Pronta e astuta

di Christianna Brand

 

 

Titolo originale: Clever and Quick 

Traduzione di Hilja Brinis 

© 1974 Christianna Brand 

Raccolto ne Inverno Giallo ’80-’81 (1980) 

 

 

 

Bisognava salvare le apparenze; così, l’appartamento era molto vistoso, zeppo di cose false, compreso il caminetto elettrico, con il massiccio parafuoco d’ottone. Ma altro era salvare le apparenze, altro era saldare i conti; e, con il teatro in crisi entrambi stavano “riposando” da molto, troppo tempo. Così, la verità era che avrebbero dovuto rinunciare a Trudi. 

Trudi era la ragazza alla pari, e per motivi diversi nessuno dei due voleva mandarla via.

Stavano appunto litigando in proposito, in piedi davanti al caminetto. Litigavano in media una volta all’ora, da un po’ di tempo, tormentandosi l’un l’altro. Colette stava trascinando Raymond alla pazzia. E ora, ecco che saltava fuori la storia di Trudi. Se lui di nascosto, in qualche modo, fosse riuscito a mettere insieme i soldi per Trudi? — Cerca di offrirle un po’ meno per il lavoro — suggerì. 

— Cerca tu di offrirle un po’ meno... per le sue prestazioni — ribatté Colette. 

Come sempre, questo lo toccò sul vivo. — Vorresti insinuare...? 

— Raymond, quella ragazza non pensa ad altro che al denaro, e tu lo sai. 

Sì, lo sapeva, e il saperlo gli dava un senso di gelo. Se a un certo momento non fosse stato più in grado di fare regali a Trudi... Era pazzo di lei... una piccola mitteleuropea, con gli occhi penetranti e la faccetta astuta... sì, pazzo alla lettera, impotente nella stretta di quelle piccole grinfie avide. Lui, Raymond Gray, che per tutta la vita, in scena e fuori di scena, era stato irresistibile per le donne, ora era a sua volta preso nelle reti di una donna. «Se stessi calando un po’ di tono», diceva a se stesso, «se il mio profilo stesse perdendo la sua bellezza, se i miei denti e i miei capelli non fossero più quelli di una volta»... ma si portava meravigliosamente bene. Proprio così, perfino quel vecchio mostro dell’appartamento di fronte avrebbe fatto carte false per lui. 

Rosa non era un mostro, anche se era un donnone e, essendo stata un tempo un’atleta, ora scopriva che tutti quei bei muscoli si erano trasformati in grasso flaccido e bianchiccio. Ma davvero avrebbe fatto carte false per lui? «Sono disgustosa», lei stessa lo pensava, fuori di sé: «una vedova della mia età, grassa, brutta, che se ne sta qui a sospirare per un ex-idolo del varietà, che ha poco più della metà dei miei anni». 

Ma, proprio come lui era preso e schiavo, così lo era lei: presa e schiava, seduta là come una stupida scolaretta, desiderosa soltanto di uscire sul balcone e di vedere se, attraverso la finestra di lui, le riuscisse di scorgerlo per un istante. Dalla sua stanza non poteva vedere dentro quella di lui; gli appartamenti non erano proprio di fronte ma disposti ad angolo, sullo stesso piano.

Non osava avventurarsi fuori, però. Gli alberi, giù nella strada, erano in piena impollinazione, e se lei si fosse arrischiata soltanto a mettere fuori il naso, l’allergia le avrebbe giocato scherzi orribili. Perfino incrociandola nel corridoio, o incontrandola in ascensore, lui non doveva vederla con gli occhi rossi e il naso che colava. 

Rosa passava una quantità di tempo nel corridoio esterno e in ascensore. — Oh, Raymond — esclamava — pensa un po’, ci incontriamo di nuovo! — Da un pezzo era riuscita a fare conoscenza, e ora tra loro erano arrivati al Raymond, Colette e Rosa. Loro non si facevano molto pregare: in casa di lei c’era abbondanza di cocktail allo champagne e di martini dry, con una quantità di caviale spalmato su tartine triangolari. Era ricca sfondata, lei. 

Colette lo disse, ora. — Non potresti farti scucire qualcosa da quella vecchia befana qui di fronte? È ricca sfondata, lei, e se tu facessi tanto da baciarle la mano, se la taglierebbe per dartela, anelli di brillanti compresi. 

La mano di Rosa era come il dorso di una rana, tutta picchiettata dalle macchie bruno-verdognole della vecchiaia. — Ciò nonostante, sappi una cosa — disse lui. — Se non avessi tra i piedi te, maledetta vipera che non sei altro, lei avrebbe già fatto di me un milionario, questo è certo! 

— Sì, e che fine farebbe la tua preziosa Trudi, allora? Perché non credo — osservò perfidamente Colette — che la cara Rosa si adatterebbe a tollerare per casa quel bel pezzetto di fesa francese. 

— Non insultare Trudi! — urlò lui. 

— Dico soltanto quello che è. Avrò almeno questo diritto, vero? 

Colette aveva una mente meschina e una boccaccia fatta per esprimere quello che la mente meschina conteneva. Gli balenò per un attimo, e in quell’attimo vide rosso, il ricordo che un tempo lui l’aveva amata, senza sospettare che dietro la facciata si nascondesse quella creatura di veleno e di fango, senza neppure sognarsi che un giorno avrebbe levato la mano, avrebbe mosso un passo con l’intento di colpirla, desiderando in cuor suo di farla tacere per sempre. 

Ma la sua mano non la toccò. Fu lei a indietreggiare, per scostarsi da lui: inciampò nel tappeto, sul pavimento lucido davanti al caminetto, e cadde di peso, gettandosi lei stessa all’indietro, violentemente, e fuori della portata di lui, Un urlo breve, braccia che si agitavano, un tonfo agghiacciante quando la base del cranio di lei batté contro il pomolo arrotondato del massiccio parafuoco d’ottone. E all’improvviso... l’immobilità assoluta. 

Lui capì che era morta.

Trudi stava sulla soglia, poi avanzò lentamente verso di lui. — Niente paura — disse — ho visto tutto. Tu non l’hai toccata. — E brancolò alla ricerca della parola inglese. — Un... incidente? — Gli si fece più vicina, rimase là, a guardare in giù. — Ma è morta — concluse. 

Era morta, sì. Lui non l’aveva nemmeno sfiorata, era stato un incidente. Ma era morta... e lui era libero. 

Gli ci volle un po’ per rassegnarsi al fatto che Trudi non intendeva legarsi a un attore senza lavoro, libero o non libero. — Ma, caro, lo sai che di denaro non ne hai più, ormai devo andarmene, la signora Gray me l’aveva detto. — E siccome la signora Gray giaceva là morta e non poteva contraddirla, Trudi improvvisò un rapido conteggio di tutti i soldi che già avanzava. — E devo averli, Raymond. Presto, se non trovo un altro lavoro qui, dovrò tornarmene a casa. 

Essere libero... essere libero di sposarla e ora perderla così! — Proprio non mi ami? — la supplicò 

— Ma certo! Solo che, come possiamo sposarci, caro, se non hai soldi per tirare avanti? Perciò io devo avere quei soldi, per tornare a casa. 

— Per ora non puoi andartene, in ogni modo. Devi restarmi accanto per... per lei. — Raymond aveva quasi dimenticato la povera cosa morta che giaceva là, in posa sgraziata, ai loro piedi. — Dovrai testimoniare in mio favore. 

Lei alzò le spalle. — Naturale. È stato un incidente. Ma poi vado a casa. 

— Lasciandomi qui così? Trudi, non ho più moglie, ora, non ho denaro... 

Di nuovo quella piccola alzata di spalle, che ispirava tanta tenerezza al cuore infatuato di lui, mezzo comica, mezzo dolente; l’agitarsi della graziosa testolina verso la finestra dell’altra ala dello stabile. — Se è per moglie, o per denaro... là, finché vuoi. 

— Allora sarei ricco — disse subito lui. — Perciò tu e io...? 

Ma lei disse, proprio come pochi minuti prima aveva osservato Colette: — Non credo che la signora Rosa Fox sopporterebbe certi capricci. Secondo me lei terrebbe i cordoni della borsa ben stretti. 

L’idea gli venne davvero tutta in un lampo, come al momento gli sembrò? O vi fu un intervallo, nel quale ebbe tempo di meditare? Nel quale, chino sul cadavere della moglie, architettò tutto con cura, deliberatamente, dal principio alla fine? Tutto quello che ricordò, in seguito, era che all’improvviso stava tenendo Trudi per un braccio, le stava parlando in tono concitato, tirandola giù e facendola inginocchiare accanto a sé mentre, delicatamente, raschiava dal tondo pomolo d’ottone del parafuoco un po’ del sangue che si stava rapidamente congelando sul metallo, ne impiastricciava il rotondo pomolo d’ottone dell’attizzatoio, un pomolo di dimensioni identiche, coprendo poi la parte impiastricciata con la propria mano. Alla fine, tornò a gettare l’attizzatoio nel caminetto. 

— Ora, Trudi, esci di casa, senza farti vedere da nessuno. Compera qualcosa da qualche parte. Poi torna subito qui, e stavolta lascia che il portiere ti veda. 

Non si voltò, mentre si rimetteva in piedi, per gettare un’occhiata a quel povero corpo immobile e disteso al suolo: non aveva neppure quell’istante da dedicare al passato. Il futuro stava ora dinanzi a lui. Cielo, pregava, mentre furtivamente sgattaiolava nel corridoio esterno, fa che Rosa sia in casa! E che sia sola! 

Lei c’era ed era sola. Era sempre in casa e sempre sola, in quei giorni, buttata in poltrona, a vaneggiare, come un’adolescente, sul suo disperato e impotente amore. «Una donna della mia età» pensava, «seduta qui a fantasticare sul marito di un’altra». Ma era stata un fior di ragazza, ai suoi tempi, ed era vedova da tanti e tanti anni. Ora disse: — Raymond... che bella sorpresa! — E subito dopo: — Ma che cos’è successo, mio caro? Stai male? 

— Rosa — disse lui. — devi aiutarmi! — E cadde in ginocchio davanti a lei afferrandole la gonna con mani tremanti... in verità, con tutto quel talento era davvero incredibile che non riuscisse a trovare lavoro! Impresse alla voce un tremolio rauco. — L’ho uccisa — disse. 

Lei indietreggiò, ritraendosi. — Uccisa? 

— Colette. L’ho uccisa. Non c’era verso di farla tacere. Diceva cose orribili di... di te, Rosa. Credeva che tu... diceva sempre che tu... Rosa, io so che tu hai sempre avuto simpatia per me... 

— Io ti amo — disse semplicemente lei; ma prese un profondo, lungo respiro, mentre il futuro si allargava davanti a lei... proprio come si era spalancato a lui il suo, poco prima. La moglie era morta e lui era libero. 

Lui finse stupore, a quella risposta: stupore e gratitudine; ma era troppo scaltro per proclamare immediatamente che ricambiava i sentimenti di lei. Alla fine, venne al dunque. — Allora più che mai, Rosa, posso osare di chiederti quello che stavo per chiederti. Ero venuto per mettermi nelle tue mani, nella speranza che in nome dell’amicizia tu volessi aiutarmi. Ma se ora mi dici che davvero tu... 

E si mosse con lei verso il divano, per riversarle in grembo, stringendole le mani, la sua confessione. — Era talmente spregevole! Era... be’, ora Colette è morta, ma aveva una mente perversa, Rosa mia. Da settimane e settimane andava avanti così, e all’improvviso non ci ho visto più. Ho... ho afferrato l’attizzatoio. Non volevo farle del male, parola mia, te lo giuro, volevo soltanto spaventarla. Ma quando sono tornato in me... — Poi supplicò: — Oh, mio Dio, ti prego, cerca di capire! 

— Hai fatto questo perché diceva infamie sul conto mio? 

— Tu sei sempre stata così cara con noi, Rosa; mi faceva male, sentirla parlare così, sogghignando e sghignazzando. — E riprese a sfogarsi, rivivendo tutta la scena, salvo sostituire il nome di lei a quello di Trudi. Il faccione brutto di Rosa diventava dapprima bianco, poi scarlatto, poi di nuovo pallidissimo. Lei stringeva forte la mano di Raymond. — Che cosa vuoi che faccia? 

— Rosa, ho riflettuto rapidamente: faccio sempre così, quando mi trovo in un guaio. Sembra orribile, ora, lei di là morta e io che penso a me stesso, cercando di salvarmi. Ma è quello che ho fatto. Poi mi sono inginocchiato e... ecco, ci sono due pomoli d’ottone sul parafuoco, in tutto identici a quello dell’attizzatoio, e così ho... ho spostato la testa di Colette in modo da far sembrare che avesse battuto la testa contro uno dei pomoli del parafuoco, e poi ho... ho ripulito tutto il sangue dall’attizzatoio... 

Lei era una donna acuta: pronta e acuta. Il corpo, quel corpo che un tempo era stato così forte e scattante, si era forse appesantito, ma la mente era ancora pronta e acuta. — Un incidente — disse. 

— Sì, ma... la gente sa che non facevamo altro che litigare. Trudi deve saperlo, naturalmente. Potrebbero dire che l’ho spinta, e in malo modo. — Le lanciò uno sguardo di disgusto, che del resto non gli riusciva molto difficile. — Nella migliore delle ipotesi... omicidio colposo — disse. 

— Vuoi che dica che ho visto quel che è successo? Che tu non l’hai colpita? — disse lei, pronta e astuta. 

— Mio Dio — esclamò lui — sei meravigliosa! Sì. Potresti dire che hai visto tutto attraverso la finestra, che mi hai visto fermo là a parlare con lei, ammettere francamente che avevamo l’aria di litigare, dare l’impressione di non essere molto dalla parte mia, di essere una vicina e nient’altro. E poi, c’è un tappeto là, lo sai, molto liscio e scivoloso... tu stessa ci slittasti sopra una volta, ricordi? È perfettamente possibile che Colette sia indietreggiata di un passo, sia scivolata e sia caduta all’indietro; e naturalmente sarebbe tutto quello che tu potresti dire: il pavimento della nostra stanza non puoi vederlo, nemmeno dal tuo balcone. 

— Ma dovrei dire che ero fuori sul balcone. Non vedo nemmeno la tua finestra, dall’interno di questa stanza. 

Lui aveva pensato anche a questo. — Sul tuo balcone affacciano soltanto due appartamenti, e gli inquilini sono fuori, a quest’ora. Lo so, li conosco. Nessuno potrà asserire che non eri là fuori. 

— Va bene — disse lei. — Farai questo per me? 

— Certo! Ma... e per quella ragazza, quella piccola vagabonda, come diavolo si chiama... la straniera alla pari? 

Lui riuscì a stento a impedire che la sua voce assumesse un tono gelido, ma si controllò. — Era fuori per compere, grazie al Cielo! — E grazie al Cielo, anche, che Rosa non fosse stata davvero sul balcone, a guardare in casa sua, a vedere Trudi là nella stanza con lui. Raymond sapeva tutto del raffreddore da fieno, e gli bastò una sola occhiata alla faccia del donnone per averne conferma: Rosa non era uscita sul balcone. 

— Bene, torna di là, ora. Devi chiamare subito un medico. E non dire niente di me. Di’ soltanto la tua versione, come se non pensassi nemmeno a tirare in ballo me. Non tarderanno a bussare alla mia porta, per domandarmi se ho visto qualcosa. Su, vai di là, bada che il tempo passa. 

Lui si mosse verso la porta ma all’improvviso si fermò. — Rosa! — Aveva assunto un’espressione di vergogna ma, attraverso la vergogna, traspariva un’intima esultanza. — Rosa, è orribile l’averci pensato, ma mi è venuto in mente così, all’improvviso. Un processo per omicidio! Tu sai come vanno le cose nell’ambiente teatrale, sai quale è stata la mia sfortuna ultimamente. Ma se tutt’ad un tratto fossi alla ribalta della cronaca! Accusato di uxoricidio: là sul banco degli imputati, all’Old Bailey, titoloni su tutti i giornali, una cause cèlébre! E poi... l’intervento drammatico, la teste che aveva visto tutto, la prova decisiva dell’ultimo istante. — Le stava davanti, mezzo vergognoso, mezzo supplichevole. — Rosa? 

— Perché non avevo parlato prima? Non t’avrebbero nemmeno accusato se avessi parlato subito... Questo, vuoi dire? 

— Be’, sì, questo è il punto. Devo essere arrestato e processato, capisci? Dovresti dire che non ti eri resa conto, che non avevi voluto rimanere immischiata. Ma poi, naturalmente, nell’attimo in cui eri venuta a sapere che ero accusato... 

— Sì ma, anche così non andresti più in là della prima udienza, o come diavolo si dice. Niente pubblicità, in questo. 

— Non potresti... trovarti all’estero per un breve periodo, all’oscuro di tutto? 

Lei aprì la bocca per replicare che la pubblicità non era importante, che lui non avrebbe avuto bisogno di lavorare mai più. Ma si trattenne in tempo. Era un attore, lui, e gli attori avevano bisogno di lavorare, dovevano esprimere se stessi. — Lascia fare a me — disse. — Vedrai. 

 

I primi titoli non erano male, sebbene non proprio sensazionali, poi seguì il lungo, oscuro periodo prima che si aprisse il processo. Tuttavia, alla fine... il gran giorno! Lui sul banco degli imputati, molto pallido, molto attraente. La polizia chiamata a testimoniare. — L’accusato dichiarò... — Una pagina voltata in fretta, in un taccuino. — L’accusato dichiarò: «Oh, mio Dio, è orribile, devo averla colpita, mi si sarà annebbiato il cervello, lei non faceva che tormentarmi perché non trovavo lavoro, ma io non volevo farle del male, giuro di no». 

E la testimonianza del perito: — Sul pomolo dell’attizzatoio ho trovato una macchiolina di sangue. — La macchia corrispondeva al sangue della vittima, e risaliva al momento della morte di lei. Dai rilievi risultava che l’accusato aveva maneggiato l’attizzatoio, dopo che questo si era sporcato di sangue, nel chiaro tentativo di rimuovere le tracce di sangue con il palmo della mano, mancando però una di quelle tracce, una macchiolina minuscola. Il manico dell’attizzatoio era stato strofinato con un panno: non presentava impronte. 

In risposta all’avvocato della difesa: Sì, era vero che l’attizzatoio poteva essere stato maneggiato in maniera diversa dal normale, e il fatto che fosse stato strofinato poteva risalire a precedenti pulizie di casa. Il dottore testimoniò che la donna, quando lui l’aveva vista, era morta da una mezz’ora, forse da un’ora. 

Trudi sul banco dei testimoni, chiamata dalla difesa: scaltra e imperturbabile. Era rientrata dall’aver fatto qualche spesa e aveva trovato il signor Gray inginocchiato accanto al cadavere; aveva dovuto sollevarlo quasi di peso, per farlo rialzare. Sì, poteva darsi benissimo che avesse toccato l’attizzatoio con la mano, sporca di sangue per aver esaminato la ferita; lui brancolava, appoggiandosi dappertutto, mentre lei lo tirava su. Aveva cercato di calmarlo; avrebbe voluto chiamare il medico, ma non sapeva il numero, e il signor Gray sembrava talmente inebetito che non si riusciva a cavargli una risposta sensata. E del resto che fretta c’era? concluse Trudi con una delle sue scrollatine di spalle. Si vedeva lontano un chilometro che madame era morta. 

E così, alla fine, era venuto il turno di Rosa Fox. Con incredibile abnegazione, lei aveva rinunciato di proposito a mettere in risalto i pochi e dubbi fascini che ancora possedeva: si era spogliata di ogni gioiello, si era vestita in modo quasi dimesso, aveva sacrificato i cosmetici che di solito, almeno in piccola parte, mascheravano le devastazioni operate dagli anni. Nemmeno per un attimo qualcuno poteva sospettare d’avere davanti una donna con la quale l’imputato potesse mai avere avuto il minimo rapporto. 

Si era addentrata nella versione che avevano più o meno convenuto. La conoscenza occasionale, le occasionali quattro chiacchiere di buon vicinato. L’interrogatorio della polizia subito dopo... l’incidente. Sì, in precedenza lei aveva affermato di non avere visto niente. Non era stata molto bene, non aveva avuto altro desiderio che quello di partire per una stazione climatica, dove si era trattenuta fino allora. Aveva preferito non venire coinvolta in nessun modo in quella faccenda; mai più immaginando, s’intende, che potessero essere mosse accuse contro il signor Gray, sapendo come sapeva, con assoluta certezza, che la tragedia altro non era stata che una disgrazia. Perché lei, anzi, l’aveva vista avvenire. 

— Dal mio balcone si può guardare dentro il loro soggiorno. Gettai un’occhiata, infatti, e li vidi fermi là, davanti al caminetto. Sembrava che stessero litigando. Lui disse qualcosa con rabbia, lei si ritrasse come temendo che lui avesse alzato la mano con l’intenzione di colpirla... 

— L’imputato aveva niente in mano, signora Fox? 

— In mano? Ah, l’attizzatoio, volete dire? No, niente, né l’attizzatoio né altro. E, del resto, non alzò neppure la mano. 

— Non alzò neppure la mano? Siete disposta a giurarlo? 

Il giudice, dalla cattedra, richiamò solennemente il pubblico ministero. — Signor Tree, la teste ha già giurato. È sotto giuramento, per tutto quello che dice, dovreste saperlo. 

— Bene, potevo vedere la scena molto chiaramente, ed è certo che posso giurarlo... insomma, voglio dire sono assolutamente sicura che il signor Gray non alzò la mano. Disse qualcosa, questo sì. Al che lei indietreggiò e parve inciampare e cadere all’indietro. Ricordo che pensai tra me: «Oh, è inciampata anche lei su quel maledetto tappeto!» Conosco quel tappeto, infatti: pericolosissimo, per conto mio, su quel pavimento così lucido. Anch’io, una volta, per poco non sono finita lunga distesa! Bene, dopo di che me ne rientrai in casa e non ci pensai più. 

— Non vi venne in mente che la signora Gray potesse essersi fatta male? 

— Pensai che potesse aver battuto la testa o qualcosa del genere ma... niente di più, s’intende. Come dico, io per la prima ero scivolata in quel punto, e non per questo m’ero fatta male. — E la signora Fox, con una piccola smorfia, ammise d’aver pensato che, se anche quella signora s’era ammaccata un po’ le ossa, tutto sommato era quello che si meritava. — Ho l’impressione che lo tormentasse, il marito. Ma intendiamoci, io poi li conoscevo appena. 

Titoli sui giornali, sì. Ma modesti, in complesso, e in genere nemmeno sulle pagine di mezzo, per non parlare poi della prima pagina. Ma gli venne scattata una foto, destinata a un giornale della domenica, e fatta una breve intervista: la foto l’avrebbe mostrato nell’atto di brindare, un bicchiere di champagne levato all’indirizzo della vicina di casa, la cui testimonianza aveva confermato l’innocenza di lui. Non una cosa di buon gusto, forse, quella foto scattata là, davanti al caminetto, proprio dov’era morta la moglie. Ma anche il giornale non era niente di raffinato, e bisognava contentarsi di quello che si riusciva a ottenere. 

Poi i cronisti se ne andarono: e alla fine i due rimasero soli, nell’appartamento di lui. Lei gli tese le mani. — Ebbene Raymond? 

Dimostrava cent’anni, ritta là davanti a lui, la faccia cascante resa più squallida dalla mancanza di trucco, il brutto e sgraziato vestito, la pettinatura sciatta, le mani coperte di macchie senza nemmeno il solito sfolgorio degli anelli. Gli ispirava ripugnanza. 

— Bene, Rosa, hai fatto un ottimo lavoro. 

Lei non udì il gelo nella voce dell’uomo, o non volle crederci. Mormorò affettuosamente: — E un giorno, presto... riceverò la mia ricompensa? 

— Ricompensa? — disse lui. 

— In fin dei conti, tesoro, mi sono resa spergiura, per te. 

— Sì, è così, vero? — disse ancora lui. 

La faccia non incipriata le si fece di uno strano color cenere, gli occhi le si dilatarono in un’espressione spaurita e angosciata. — Raymond, che cosa vuoi dire? 

— Voglio dire che sei spergiura, come hai detto tu; e lo sai, sì, che cosa succede agli spergiuri? 

Una donna acuta, pronta e acuta. Ma tuttavia provò a insistere: — Non capisco. 

— Ho bisogno di denaro, Rosa. 

— Denaro? Ma se fossimo sposati... 

Lui si spostò in modo da permetterle di guardare nello specchio sopra il caminetto. — Tu? E io? — disse. — Sposati? 

Lei fisso a lungo la propria pietosa immagine. Alla fine domandò: — Cos’è, un ricatto? 

— Non era ricatto, quando hai pensato che, salvandomi dalla prigione, mi avresti costretto a sposarti? 

— Sì — ammise lei. — Penso che forse lo era. — E tra sé si disse che ora veniva battuta al suo stesso gioco. — Se intendi denunciarmi — aggiunse — dovrai ammettere d’averla assassinata. 

— Ma non l’ho assassinata. È andata quasi esattamente come hai detto tu in tribunale. 

— Benissimo, allora — disse subito lei — posso cambiare la mia versione. Chi può provare che non è vero, se dirò che ti ho visto assassinarla? 

— Io posso provare che non hai visto niente. Non potevi essere uscita sul balcone. C’era nell’aria il polline dei platani, e chiunque potrà confermare alla polizia che cosa ti succede se ti azzardi ad aprire una finestra quando il polline vola per l’aria. Ma quando i poliziotti ti videro, poco dopo il fattaccio, tu non mostravi tracce di reazioni allergiche. Lo so, perché poco prima ti avevo vista anch’io. 

«Inoltre, non potrebbero farmi niente. Sono già stato processato. Una volta assolto, non possono più processarmi per lo stesso crimine. Potrei gridarlo dai tetti, d’averla uccisa, senza avere niente da temere. 

— E vivere con quella reputazione? 

— Be’, s’intende che non direi d’essere colpevole: cosa che del resto, come continuo a ripeterti, non sono. Continuerei ad affermare che si è trattato di incidente. Ma tu saresti nei guai. 

— Capisco. — Lei ponderò a lungo e attentamente, sempre fissando, ma senza vederla, ora, la sua immagine nello specchio. — Tutto questo l’avevi pensato fin dal principio, vero? Nei particolari, fin dal primo istante? 

— Una bella dimostrazione di opportunismo — ammise lui, con orgoglio. 

— Tutto quel discorso sulla pubblicità? L’attizzatoio macchiato di sangue di proposito? Sì, sì, capisco. Dovevi dar loro qualcosa, dovevi farti accusare e incriminare, dovevi essere processato e assolto, e soltanto allora avresti potuto impunemente accusare me. Il mio spergiuro aveva un duplice scopo: fornire la prova che t’avrebbe reso libero ed esporre me al ricatto. — Poi, quasi con curiosità, come se fosse più umiliata per lui che per se stessa: — Non hai mai avuto neppure un po’ di simpatia per me? 

— La simpatia è un conto — rispose, con indifferenza — ma quanto a sposarti... Sono un tantino più esigente di così. — E, presa la borsetta di lei, si servì del consistente rotolo di banconote che vi era dentro, lo ficcò dentro il suo portafogli, rimise il portafogli nella tasca interna. — Soltanto un piccolo, piccolissimo inizio, mia cara. 

— Non ti domando neppure che somma pretendi. So bene che tornerai alla carica ogni volta, vero? Ma, tanto per cominciare...? 

— Facciamo diecimila — disse lui. — È una somma che puoi raccogliere in fretta. — Le sorrise, crudelmente trionfante. — E io ne ho bisogno in fretta... per la mia luna di miele — disse. 

Acuta e pronta. Così acuta da non avere nemmeno bisogno di domandare il nome, da avere compreso tutto in un lucido lampo di intuizione. E pronta. L’attizzatoio con il suo tondo pomolo d’acciaio era là, vicino al parafuoco. Lei lo afferrò... e colpì. 

Trudi spalancò la porta, si precipitò dentro dal suo posto d’ascolto, rallentò, poi continuò a venire avanti lentamente e s’inginocchiò accanto a lui. Per un intervallo di tempo che sembrò eterno, rimasero entrambe a fissare in giù, proprio come lo stesso Raymond, qualche mese prima, aveva fissato il corpo morto di sua moglie. Stavolta, era toccato a lui. 

Le grosse braccia bianchicce di Rosa conservavano, evidentemente, qualcosa della loro splendida muscolatura; l’addestramento anatomico di tanto tempo prima aveva suggerito il punto più vulnerabile. La pesante palla d’ottone dell’attizzatoio aveva frantumato in una minutissima rete di fratture il delicato osso temporale di Raymond. 

Trudi si mosse. Con una smorfietta di ripugnanza, spostò un poco la testa di Raymond, così che la ferita andasse a schiacciarsi contro il tondo pomolo d’ottone del parafuoco. 

— Quel tappeto! — disse, alzandosi in piedi. — Sempre così pericoloso! Incredibile, è successo una seconda volta, e proprio come per la povera moglie! 

Sorrideva con brutale compiacenza, fissando la pesante faccia bianca con la sua espressione di disperazione mortale. — Fortuna che stavolta ero presente io, a fare in modo che anche stavolta tutto si riduca a un terribile incidente. 

La giacca di Raymond si era aperta. Trudi si chinò e, con dita schizzinose, sfilò il rotolo di banconote dalla tasca interna e lo ficcò in quella del suo grembiule.

— Soltanto un piccolo, piccolissimo inizio — ripeté, con il suo accento straniero, e tolse l’attizzatoio dalla mano di Rosa. — Tornate nel vostro appartamento, madame. Crollate pure sul letto. Penserò a tutto io, poi telefonerò al dottore. — Una scrollatina di spalle, alla Trudi. — Stavolta il numero lo conosco. 

Rosa rientrò nel proprio appartamento. Tuttavia, non crollò affatto sul letto.

— Polizia? — disse, tenendo il ricevitore del telefono con mano ben ferma. Diede l’indirizzo di Raymond Gray. — Sarà meglio che vi precipitiate là subito. Ho appena visto dal mio balcone la ragazza “alla pari”, che gli si avventava contro con l’attizzatoio. E stavolta... non si tratta affatto di un incidente. 

Ascoltò, con un sorriso soddisfatto, mentre una voce autoritaria snocciolava ordini. La voce tornò a rivolgersi a lei. — Be’, cos’altro sia accaduto non saprei... non riesco a vedere il pavimento della stanza — riprese Rosa. — La ragazza è scomparsa per un poco dalla vista e, quando si è rialzata, stava mettendo del denaro nella tasca del grembiule. C’era una relazione, tra loro, anche prima che la povera moglie morisse; e ora immagino che lui si stesse rifiutando di sposarla.