Il treno di mezzanotte per l’ignoto

di Ken Follett

 

 

Titolo originale: A Midnight Train to Nowhere 

Traduzione di Annalisa Baldassarini

© 1975 London Evening News

Raccolto ne Il binario dei delitti (InvernoGiallo ’99) 

 

 

 

Il conducente stava pensando alle vincite della lotteria, allo champagne, al prepensionamento, ad una vacanza in Giamaica e alle belle ragazze in bikini quando, con la vista annebbiata dai suoi sogni a occhi aperti, vide una stazione e schiacciò il freno. 

Il capotreno stava leggendo un’edizione economica che raccontava le confessioni di un lattaio e quest’ultimo era appena stato invitato in un monolocale da due ragazze in veste da camera quando la vettura si fermò. Automaticamente, il capotreno pigiò il bottone per l’apertura delle porte.

Poi alzò lo sguardo dal libro, si rese conto del suo errore e chiuse subito le porte.

Il conducente si riprese dalle sue fantasticherie sulla Giamaica, si rese conto anche lui del proprio errore ed aggrottò le sopracciglia con aria perplessa.

Il treno si allontanò.

 

Janet era sulla banchina e si stropicciava gli occhi. Si era svegliata di soprassalto e, rendendosi conto di aver oltrepassato Euston da un pezzo, era scesa di corsa proprio mentre si stavano chiudendo le porte.

Mentre le luci del convoglio svanivano si lasciò scappare un’imprecazione. Si era addormentata su un libro di storie dell’orrore e l’ultima stazione che ricordava era quella di Hendon Central. Era mezzanotte. Doveva esserci ancora un altro treno nell’altra direzione.

I suoi tacchi facevano un rumore fastidioso sul cemento mentre si dirigeva verso il cartello che indicava l’uscita. Le luci della stazione sembravano molto fioche e lei dovette scrutare in lontananza per vedere dove finiva la banchina.

Seguì i cartelli di metallo arrugginito che indicavano la linea diretta a nord.

La panchina di legno era coperta da uno spesso strato di polvere. «Tipico dei trasporti londinesi» pensò. Frugò nella borsetta per cercare un fazzolettino di carta e pulì un pezzetto della panchina, poi appallottolò il fazzolettino e lo lasciò cadere in un cestino per i rifiuti. 

«Non ci sono mai abbastanza cestini» rifletté automaticamente. «Se li mettessero, le stazioni non diventerebbero così sporche...» Però, stranamente, quella banchina non era affatto sporca. C’era soltanto uno spesso strato di polvere. Dappertutto. E l’aria odorava di muffa.

Rabbrividì e guardò con impazienza l’orologio. Era ora che arrivasse quel treno...

Qualcosa le passò velocemente sui piedi e lei fece un balzo; lasciandosi scappare un gridolino. Poi vide un topolino che spariva in un piccolo buco nel muro. — Oh, che schifo! — esclamò.

Si guardò in giro imbarazzata, ma non c’era nessuno sulla banchina che potesse aver sentito il suo grido. Non poteva più sedersi: chissà, forse c’era un nido di quelle orribili creature... Ma dov’era quel maledetto treno?

Aveva fame. Trovò una monetina nel borsellino e andò a cercare una di quelle macchinette che distribuiscono la cioccolata. Ce n’era una in fondo alla banchina, ma era vuota. Probabilmente era tanto tempo che non veniva rifornita perché tutt’intorno c’erano ragnatele.

Un leggera brezza le arruffò la frangia bionda. Finalmente: il treno stava arrivando.

La brezza si trasformò in una vera e propria folata di vento e il convoglio entrò sferragliando nella stazione. Mentre rallentava, lei vide l’interno delle carrozze illuminate e quasi vuote. 

In una c’era una coppia che stava pomiciando; in un’altra, un uomo si era addormentato con il giornale in faccia. La terza era pervasa da una nebbiolina grigia: proveniva dalla pipa di un vecchio signore che stava fumando beatamente. 

Janet si avvicinò al bordo della banchina, ma il treno incominciò ad accelerare.

Rimase a bocca aperta. — No! — gridò. — Non vi siete fermati! — La sua voce, però, fu sommersa dal rumore del treno che accelerava. — Fermatevi! — urlò invano. L’ultima carrozza scomparve nella gola nera del tunnel e il rumore svanì in lontananza. 

Janet guardò il tunnel con aria perplessa. Queste cose non succedevano mai, neanche sulla Northern Line. Come poteva un conducente dimenticare di fermarsi? 

All’improvviso quella stazione le fece venire i brividi. Poster macchiati, luci fioche, panchine polverose, ragnatele... e ora quel treno che non si era fermato. Si fece forza per combattere il panico. 

— Non sono spaventata — disse ad alta voce. — Adesso vado su per le scale mobili, pago il supplemento e vado a casa in taxi. Poi scriverò una bella lettera di fuoco all’azienda dei trasporti di Londra! 

Janet tirò fuori il biglietto e si avviò all’uscita. «No, io non voglio pagare il supplemento» decise. «Mi faranno causa e io racconterò al tribunale che i conducenti della Northern Line hanno talmente fretta di andare a casa che non si preoccupano nemmeno di fermarsi alle stazioni. La notizia andrà a finire sui giornali e succederà un pandemonio...» 

Tutta indignata, voltò l’angolo e si incamminò a grandi passi lungo il passaggio. Ma si dovette fermare subito.

Il corridoio era sbarrato con delle assi. «Devo aver girato dalla parte sbagliata» pensò.

Ritornò sui suoi passi, cercando una via d’uscita, ma andò di nuovo a finire sulla banchina di prima. Improvvisamente si sentì terrorizzata.

Corse di nuovo all’uscita bloccata e poi di nuovo alla banchina. Era impossibile... cos’era, una stazione fantasma, un posto nel limbo del soprannaturale dove le anime perse vagano per l’eternità, stringendo tra le mani i loro biglietti del metrò, maledicendo il conducente che si era fermato per sbaglio e il capotreno che aveva azionato l’apertura delle porte prima di rendersi conto dell’errore? 

Si mise a urlare, a lungo e molto forte. Non sapeva neanche più quello che stava facendo. Si appoggiò al muro vicino alla panchina e serrò gli occhi, sperando di risvegliarsi nel suo letto. 

Dopo un po’ il topolino uscì fuori e la fissò.

Come in sogno, sentì una voce con un accento indiano che diceva: — I treni non si fermano in questa stazione. — Una mano la scosse per le spalle. Alzò lo sguardo e vide un volto dalla pelle scura con un paio di occhi bianchi che la stavano fissando, e si mise di nuovo a urlare.

— Calma, per piacere! — disse l’uomo. 

— Sono all’inferno, vero? — ribatté Janet. 

L’uomo tirò fuori la piantina del metrò dalla tasca della tuta, appoggiò la scopa e indicò un punto.

Janet lesse a voce alta: — Stazione chiusa fino al giugno del 1976.

— Non è all’inferno. È nella stazione di Strand.