CAPITOLO QUARTO

 

 

Specchio di Diana, Nemi

27 d.C. - 780 ab Urbe Condita

Caligola ha quindici anni

 

13

Il sentiero si inerpicava lungo la parete vulcanica seguendo il tracciato impervio che risaliva a molti secoli prima, forse a quando lo stesso Enea era arrivato in quei luoghi per cogliere il ramo d'oro che lo avrebbe guidato nel regno dei morti.

Caligola non credeva più di tanto a quelle leggende, ma, nonostante la fatica che gli bruciava i polmoni e gli rendeva le gambe dure come marmo, dovette ammettere che lo spettacolo che si godeva da lassù era formidabile.

Lo Specchio di Diana, il piccolo lago ricavato nella bocca di un vulcano spento, riluceva nel sole del mezzogiorno. Dava l'impressione di voler lanciare dardi infuocati nell'aspra vegetazione che faceva da corollario a quella conca naturale, che trovava sfogo in un estuario sotterraneo scavato dagli ingegneri di qualche oscuro senatore del passato che aveva voluto fare affluire acqua verso gli acquedotti in costruzione per l'Urbe. Dunque non si vedevano fiumi, né si riusciva a capire come quel lago potesse alimentarsi e restare sempre a un livello sufficiente da rendere difficoltoso, anche per un nuotatore esperto, raggiungerne il fondo.

Gaio sapeva che molti attribuivano alla stessa Diana, il cui tempio si affacciava sul lago, a una certa distanza dalla villa che la sua famiglia aveva fatto costruire in mezzo ai boschi, con un piccolo approdo a una spiaggetta sulle acque, quel prodigio che si protraeva nei secoli. Ma quando ne aveva discusso con Seneca, il filosofo amico di sua madre che ogni tanto li accompagnava in quei luoghi per rinfrancarsi lo spirito, aveva capito che la natura a volte sa compiere prodigi che vanno ben al di là delle superstizioni degli uomini. Seneca gli aveva spiegato che c'erano sorgenti che sgorgavano dalle pareti del cratere, le più grandi qualche metro sotto il livello delle acque, le quali smaltivano le acque piovane provenienti dal corollario di monti che circondava quel luogo.

«Stai tranquillo che fino a quando continuerà a piovere, e da queste parti avviene spesso, Diana avrà il suo specchio in cui riflettersi.»

Le parole di Seneca lo avevano colpito. Ogni volta che si recava con la famiglia a rendere omaggio al tempio della dea cacciatrice, cercava di cogliere qualche segno di quelle sorgenti naturali e dei torrenti d'acqua piovana che dalle vette più alte confluivano fino al lago nei loro alvei sotterranei.

«Perché dobbiamo venire così spesso in questo posto maledetto?» si lamentò Nerone Cesare davanti a lui, districando la tunica da un ammasso di rovi in cui si era impigliata.

«La nostra famiglia gode da sempre dell'appoggio di Diana» rispose Druso con aria scocciata, detergendosi il sudore che gli imperlava la fronte. «Per quanto sarebbe più comodo trasportare il tempio a Roma. Pochi mesi di lavoro, e per noi finirebbe questa tortura.»

Nerone ridacchiò, mentre dava una pacca sul sedere di sua moglie Giulia, che gli scoccò un'occhiataccia.

«Hai sentito?» disse, con aria adesso più allegra. «Mio fratello ha le idee chiare. Se dovesse diventare lui il prossimo imperatore, non dovremo più faticare. Basta spostamenti al di fuori dell'Urbe. Portiamo il mondo in casa e godiamocelo da veri regnanti!»

Furono in molti a scoppiare a ridere, nel seguito che li accompagnava, ma Gaio si accorse che, se Druso sembrava poco interessato al sarcasmo di Nerone, sua moglie Emilia Lepida non smetteva di fissare il cognato di sottecchi, mordendosi le labbra per non ribattere.

«In realtà credevo di essere io l'erede al trono» continuò Nerone senza smettere di sogghignare. «O mi sono perso qualcosa?»

Questa volta non rise nessuno, a parte lo stesso Nerone.

«In ogni caso, almeno la nostra domus potevano costruirla più vicino al tempio, non vi pare?» proruppe Druso. «Ogni volta è un'impresa raggiungere a piedi questo posto.»

Erano ormai arrivati sulla grande spianata che dava accesso al tempio di Diana. Gaio si era accorto che, mentre i loro mariti parlavano, fra Giulia ed Emilia Lepida c'era stato un intenso scambio di sguardi che lui non era riuscito a interpretare del tutto. Era stato forse un segnale di intesa? O era semplice solidarietà femminile per le volgarità dei loro consorti?

Si ripromise di tenere occhi e orecchie bene aperti, adesso che poteva approfittare della loro trasferta in quei luoghi per avere tutti vicino.

Oltre a loro, infatti, c'erano gli altri componenti della sua famiglia, Agrippina Maggiore in testa, e si vociferava che anche Seiano li avrebbe presto raggiunti, per unire il piacere di un ringraziamento agli dei con la possibilità di discutere di politica con i discendenti della dinastia Giulio-Claudia, a cui non poteva certo mancare di rispetto o fingere che non avessero una parte di rilievo nel delicato gioco della successione. Il vecchio Tiberio, infatti, ormai da tempo se ne stava rintanato nella sua villa a Capri, senza più farsi vedere a Roma.

Gaio aveva sentito voci contrastanti riguardo ai motivi di questo esilio che Tiberio si era autoimposto, ma, fra i tanti che cercavano di dare la loro personale spiegazione, molti convenivano sul fatto che l'imperatore fosse ormai impazzito, così spaventato da possibili congiure da non voler più avere alcun contatto con l'Urbe e con l'aristocrazia romana, che, se da una parte lo adulava e omaggiava, dall'altra, ne era convinto, ordiva complotti nei suoi confronti.

E Seiano, che aveva una posizione ambigua, di appoggio a Tiberio ma apparentemente pronto a scalzarlo dal trono in ogni momento, non poteva ignorare questa situazione delicata e difficile per l'Urbe. Paradossalmente spettava a lui vegliare sull'imperatore: a quanto si diceva, Tiberio aveva ancora fiducia nel suo prefetto del Pretorio, anche se fra tutti era proprio lui l'uomo che più avrebbe potuto minacciare il suo imperium.

«Seiano è astuto, sa come prendere l'imperatore» continuava a ripetere a tutti loro Agrippina, quando li riuniva in lunghe riunioni di famiglia. «Ma non può fare a meno di trattare con la discendenza di Augusto, perché sa che il popolo non glielo perdonerebbe.»

«Per questo non perde mai occasione di farti la corte?» aveva commentato una volta Druso, con il suo solito tono sarcastico e distaccato, come se non si rendesse conto del peso delle sue parole. Agrippina l'aveva fulminato con un'occhiataccia, ma non aveva replicato, e questo aveva un po' insospettito Gaio.

Ed ecco che adesso erano stati tutti costretti a partecipare a quella trasferta al tempio di Diana. I bene informati assicuravano che Seiano li avrebbe raggiunti per i sacrifici, approfittando dell'occasione per appartarsi con Agrippina e continuare la feroce discussione che li vedeva avversari ormai da troppo tempo.

Gaio non sapeva se davvero Seiano avesse cercato di ammaliare sua madre, cosa di cui si vociferava da tempo, ma non vedeva l'ora di scoprire se i due si sarebbero incontrati, nei prossimi giorni, nel palazzo che fiancheggiava il tempio e in cui i servi avevano preparato i loro alloggi. Se l'avessero fatto, lui li avrebbe osservati di nascosto e avrebbe finalmente capito i veri rapporti fra i due.

«Siamo arrivati, alla fine!» esclamò Nerone, che non sopportava l'idea di dover camminare a lungo. Per di più sui sentieri impervi che fiancheggiavano le pareti del vulcano. Eppure, dalla villa dei loro genitori affacciata sullo Specchio di Diana, il sentiero che costeggiava le pendici vulcaniche non era troppo impervio, se non nel tratto finale, e Gaio si era goduto la passeggiata inebriandosi le narici con il profumo della natura selvaggia che dominava quei luoghi.

Adesso che erano arrivati, però, avrebbe dovuto ignorare il magnifico paesaggio e concentrarsi, preparato a ogni evenienza, al contrario di quei boriosi dei suoi fratelli, che preferivano accontentarsi del sangue nobile che scorreva nelle loro vene e che stupidamente credevano avrebbe garantito loro l'immunità da qualsiasi pericolo.

Quando fecero il loro ingresso nel tempio di Diana, Seiano era già lì ad attenderli. Accanto a lui, con grande sorpresa di tutti, se ne stava rigida e impettita Claudia Livilla, la vedova di Druso, che li osservava con una smorfia truce.

La cosa non piacque per niente ad Agrippina. Dopo un istante di esitazione avanzò a passo di carica, arrivò a poco più di un passo dal prefetto del Pretorio e lo fissò come se avesse voluto incenerirlo con la sola forza dello sguardo, ignorando ostentatamente Livilla. Ma Seiano si inchinò, sorrise e si allungò verso di lei per mormorarle qualcosa che Gaio non riuscì a cogliere.

Agrippina parve sciogliersi, si voltò a guardare il folto seguito della sua famiglia che era in attesa di suoi ordini, poi disse qualcosa a Seiano, questa volta senza poter evitare di guardare di sottecchi Claudia Livilla, che non aveva abbandonato per un istante la sua espressione intransigente.

Gaio era furibondo. Da dove si trovava non riusciva a sentire nulla, né a interpretare le parole dei due osservando il movimento delle labbra. Si era allenato a lungo in quell'antica arte dell'interpretazione delle parole pur senza coglierne i suoni, costringendo i suoi servi a parlare fra di loro mentre lui cercava di capire le loro parole, e credeva di avere raggiunto una buona padronanza di quella tecnica. Ma avere a che fare con degli schiavi istruiti appositamente era una cosa, cercare di interpretare il movimento delle labbra rigide e piene di collera di sua madre, o quelle più rilassate ma sibilline di Seiano, era ben altra. Soprattutto quando la presenza incombente di Claudia Livilla lo distraeva e ammaliava allo stesso tempo.

Gaio osservò la zia e cercò di capire per quale motivo fosse lì, al fianco di Seiano. Sorella di Germanico e come lui figlia adottiva di Tiberio, era stata moglie di Druso Minore, il suo fratellastro, ed era la madre di Tiberio Gemello, che da un punto di vista strettamente dinastico erano gli eredi naturali dell'imperatore. Naturalmente tutta Roma sapeva che Agrippina non era d'accordo e riteneva che fosse suo figlio Nerone Cesare, in ragione della sua discendenza diretta da Augusto, ad avere diritto al titolo di successore di Tiberio.

Tra le due donne era in corso una lotta senza esclusione di colpi, e vedere la zia al fianco di Seiano suscitava non poche perplessità in Gaio e imporporava il volto di sua madre di una rabbia che lei non cercava minimamente di trattenere. Anche perché, a questo punto, le voci che sussurravano che Claudia Livilla e Seiano fossero amanti, e addirittura che avessero agito insieme per uccidere Druso Minore e spianare la strada alla successione al trono di Tiberio Gemello, assumevano piena consistenza.

Dopo aver scambiato ancora qualche battuta con Seiano, Agrippina si voltò e tornò da loro.

«Andate a sistemarvi nei vostri appartamenti e prepariamoci per i riti di ringraziamento» disse con le belle labbra rigide e tese dalla tensione.

«Che cosa ti ha detto Seiano?» la interpellò subito Nerone. «E quella là che ci fa qui?»

Agrippina lo fulminò con lo sguardo. Poi si allontanò, seguita dal suo codazzo di servi e ancelle.

«Vedo che come futuro imperatore non hai molta voce in capitolo» grugnì Druso Cesare con aria annoiata. «Come tutti noi, del resto.»

Nerone rispose qualcosa di incomprensibile e si allontanò, afferrando la moglie per un braccio e trascinandola con sé. Poi, a uno a uno, tutti i componenti della famiglia si diressero verso i loro alloggiamenti.

Gaio si ripromise di approfondire la discussione a cui aveva assistito fra Seiano e Agrippina. Era chiaro che i due si erano detti qualcosa di importante. Per di più sotto lo sguardo pieno di disprezzo di Claudia Livilla.

Non aveva dubbi che quella notte, fra le ombre del tempio affacciato sul lago, il gioco iniziato da quei tre sarebbe continuato. E lui non si sarebbe perso nemmeno una parola.

 

14

Per la sortita di quella notte, Gaio si era preparato con cura. Per potersi muovere al buio senza essere notato, aveva indossato una tunica scura lunga fino ai piedi e si era spalmato della pece sulle braccia e sul viso, che avrebbero potuto risaltare nel debole lucore dei bracieri accesi in tutto il palazzo. Ai piedi era stato costretto a sostituire le sue caligae con pantofole di morbido panno, che gli avrebbero consentito di muoversi rapido e silenzioso come un gatto. Era anche riuscito a dormire un paio d'ore, prima di prepararsi, perciò aveva la certezza che sarebbe stato ben sveglio e lucido per buona parte della notte.

Stava per uscire dal suo alloggio, dopo avere dato istruzioni ai suoi schiavi perché restassero in silenzio, quando una figura scivolò svelta nella stanza e gli corse incontro.

«Drusilla!» fece Gaio sorpreso. «Che ci fai, qui? Perché non sei a dormire?»

«Lo sapevo che saresti andato!» esclamò lei raggiante, buttandogli le braccia al collo e stringendosi a lui. «Voglio venire anch'io!»

«Ma di che parli?» le chiese Gaio strappandosela di dosso. Drusilla era una bambina di nove anni ma era molto più alta della media delle sue coetanee e aveva già un accenno di seno, il che non mancava di turbare Gaio ogni volta che la vedeva danzare. Bella come sua madre, ma solare come un fiore appena sbocciato, adorava Gaio e non perdeva occasione per stargli vicino. Lui era sempre riuscito a tenerla fuori dalle sue scorrerie nei palazzi dei potenti, e adesso era sorpreso che lei avesse intuito quello che stava per fare.

«Guarda che ti ho già visto» sorrise lei, fissandolo con quegli occhi grandi e luminosi che sembravano pozze di acqua cristallina, gocce dello Specchio di Diana. «Una volta ti ho anche seguito!»

Gaio trattenne un'imprecazione.

«Eri così occupato a non farti vedere dagli altri che non hai visto me» continuò divertita la sorella, e lui dovette mordersi un labbro per non gridare dalla rabbia.

Drusilla sembrò accorgersi della smorfia che gli tirava i lineamenti e si rabbuiò.

«Guarda che non ti tradirò mai, lo sai. Piuttosto mi faccio uccidere.»

Gaio prese un lungo respiro e cercò di calmarsi. Guardò Drusilla negli occhi e comprese che gli stava dicendo la verità.

«Va bene, ti credo» le disse, riuscendo anche ad aprire un sorriso. Sua sorella era la sola che riuscisse a sciogliergli il cuore. «Adesso, però, se mi vuoi bene devi fare una cosa per me.»

Drusilla si illuminò. «Tutto quello che vuoi!»

«Torna a letto e dimenticati di me, per questa notte.»

Lei si afflosciò per la delusione. «Non mi vuoi portare con te?» chiese con un soffio di voce che intenerì Gaio. «Sarò brava, rapida e silenziosa come sai fare tu.»

Lui scosse la testa. «È pericoloso. E non sono cose da fanciulla.»

Lei piantò le mani sui fianchi. «Io sono tua sorella, non una fanciulla!» protestò.

Gaio ruotò gli occhi al soffitto, esasperato. «Hai ragione, ma devo muovermi da solo. Non posso occuparmi anche di te.»

«Ma io...»

«Prometto che poi ti racconterò tutto» la interruppe Gaio, afferrandola per le spalle. «Ogni cosa.»

«Davvero?» chiese lei, poco convinta.

«Lo giuro su ciò che ho di più caro.»

«Su te stesso, allora» rise Drusilla.

Gaio scosse la testa. Poi, senza aggiungere altro, la strinse a sé, la baciò sulla fronte lasciandole una chiazza di pece sulla pelle candida, quindi la spinse via.

Drusilla scomparve nelle ombre che affollavano il palazzo.

Rimasto solo, per prima cosa si accertò che la sorella non si fosse nascosta da qualche parte per seguirlo, poi scivolò verso l'ala del Tempio di Diana che era stata allestita per ospitare Seiano, Claudia Livilla e la loro servitù.

Per un momento credette si essersi perso, perché non conosceva abbastanza bene quel palazzo e non aveva punti di riferimento. Il buio, poi, era oppressivo. A differenza delle grandi ville sul Palatino, nel tempio di Diana i sacerdoti non si aggiravano la notte ad alimentare i bracieri, e gli esangui barbagli di luce che emanavano non consentivano di vedere più in là di qualche passo.

Gaio stava già maledicendosi per la propria stupidità, quando vide spalancarsi una porta e qualcuno uscire da una stanza bene illuminata. Non si rese conto di chi si trattava, ma la luce che usciva dalla stanza gli permise di capire esattamente dove si trovava e di dirigersi con più sicurezza verso il corridoio che lo avrebbe portato nelle stanze di Seiano.

Doveva fare attenzione. Adesso era cresciuto e non poteva più infilarsi negli angoli più angusti come quando era un ragazzino: avrebbe potuto facilmente essere colto in fallo. Certo, aveva già tutte le scuse pronte per chiunque lo avesse scoperto, ma sapeva bene che con uomini come Seiano avrebbe potuto passare guai seri.

Era quasi arrivato alla fine del corridoio quando, alle sue spalle, la porta si riaprì di nuovo e un'ombra vi s'infilò dentro. Gaio restò un attimo immobile, perplesso. Quelle erano le stanze dei liberti di sua madre, dunque non capiva perché ci fosse tutto quel movimento notturno. Possibile che anche loro approfittassero delle ore più buie per allacciare relazioni clandestine? Scrollò le spalle. Tutto era possibile, ma a lui non interessavano i rapporti fra i servi della sua famiglia. Aveva ben altri obiettivi.

Si rimise in movimento e raggiunse il corridoio adiacente alle stanze di Seiano e della sua servitù. Non sapeva dove fosse stato alloggiato il prefetto del Pretorio, ma contava di infilarsi sotto il pavimento, in uno dei condotti che servivano agli addetti alla manutenzione per controllare le tubature del riscaldamento termale, che in quella zona proveniva direttamente dalle profondità del vulcano, e di muoversi strisciando fino a quando non avesse raggiunto gli alloggi in quell'ala. A quel punto, avrebbe scrutato in ogni stanza, fino a trovare quella che gli interessava.

Difficilmente Seiano avrebbe evitato di approfittare delle ore notturne per tessere i suoi complotti, dunque era sicuro di trovarlo sveglio, a rimuginare sul da farsi con qualche liberto fidato o, se aveva fortuna, magari con la stessa Livilla.

Ci mise un po' a trovare il primo condotto di accesso al livello sotterraneo del tempio, dove scorrevano le tubature per l'acqua calda e per l'acqua fredda, oltre ai canaletti di scolo che dai cubicoli di cui erano fornite le stanze per gli ospiti convogliavano gli escrementi fino al punto di raccolta della cloaca, dove venivano utilizzati per concimare i terreni di proprietà del tempio.

Gaio conosceva già da tempo la struttura di quel luogo e aveva le informazioni che gli servivano per muoversi con sicurezza, una volta trovati i punti di riferimento di cui aveva bisogno.

Il vano sotto il pavimento era molto più angusto di quanto avesse immaginato, tanto da costringerlo a muoversi inginocchiato, con la schiena curva. E poi c'era un puzzo terribile, perché i canali di scolo non erano chiusi, ma solo delimitati lateralmente da argini di pietra, e il liquido maleodorante che vi scorreva appestava l'aria, rendendola irrespirabile. Si chiese come fosse possibile che quell'odore non filtrasse dal pavimento, per aggredire anche le stanze degli ospiti e i locali del tempio, ma poi avvertì il refolo d'aria che scorreva lungo i corridoi sotterranei e comprese che il sistema di ventilazione era ben congegnato e trascinava la puzza verso l'esterno.

Gli ci volle parecchio tempo per raggiungere gli appartamenti di Seiano, dopo aver sbirciato in diversi stanzoni in cui schiavi, servi e liberti giacevano tutti insieme, ammassati in uno spazio esiguo per il corteo di persone che il prefetto del Pretorio aveva portato con sé. A un certo punto s'imbatté anche in un locale in cui erano ammucchiate parecchie armi, e vide alcuni soldati che giocavano a dadi e chiacchieravano, mentre altri dormivano su giacigli improvvisati. Dalle uniformi comprese che erano pretoriani, quindi la stanza di Seiano doveva essere vicina, perché il prefetto avrebbe voluto avere a portata di mano la sua scorta personale.

Con cautela, cercando di fare il minor rumore possibile, Gaio scivolò verso il locale successivo, raggiunse il vano che consentiva agli addetti alla manutenzione di accedere ai sotterranei e sbirciò fuori attraverso la griglia di legno che copriva il condotto.

La camera era illuminata da tre bracieri disposti nei punti cardinali, mentre sul lato libero a est, addossato alla parete, c'era un grande letto. Riconobbe subito Seiano. Semisdraiato su un fianco, come se si trovasse su un triclinio, osservava due corpi nudi avvinghiati fra loro, che si strusciavano su un letto a meno di un braccio da lui. Ogni tanto allungava una mano e accarezzava una gamba, un fianco, una schiena, sorridendo compiaciuto.

Gaio schiacciò il viso contro la griglia. Da uno dei fori riuscì a scorgere meglio la scena che si stava compiendo davanti a lui, anche se da quella posizione ribassata faticava a vedere tutto ciò che si svolgeva sul letto. Per fortuna si trattava di un giaciglio grande ma spartano, che non era sollevato dal pavimento grazie a una struttura di legno, come succedeva di solito nelle domus patrizie. Per cui, dopo qualche contorsione, riuscì finalmente a cogliere un po' di particolari.

Quando si rese conto che i corpi avvinghiati sul letto davanti a Seiano erano di due donne, trattenne il fiato. Ma quando le vide in viso si sentì riempire dallo sgomento. Perché se una era Claudia Livilla, e questo poteva aspettarselo, l'altra donna, che adesso stava baciando sua zia con ardore, strusciandosi contro di lei con evidente piacere, era l'ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere in quel letto: la docile, taciturna, sottomessa moglie di suo fratello Druso, Emilia Lepida.

Dopo aver guardato le due donne darsi piacere a lungo e con grande passione, Seiano aveva deciso di partecipare al gioco e si era sciolto dalla sua posa contemplativa. Si era tuffato in mezzo alle due, e Gaio era rimasto sorpreso nel vedere che il prefetto del Pretorio concentrava le sue attenzioni sulla più anziana delle due donne, Livilla, e quasi ignorava Emilia Lepida, che invece dedicava tutta se stessa al corpo di Claudia. Alla fine Seiano aveva emesso un ringhio animalesco, poi si era lasciato andare sulle coltri e aveva abbracciato Livilla, avvolta dal corpo morbido e minuto di Emilia Lepida.

L'impressione che ne ebbe Gaio era che Emilia fosse qualcosa di più di una semplice compagna di letto per i giochi a tre di Livilla e Seiano. L'ardore con cui si stringeva a sua zia rivelava che la moglie di Druso provava qualcosa nei confronti di Claudia Livilla. E per questo il loro legame doveva essere considerato ancora più pericoloso.

«Allora, prefetto, hai deciso che cosa fare?» chiese all'improvviso Claudia poggiando la testa sul petto di Seiano, mentre con una mano accarezzava i capelli di Emilia, accucciata contro di lei come un cagnolino accanto alla padrona.

«Ho portato i miei uomini migliori» rispose lui. «Non credo che Agrippina e Nerone Cesare opporranno resistenza. Tiberio è stato chiaro e mi ha dato pieni poteri.»

«Perché solo loro due?» chiese Claudia Livilla, accigliandosi. A quelle parole Emilia fremette leggermente, pur restando immobile accanto alla donna che, con tutta evidenza, amava.

«Direi che è abbastanza» rispose Seiano divertito. «La vera mente della famiglia è Agrippina, lo sappiamo tutti. E Nerone è un imbecille che lei manovra a suo piacimento, ma è anche il più vicino discendente di Augusto, il solo che possa davvero impensierire Tiberio.»

«Tutto sommato mia figlia Giulia è stata brava» sogghignò Claudia Livilla. «Ci ha detto tutto quello che ci serviva sapere.»

Si girò verso Emilia Lepida, si allungò verso di lei e la baciò teneramente sulla bocca. «E anche questa bella ragazza è stata una brava moglie.»

Risero tutti, poi Seiano si puntellò sui gomiti e si tirò su per guardarle. «Non siete mai sazie, voi due?»

«Lo saremo quando ti deciderai a togliere di mezzo anche Druso» rispose Claudia con tono acido.

Seiano sbuffò. «Ti ho detto che per il momento va bene così. Tiberio ha creduto alle accuse di Giulia, ma, non avendo altri testimoni del complotto ordito da Agrippina e Nerone se non tua figlia, ha deciso di imprigionare quei due in casa e di metterli sotto sorveglianza. Non potranno avere contatti esterni, e direi che questo è sufficiente per toglierceli dai piedi.»

«No» lo contraddisse Claudia. «L'unico modo per togliersi dai piedi Agrippina è ucciderla. E con lei anche Nerone e Druso.»

Gaio guardò Emilia Lepida, ma vide che non reagiva a quelle parole. Se ne stava quieta accanto a Claudia, il corpo nudo stretto al suo, disinteressata al fatto che parlassero di uccidere suo marito.

Seiano grugnì qualcosa di incomprensibile, poi si districò da Claudia Livilla e si alzò in piedi.

«A volte ragioni come una ragazzina» disse mentre si rivestiva, passando a meno di un passo dalla griglia nel pavimento sotto il quale Gaio era in ascolto. «Dimentichi forse l'augusta Livia? Credi che non abbia a cuore la sua discendenza?»

«La vedova di Augusto è ormai una vecchia di ottantaquattro anni» ribatté Claudia. «Quanto vivrà, ancora? Non potrà proteggerli per sempre.»

«Ma può farlo adesso!» ringhiò Seiano, facendo sussultare Emilia Lepida, che si strinse ancora di più a Livilla. «Quella donna ha grande seguito presso il popolo, la considerano una vera divinità. Si è già messa di traverso più di una volta. Persino Tiberio la teme. Se provassimo a uccidere i suoi nipoti, Livia si ergerebbe come una furia contro di noi.»

Dopo quelle parole vi fu un attimo di silenzio, poi Claudia Livilla sospirò, afferrò la testa di Emilia e portò la bocca della giovane moglie di Druso a contatto con uno dei suoi capezzoli.

«Se è così, allora facciamo come dici» sospirò Claudia, mentre Emilia Lepida cominciava a leccarle e succhiarle il seno con passione. «Adesso però lasciaci soli. Noi donne abbiamo bisogno di lanciare ben più di un solo dardo alla volta, come fate voi uomini.»

Scuotendo la testa divertito, Seiano raccolse i suoi sandali e si diresse verso l'uscita della stanza.

Gaio decise che era arrivato il momento di muoversi. Aveva sentito delle cose terribili e doveva decidere. Innanzitutto avrebbe dovuto avvertire sua madre, poi forse lo stesso Nerone, anche se già immaginava la smorfia piena di sarcasmo e disprezzo di suo fratello, mentre gli spiegava che lui doveva essersi sognato tutto. Non avrebbe colto la gravità delle sue parole, e non avrebbe capito le vere intenzioni di Seiano, a cui Gaio dubitava interessassero davvero le paure di Tiberio. Il prefetto del Pretorio agiva in maniera più astuta. Per il momento si accontentava di isolare Agrippina e Nerone e metterli fuori dai giochi per assicurare il vero potere a Livilla e a Tiberio Gemello. E a lui stesso, naturalmente, visto che grazie a loro avrebbe potuto governare sul serio Roma, magari mettendo fine prematuramente alla vita dell'imperatore, per cui nessuno, nell'Urbe, avrebbe versato una sola lacrima.

Ma, se avesse riferito ogni cosa, Giulia, moglie di Nerone e figlia di Claudia, nonché infida serpe nel seno della loro famiglia, lo avrebbe denunciato alla madre e a Seiano, che a quel punto avrebbe preso di mira anche lui, togliendogli ogni libertà di movimento.

Seiano era un uomo furbo e intelligente. Era chiaro perché aveva deciso di non imprigionare Druso, il secondo in linea di successione al trono imperiale: suo fratello poteva essere tenuto sotto controllo da Emilia Lepida. Restando fuori, libero di agire e di muoversi, avrebbe portato ben presto il prefetto del Pretorio a capire quali fossero le alleanze e i rapporti di intesa che Agrippina e tutta la loro famiglia avevano intessuto con l'aristocrazia romana. A quel punto Seiano si sarebbe mosso, per conto proprio o, come diceva, in nome dell'imperatore, e avrebbe eliminato a uno a uno tutti gli alleati di Agrippina, facendo terra bruciata intorno a loro.

Fino a quando non fosse venuto il momento di far sparire anche Druso e spianarsi una volta per sempre il cammino verso il trono.

Gaio si rimise in movimento con un singulto, mentre si chiedeva quale sorte sarebbe toccata a lui, in quel contesto. Una volta tolti di mezzo Nerone Cesare e Druso, sarebbe rimasto lui come unico erede maschio di Germanico e, dunque, di Augusto. Cosa avrebbe deciso di fare con lui, Seiano? Lo avrebbe ucciso senza scrupoli o avrebbe cercato di tenerselo accanto per blandire il popolo e non passare per colui che aveva messo fine alla dinastia Giulio-Claudia?

Per il momento avrebbe fatto bene a starsene zitto, senza riferire a nessuno quello che aveva udito e preparandosi alle conseguenze dell'arresto di sua madre e di Nerone.

A quel punto lui e le sorelle si sarebbero certamente trasferiti da Livia, la sola che poteva proteggerli. Una volta al sicuro tra le braccia di sua nonna, Gaio avrebbe potuto trovare il modo di cogliere ogni opportunità per sopravvivere, opporsi a Seiano e far valere la sua discendenza da Augusto.

Quando scivolò silenzioso nella sua stanza, quasi inciampò in qualcosa che stava a terra. Fece per imprecare, quando la massa scura sul pavimento si mosse. Era un corpo. Lo aggirò, andò a una delle finestre e scostò la tenda, lasciando filtrare la luce della luna, che quella notte splendeva. Si riavvicinò al fagotto raggomitolato per terra, si inginocchiò e scostò i capelli dal viso di Drusilla, che dormiva tenendo le mani sotto la guancia come cuscino.

Gaio scosse la testa. Avrebbe dovuto svegliarla e sgridarla, non doveva permettersi di fare una cosa del genere, che lo avrebbe esposto all'attenzione della madre, ma quando lei borbottò qualcosa nel sonno e poi sorrise, lasciando che il viso illuminato dai raggi della luna brillasse di vita propria, comprese che non l'avrebbe fatto. Allungò le dita e sfiorò il viso della sorella, ancora così minuto eppure già perfetto, di una bellezza che ricordava moltissimo quella della madre, ma con una delicatezza e una sincerità che Agrippina non possedeva.

Dopo averla osservata si alzò, andò a prendere una coperta e la stese su Drusilla, lasciando che continuasse a dormire. Poi si affacciò alla finestra e contemplò lo Specchio di Diana, da cui la luna traeva riflessi scintillanti. Quel luogo era magnifico. Osservando il lago lui riusciva a rilassarsi come poche volte gli accadeva nella sua vita fatta di sospetti e compromessi.

Drusilla mormorò qualcosa, emise una risatina e Gaio si sentì attraversare da una ventata di buonumore. La sorella era la sola di cui gli importasse veramente qualcosa, oltre a se stesso.

E non avrebbe mai dimenticato la scena che stava vivendo in quel momento: la luna faceva risplendere il lago, ma anche il volto di Drusilla girato verso di lui. E Gaio pensò che non potesse esserci spettacolo più bello al mondo.