Rapina

di James M. Cain

 

 

Titolo originale: The Robbery 

Traduzione di Stefano Negrini 

© 1981 

Raccolto in 150 anni in giallo 

 

 

 

— Buona sera. 

— Buona sera. 

— Credo che ci siamo già incontrati un paio di volte, non è vero? Mia moglie ed io abitiamo al piano di sotto. 

— Sì, la conosco. Cosa desidera? 

— Vorrei solo parlarle di una cosa. 

— Va bene. Entri. 

— No. Chiuda pure la porta; ci siederemo sugli scalini. 

— D’accordo. Allora, cosa succede? 

— Oggi siamo stati derubati. Qualcuno è entrato nell’appartamento, lo ha messo a soqquadro e si è preso dei soldi e i gioielli di mia moglie. Tre anelli e un paio d’orologi. È sconvolta. Adesso l’ho messa a letto, però continua a piangere e a disperarsi. Mi spiace molto per lei. 

— Beh, è una bella rogna. Ma io che c’entro? 

— Naturalmente sto cercando di capire chi può essere stato, così sono venuto a trovarla, tanto per vedere se ha qualche idea. 

— Ah, sì? 

— Già. 

— Beh, non ho alcuna idea. 

— No? Strano. 

— Perché strano? 

— Sembra che tutti gli abitanti dello stabile abbiano una loro teoria. Prima ancora che potessi rincasare sette persone mi avevano già fermato per dirmi come la pensavano e chi era stato secondo loro. Ovviamente alcune di queste idee non valevano una cicca, ma erano sempre idee. Quindi lei non ha alcuna idea? 

— No, non ho alcuna idea. E in ogni caso, lei arriva troppo tardi. 

— Come sarebbe a dire, troppo tardi? 

— Sarebbe a dire che i poliziotti sono già stati qui, mandati da quella santa donna di sua moglie, tutto quel che sapevo l’ho detto a loro e non ho il tempo di ripeterlo a lei. E una cosa le voglio dire: raccontate ancora alla polizia che sono stato io a derubarvi, e saranno guai. Ci sono delle leggi. Ci sono delle leggi contro la gente che diffama i vicini, e non creda di poter continuare così. Capito? 

— Accidenti, i poliziotti sono già stati qui? Sono svelti quei ragazzi, no? 

— Sono svelti se un’oca che ha perso un paio d’anelli telefona al commissariato e racconta un sacco di bugie. Saranno anche svelti, ma forse non sono altrettanto bravi. Non hanno alcuna prova contro di me, capito? E quindi lei spreca il suo tempo, come loro. 

— Le spiace se le domando cosa ha raccontato loro? 

— Esattamente quello che le sto dicendo: che non so un accidente di lei, di sua moglie, del vostro appartamento, di chi l’ha derubato e di cosa ci fate, a parte che vorrei proprio che la notte spegneste la radio e mi lasciaste dormire. Ecco cosa ho detto loro, e se non le va, sono affari suoi. 

— Vecchio mio, per la verità le devo dire che non è stata mia moglie a mandarle i poliziotti. Quando è rincasata e ha scoperto il furto, si è molto emozionata, ha telefonato al commissariato raccontando l’accaduto e poi è andata a letto. Ed è ancora a letto. I poliziotti li vedrà solo domani. Insomma, sembra che questa visitina se la siano organizzata da soli, no? 

— Sarebbe a dire? 

— Sarebbe a dire che persino loro hanno capito che il lavoretto è stato fatto da qualcuno che sa tutto di mia moglie e di me, di quando siamo fuori e quando siamo in casa e via dicendo. E soprattutto che a farlo è stato qualcuno al corrente che tenevamo in casa il denaro per pagare l’ultima rata dei mobili. 

— Ed io come avrei potuto saperlo? 

— Magari ricordando quando era venuto il mese scorso l’incaricato a ritirare il pagamento e immaginando che sarebbe tornato lo stesso giorno del mese successivo e che avremmo avuto il denaro pronto per lui. Possibile, no? 

— Mi dia retta: io non so niente né di mobili né di incaricati; e niente dimostra che ne sapessi qualcosa. Lei non può dimostrare niente, lo capisce? Quindi si tolga dalle scatole, torni da dove è venuto e tanti saluti. 

— Un attimo. 

— Cosa c’è ancora? Non ho intenzione di restare qui per tutta la sera. 

— Sto solo pensando. Per prima cosa, non abbiamo alcuna prova contro di lei, questo è certo, e neanche la polizia. Mi hanno telefonato poco fa e me lo hanno detto loro stessi. Mi hanno detto di non poter dimostrare niente. 

— Sarebbe ora che se ne convincesse anche lei. 

— In ogni caso, è stato lei. 

— Eh? 

— Ho detto che è stato lei. 

— Va bene. Va bene. Sono stato io. Adesso lo dimostri. 

— Non ci proverò nemmeno. Strano, no? I poliziotti devono sempre dimostrare qualcosa. Io, invece, non devo dimostrare proprio niente. 

— Cosa sta cercando di dire? 

— Solo che se non mi restituirà i soldi e i gioielli, la picchierò. E si sbrighi. 

— Ehi, aspetti un attimo... un attimo. 

— Come no. Non ho fretta. 

— Magari entro a dare un’occhiata... magari sono stati i miei ragazzi, così, per scherzo... 

— Adesso che ci penso, è proprio quello che dicevo a mia moglie: «La polizia si sbaglia, saranno stati i ragazzi di sopra, così, per scherzo» le ho detto. 

— Entro a dare un’occhiata... 

— No. Noi due restiamo qui finché non riavrò le mie cose. Dia una voce e dica loro di portarle fuori. 

— Suono il campanello e li faccio venire alla porta... 

— Molto gentile, vecchio mio. Scommetto che i ragazzi combinano un sacco di furti così, per scherzo. L’ho sempre pensato.