sul serio?"

"Certo che ti riconosco, tesoro." Kitty si chiedeva se da sola sarebbe mai riuscita a rimettere Andrew sul carro e portarlo dal dottor Suzuki. Era ovvio che avesse perso il senno. "Sei mio marito, e il padre di nostro figlio Charlie."

"Allora ce l'ho fatta davvero!" gridò, agitando un pugno in aria. "Santo cielo, Kitty. Sono io!"

La attirò a sé e la baciò con passione, con rabbia. E quando i loro corpi si unirono, Kitty capì immediatamente chi fosse.

"No!"

Si divincolò dalla sua stretta, piangendo per la sorpresa e la confusione. "Smettila! Smettila, ti prego! Tu sei Andrew, mio marito… mio marito!" Si buttò in ginocchio. "Ti prego, smettila di giocare" lo implorò. "Qualsiasi cosa tu vuoi che ammetta, lo farò. Ma smettila, ti prego."

Due braccia forti la strinsero. "Perdonami, Kitty, ma dovevo farlo per assicurarmi che tutti mi credessero tuo marito. Compresa te. Ho pensato che se fossi riuscito a essere abbastanza convincente da ingannare chi mi conosce meglio, allora avrei potuto ingannare tutti. Se tu avessi saputo la verità, sarebbe bastato il minimo tocco, il minimo sguardo a tradirci. Ora perfino Charlie crede che io sia suo padre. Oh, mia cara…" Le accarezzò le braccia e la baciò piano sul collo.

"No!" Kitty si ritrasse. "Come hai potuto farmi questo! Come?! Fingerti tuo fratello tornato dal regno dei morti! È… oltraggioso."

"Kitty, ma non capisci? L'ho fatto per amore!"

"Non capisco un bel niente! So solo che ci hai ingannati tutti! Ti sei finto mio marito, hai lasciato credere a mio figlio che suo padre fosse tornato dalla tomba, ti sei fatto vedere dai nostri concittadini e ti sei finto Andrew nel suo ufficio!"

"E mi hanno creduto, Kitty. Hanno creduto che fossi Andrew, e anche tu. Ho avuto quest'idea ripensando alla prima volta in cui sono venuto, quando i nostri vicini mi hanno scambiato per Andrew. È vero" disse lasciandola. "Ho mentito, è stata una menzogna terribile, ma non potevo perdere quest'occasione. Perciò quando ho saputo cos'era successo, mentre viaggiavo via terra, ho formulato il mio piano."

"Quindi lo sapevi già prima di Port Hedland?"

"Ma certo che lo sapevo! Santo cielo, perfino a mille miglia da qui gli uccelli kookaburra urlavano la notizia da un ramo all'altro. È la tragedia più grave che sia avvenuta da decenni."

"Quindi hai deciso di farti passare per tuo fratello."

"Deve pur esserci qualche vantaggio nell'avere un gemello identico. Prima d'ora non ne ero così convinto, ma poi mi sono reso conto che forse è accaduto tutto per un motivo. Ho chiesto consiglio al cielo, mentre ero accampato da solo nel deserto. Mi ha risposto che su questa terra la vita è tanto breve. E anche se un giorno avrei potuto sposarti lo stesso, mi sembrava inutile sprecare anni, magari lontano da te, quando sarebbe bastato tornare e ritenerti mia. Possiamo stare insieme come marito e moglie, e tutti saranno contenti che mi sia salvato e…"

"Drummond." Kitty lo chiamò per nome per la prima volta. "Io credo che tu sia impazzito. Non capisci le implicazioni di quello che hai fatto?"

"Forse non appieno, ma per lo più, sì. Volevo solo stare con te. È così sbagliato?"

"Quindi sei pronto a cambiare la tua identità e mentire a tutti su chi sei davvero?"

"Se è necessario, sì. A essere sincero sono ancora stupito che nessuno abbia avuto dubbi sulla mia reale identità."

"Hai esagerato, con me. Anzi, a dirla tutta sei stato insopportabile."

"Mi comporterò meglio, d'ora in avanti."

"Drummond…" Kitty non aveva parole dinanzi al disinteresse di lui per la gravità della situazione.

"Da questo momento in poi dovrai chiamarmi Andrew" rispose.

"Ti chiamo come mi pare. Dio! Questo non è un gioco, Drummond. Quello che hai fatto è immorale, perfino illegale! Come fai a essere così tranquillo?"

"Non lo so, ma guardo il mare e immagino mio padre e mio fratello morti sul fondo dell'oceano, i loro corpi divorati dagli squali. E penso a te, Kitty, che mi hai quasi lasciato quando ti sei ammalata. Ho capito veramente quanto sia preziosa la vita. Perciò" concluse "sono tranquillo."

Kitty gli diede le spalle, cercando di ipotizzare le conseguenze di quella situazione.

Per stare con lei…

"Devo ammettere che sono sorpreso che tu non abbia sospettato nulla, anche se ho fatto del mio meglio per mantenere le distanze." Drummond si era tolto gli stivali e le calze e si stava sfilando i pantaloni. "Intanto, avresti dovuto conoscere Andrew abbastanza bene da sapere che non avrebbe mai viaggiato a cavallo. Io sono venuto in cammello come al solito, ma ho pensato che il cavallo suonasse più verosimile."

"Sì, mi è sembrato strano, ma non avevo motivo di credere che mio marito mentisse" rispose lei con freddezza. "Forse ora puoi dirmi come hai fatto a salvarti."

"È stato Andrew a chiedermi di scendere dalla Koombana a Geraldton. Mi ha dato una valigetta piena di soldi e mi ha spiegato dove avrei incontrato il suo contatto, mostrandomi una fotografia di ciò che dovevo acquistare. Si era detto troppo spaventato per compiere quel viaggio di persona, e sapeva che ero molto più esperto di lui nel muovermi nell'entroterra. Dato che al mio ritorno sarei scappato con sua moglie e suo figlio, ho creduto che fosse il minimo che potessi fare. Un'ultima buona azione, se vogliamo."

"E cosa dovevi comprare?"

"Kitty, ti racconterò questa storia in un'altra occasione. Ti basti sapere che la codardia di Andrew mi ha salvato la vita, e per quella codardia lui è morto. Se avessi letto i telegrammi ne avresti trovato uno mio, in cui ti avvertivo che avrei dovuto incontrarmi con Andrew a Broome per consegnargli il… bottino, prima di partire per Darwin come pianificato. Ti ho scritto che sarei arrivato in ritardo e che avresti dovuto aspettarmi. Ora scusami, ma ho bisogno di una bella nuotata."

Kitty si sedette sulla spiaggia, con la testa che vorticava. Guardò Drummond tuffarsi tra le onde in maniera così poco “da Andrew” che non riuscì a credere di essersi fatta ingannare. Eppure aveva tratto in inganno tutti, sia lei sia il resto della città.

Le implicazioni di quello che aveva fatto e il rischio che si era assunto gravavano su di lei come un macigno. Ciò nonostante non poteva fare a meno di pensare a quanto sarebbero stati felici adesso, legalmente, come coppia sposata.

Come puoi ragionare così, Kitty? La sua coscienza non le dava pace, la costringeva a tornare alla realtà.

Quello che la irritava di più era il fatto che non le avesse parlato della sua idea, dando per scontato che avrebbe accettato.

Ed era vero. Santo cielo, lo stava facendo.

Ma a che prezzo?

Kitty sapeva quanto fosse alto, eppure dopo il disastro del naufragio, che cosa importava? L'Australia le aveva insegnato qualcosa: che la vita umana era fragile. Era la natura a comandare, senza curarsi delle devastazioni che infliggeva a coloro che popolavano la sua terra.

E poi, rifletté, la sua famiglia non aveva mai conosciuto Andrew; avrebbe potuto benissimo andare a Edimburgo con Drummond, e non si sarebbero mai accorti dell'imbroglio. L'Australia era un Paese ancora giovane, e chi era abbastanza coraggioso da viverci aveva il vantaggio di poter stabilire le regole. Ed era esattamente ciò che aveva fatto Drummond.

Lo vide uscire dal mare e andarle incontro, scuotendosi di dosso l'acqua come fanno i cani, e lui era un cane, un manipolatore che avrebbe fatto di tutto per ottenere quello che voleva. Kitty capì quale futuro la aspettava.

Sarebbe stata con Drummond, vivendo nella menzogna per tutta la vita, tradendo fratello e padre morti e Edith, moglie e madre in lutto. Per non parlare del suo Charlie, un innocente che sarebbe cresciuto convinto che suo zio fosse suo padre…

No! No! È sbagliato! È sbagliato…

Drummond si avvicinò e Kitty si alzò, allontanandosi lungo la spiaggia, incapace di contenere la rabbia.

"Come osi!" gridò al mare e alle nuvole che si stavano radunando sopra di lei. "Come osi coinvolgermi nel tuo spregevole giochetto! Non capisci, Drummond, che questo non è uno dei tuoi soliti scherzi? Quello che hai fatto è osceno! E io non ho intenzione di parteciparvi."

"Kitty, mia cara, pensavo che volessi rifarti una vita con me. L'ho fatto per noi…"

"No, non è vero! L'hai fatto per te!" Kitty camminava avanti e indietro sulla sabbia. "Non hai avuto neanche la decenza di chiedermi prima che cosa ne pensassi! Se qualcuno scoprisse la verità, finiresti in prigione!"

"Ma tu non vuoi che succeda, vero?"

"Te lo meriteresti. Signore, che imbroglio. Che imbroglio! E non vedo vie d'uscita."

"Deve essercene per forza una?" Drummond si avvicinò con cautela, come se Kitty fosse uno scorpione intrappolato in un angolo, pronto ad attaccare. "Ha importanza quale sia il mio nome, o il tuo? Potremo stare insieme, sempre. Perdonami, Kitty, se ho agito d'impulso." Si avvicinò ancora. "Ti prego…"

Si udì un sonoro ciaf quando Kitty lo colpì forte sulla guancia. Dovette trattenersi per non gettarsi su di lui e tempestarlo di pugni.

"Ma non capisci? Se solo avessi aspettato, se avessi avuto pazienza, se tu non avessi agito in modo impetuoso come tuo solito, forse un giorno avremmo potuto stare insieme davvero. Legalmente, davanti a Dio. Tutti avrebbero ritenuto più che naturale che una vedova si affezionasse al cognato. Ma no, Drummond, tu hai dovuto piegare la legge al tuo volere e mostrarti a tutti nei panni di Andrew!"

"Allora dirò che avevo battuto la testa, oppure…"

"Non essere ridicolo! Non ti crederebbe nessuno, e così facendo coinvolgeresti anche me in questa tua disgustosa bugia. Vuoi davvero rivelare a tutti che non conoscevo veramente mio marito?"

"Se preferisci possiamo tornare al piano iniziale" propose Drummond, in preda alla disperazione. "Tu e Charlie verrete con me al ranch. Non lo saprebbe nessuno e…"

"No! Mio marito è morto e devo onorarne la memoria. Oh, Drummond, non capisci che hai fatto un patto col diavolo e che ora le cose tra noi non potranno più essere come prima?" Kitty si buttò in ginocchio sulla sabbia e si prese il viso tra le mani. Calò un lungo silenzio. Alla fine fu Drummond a romperlo.

"Hai ragione, Kitty, ho agito d'impulso. Ho intravisto la possibilità di averti tutta per me e non mi sono fermato a pensare. È colpa mia, lo ammetto. Sono così ansioso di vivere il presente che non considero le conseguenze. Quindi, che cosa vuoi che faccia?"

Kitty chiuse gli occhi e sospirò, raccogliendo il coraggio per dire quello che doveva.

"Devi andartene. Al più presto."

"E dove?"

"Questo non è un problema mio. Non hai chiesto il mio parere quando hai preso la tua decisione, e non voglio contribuire alle altre che prenderai in futuro."

"Allora forse andrò a trovare mia madre. Farò calmare le acque. Qualunque figlio io sia, le darà conforto sapere che gliene resta uno. Chi dovrei essere secondo te?"

"Te l'ho detto, non voglio più saperne nulla."

"E la gente di Broome? Non si chiederanno perché tuo marito se ne sia andato così presto?"

"Sono certa che capiranno che, dopo la morte di un padre e di un fratello, un uomo ha molte incombenze che lo reclamano altrove."

"Tesoro…" Allungò la mano verso di lei, ma Kitty si tirò indietro, consapevole che un suo tocco avrebbe incrinato la sua risolutezza.

Drummond allontanò la mano. "Potrai mai perdonarmi?"

"Ti perdono adesso, Drummond, perché so che a dispetto della tua assurda stupidità, non volevi ferirmi. E non posso neanche dire che non ti amo più, perché ti amerò sempre. Ma non potrò mai passare sopra a quello che hai fatto, né vivere nella menzogna che hai creato non solo per noi, ma anche per Charlie."

"Lo capisco." Drummond si alzò e stavolta Kitty vide che aveva le lacrime agli occhi. "Me ne andrò, come è tuo desiderio. E proverò, anche se non so proprio in che modo, a porre rimedio al male che con il mio egoismo ho fatto a te e a Charlie. Crescerà senza un padre…"

"E senza uno zio."

"È per sempre?"

"Non potrei mai mentire a mio figlio. Dovrà serbare il ricordo del padre."

"Ma mi ha visto soltanto stamattina…"

"Il tempo guarisce tutte le ferite, Drummond, e se te ne vai, un giorno non sarà così difficile dirgli che in realtà suo padre è morto."

"Vuoi farmi morire di nuovo?"

"È l'unico modo."

"Allora," disse Drummond con un sospiro straziato "partirò stasera. E per quanto voglia implorarti, supplicarti di cambiare idea, di cogliere l'occasione che ci è capitata di essere felici, non lo farò. Kitty, non ripensare mai a questo momento chiedendoti se è stata colpa tua. Non hai nessuna colpa. Sono stato io a rovinare il nostro futuro."

"Dovremmo tornare, si sta facendo buio." Kitty si alzò. Si sentiva insensibile, come se fosse diventata una bambola di pezza.

"Posso almeno stringerti un'ultima volta? Per dirti addio?"

Kitty non aveva la forza di rispondere. Lasciò che lui la abbracciasse e rimasero così, stretti l'uno all'altra, per l'ultima volta.

Alla fine lui la lasciò, le prese la mano e insieme tornarono indietro camminando sulla sabbia.

Kitty fu contenta che Charlie fosse già a letto quando rientrarono. Corse in camera sua e chiuse la porta, poi si lasciò cadere su una sedia come una condannata, in attesa di udire il rumore dei passi di Drummond nel corridoio e lo scatto della porta d'ingresso. Invece vide delle ombre fuori dalla finestra, e udì delle voci. Si alzò e sbirciò fuori: era Drummond che parlava con Camira in giardino. Cinque minuti dopo bussarono alla porta della sua stanza.

"Perdonami se ti disturbo, Kitty, ma devo darti una cosa prima di andarmene." Drummond le porse una scatolina di pelle. "È il motivo per cui oggi sono ancora vivo. Andrew aveva ricevuto un telegramma mentre partivamo da Fremantle e mi aveva detto che si trattava di una perla; alcune sue conoscenze gli avevano detto che era in vendita. Aveva indagato molto per avere conferma della provenienza, e aveva contattato l'intermediario. Il telegramma di risposta gli ordinava di portare il denaro nel luogo convenuto, a qualche ora di viaggio da Geraldton. Come sai, sono stato io il suo messaggero, perciò sono sceso dalla nave e sono andato a prelevare la perla. Andrew mi aveva istruito, sapevo cosa dovevo aspettarmi e ho capito che era davvero quella giusta. Perciò," disse sospirando "il mio ultimo gesto per onorare la memoria di mio fratello è consegnare la Perla Rosata a sua moglie, come lui desiderava. Vale una fortuna, pesa quasi duecento grani, e Andrew non vedeva l'ora di mettertela al collo, per mostrarti quanto ti amava e far vedere a Broome che aveva finalmente avuto successo."

"Io…"

"Aspetta, Kitty, c'è dell'altro. Devi sapere che, secondo una leggenda, questa perla è maledetta. Pare che chiunque l'abbia posseduta sia morto di morte violenta. Andrew è stato l'ultimo proprietario, e ora giace sul fondo del mare. Kitty, anche se so di dover obbedire al volere di mio fratello, ti supplico di sbarazzarti della perla il prima possibile. Di non “possederla” mai. Per questo non te la metto in mano, ma la lascerò in un luogo sicuro a tua scelta. Ti supplico, non toccarla."

Kitty studiò la scatolina, poi il viso di Drummond e non vi trovò traccia di divertimento. Era serissimo.

"Posso vederla, almeno?"

Drummond aprì la scatola e Kitty guardò la perla. Era grande come una grossa biglia e brillava di una perfetta tonalità rosata. La sua magnifica opalescenza attirava la luce e lo sguardo.

Kitty trattenne il fiato. "Cielo, è bellissima, la perla più bella che abbia mai visto…" Fece per toccarla ma Drummond tirò via la scatolina.

"Non toccarla! Non voglio anche la tua morte sulla coscienza, dopo tutto quello che ho fatto." Chiuse la scatola. "Dove devo metterla per tenerla al sicuro?"

"Qui dentro." Kitty andò allo scrittoio e aprì il cassetto segreto sotto il piano di lavoro. Drummond ci infilò la scatolina e lo richiuse con cura.

"Giurami di non toccarla mai" la implorò restituendole la chiave del cassetto.

"Drummond, proprio tu, fra tutti… non crederai per caso a una storia simile? Ne girano tantissime sulle perle, qui a Broome. Sono fantasie."

"Purtroppo, dopo quello che è successo, ci credo eccome. Ero convinto che mi avesse salvato la vita. Ed è stato mentre era in mio possesso che ho formulato il piano. Mi sentivo… invincibile, come se l'impossibile fosse diventato possibile. Ero euforico. E ora ho perso tutto. La mia anima è morta, come mio padre e mio fratello. Ora devo dirti addio. E se dovessimo mai incontrarci di nuovo, spero di poterti dimostrare ciò che ho imparato dal mio terribile errore. Prova a perdonarmi, ti prego. Ti amo, mia cara Katherine. Ti amerò per sempre." Drummond si voltò e si diresse verso la porta.

Ogni fibra del corpo di Kitty le implorava di corrergli dietro, di riportarlo da lei, di vivere e di cogliere l'opportunità che lui aveva creato per loro, di entrare in camera da letto come marito e moglie. Ma rimase impassibile.

"Addio." Le sorrise un'ultima volta. E poi se ne andò.

 

23

5 giugno 1912

Alicia Hall

Victoria Avenue

Adelaide

Mia cara Kitty,

ti scrivo con il cuore pesante, anche se soltanto tu puoi immaginare la gioia che ho provato nel ricevere il telegramma di Andrew da Broome, in cui mi metteva al corrente del miracolo.

Mia cara, sei l'unica altra persona al mondo in grado di capire cosa significhi vivere l'inferno che ho passato nelle ultime settimane. In verità, per giorni, dopo la tragedia, ho faticato a trovare un motivo per andare avanti. Avevo perso tutto il mio mondo nell'arco di poche ore, ma per fortuna avevo il Signore.

Il ritorno di Andrew è stato un miracolo che difficilmente potevamo sperare di ricevere. Ma è avvenuto, anche se, come ho premesso, non è una lettera felice quella che ti sto scrivendo.

Aspettavo che Andrew mi raggiungesse ad Adelaide per poterlo vedere con i miei occhi. E invece ieri ho ricevuto una visita del signor Angus, l'avvocato di famiglia, il quale mi ha messo al corrente del fatto che Andrew è passato dal suo ufficio per chiedergli di portarmi una lettera da parte sua. Secondo l'avvocato, l'aver perso sia il padre sia il fratello in un colpo solo, su una nave su cui avrebbe dovuto essere anche lui, è stato troppo duro da sopportare per Andrew. È caduto preda del senso di colpa, non tollera l'idea di essere ancora vivo mentre i suoi cari sono morti. Cara Kitty, forse lo shock è stato troppo per lui, perché l'avvocato Angus mi ha confessato di non averlo visto nel pieno delle sue facoltà mentali. Non gli è sembrato lui.

Andrew ha chiesto all'avvocato di dirmi, e di dirlo anche a te, che ha deciso di andare via per riprendersi. Per rimettersi in sesto, diciamo. Ah, quanto vorrei che fosse venuto da me di persona, perché sono certa che l'avrei convinto a restare. Ci sono molti bravi medici che sanno curare i crolli nervosi – da piccolo è sempre stato ipersensibile – ma ha insistito di volerlo fare da solo. Ha chiesto anche al signor Angus di implorare il tuo perdono per averti abbandonata così presto dopo il suo ritorno, ma non voleva affliggerti con il suo stato confusionale e la sua tristezza.

Vorrei poterti confortare dicendoti quando tornerà da noi, ma non ha lasciato alcuna disposizione in proposito. Ha inoltre insistito, anche se a mio parere è una follia, per mettere tutti gli interessi economici della famiglia Mercer in un fondo fiduciario a nome di Charlie. Il signor Angus mi ha mostrato i documenti ed è stato terribile constatare come la firma del mio Andrew non sembrasse affatto la sua. Se non dovesse tornare prima che Charlie compia ventun anni, tutti gli affari della famiglia passeranno automaticamente a vostro figlio.

Nella sua lettera Andrew dice di essere andato da Noel Donovan prima di lasciare Broome, e di avergli comunicato la sua decisione. Il signor Donovan è un uomo capace e sono certa che gestirà l'azienda in maniera efficiente. Andrew ha anche reso te, Kitty, l'unica amministratrice del fondo di Charlie. Mi sono opposta anche a questa decisione, è una grossa responsabilità per te, ma Andrew si fida del tuo giudizio.

Voglio dirti anche che, quando l'avvocato Angus ha letto le ultime volontà di Drummond e del mio adorato marito, qui ad Adelaide, messe per iscritto poche settimane prima del loro ultimo viaggio, è risultato che il caro zio di Charlie ha lasciato a suo nipote ogni suo bene terreno, il che rende il nostro amato ragazzo l'unico erede dell'impero dei Mercer. Che peso grava sulle sue giovani spalle! Purtroppo però non c'è nulla che noi donne possiamo fare per modificare le volontà di Andrew. Nella sua lettera mi chiede poi di rassicurarti, perché nel tuo conto di Broome verrà versata ogni mese una somma considerevole presa dal fondo, che basterà e avanzerà per provvedere a tutte le necessità. Mi rendo conto, tuttavia, che non è di gran conforto, ora che hai perso per la seconda volta tuo marito. Almeno per il momento.

Cara Kitty, sono certa che questa mia lettera risulterà sconvolgente per i tuoi nervi già scossi. Ti supplico di prendere in considerazione l'idea di tornare ad Alicia Hall con mio nipote, così da poterci confortare a vicenda mentre siamo in balìa di questa nuova, inaspettata tempesta.

Possiamo soltanto pregare per un rapido ritorno di Andrew.

Ti prego, fammi sapere al più presto che cosa hai deciso.

Edith

Kitty posò la lettera. Sudava per il nervosismo e aveva voglia di vomitare, tanto che dovette andare di corsa in bagno. Poi si recò in cucina, dove trovò Camira.

"Ancora malata, signora Kitty? Chiamo signor dottore per visitarvi. Siete pelle e ossa, ecco cosa" disse ridacchiando e porgendole un bicchiere d'acqua.

"Grazie. Sto bene, davvero."

"Vi siete guardata allo specchio, signora Kitty? Siete come uno spirito."

"Camira, dov'è Charlie?"

"Nella capanna con Cat."

"Devo dirti che il signor capo è andato via per un po'."

Camira la guardò sospettosa. "Quale “signor capo”?"

"Andrew. Mio marito, ovviamente."

"Forse è meglio." Camira annuì con aria saputa. "Io e Fred ci prendiamo cura di voi e Charlie. Quegli uomini" aggiunse aggrottando le sopracciglia "portano solo guai."

"Hai ragione" disse Kitty sorridendo debolmente.

"Signora Kitty, io…"

Sulla porta comparvero i due bambini, perciò Camira sospirò e non aggiunse altro.

Quel pomeriggio Kitty si sedette sulla veranda a rileggere la lettera della suocera. Dato che Drummond le aveva spedito un telegramma per dirle che “Andrew” era sopravvissuto, Kitty immaginava che non potesse fare altro che portare avanti la sua farsa fino in fondo. Almeno aveva mantenuto la promessa ed era scomparso. Era particolarmente commossa dal fatto che, prima che accadesse tutto ciò, Drummond avesse indicato nel testamento di lasciare a Charlie tutti i suoi averi.

Ora che lo shock iniziale si era un po' placato, Kitty sapeva che si sarebbe pentita amaramente del suo comportamento. Prima c'era stata la rabbia, poi la sofferenza e infine il rimpianto. Nelle lunghe notti solitarie aveva valutato, in preda al tormento, la possibilità di lasciar passare un po' di tempo affinché le acque si calmassero. Ma ormai era troppo tardi: Drummond se n'era andato per sempre, ed era stata lei a ordinarglielo.

L'aveva già pianto una volta, e ora doveva piangerlo di nuovo.

Charlie non ebbe quasi reazioni quando seppe da lei che “papà” era dovuto andar via di nuovo per questioni d'affari. Si era abituato alle assenze di Andrew ed era immerso in un mondo di fantasia creato insieme a Cat, perciò accettò l'inevitabile senza protestare. Parlava molto di più dello “zio Drum”.

"So che è andato in cielo perché Dio lo voleva, ma ci mancano i suoi giochi, vero Cat?"

"È vero" annuiva lei con solennità.

Kitty sorrise. Le parlava in inglese sin dalla nascita e le aveva insegnato anche un po' di tedesco. Era una bambina adorabile, educata e tranquilla, ma Kitty non poteva fare a meno di chiedersi che futuro la attendesse. Perché a dispetto della sua bellezza e della sua intelligenza era una mezzosangue, un'emarginata per entrambe le culture, e perciò alla mercé della società.

Kitty aprì il cassetto dello scrittoio per rispondere a Edith e rifiutare il suo invito ad Alicia Hall. Anche se sapeva quanto sarebbe stato difficile rimanere a Broome da vedova, almeno lì aveva la sua indipendenza. Forse, pensò, avrebbe potuto portare Charlie in Scozia, tra qualche settimana, per fargli conoscere la sua famiglia e poi decidere se tornare o meno in Australia.

Le sue dita toccarono la serratura di ottone freddo del cassetto segreto. In quel turbinio di emozioni si era dimenticata della perla che le aveva dato Drummond, perciò tirò fuori la scatolina e la aprì. Ed eccola lì, la perla, brillante alla luce della lampada, con le sue splendide tonalità rosa. La maledizione che si credeva gravasse su quel gioiello prendeva origine dal granello di sabbia che l'aveva generata. Come la regina bellissima ma malvagia delle fiabe, l'involucro esterno non lasciava immaginare cosa ci fosse dentro.

Memore dell'avvertimento di Drummond, che le aveva detto di non toccarla mai, di non “possederla” mai, Kitty appoggiò la scatolina sullo scrittoio e prese a camminare per la stanza. Era, in un certo senso, l'ultimo regalo di Andrew, e avrebbe dovuto mettersela al collo, mostrarla. D'altro canto, se Drummond aveva ragione, meglio evitarlo.

Bussarono alla porta.

"Avanti" disse Kitty.

"Signora Kitty, i bambini, non li tengo, vogliono andare sulla spiaggia e…" Lo sguardo di Camira cadde sulla perla e le sue sopracciglia si aggrottarono. "Signora Kitty, non la toccate, quella!" Camira borbottò qualche parola tra sé e distolse lo sguardo dal gioiello. "Chiudete la scatola! Ora! Non guardate, signora Kitty, chiudete!"

Automaticamente Kitty obbedì e Camira corse ad aprire la finestra.

"Non preoccupatevi, signora Kitty, vi salvo io." Borbottando altre parole incomprensibili di fronte a una Kitty sbalordita, Camira si avvolse la stoffa delle gonne intorno alla mano, afferrò la scatolina e la lanciò fuori dalla finestra.

"Ma sei impazzita? Quella perla è preziosa, Camira! Molto preziosa. Dobbiamo riprenderla." Kitty si sporse dalla finestra.

"La vedo" disse Camira indicando la scatolina lontana. "Signora Kitty, non vendete quella perla. Non prendete denaro per lei. Capito?"

"Mio… marito mi ha parlato della maledizione, ma è un'antica diceria."

"Allora ditemi perché signor capo ora è morto. E molti prima di lui."

"Vuoi dire il signor Drummond, Camira" la corresse lei brusca.

"Signora Kitty" disse con un sospiro. "So distinguere loro due, anche se voi no."

Kitty capì che con Camira non aveva senso continuare a fingere. "Tu credi nella maledizione?"

"Gli spiriti trovano uomini avidi e li uccidono. Sento loro anime cattive in quella scatola. Ho detto al signor Drum che non è buona."

"Che cosa mi consigli di fare, se non posso venderla? È stato l'ultimo regalo di Andrew, e vale una fortuna. Non posso gettarla via."

"Date a me. Porto via così non fa danno."

"Dove?" Kitty strinse per un istante le palpebre, pensando che, per quanto volesse bene a Camira e si fidasse di lei, era una ragazza povera e quella perla avrebbe significato una nuova vita per lei e sua figlia.

Camira la guardò in faccia e, come al solito, le lesse nel pensiero. "Tenete pure quella perla maledetta e vendete per denaro ai ricchi bianchi. Charlie resta orfano fra tre mesi." Incrociò le braccia e distolse lo sguardo.

"D'accordo" cedette Kitty. Dopotutto non aveva bisogno di soldi, e neanche suo figlio. "Ci ha solo portato sciagure. Se credessi alla maledizione direi che ha distrutto la nostra famiglia. Forse, prima la facciamo sparire, prima potremo ricominciare a respirare."

"Fred la porta in posto che sa. Io e Cat andiamo un giorno con lui." Camira si avviò verso la porta. "Cosa migliore, signora Kitty. Mettere cose cattive dove non possono fare del male."

"Pensaci tu. Grazie, Camira."

Qualche giorno dopo Kitty ricevette una visita da Noel Donovan.

"Perdonatemi se vi disturbo ancora, signora Mercer, in un momento tanto difficile per voi, ma sono certo che saprete che vostro marito ha affidato a me la gestione della compagnia fino al suo ritorno, o finché il piccolo Charlie non sarà maggiorenne."

"Preghiamo che torni al più presto" disse Kitty.

"Certo, e non dubito che lo farà. È un periodo difficile per voi, signora Mercer. La mia famiglia ha perso dieci persone per la carestia di patate del secolo scorso, è per questo che siamo venuti qui. In molti sono giunti su queste coste spinti da una tragedia."

"Non io, ma a quanto pare mi ha seguito fin qui" disse brusca Kitty. "Dunque, signor Donovan, che posso fare per voi?"

"Be', il fatto è che solo voi potete sapere cosa passi per la testa di Andrew. Mi chiedevo se sapete quando tornerà."

"Non mi ha detto niente, signor Donovan."

"Non parlavate a cena, come facciamo io e mia moglie?" insistette Noel. "Se c'è qualcuno che sa cosa pensasse sul futuro della sua compagnia, questa siete voi."

"Sì, certo." L'istinto diceva a Kitty che forse era meglio mentire. "Prima che partisse abbiamo parlato di molte cose."

"Allora saprete che vostro marito ha prelevato ventimila sterline dal conto della compagnia, pochi giorni prima di morire."

Kitty ebbe un attimo di sbandamento quando capì per cosa avesse speso quei soldi. "Sì. Che ne è stato?"

"Forse li ha presi per comprare un nuovo trabaccolo?"

"Sì, esatto."

"Sapete a chi ha affidato la costruzione? Non trovo nulla nei registri."

"Temo di no, anche se mi pare che fosse una compagnia inglese."

"È probabile. Resta il fatto, signora Mercer, che abbiamo perso tre trabaccoli per colpa del ciclone. Grazie a Dio era bassa stagione, altrimenti sarebbero stati molti di più. Il problema è che, ora che abbiamo ventimila sterline in meno, siamo in grave scoperto con la banca."

"Veramente?" Anche se Kitty era sconvolta, non si mostrò sorpresa. "Sono sicura che potremo ripianare il debito col tempo, quando la compagnia si sarà ripresa dai danni subiti."

"Ventimila sterline e tre trabaccoli in meno sono danni considerevoli, signora Mercer. Anche con una buona pesca nei prossimi mesi, direi che saranno necessari tre anni buoni per ripagare la banca e tornare a fare profitti. A meno che, ovviamente, non si abbia un colpo di fortuna…" Noel si interruppe e Kitty gli lesse la preoccupazione sul viso.

"Capisco."

"E l'altro problema, se posso permettermi, è che il morale degli uomini è basso. Questa è una doppia perdita, capite? Per quanto vostro marito lavorasse sodo, molti di loro consideravano il signor Stefan il vero capo. E ora che il signor Andrew è assente, molti sono tentati di accettare le offerte delle altre compagnie. Soltanto ieri Ichitaro, il nostro tuffatore più esperto, mi ha detto che andrà a lavorare per la compagnia Rubin. È un brutto colpo, e incoraggerà altri uomini a fare lo stesso."

"Capisco perfettamente, signor Donovan. È una situazione preoccupante, in effetti."

"Be'" concluse Noel alzandosi. "Non voglio disturbarvi con problemi di denaro, ora che avete perso così tanto. Me ne vado."

"Signor Donovan" disse Kitty alzandosi a sua volta. "A quanto apprendo gli uomini sono demoralizzati e senza una guida. Sarebbe una buona cosa se venissi in ufficio e parlassi con loro? Se spiegassi, cioè, che la Mercer Pearling Company è una compagnia ancora fiorente e che non c'è ragione di preoccuparsi?"

Noel sembrava dubbioso. "Direi che, senza offesa, ovviamente, non credo che darebbero ascolto a una donna."

"Non è forse vero che gli uomini ascoltano le loro mogli, a casa?" ribatté Kitty, facendo arrossire Noel.

"Be', forse avete ragione. E di certo non potrà andare peggio di così. I nostri trabaccoli usciranno in mare dopodomani. Siamo in ritardo perché abbiamo dovuto reclutare altri tuffatori."

"Avete già pagato quelli che vogliono andarsene?"

"No, verranno a prendere l'ultima paga domani mattina."

"Allora radunate quanti più uomini potete, tirateli fuori dalle bettole e dai bordelli e dite loro che il nuovo capo della Mercer Pearling Company vuole parlare con tutti quanti, alle undici di domani mattina."

Noel inarcò un sopracciglio. "Mi state dicendo, signora Mercer, che Andrew vi ha passato le redini dell'attività?"

"In sostanza sì. Sono la sola amministratrice del fondo in cui è stata inserita la compagnia, quindi sono la cosa più simile a un “capo” d'ora in poi."

"Be', d'accordo. Vi avverto, però, che sono una marmaglia, perciò si aspetteranno tutti di vedere un uomo."

"Vivo a Broome da cinque anni, signor Donovan, e ne sono assolutamente consapevole. Ci vediamo domani alle undici in punto." Kitty andò allo scrittoio e tirò fuori dal cassetto una mazzetta di sterline australiane. "Andate da Yamasake e Mise e comprate ventiquattro bottiglie del loro migliore Champagne."

"Siete sicura che sia una buona idea, signora, viste le finanze della compagnia?"

"Non sono soldi della compagnia, signor Donovan. Sono miei."

"Be', allora…" Noel mise in tasca il denaro e le rivolse un sorriso. "Direi che in un modo o nell'altro i nostri uomini avranno una bella sorpresa, domani."

Quando Noel se ne fu andato, Kitty chiamò Fred e si fece accompagnare in città. Entrò nel negozio di Wing Hing Loong e gli chiese di prepararle un corpetto a maniche lunghe e una gonna, usando lo stesso cotone bianco dei completi dei commercianti di perle. Fece applicare cinque bottoni di madreperla sul corpetto, che doveva essere abbottonato sul davanti come un gilè. Pagò cifra doppia per assicurarsi che fosse pronto per le nove del mattino successivo, poi tornò a casa e passò il pomeriggio nella sua stanza, pensando a cosa avrebbe detto agli uomini della Mercer Pearling Company. Quando le venne il dubbio di essere completamente impazzita, si ricordò di suo padre, ogni domenica sul pulpito. Aveva visto spesso la folla ipnotizzata non tanto dalle sue parole, ma dalla forza pura che emanavano la sua fede e il suo carisma.

Vale la pena provarci per Andrew, Charlie e anche per Drummond, si disse. E le venne un'idea.

Il mattino successivo Kitty studiò la propria immagine allo specchio. Si mise la catenina d'oro trovata nel taschino della giacca bianca di Andrew – una sorta di segno di riconoscimento di ogni commerciante di perle – e indossò il casco da esploratore. Guardandosi allo specchio sorrise. Forse era un po' eccessivo. Si tolse il casco e lo appoggiò accanto alla valigetta di pelle che suo marito usava per portare i documenti da casa all'ufficio e viceversa.

Un'ultima occhiata, e poi fece un respiro profondo.

Kitty McBride, non per nulla sei figlia di tuo padre…

"Signori" esordì Kitty rivolta alla marea di volti maschili sotto di lei. Si chiese per un attimo a quante diverse nazionalità si stesse rivolgendo. Giapponesi, malesi, timoresi e carnagioni bianche non meglio identificate. Alcuni uomini già sghignazzavano e sussurravano fra loro.

"Innanzitutto mi presento, per chi ancora non mi conoscesse. Mi chiamo Katherine Mercer, sono la moglie del signor Andrew Mercer. A causa della recente perdita, il signor Mercer è stato costretto ad assentarsi da Broome per occuparsi degli affari della famiglia. Spero che vogliate augurargli il meglio e che preghiate affinché trovi la forza di dedicarsi a questioni tanto delicate."

Kitty sentì che la sua voce iniziava a tremare.

Nessun segno di debolezza, Kitty, la annusano a un miglio di distanza…

"Fintanto che sarà assente mi ha chiesto di sostituirlo, assistita dal signor Noel Donovan, che continuerà a gestire la compagnia nelle faccende quotidiane."

Vide molte sopracciglia inarcarsi e udì sussurri di protesta tra il pubblico. Raccolse ogni briciolo di forza che aveva per andare avanti.

"Signori, di recente in città ho sentito dire che la Mercer Pearling Company sarebbe in difficoltà finanziarie a causa della perdita di tre trabaccoli nel ciclone. C'è addirittura chi dice che siamo falliti. Sono certa che non sia stato nessuno di voi a diffondere tali notizie infondate, vista la tragedia che ha colpito non solo la nostra famiglia, ma l'intera città di Broome. E sono anche certa che ricordiate tutti con affetto il fondatore di questa compagnia, il signor Stefan Mercer. La Mercer Pearling Company è una delle più antiche e floride attività della città; ha dato a molti di voi di che vivere, di che sfamare moglie e figli. Sono qui per dirvi che i temuti problemi finanziari della compagnia sono inesistenti. Quelle voci sono state messe in giro da persone invidiose della nostra storia, che vogliono vederci crollare. L'impero Mercer è uno dei più ricchi d'Australia e posso assicurarvi che il denaro non ci manca. A questo proposito, stamani il signor Donovan e io abbiamo firmato un contratto per la costruzione di tre nuovi trabaccoli, e speriamo di aggiungerne altri due entro la fine dell'anno."

Kitty fece una pausa e valutò la reazione del suo pubblico. Alcuni si erano voltati verso il vicino per tradurre le sue parole. Molti annuivano, sorpresi.

Li ho quasi in pugno…

"Invece di chiudere la compagnia, vogliamo reclutare gli uomini migliori di Broome e farli lavorare con noi. Il desiderio mio e di mio marito è rendere la Mercer Pearling Company la più grande compagnia di commercio di perle nel mondo."

A quelle parole qualcuno esultò, e Kitty si sentì incoraggiata a proseguire.

"Accetto che alcuni di voi abbiano già deciso di voltare pagina; chi vuole andarsene riceverà ciò che gli è dovuto. Se invece qualcuno dovesse cambiare idea e decidesse di restare, riceverà il dieci per cento di aumento della paga, cosa che il signor Stefan Mercer ha stabilito per tutti i suoi uomini nel proprio testamento. Signori, come rappresentante della famiglia Mercer, chiedo il vostro perdono per l'incertezza che vi ha afflitto nelle ultime settimane. E chiedo anche la vostra comprensione perché anche noi, come molte famiglie di Broome, abbiamo faticato a riprenderci dalla tragedia. Alcuni di voi inoltre dubiteranno delle capacità di una donna nel ruolo di capo dell'azienda. Tuttavia vi imploro di pensare alle donne della vostra famiglia, di ammettere quanto siano forti. Si occupano della casa, dei conti della famiglia e soddisfano i “bisogni” di tutti voi. Forse, a differenza vostra, non avrò la forza o il coraggio necessari a solcare gli oceani ogni giorno, ma il mio cuore è pieno di passione. Ho la benedizione del mio defunto suocero e di mio marito, che mi hanno affidato le redini della Mercer Pearling Company. E io la porterò dritta nel futuro."

Cercando di non ansimare per l'emozione e la tensione, Kitty guardò il pubblico e lo vide silenzioso e attento. Come aveva chiesto, vennero distribuiti dei bicchieri di Champagne. Alle sue spalle comparve Noel che gliene porse uno. Lo prese.

"Domani sarò sul molo a salutare coloro fra voi che saranno ancora dei nostri e usciranno in mare. Per augurarvi buona fortuna e pregare per il vostro ritorno. E ora, vorrei che brindaste in onore delle vittime del naufragio. E in particolare del nostro fondatore, il signor Stefan Mercer." Kitty alzò il bicchiere. "A Stefan!"

"A Stefan!" gridarono in coro gli uomini. Kitty bevve insieme a loro.

Ci fu un altro attimo di silenzio, poi qualcuno gridò: "Urrà per la signora Mercer. Hip hip…".

"Urrà!"

"Hip hip…"

"Urrà!"

"Hip hip…"

"Urrà!"

Kitty vacillò leggermente e Noel la aiutò ad accomodarsi su una sedia.

"Un gran bel discorso" disse mentre guardava gli uomini riempirsi di nuovo i bicchieri mentre scambiavano commenti tra loro. "Avete convinto pure me" le bisbigliò con un sorriso. "Dubito che ci sia qualcuno che non vi ha creduto. Anche se solo il Signore sa dove troveremo i soldi per mantenere le promesse che avete fatto."

"Da qualche parte li troveremo, Noel" gli disse. "Ce la faremo."

"Siete esausta, signora Mercer. Perché non andate a casa a riposare, adesso? Avete fatto la vostra parte. Gli uomini continueranno a bere e vorranno essere pagati, con il bonus che avete loro promesso, e… signora Mercer, il conto è già a secco."

"Ho altro denaro con me" lo rassicurò Kitty. "Ora, se non avete obiezioni, vorrei salutare personalmente tutti gli uomini e pagarli io."

"Oh no, nessuna obiezione." Noel la guardò meravigliato, le rivolse un piccolo inchino e andò in ufficio a prendere i soldi.

Alle quattro del pomeriggio Kitty scese dal carro con l'aiuto di Fred e si avvicinò barcollando alla porta d'ingresso della casa.

"Vado a riposare" disse a Camira quando le passò davanti. "Puoi portarmi in camera una brocca d'acqua fresca?"

"Sissignora, signora Kitty." Camira le rivolse la solita riverenza, poi la guardò. "Ancora malata?"

"No, solo molto, molto stanca."

Kitty si sdraiò sul letto e si godette la brezza che entrava dalla finestra aperta. C'erano volute tre ore per salutare tutti gli uomini e chiedere a ciascuno come stesse la famiglia; nessuno le aveva chiesto la liquidazione, e tutti le si erano rivolti con un sorriso imbarazzato, dicendole di credere nella compagnia e facendole le condoglianze per la sua perdita.

Adesso lo scoperto dell'azienda in banca era aumentato, ma tutti gli uomini dall'indomani avrebbero preso il largo per provare a risollevarne le sorti.

Kitty chiuse gli occhi e ringraziò Dio per le colazioni del mercoledì cui la sottoponeva suo padre da piccola. La biografia di Elisabetta Tudor che era stata costretta a imparare l'aveva ispirata per il discorso di quel giorno.

"Anche se ho il corpo di una esile e debole donna…" aveva detto Elisabetta arringando gli eserciti ai Tilbury Docks, prima di sconfiggere l'Invincibile Armada degli spagnoli.

Perdonami, Andrew, oggi ho fatto del mio meglio per te…

Nelle due settimane successive Kitty si alzò presto ogni giorno. Arrivava in ufficio prima di Noel, studiava i libri mastri con occhio attento, attingendo all'esperienza di base che si era fatta occupandosi dei conti della parrocchia di suo padre. C'erano svariate incongruenze, tanti prelievi di contante di cui chiese ragione all'impiegato.

"Chiedete al signor Noel. Li ha autorizzati lui" rispose l'uomo.

"Be', a volte capitava che qualche tuffatore avesse una perla clandestina… cioè, rubata dal trabaccolo. Se credeva che fosse di valore…" Noel si guardava le mani, che tormentava nervosamente. "Per evitare il rischio che il tuffatore si tenesse tutto per sé, il signor Andrew, e il signor Stefan prima di lui, offrivano una somma in contanti a chi portava loro una perla speciale. Alcune si rivelavano robaccia, ma in questo modo il rischio era condiviso. Capite?"

"Sì, capisco."

Quel pomeriggio Kitty si recò in banca e si sedette di fronte alla scrivania del direttore, il signor Harris. Mentre gli spiegava la situazione, l'uomo sembrava addolorato.

"Vi assicuro che i fondi non mancano, signor Harris. L'impero Mercer vale una fortuna."

"Può anche darsi, signora Mercer, ma temo che la banca abbia bisogno di garanzie immediate. Forse potreste trasferire del denaro da altri settori dell'impero Mercer." Il direttore della banca era irremovibile, abituato a vivere in una città piena di gente che lo implorava di aumentarle il credito.

Kitty annuì, non avendo idea di quanto denaro ci fosse nel conto in banca della compagnia, consapevole che avrebbe dovuto andare ad Adelaide, dall'avvocato di famiglia, per scoprirlo.

"Capisco. Potreste concedermi una proroga di un mese?"

"Ho paura di no, signora Mercer. Lo scoperto attualmente è di ventitremila sterline."

"Potreste accontentarvi della nostra casa come garanzia temporanea?" propose. "È nella zona migliore di Broome, con mobilio di lusso. Accettereste l'ipoteca finché non riuscirò a trovare ulteriori fondi?"

"Signora Mercer," disse l'uomo accigliandosi "lungi da me volervi dare consigli, ma siete sicura che sia una cosa saggia? Forse non vi rendete conto di quanto sia volubile il settore delle perle. Non vorrei lasciare voi e vostro figlio senza un tetto sopra la testa."

"È un mondo volubile, eccome, signor Harris, e se fossi una giocatrice d'azzardo scommetterei sul fatto che alla famiglia Mercer spetta un po' di fortuna, dopo questa tragedia. Vi porterò l'ipoteca domani mattina."

"Come volete, signora Mercer. La banca vi chiederà di rientrare dallo scoperto entro sei mesi."

"D'accordo. Tuttavia," concluse Kitty alzandosi "se dovessi sentir parlare di questo nostro accordo in qualsiasi angolo della città, il nostro rapporto d'affari si interromperà immediatamente. Sono stata chiara?"

"Sì."

"Bene. Ci rivediamo domani per concludere."

Kitty uscì dall'ufficio a testa alta, consapevole di non avere alcun bisogno di pensare al peggio: lei e Charlie potevano benissimo tornare ad Alicia Hall e vivere nel lusso per il resto della vita.

Un destino peggiore della morte. Ricordò le parole di Drummond mentre usciva nel bruciante sole di mezzogiorno. Vivere nella menzogna lì a Broome, da sola, era una cosa, ma viverla tutti i giorni a casa di una donna convinta che il suo figlio maggiore fosse vivo e che un giorno avrebbe fatto ritorno, sarebbe stato ben diverso.

Tornata a casa, Kitty avvertì di nuovo un giramento di testa e si maledisse. Sapeva di non poter mostrare debolezze, se voleva che la compagnia conservasse qualche speranza di sopravvivere. Si sedette allo scrittoio e tirò fuori i libri mastri che si era portata a casa.

"Santo cielo." Kitty appoggiò la testa sul tavolo. "In che situazione mi sono messa?"

Bussarono alla porta ed entrò Camira, con la tazza di tè che le aveva chiesto.

"Grazie" disse alzandosi.

"Signora Kitty, sembrate morta anche voi. Riposate, avete bisogno."

"È solo il caldo, io…"

Camira guardò con orrore la sua adorata padrona crollare sul pavimento.

"Signora, quando avete avuto il ciclo mestruale l'ultima volta?"

Kitty alzò lo sguardo e si trovò davanti gli occhi vispi del dottor Suzuki. Tentò di ricordarlo, chiedendosi come mai volesse saperlo. Era chiaro che fosse ancora esausta e stravolta per il lutto e per il colera, nient'altro.

"Forse due mesi fa. Proprio non lo so, dottor Suzuki."

"Niente più perdite da allora?"

Kitty rabbrividì per quell'indelicatezza. Anche se Suzuki era il miglior medico della città, pensò che il dottor Blick non si sarebbe mai espresso in quei termini. "È stato a metà di aprile" mentì Kitty. "Ora ricordo."

"Davvero? Be', la cosa mi sorprende. Direi che vostro figlio è al quarto mese di gestazione."

"Sono incinta?! Ne è sicuro?"

"Abbastanza."

Non può essere…

"Al di là di questo direi che siete in perfetta salute. Posso farvi le mie congratulazioni, signora? Spero che vostro marito torni presto, così da condividere con lui la lieta novella."

"Grazie" disse Kitty, frastornata.

"Avete subìto una perdita terribile, ma ciò che Dio toglie, Dio restituisce. Posso prescrivervi solo riposo. Siete fin troppo magra e il bambino è già bello grosso. Restate a letto per un mese e preservate la vita che cresce dentro di voi."

Kitty rimase in silenzio mentre il medico metteva via i suoi strumenti.

"Buona giornata, signora Mercer. Sono al vostro servizio, doveste avere di nuovo bisogno di me." Le rivolse un rapido inchino e se ne andò.

No, ti prego… Kitty si asciugò una lacrima che scendeva dai suoi occhi supplichevoli. Ho troppo da fare.

Alzò lo sguardo al soffitto e vide zampettare un grosso ragno. E si ricordò di quando Drummond, tanti anni prima, era comparso nella sua stanza per salvarla.

"Sono incinta di tuo figlio…" mormorò, poi ringraziò le stelle che il suo inganno, se non altro, avrebbe fatto credere a tutti che quel bambino era di suo marito. A quanto ricordava, l'ultima volta che le era venuto il ciclo era stato a metà febbraio…

"Oh Signore." Kitty si morse il labbro. "Che caos" mormorò.

Con cautela si toccò la pancia.

"Perdonami" disse a quella nuova vita innocente. "Non potrai mai conoscere la verità, non saprai mai chi era davvero tuo padre."