Il settimo
assassino
di Edward D.
Hoch
Traduzione di Hilja Brinis
© 1970 Edward D. Hoch
Raccolto ne Il Giallo Mondadori n. 1108 (26 aprile 1970)
In pieno deserto, presso l’Oasi della Tranquillità, viveva il grande principe Alla-Khad, in un castello che sorgeva dal deserto come un castello di sabbia da una spiaggia. Alla-Khad era più che un principe: era il dominatore di un reame senza confini, un’area vagamente definita che sulle mappe viene indicata da un tratteggio incerto, racchiuso da linee di puntini. Ed era ricco al di là dei sogni più assurdi dei suoi antenati, grazie al petrolio che non aveva mai visto e che vendeva ad americani mai incontrati da vicino. Il denaro che fluiva incessante bastava a soddisfare ogni desiderio suo e delle sue mogli, che erano molte. Con tutto quel denaro Alla-Khad non aveva nemici: o, al massimo, uno solo.
Il nemico era un principe rivale, Jamarra, il cui regno, pur avendo confini non ben precisati, non racchiudeva petrolio. Jamarra, una volta all’anno, rendeva omaggio con una visita al grande Alla-Khad, ma non c’era alcuna umiltà nell’atteggiamento di Jamarra. La visita regolarmente cominciava male e finiva peggio finché, al termine della più disastrosa di quelle occasioni, Alla-Khad invocò ciò che sapeva di poter vincere.
— Guerra! — urlò, battendo sul tavolo la scimitarra. — Guerra!
— Niente guerra, amico mio, — replicò Jamarra, con voce roca. — Non ho bisogno di una guerra, per sconfiggerti. Manderò contro di te sette assassini, e tra un anno esatto tutto ciò che i miei sguardi abbracciano diverrà mio.
Con quella minaccia, si allontanò dal castello di Alla-Khad, e una quiete più profonda scese sullo sterminato deserto...
Il primo assassino arrivò tre settimane dopo, nel cuore della notte, scalando le mura del castello con una daga ingemmata tra i denti. Le guardie lo uccisero prim’ancora che avesse toccato terra dall’altro lato. Compiaciuto, Alla-Khad ordinò ricompense per tutti, e la vita, al castello, continuò come sempre.
Il secondo assassino arrivò un mese dopo, travestito da soldato della guardia. Balzò dai ranghi di uomini in turbante mentre Alla-Khad faceva un giro di ispezione, e soltanto la devozione di una delle mogli salvò il principe da morte certa. La donna che aveva fatto scudo ad Alla-Khad venne sepolta con tutti gli onori e il cadavere dell’assassino venne gettato in pasto alle poiane.
Dopo l’attentato, Alla-Khad divenne più prudente. Convinto ormai che la minaccia di Jamarra fosse seria, smise di passare in rassegna la guardia e passò la maggior parte del suo tempo in compagnia delle mogli e dei fidi consiglieri. Per qualche mese, tutto andò bene...
Il terzo assassino venne di notte, e si introdusse nella vasta camera in penombra dove il principe dormiva. Si svegliò solo all’ultimo istante, atterrito, e la lama gli scalfì l’orecchio e affondò nel guanciale. Nel lottare con l’assassino, nella penombra, il principe scoprì che si trattava di una delle sue mogli predilette. Fu con profonda amarezza che ne ordinò l’esecuzione, il mattino dopo.
Sapeva, ormai, che occorrevano misure drastiche per salvaguardare la propria vita dalla lega di assassini di Jamarra. Da quel giorno, non rimase mai più in compagnia di una sola persona. Ai consigli privati, nel bagno, perfino di notte, quando una delle mogli andava a trovarlo, c’era sempre una guardia presente. Rimaneva solo unicamente nella sua camera da letto privata, e perfino là la protezione era completa. Il generatore di corrente alimentava ora i più recenti tipi di sistemi d’allarme e, proprio all’ingresso della camera, un occhio elettronico era collegato a una batteria di pistole che avrebbero sparato simultaneamente, creando uno sbarramento mortale, se qualcuno avesse tentato di varcare la soglia. Di notte, il principe entrava e usciva dalla camera attraverso un passaggio segreto noto soltanto a lui.
Alla-Khad non vide il quarto assassino. L’uomo arrivò con un gruppo di pellegrini e, attorno alla vita, portava una cintura fatta di stecche di dinamite. Ma era maldestro... e saltò per aria insieme al suo cammello mentre era ancora ad un centinaio di metri dal suo obiettivo.
Dopo di che, il principe installò altri congegni elettronici, destinati in particolare a captare la presenza di bombe.
Il quinto assassino arrivò con un piccolo aereo, volando basso sul deserto e lasciando cadere una bomba incendiaria sui quartieri della servitù. Mentre le guardie si affrettavano a spegnere l’incendio, e Alla-Khad osservava quei tentativi dal suo balcone, l’aereo virò e ritornò, puntando stavolta le sue mitragliatrici contro l’appartamento del principe.
Soltanto la precisione dei fucilieri scelti di Alla-Khad respinse l’aereo proprio all’ultimo istante, mandandolo a fracassarsi sulle sabbie del deserto. Alla-Khad sospirò e rientrò nelle sue stanze. Gli attacchi si facevano più disperati, come in una guerra implacabile. Eppure, egli sapeva che Jamarra avrebbe mantenuto la parola. Aveva promesso sette assassini, e sette ne avrebbe mandati. Nessun esercito avrebbe attraversato le sabbie tra i loro due regni.
E così, il principe aspettò che venisse il sesto assassino. Raddoppiò la guardia intorno al palazzo, installò cannoni antiaerei per prevenire un altro attentato dall’aria. Ma il timore e l’incertezza crescevano in lui che si era sempre creduto onnipotente e protetto da Allah.
Passarono due mesi, prima che comparisse il sesto assassino. Lo smascherarono una sera, quando, durante la cena due ospiti di Alla-Khad caddero a terra, stringendosi la gola. L’assassino aveva messo un veleno istantaneo nel cibo, che per fortuna il principe non aveva ancora assaggiato. Un’inchiesta nelle cucine rivelò la presenza di un servo assunto da poche settimane. L’uomo venne ucciso mentre tentava di fuggire. Dopo di che, il principe assunse due assaggiatori perché accertassero che non ci fosse veleno in quello che egli si portava alle labbra.
Ma i mesi di tensione e di crescente terrore cominciavano a farsi sentire. Alla-Khad era smagrito e, salvo durante il suo vagabondare notturno, su e giù per la scala segreta, raramente osava allontanare da sé le sue guardie. Non faceva che scrutare il cielo, per tema di qualche altro attacco. Le sue orecchie erano continuamente tese a captare il ticchettio di una bomba e, perfino quand’era con una delle sue mogli, non riusciva a rilassarsi e a non pensare al pericolo di un invisibile pugnale.
Alla fine, era passato quasi un anno dalla minaccia di Jamarra, il principe sentì di non poterne più. Il settimo assassino non si era ancora fatto vivo e bisognava mettere fine a quella situazione intollerabile. Inviò messaggeri per invitare Jamarra al solito incontro annuale e, poiché Jamarra non sarebbe venuto al castello, naturalmente, fissò il luogo dell’incontro nel deserto, su terreno neutro.
Il giorno fissato, Alla-Khad non si mosse dal castello e mandò invece le sue guardie più feroci a rapire il principe Jamarra. Una violenta battaglia insanguinò le sabbie del deserto, quel giorno, ma prima di sera Jamarra era stato trascinato al castello di Alla-Khad e messo nelle mani dei torturatori.
Era quasi mezzanotte quando Alla-Khad fece visita al suo nemico, nei sotterranei, e si fermò presso il tavolo sul quale Jamarra boccheggiava ormai allo stremo delle forze. Perfino in un mondo di petrolio e di aerei, gli antichi sistemi di tortura restavano quasi immutati.
— Dimmi, amico Jamarra, — sibilò Alla-Khad. — Chi è il settimo assassino?
— No! — gemette Jamarra.
— Dimmelo!
Jamarra aprì gli occhi, forse per l’ultima volta, e bisbigliò: — Non esiste alcun settimo assassino.
Alla-Khad si rialzò, certo che Jamarra diceva la verità. Non c’era, non c’era mai stato. Gli assassini erano solo sei, e il settimo era nella sua stessa mente: nelle sue stesse buie incertezze e paure.
Ma ormai aveva vinto. Jamarra era stato costretto a confessare la sua strategia.
Alla-Khad lasciò la camera di tortura e imboccò l’ampio scalone che portava alla sua stanza da letto. Per la prima volta, dopo mesi, si sentiva libero di salire quelle scale, di entrare apertamente nella propria stanza senza dover sgattaiolare attraverso un passaggio nascosto. Jamarra era stato sconfitto, il settimo assassino non sarebbe venuto mai.
Si ricordò dell’occhio elettronico soltanto nel varcare la soglia, e ormai era troppo tardi. La batteria di pistole stava già sparando, già i proiettili gli straziavano le carni. E Alla-Khad comprese, prima di spirare, che egli stesso era il settimo assassino.