CAPITOLO SESTO

 

 

Capri

30 d.C. - 783 ab Urbe Condita

Caligola ha diciotto anni

 

16

Quando, dopo un viaggio massacrante, Gaio vide finalmente comparire la Villa Jovis, si chiese come fosse possibile che l'uomo più potente del mondo avesse deciso di isolarsi in un posto così inospitale.

Costruito sui contrafforti della punta più orientale dell'isola di Capri, quel palazzo assomigliava a una fortezza a picco sul mare, inaccessibile da qualsiasi direzione se non quella da cui stava procedendo il convoglio di cui lui faceva parte, insieme a una decuria di pretoriani e a una lunga fila di muli carichi di rifornimenti per la reggia imperiale.

Tutto intorno, fino a dove poteva giungere lo sguardo, solo boschi e il luccichio del mare, che stringeva d'assedio l'isola lasciandosi increspare da un vento teso e incessante.

«Credi che incontreremo subito l'imperatore?» chiese ad Aulo Avillio Flacco, un notabile confidente di Tiberio che era stato incaricato di scortarlo fin lì da Roma. L'uomo, dall'aria perennemente imbronciata e con un dito di sudore sulla fronte, dove gli cascavano i pochi capelli che ancora gli erano rimasti, sventolò una mano in aria, poi si degnò di rispondere.

«Tiberio sarà a fare i bagni, come sempre in questo periodo. Credo ci resterà per qualche giorno.»

Gaio si guardò attorno confuso. Dalla posizione in cui si trovavano non si scorgeva alcuna pista che conducesse fino al mare. C'erano solo contrafforti e muraglioni a picco, su alcuni dei quali si ergevano, con una concezione ardita dell'architettura imperiale, diverse ali dell'edificio che Tiberio aveva chiamato Villa Jovis.

«Non possiamo raggiungerlo anche noi? Vorrei porgergli i miei omaggi e ringraziarlo per avermi invitato qui.»

Aulo Avillio si girò sul dorso del mulo che cavalcava e lo fissò con una strana smorfia sulle labbra. Gaio aveva avuto subito la percezione che quell'uomo fosse irritato per l'incarico che gli era stato affidato. Aulo infatti non si era certo fatto scrupolo, durante tutto il viaggio, di far pesare a Gaio e agli altri aristocratici convocati da Tiberio, di nascondere la sua insofferenza. Ma adesso lo guardava come se avesse di fronte un inetto, e questo gli suscitò una rabbia sorda, che riuscì a reprimere a fatica. Quell'uomo era uno dei consulenti più intimi dell'imperatore, e non poteva certo farselo nemico adesso che era sbarcato su quell'isola, dove il potere di Tiberio era assoluto, e dove lui non sapeva ancora quale sorte gli sarebbe toccata.

«Il palazzo di mare è dall'altra parte dell'isola» gli spiegò Flacco. «Uno dei dodici edifici che l'imperatore ha fatto costruire a Capri.»

Gaio avrebbe voluto ricevere ulteriori informazioni su quella sorprendente novità, di cui non aveva mai sentito parlare, ma si limitò ad annuire.

«Benissimo» disse, «allora lo aspetteremo, per rendergli grazia quando tornerà fra noi.»

Aulo Avillio si passò la lingua sulle labbra, poi prese un lungo respiro e, senza aggiungere altro, tornò a voltarsi verso il sentiero che si inerpicava fino a Villa Jovis.

Gaio si guardò attorno. Fra i tanti che facevano parte del corteo diretto al palazzo imperiale, vide facce stanche e preoccupate. Forse temevano il momento in cui avrebbero dovuto confrontarsi con Tiberio.

In quanto a lui, poteva solo immaginare il motivo per cui era lì: ricevere la toga virilis da parte dell'imperatore e forse stabilire quale ruolo potesse mai avere il terzo figlio maschio di Agrippina e Germanico nel complesso scenario della successione al trono.

Gaio sapeva che anche Tiberio Gemello si trovava a Capri, e adesso che suo fratello Nerone e sua madre Agrippina erano confinati nelle loro domus, e l'altro suo fratello, Druso, era tenuto sotto stretta sorveglianza dalla moglie Emilia Lepida per conto di Seiano, restava solo lui a tenere alte le speranze della dinastia Giulio-Claudia.

Da tempo si mormorava di un testamento che Tiberio stesse redigendo per designare con decreto imperiale il suo successore, e tutti erano concordi sul fatto che ormai restavano solo lui e Tiberio Gemello come pretendenti al titolo. Sempre che Seiano si lasciasse mettere in disparte, il che sembrava a Gaio molto improbabile.

Le terme della villa imperiale erano straordinarie, più grandi di quanto Gaio avesse immaginato e rifornite di acqua calda che scorreva lungo piccoli torrenti artificiali che riproducevano cascatelle e polle sorgive di alta montagna. Un vero capolavoro di ingegneria idraulica, che doveva essere costato una fortuna alle casse imperiali.

Mentre si accomodava su una delle panchette di marmo immerse nella più grande delle vasche del calidario, Gaio cercò di distinguere qualche faccia nota fra i tanti che passeggiavano, si immergevano nell'acqua calda e dialogavano piacevolmente in gruppetti. L'atmosfera sembrava rilassata, e nessuno pareva avere fatto caso alla sua comparsa.

Aulo Avillio Flacco lo aveva accompagnato fin lì, poi si era dileguato senza neppure una scusa per congedarsi da lui. Sapendo che Tiberio non era nel palazzo, Gaio riuscì a rilassarsi un poco, ma per sua natura aveva difficoltà ad abbandonarsi ai piaceri della vita se prima non aveva la certezza che nessuno tramasse contro di lui.

«Per qualche giorno staremo in pace, tutti quanti. Come vedi, nessuno sembra patire l'assenza dell'imperatore.»

Gaio riconobbe sorpreso la voce alle sue spalle, che gli diede quasi l'impressione di avergli letto nel pensiero. Si girò e fronteggiò Macrone con un sorriso.

«Non sapevo che fossi qui anche tu» gli disse, facendogli cenno di accomodarsi nella vasca accanto a lui.

Il prefetto dei Vigili scese i gradini di marmo adornati con figure opalescenti a forma di animali marini e prese posto sulla panchetta. Adesso che poteva vederlo nudo, Gaio si rese conto di quanto fosse muscoloso e ben proporzionato il corpo di quell'uomo, a cui non riusciva a dare un'età precisa. Gli ricordò certe statue greche, che univano all'eleganza del movimento le linee morbide dei muscoli scolpiti, in una coesione di forza e armonia che gli scultori romani non erano mai riusciti a eguagliare. Del resto, Roma ambiva più alla rozza possanza del guerriero, che alla fluida dinamicità dell'atleta, e Macrone pareva un uomo d'altri tempi, un soldato di Sparta arrivato nell'impero dopo aver trascorso parte della vita a combattere in qualche terra sconosciuta d'Oriente.

Per un momento Gaio si vergognò di se stesso, della sproporzione del suo corpo che vedeva riflesso negli specchi, e si immerse un po' di più nell'acqua, che per fortuna era meno limpida di quanto fosse di solito nelle terme dell'Urbe.

Quel pensiero gli fece venire in mente una domanda.

«Da dove arriva tutta quest'acqua?» chiese a Macrone con un gesto circolare del braccio a indicare le vasche e i fiumiciattoli artificiali del calidario. «Siamo sulla cima di uno sperone roccioso, all'estremità di un'isola in mezzo al mare. Tutta quest'acqua dolce non può essere semplicemente piovuta dal cielo.»

Macrone annuì, mentre si sdraiava sulla panchetta allungando le gambe all'infuori e chiudendo gli occhi, in perfetto rilassamento.

«Tiberio non si fa mancare nulla, questo ormai dovresti averlo capito.»

«Non ho visto acquedotti. E poi, il promontorio è in salita, dunque... com'è possibile? Come ha fatto?»

Macrone rise. «Non certo lui, ma i suoi ingegneri. Gente in gamba, non c'è che dire. E ben pagata.»

Gaio restò in silenzio, in attesa che Macrone continuasse. Questi immerse le mani nell'acqua, se le portò alla faccia e si lavò con calma, con gesti ampi e misurati. Poi alla fine tornò a sdraiarsi, sempre a occhi chiusi.

«Hanno costruito tre enormi cisterne nelle fondamenta del palazzo, scavando la roccia per chissà quante braccia» rispose. «Raccolgono l'acqua piovana, ma certo non basta. Così hanno messo in piedi un sistema davvero singolare di approvvigionamento dell'acqua dolce.»

Tacque ancora, e Gaio sentì la curiosità crescere dentro di sé.

«Tubature?» chiese. «Sorgenti sotterranee? Cosa?»

Macrone aprì gli occhi e lo fissò, come se volesse capire quanto davvero lui potesse essere interessato a una cosa del genere. Quando sembrò comprendere che non stava semplicemente chiacchierando del più e del meno, si raddrizzò e sospirò.

«Ci sono tre squadre di duecento schiavi che governano ciascuno due muli, per un totale di milleduecento bestie da soma che fanno avanti e indietro dai rilievi più bassi dell'isola, dove scorrono alcuni torrenti e ci sono sorgenti naturali. È una processione incessante, che si svolge dall'altra parte della domus, su una mulattiera scavata per l'occasione nel fianco della montagna.»

Gaio era impressionato. Provò a immaginare lo spettacolo di tutti quegli uomini e quelle bestie impegnati in una simile impresa, ma si rabbuiò subito.

«Ne morirà un sacco» constatò. «Di bestie ma anche di schiavi.»

Macrone fece una smorfia. «Il ricambio è abbastanza stabile, ormai. Venti uomini e dieci animali ogni quindici giorni. C'è una galea che fa avanti e indietro con la costa solo a questo scopo.

«Ma è una follia» mormorò Gaio. «I costi per una cosa del genere devono essere altissimi, e...»

«Credevo intendessi che è una follia per le vite umane che si perdono in maniera così insulsa» lo interruppe Macrone guardandolo di sottecchi.

Gaio fece per replicare, ma poi si strinse nelle spalle. No, non aveva pensato neppure per un istante al dispendio di vite umane e di animali, ma solo a quanto dovesse erodere le casse imperiali uno sforzo del genere. Per di più, al solo scopo di approvvigionare un complesso termale a beneficio dell'imperatore.

«In ogni caso, è Seiano che si occupa di trovare gli schiavi per Tiberio, e ultimamente il prefetto del Pretorio sembra avere gioco facile.»

Gaio si sentì attraversare da un brivido, anche se era immerso in acqua bollente. Anche l'aria che usciva dagli ipocausti era estremamente calda, a dimostrazione che i focolai mantenuti accesi sotto la pavimentazione sospesa del calidario erano alimentati a pieno ritmo, con un altro enorme dispendio di energie umane ed economiche.

«Quell'uomo sta terrorizzando tutta Roma, non solo la mia famiglia» sibilò, faticando a trattenere un singulto di rabbia.

«Allora è un bene che tu sia qui» affermò Macrone.

Gaio lo fissò sorpreso. «Perché dici questo?»

«Perché Seiano viene di rado in quest'isola, preferendo comandare su Roma in nome dell'imperatore. E più ti starà lontano, meglio sarà.»

Gaio si irrigidì. «Sai qualcosa che dovrei sapere anch'io?»

Macrone scosse la testa. «Lo sappiamo che cosa vuole Seiano. E tu e la tua famiglia gli siete di ostacolo.»

«Il popolo non gli permetterà di infierire sulla dinastia Giulio-Claudia.»

Macrone si strinse nelle spalle e si alzò in piedi, stirando il corpo muscoloso.

«Forse hai ragione» convenne risalendo gli scalini per uscire dalla vasca. «Ma fossi in te starei attento e terrei le orecchie ben tese a captare ogni minimo accenno alla tua famiglia in questo palazzo. Perché Seiano non può ancora fare a meno di Tiberio, e quindi ogni sua mira di potere dovrà prima passare per questa villa.»

«È vero quello che ho sentito mentre ero in viaggio per venire qui?» lo fermò Gaio afferrandolo per un braccio. «Che Seiano ha convinto Tiberio a concentrare tutte le nove coorti pretorie nell'Urbe, nel Castro Pretorio?»

«L'ho sentito anch'io» annuì Macrone. «Ma non ne ho conferma. Chiederò in giro e te ne riferirò.»

«Sarebbe grave, se fosse vero» mormorò Gaio. «A quel punto Seiano avrebbe forze a sufficienza per spodestare l'imperatore e prendere il potere.»

Macrone restò a guardarlo per qualche istante, poi ammiccò e allargò un leggero sorriso.

«Sempreché qualcuno non gli metta i bastoni fra le ruote» disse, e senza aspettare risposta si girò e si allontanò.

Gaio si soffermò a guardarlo, poi tornò a immergersi nell'acqua calda. Aveva bisogno di pensare. E di riscaldarsi dal gelo che all'improvviso gli aveva intorpidito le membra.

 

17

Finalmente aveva ottenuto la toga virilis, l'indumento che sanciva il suo ingresso nell'età adulta. Gaio non sapeva se essere grato a Tiberio per quella concessione, che era arrivata insolitamente tardi per un membro della sua dinastia, o se invece rammaricarsi del fatto che adesso, con quella investitura ufficiale, non poteva più aggirarsi non visto per corridoi e androni, vestito solo della toga pretesta che tutti i ragazzini indossavano fino ai quindici o sedici anni.

Aveva beneficiato a lungo della libertà che gli era derivata dal non essere ancora stato preso in considerazione come membro adulto della famiglia più potente di Roma, ma adesso che Tiberio si era deciso a portarlo davanti al pontefice massimo per dichiarare a tutti che non solo lo considerava un adulto, ma gli dava il viatico per potersi candidare come successore al trono imperiale - dopo che sua madre e i suoi fratelli erano stati di fatto estromessi dalla vita politica dell'Urbe -, sapeva che avrebbe avuto molti occhi puntati addosso.

O almeno, questo era quello che gli ripeteva Macrone, ogni volta che veniva a trovarlo a Capri, quasi cercasse di convincerlo a vedere il lato positivo di tutta la faccenda.

«Tiberio non è uno stupido» gli soleva ripetere il suo nuovo, potente amico, che giorno dopo giorno andava consolidando il suo rapporto di stima e di amicizia con l'imperatore, a discapito di Seiano, che tendeva a restarsene sempre più rintanato a Roma per nascondere alle spie di Tiberio le sue reali intenzioni. «Se ti ha voluto qui, vicino a lui, e adesso ti ha conferito il diritto a entrare nella società civile e politica dell'Urbe, è perché sa di avere bisogno di te.»

«Ma come?» domandava esasperato Gaio, che faticava ancora a trovare la rotta nell'oceano in tempesta delle strategie di potere di Tiberio e degli uomini che a vario titolo lo circondavano.

Macrone di solito sorrideva, ma quel giorno, quando si erano incontrati dopo la sua investitura e avevano affrontato il solito discorso, il prefetto dei Vigili aveva annuito e gli aveva fatto cenno di seguirlo.

Tenendosi goffamente la toga, che Tiberio pretendeva fosse indossata da tutti nella dimora imperiale, Gaio si era messo all'inseguimento del prefetto dei Vigili. Solo adesso, dopo una lunga camminata nei tortuosi labirinti di Villa Jovis, si rese conto che Macrone lo stava accompagnando nell'ala riservata agli ospiti di riguardo in visita all'imperatore, che lo stesso Macrone utilizzava ormai in forma quasi esclusiva.

«Prego, entra» gli disse il prefetto facendogli segno di passare oltre il telo che copriva l'ingresso a una delle sue stanze private, in cui Gaio non era mai riuscito a mettere piede. «Qui potremo parlare con calma, senza essere disturbati.»

Gaio entrò nella camera, bloccandosi subito quando si accorse che l'enorme letto fornito di lenzuola di lino e cuscini era occupato da una figura sinuosa, sdraiata languidamente senza alcuna veste addosso.

«Ricordi mia moglie Ennia, vero?» gli chiese Macrone affiancandolo, per nulla turbato dal fatto che lui stesse osservando sorpreso, imbarazzato ma anche estasiato il corpo nudo della ragazza, che si offriva ai suoi occhi senza alcun pudore. Il prefetto sembrava divertito da quello spettacolo, e quando andò a sedersi su uno sgabello posto a un paio di passi dal letto, rivolse a Ennia un'occhiata d'intesa, che lei raccolse con un sorriso.

«Spero non ti dispiaccia quest'idea che ci è venuta. Ormai sei un uomo, come dimostra la toga che indossi.»

Gaio staccò a fatica gli occhi dalle curve morbide e sensuali di Ennia, che lo fissava con un'intensità tale da infiammargli tutto il viso, e guardò Macrone.

«Quale idea?» chiese, con voce così esile e impacciata da sembrare ben altro rispetto all'uomo adulto in cui avrebbe voluto atteggiarsi.

«Perché non vieni qui?» mormorò Ennia, anticipando la risposta del marito e allungando una mano verso di lui.

Gaio le fissò le dita piccole e affusolate, tornò a guardarla negli occhi e deglutì. Ennia era la creatura più bella che avesse mai visto. Presto qualcosa si mosse imperioso sotto la sua tunica.

«Piuttosto, perché non ci togliamo questa roba?» rise Macrone, alzandosi e svestendosi con poche mosse. Restò nudo davanti a lui, mostrando il corpo scultoreo, poi tornò a sedersi, indicando la moglie. «Vai da lei. Io approvo. E se non ti dispiace vorrei assistere, così potremo parlare mentre voi due...» non terminò la frase, ma completò con un sorriso malizioso quello che Gaio per un attimo pensò di avere frainteso.

«Io...» provò a dire impacciato, ma poi avvertì un fruscio e vide Ennia che si sollevava sul letto, restando inginocchiata davanti a lui, le mani a raccogliersi i capelli sulla nuca e il seno proteso all'infuori.

«Non ti piaccio, mio princeps?» gli domandò. Gaio si sentì mancare il respiro, perché la sua bellezza era così prorompente che lui avrebbe anche potuto uccidere per possederla; eppure non trovava il coraggio per fare un passo avanti e raggiungerla. E non era solo per l'assurdità della situazione, con il marito di quella donna che sedeva nudo lì accanto e li fissava divertito, ma per il fatto che capiva che, per la prima volta in vita sua, erano più il sorriso e la voce gentile di una donna ad attirarlo, piuttosto che il suo corpo.

«So che hai avuto delle tutrici molto brave nell'arte erotica» lo pungolò Macrone. «Ci piacerebbe vedere che cosa hai imparato.»

Gaio fissò il prefetto, accigliato, senza sapere cosa dire.

Macrone aggiunse, sollevando una mano: «Io non parteciperò. Guarderò soltanto, se la cosa non ti imbarazza troppo. E se ne sarai in grado, parleremo. Ennia conosce tutti i miei segreti, e sarà felice di dividerli con te.»

Frastornato da quelle parole, Gaio fece mezzo passo avanti. Ennia si protese verso di lui, lo afferrò per un braccio e lo trascinò sul letto.

«Resta fermo così, mio princeps» gli disse, chiamandolo ancora in quel modo che per qualche strano motivo faceva venire i brividi a Gaio. «Anch'io conosco bene le arti dell'amore.»

«Posso confermarlo» rise Macrone mentre Ennia cominciava a passargli le dita sul petto, poi sugli addominali e infine si concentrava sul suo pene in erezione, che gli doleva come mai era accaduto prima.

«Vedo che tutto sommato la situazione non ti imbarazza troppo» continuò Macrone. «Bene, abbandonati al tocco di Ennia. Quando avrete finito, parleremo.»

Era stato incredibile. Gaio fu costretto ad ammetterlo. Ben più di quanto avesse mai sperimentato con uomini e donne di ogni età, e anche più di quanto fossero mai state capaci di insegnargli le sue tutrici, che nel corso degli ultimi anni si erano date particolarmente da fare, secondo i suoi desideri, a mostrargli tutte le tecniche più fantasiose per dare e ricevere piacere.

Nelle sue esplorazioni nelle domus del potere di Roma, aveva capito ben presto una cosa: niente più del sesso riusciva a plasmare le persone. Le donne lo sfruttavano come potente strumento di persuasione, e gli uomini vi soccombevano spesso, travalicando responsabilità, doveri e persino l'onore, pur di godere degli attimi di passione che riuscivano a cogliere tra le gambe di una donna o, per qualcuno, di altri uomini. In ogni caso, insieme al denaro e alla lusinga del potere, il piacere sessuale era lo strumento più semplice per ottenere ciò che si voleva, e Gaio aveva capito che saperne sfruttare i segreti e le tecniche più raffinate avrebbe potuto dargli il modo di mettersi in vantaggio su molti.

Ma adesso, dopo quello che aveva provato con Ennia, dopo il gusto del suo corpo caldo e soffice, dopo gli abissi umidi in cui lei lo aveva trascinato, nulla di ciò che Gaio credeva di sapere sul sesso aveva più un senso.

A eccitarlo non era stato solo il modo in cui Ennia si era mossa su di lui, conducendolo con dolcezza ma con decisione verso gli anfratti più nascosti del piacere, ma anche la presenza discreta eppure soverchiante di Macrone, che li aveva fissati respirando pesantemente, mentre a sua volta si dava piacere. Non di rado a Gaio era capitato di volgere gli occhi su di lui, sul corpo muscoloso del prefetto che si tendeva mentre le ondate di piacere lo scuotevano. Quella vista aveva contribuito a eccitarlo ancora di più, desiderando quasi di implorare Macrone perché si unisse a loro, per poter godere non solo delle morbidezze di Ennia, ma anche della ruvida forza dei suoi muscoli, che Gaio aveva imparato ad apprezzare fin da quando era stato coinvolto nei giochi di piacere dei legionari ai confini.

Ma non aveva osato, non con il prefetto dei Vigili, che capiva avrebbe potuto essere fondamentale per la sua strategia di sopravvivenza, soprattutto adesso che Tiberio, assegnandogli la toga virilis, lo aveva messo di fronte all'attenzione pubblica.

Non aveva potuto dunque assaggiare la consistenza del corpo di Macrone, ma contava di potersi rifare in futuro. Nel frattempo, fare all'amore con Ennia sotto gli occhi del marito era stato un esercizio di straordinario coinvolgimento emotivo, che aveva fatto montare dentro di lui un orgasmo dalla potenza inaudita, che quasi lo aveva lasciato stordito.

Adesso, mentre Ennia gli accarezzava piano il petto e Macrone cercava di tornare a respirare regolarmente, Gaio capì che non avrebbe rinunciato facilmente all'idea di ripetere quell'esperienza.

«Che dici, adesso ti va di parlare un po'? Così riprendiamo le forze, prima di ricominciare.»

A parlare era stato Macrone, e Gaio era quasi sobbalzato sul letto, all'udirne la voce.

Si voltò a guardarlo. Il prefetto non faceva nulla per nascondere la propria nudità, come se si trovasse perfettamente a suo agio in quella situazione, che evidentemente non sperimentava per la prima volta.

«Oppure vuoi continuare?» gli chiese Ennia con un sorriso malizioso, graffiandogli appena un capezzolo con l'unghia.

Disorientato da quell'attacco su più fronti, Gaio si abbandonò stremato sul cuscino e scosse la testa.

«Chiedo pietà» disse. «Dopodiché fate di me ciò che volete.»

Ennia e Macrone scoppiarono a ridere, poi il prefetto si alzò, andò a versare un po' di vino da una brocca su un tavolo lì vicino e porse un boccale a Gaio.

«Perché prima non ci dissetiamo?» disse. «Basta che lo facciamo noi due. Ennia ha già... bevuto abbastanza.»

La ragazza emise una risata argentina, e Gaio si innamorò del modo spensierato e privo di vergogna con cui non solo si mostrava nuda e faceva sesso, ma giocava con il marito su quelle questioni, nonostante la presenza di un altro uomo. Non aveva mai conosciuto due persone così, e anche se sapeva che a Roma in molti si ammucchiavano fra le lenzuola in orge di tutti i tipi, quello che lui aveva vissuto era qualcosa di diverso, che stranamente aveva coinvolto tutti loro e li aveva soddisfatti.

Inebriato da mille sensazioni, Gaio bevve un sorso del vino nero e pastoso che Macrone gli aveva servito. Si sentiva bene, come non gli accadeva da tempo.

«Di che cosa dobbiamo parlare?» chiese, sollevandosi a sedere e appoggiando la schiena contro la testiera del letto, su cui erano state intarsiate delle figure femminili che non riuscì a riconoscere.

«Forse sarebbe bene partire dalla tua famiglia» rispose Macrone assumendo all'improvviso un'aria seria.

«Che vuoi dire?»

«Seiano non è rimasto con le mani in mano. Ha agito di forza, costringendo Tiberio a scegliere se appoggiarlo o contrastarlo apertamente.»

Gaio, allarmato, si mise a sedere sul bordo del letto. «Che cosa ha fatto?»

Macrone sospirò, prima di rispondere: «Ha fatto esiliare tua madre nell'isola Pandataria e ha confinato Nerone nell'isola di Ponza, dopo averlo fatto dichiarare hostis, nemico del popolo romano. E tutto in forma ufficiale, approfittando del terrore che serpeggia nella Curia, dove i senatori non sanno più se le delazioni e le accuse che arrivano contro i membri della tua famiglia siano davvero ricostruite da Tiberio sulla scorta di prove certe o se, come è più probabile, si tratti delle manovre di Seiano per screditarvi e spianarsi la strada verso il potere.»

Gaio restò a guardarlo a bocca aperta. Poi dopo un tempo che gli parve infinito la richiuse, aggrottò le sopracciglia e scosse la testa.

«Adesso ci proverà con Druso, e poi con me» disse, con un filo di voce.

«A Druso hanno già pensato» replicò Macrone, fissandolo duramente. «È stato messo sotto scorta in un carcere sul Palatino, uno di quei luoghi di detenzione che Seiano sta facendo costruire ovunque. Non è ancora ufficialmente agli arresti, ma in realtà è come se lo fosse, mentre si stanno approntando le accuse per dichiarare hostis anche lui e istruire un processo sommario.» Tacque per un istante, poi riprese: «Per quanto riguarda te... be', sei qui. Il che ti mette al riparo dal prefetto del Pretorio, almeno per il momento».

«Ne sei sicuro?» chiese Gaio, mentre sentimenti contrastanti si agitavano dentro di lui. Da una parte la rabbia nei confronti di Seiano e delle sue macchinazioni, dall'altra lo sconcerto per quello che stava succedendo ai suoi familiari, a cui non poteva opporsi in alcun modo; e da un'altra ancora un sottile senso di eccitazione, perché non c'era dubbio che, tolti di mezzo Agrippina, Nerone e Druso, restava lui solo a contendere a Tiberio Gemello la strada verso la successione imperiale. Seiano permettendo...

«Lo so a cosa stai pensando» lo sorprese Macrone. «Ma non credo sia arrivato il momento di pensare a come diventare imperatore. Prima devi riuscire a sopravvivere.»

«Come?» chiese Gaio stringendo i denti. Quell'uomo era davvero capace di leggergli nel pensiero?

«Io un'idea ce l'avrei» rispose Macrone fissandolo.

«Allora parla» lo stimolò Gaio. «Ti ascolterò con attenzione.»

«Io credo che tu sia qui per un motivo ben preciso, che non è certo l'assegnazione della toga virilis» disse Macrone andandosi a sedere sul letto accanto a Gaio. Allungò una mano verso il ventre di Ennia, che ascoltava restando sdraiata accanto a loro, e cominciò ad accarezzarlo mentre continuava a parlare, come se fosse un gesto consuetudinario, che serviva a dargli concentrazione. «Ho parlato diverse volte con Tiberio, e ho capito che non ha più troppa fiducia in Seiano. L'ha sfruttato fino a quando gli ha fatto comodo, ma adesso si è reso conto di quanto sia forte e pericoloso.»

«Allora perché non lo ferma?» chiese Gaio con impeto.

«Perché ha bisogno di muoversi con cautela per trarre il massimo beneficio da ciò che sta succedendo.»

Gaio scosse la testa. «Non capisco...»

Macrone annuì, poi riprese a spiegarsi mentre la sua mano scendeva piano, continuando ad accarezzare Ennia fino a infilarsi fra le sue gambe, che lei aprì per permettergli di muovere agevolmente le dita nella foresta di peli che doveva conservare ancora le tracce del piacere versato da Gaio.

«La tua famiglia è molto popolare, a Roma, grazie alle gesta di tuo padre. Quello che sta facendo Seiano, accanendosi contro di voi, gli procurerà solo l'ira della gente. Questo Tiberio l'ha capito, ecco perché non solo non si è opposto alle macchinazioni del prefetto del Pretorio, ma in qualche modo le ha anche supportate. Per il popolo il vero nemico, l'uomo da odiare, sta diventando Seiano, e Tiberio si nasconde nell'ombra delle sue macchinazioni.»

Gaio lo aveva ascoltato sorpreso, senza lasciarsi distrarre dai gemiti che Ennia cominciava a emettere a fil di labbra, mentre le dita del marito affondavano dentro di lei e la stimolavano in un modo che sembrava gradire.

«Così credi che io sia qui per dimostrare che Tiberio non è ostile alla nostra famiglia?» chiese. Un lampo di comprensione gli era divampato nella mente.

Macrone sorrise compiaciuto. «Lo sapevo che eri un ragazzo sveglio. Credo che sia proprio così. Per l'imperatore sei una specie di ostaggio alla sua incolumità e alla sua popolarità, perché potrebbe sfruttare la tua presenza per fare capire a tutti che c'è un profondo distacco fra lui e Seiano, e che l'uomo da odiare è il prefetto del Pretorio, non certo l'imperatore.»

«E Tiberio Gemello?» chiese Gaio, cercando di contenere l'eccitazione che, nonostante tutto, gli provocavano i gemiti di Ennia, che aveva artigliato le lenzuola e inarcato la schiena, mentre le dita di Macrone si muovevano sempre più veloci dentro e fuori di lei.

«Il ragazzo ha solo undici anni, e praticamente non esce mai dalle sue stanze» spiegò il prefetto dei Vigili. «E credo che Tiberio non ne abbia una grande considerazione, visto che lo ritiene il frutto dell'amore segreto fra Seiano e Claudia Livilla.»

«Non poi così segreto» fece Gaio.

Macrone sorrise, poi si girò verso Ennia e si concentrò su di lei, fino a quando la ragazza non cominciò a tremare. All'improvviso lanciò un grido, così acuto che Gaio immaginò lo avessero sentito tutti, nel palazzo.

Quando finalmente lei si rilassò, con il corpo ricoperto da una patina di sudore, Macrone sfilò le dita e se le portò alla bocca per gustare il nettare prelibato che aveva raccolto dal ventre della moglie.

«Fra non molto Ennia avrà bisogno di godere ancora» affermò il prefetto. «Finiamo la nostra discussione, così potremo dedicarci a lei. Non è facile soddisfarla del tutto.»

Gaio dilatò le narici. L'eccitazione gli aveva causato una nuova erezione, che non fece nulla per nascondere.

«Anche tu mi sembri pronto a ricominciare» rise Macrone.

«Di questo posso occuparmene io» affermò Ennia allungandosi verso di lui.

«No» la fermò Macrone, con modi gentili ma decisi. «Lo faremo insieme, magari, ma dopo.» Lanciò un'occhiata a Gaio. «Sempreché tu non aborrisca certi piaceri dell'amore greco...»

«Ho vissuto a lungo con i legionari» rispose Gaio. «So di che si tratta e riesco ad apprezzarlo.» Guardò Ennia. «Soprattutto se teniamo una simile creatura in mezzo a noi.»

Scoppiarono tutti a ridere, poi Macrone si alzò, versò dell'altro vino per sé e per Gaio, quindi tornò a farsi serio.

«Credo che la condotta migliore, da parte tua, sia mostrare a Tiberio non solo che non lo temi, ma che sei profondamente convinto che lui sia il tuo benefattore. Io gli starò vicino per quanto mi sarà possibile, e cercherò di fargli capire che tenerti in vita e far credere al popolo che ti protegge in onore della memoria di tuo padre, e in contrasto con i piani di potere di Seiano, sia la cosa più giusta da fare per il suo prestigio e per continuare a regnare a lungo.»

«E le coorti pretorie?» chiese Gaio accigliandosi. «Seiano può contare su un numero enorme di soldati. Se decidesse di passare all'azione...»

«Non è così pazzo da farlo adesso» lo interruppe Macrone. «Sa che non basterebbe l'uso della forza per prendere il potere, non con Tiberio asserragliato in quest'isola.»

«Potrebbe cercare di farlo uccidere.»

«Oh, ci proverà senz'altro» annuì Macrone. «Per questo Ennia resterà qui a Capri con te.»

Gaio lo fissò sorpreso, poi girò lo sguardo verso la ragazza, che gli sorrise.

«Lei farà da tramite fra noi due e l'imperatore» aggiunse Macrone. «E riferirà ogni movimento sospetto ai miei uomini, che ho già infiltrato fra la scorta imperiale e i servi di palazzo. È brava, mio princeps, fidati di lei. Scoprirai che non è solo un'amante formidabile, ma una donna astuta e tenace, con cui potrai andare d'accordo.»

Gaio restò a fissare Ennia forse per più tempo del dovuto, mentre il sangue gli affluiva alla testa e ai lombi con un impeto che non aveva mai provato. Per tutte le implicazioni suggerite dalle parole di Macrone, e per l'effetto che gli facevano il sorriso e il corpo caldo di Ennia, prostrata accanto a lui.

«Adesso, però, è giunto il momento di dedicarci a qualcosa di più interessante» disse Macrone afferrando le braccia di Ennia e costringendola a mettersi seduta fra loro due. Poi le prese una mano e se la portò al membro, che era già vigoroso e pronto all'azione, mentre le guidava l'altra a impugnare la spada turgida di Gaio.

Mentre Ennia portava lui e Macrone nel mondo magico del piacere, Gaio ripensò con un brivido a come l'aveva chiamato il prefetto dei Vigili, qualche istante prima: princeps.

Che suono meraviglioso aveva quella parola, pensò fino a che il desiderio di aggrovigliarsi sulle lenzuola con Ennia e Macrone cancellò qualsiasi altro pensiero.