Un uomo chiamato Spade

di Dashiell Hammett

 

 

Titolo originale: A Man Called Spade 

Traduzione di Hilja Brinis 

© 1932 Dashiell Hammett 

Raccolto ne Inverno Giallo ’74-’75 (1975) 

 

 

 

Samuel Spade spinse da parte il telefono e guardò l’orologio. Mancava poco più di un minuto alle quattro.

— Iu-huu! — chiamò. 

Effie Perine entrò dall’ufficio esterno. Stava mangiando un pezzo di torta di cioccolata. 

— Di’ a Sid Wise che non potrò andare a quell’appuntamento, questo pomeriggio. 

Lei si mise in bocca l’ultimo pezzetto di torta e si leccò le punte del pollice e dell’indice. — È la terza volta, questa settimana.

Quando Spade sorrideva, inarcava le sopracciglia a V. — Lo so, ma debbo assolutamente uscire per salvare una vita in pericolo. — Accennò al telefono. — Qualcuno sta mettendo paura a Max Bliss. 

Lei rise. — Probabilmente qualcuno che si chiama signor Coscienza.

Spade la guardò, sollevando gli occhi dalla sigaretta che aveva cominciato ad arrotolarsi. — Sai niente di lui che anch’io farei bene a sapere? 

— Niente che tu non sappia già. Pensavo semplicemente a quando lasciò che suo fratello finisse a San Quintino. 

Spade alzò le spalle. — Bah, ne ha fatte di peggio. — Accese la sigaretta, si alzò, prese il cappello. — Ma adesso riga diritto. Tutti i clienti di Samuel Spade sono persone oneste e timorate di Dio. Se non torno per l’ora di chiusura, vai pure. 

 

Si fermò davanti a un palazzone di Nob Hill, salì, premette il campanello di una porta contrassegnata 10K. La porta venne aperta immediatamente da un uomo alto e corpulento, con un vestito scuro e spiegazzato. L’uomo era quasi calvo e in mano teneva un cappello grigio. 

— Salve, Sam — disse. Sorrideva, ma non per questo gli occhi piccini perdevano la loro espressione accorta. — Come mai sei qui? 

— Ciao, Tom — disse Spade, con voce inespressiva. — Bliss non c’è? 

— C’è! — Tom abbassò in una smorfia gli angoli delle grosse labbra. — È in casa, puoi stare tranquillo. 

Spade aggrottò la fronte. — Be’?

Un uomo apparve in anticamera, alle spalle di Tom. Era più basso di Tom e di Spade, ma solido. Aveva una faccia quadrata, piuttosto sanguigna e baffi grigi, tagliati corti. I suoi abiti erano ben stirati. Portava una bombetta nera spinta quasi sulla nuca. 

Spade si rivolse al nuovo arrivato. — Salve, Dundy.

Dundy assentì brevemente e si avvicinò. I suoi occhi azzurri erano duri e sospettosi. 

— Che c’è? — domandò Tom. 

— M-a-x B-l-i-s-s — scandì con pazienza Spade. — Voglio vederlo. Lui vuole vedere me. Capito? 

Tom rise. Dundy no. Tom osservò: — Uno soltanto di voi due realizzerà il suo desiderio. — Poi lanciò un’occhiata a Dundy, di sotto in su, e smise di ridere. 

Spade tornò ad accigliarsi — Insomma — scattò, inalberandosi — è morto o ha ucciso qualcuno?

Dundy levò la faccia quadrata verso Spade e parve spingere fuori le parole con il labbro inferiore, ad una ad una. — Come sei andato a pensare a cose del genere? 

— Capirai! — esclamò Spade. — Vengo qui su invito del signor Bliss, mi vedo fermare sulla porta da due agenti della Squadra Omicidi e che cosa dovrei pensare? Che sono venuto a interrompe una partita a briscola? 

— Smettiamola, Sam — brontolò Tom, senza guardare né Spade né il collega. — Bliss è morto. 

— Assassinato?

Tom mosse lentamente la testa in su e in giù. Ora guardava Spade. — Che cosa sai di questa storia? 

Spade prese a recitare in tono volutamente monotono: — Mi ha telefonato questo pomeriggio – saranno state le quattro meno cinque, credo, perché ho guardato l’ora dopo che lui aveva riattaccato e mancavano ancora uno o due minuti alle quattro – e ha detto che qualcuno voleva la sua pelle. Mi pregava di venire subito qui. Sembrava convinto d’essere in pericolo... e in effetti c’era dentro fino al collo. — Spade abbozzò un gesto vago con la mano. — Bene, eccomi qui. 

— Non ha detto chi lo minacciava o come? — domandò Dundy. 

Spade scosse la testa. — No. Ha detto soltanto che qualcuno gli aveva promesso di fargli la festa, che lui ci credeva, e se per favore venivo subito qui.

— E non ha ...? — stava per insistere Dundy. 

— Non mi ha detto niente altro — ripeté Spade. — E voialtri, a me, non dite niente? 

Dundy autorizzò, sbrigativo: — Vieni di là, a dargli un’occhiata.

— È uno spettacolo — commentò Tom. 

Attraversarono l’anticamera e oltrepassarono una porta che immetteva in un soggiorno verde e rosa. 

Un uomo vicino alla porta smise di spruzzare polverina bianca sul piano di un tavolinetto di vetro per dire: — Ciao, Sam. 

Spade gli fece un cenno, replicò: — ’me va, Phels? — poi salutò da lontano altri due individui che stavano parlando presso una finestra. 

Il morto giaceva a terra, con la bocca aperta. Parte dei vestiti gli era stata strappata di dosso. La gola era gonfia e livida. La punta della lingua, che spuntava da un angolo della bocca, era gonfia e azzurrognola. Sul petto nudo, all’altezza del cuore, era stata tracciata in inchiostro nero una stella a cinque punte, con al centro una T.

Spade guardò il morto e rimase per qualche istante a studiarlo, senza parlare. Poi domandò: — È stato trovato così?

— Pressappoco — disse Tom. — L’abbiamo rigirato un po’. — Accennò con il pollice alla giacca, al gilè, alla camicia e alla maglia che adesso erano su un tavolo. — Quelli erano sparpagliati sul pavimento. 

Spade si grattava il mento. I suoi occhi, d’un grigio verdastro, avevano un’espressione assorta. — Quando?

— Siamo stati chiamati alle quattro e venti — disse Tom. — Ci ha telefonato la figlia. — Con la testa, accennò verso una porta chiusa. — Ora la vedrai. 

— Sa niente? 

— Lo sa il Cielo — rispose stancamente Tom. — Finora è stato piuttosto difficile averci a che fare. — Si rivolse a Dundy. — Vogliamo provare a interrogarla di nuovo? 

Dundy assentì, poi si girò verso uno degli uomini presso la finestra. — Comincia a guardare tra le sue carte, Mack. Pare che sia stato minacciato.

— Bene — disse Mack. Si calò ben bene il cappello sugli occhi e si diresse verso un secrétaire verde all’altra estremità della stanza. 

Un uomo entrò dal corridoio: un omone sulla cinquantina, con il volto grigiastro solcato da profonde rughe sotto il cappello nero a tesa piuttosto larga. Disse: — Ciao, Sam — poi continuò, rivolto a Dundy: — Ha avuto una visita verso le due e mezzo, un tale che si è fermato circa un’ora. Un pezzo d’uomo biondo vestito di marrone, sui quaranta, quarantacinque. Non si è fatto annunciare. L’ho saputo dal filippino addetto all’ascensore. 

— Sicuro che si sia fermato soltanto un’ora? — domandò Dundy. 

L’uomo dalla faccia grigia scosse la testa. — Ma è sicuro che non potevano essere passate le tre e mezzo, quando se n’è andato. L’uomo dell’ascensore dice che a quell’ora arrivano i giornali del pomeriggio, e che quell’uomo era appena sceso con lui quando sono arrivati. — Si spinse il cappello sulla nuca per grattarsi la testa, poi puntò il dito tozzo al disegno in inchiostro sul petto del morto e domandò, con voce un po’ lagnosa: — Cosa diavolo è, secondo voi, quell’affare lì? 

Nessuno gli rispose. Dundy domandò: — L’addetto all’ascensore è in grado di identificarlo, quel tizio? 

— Dice di sì, ma questo non vuol dir niente. Dice che non l’aveva mai visto, prima di oggi. — Smise di fissare il morto. — La telefonista mi sta preparando l’elenco delle telefonate. Come va, Sam? 

Spade assicurò che andava abbastanza bene. Poi osservò, lentamente: — Il fratello è grosso e biondo, sui quaranta, quarantacinque.

Gli occhi azzurri di Dundy erano duri e attenti. — E con ciò?

— Ricordi, no, la truffa del prestito Graystone? C’erano immischiati tutti e due, ma Max riuscì a scaricare tutto sulle spalle di Theodore, il quale si beccò quattordici anni, a San Quintino. 

Dundy ascoltava, tentennando lentamente la testa. — Sì, ora ricordo. Theodore dov’è, adesso?

Spade, con una stretta di spalle, si accinse ad arrotolarsi una sigaretta.

Dundy allungò una gomitata a Tom. — Vedi di saperlo. 

— D’accordo — disse Tom. — Ma se il biondo è uscito di qui alle tre e mezzo, e Max alle quattro meno cinque era ancora vivo... 

— Vedi di saperlo — ripeté Dundy. 

— Sì, sì, subito — disse Tom, e andò al telefono. 

Dundy si rivolse a quello con la faccia grigia: — Controlla la storia dei giornali; senti un po’ a che ora sono stati consegnati, di preciso.

L’altro assentì e lasciò la stanza.

L’agente che stava frugando tra le carte disse: — Ah-ha! — e si girò, reggendo un foglietto in una mano e una busta nell’altra.

— C’è qualcosa? — domandò subito Dundy. 

L’altro ripeté: — Ah-ha! — e gli consegnò il foglio.

Spade si avvicinò a Dundy per vedere di che si trattava.

Era un foglietto di carta bianca comune, con su un messaggio a matita in grafia ordinata e impersonale: 

 
Quando questo biglietto ti raggiungerà io ti sarò troppo vicino perché tu possa sfuggirmi, stavolta. Regoleremo i conti, una volta per tutte. 
 

La firma era una stella a cinque punte che racchiudeva una T: lo stesso disegno che appariva sul petto del morto.

Dundy tese la mano per farsi dare anche la busta. Il francobollo era francese. L’indirizzo era battuto a macchina:

 

MAX BLISS, EXQ.

AMSTERDAM APARTMENTS

SAN FRANCISCO, CALIF.

U.S.A.

 

— È stata spedita da Parigi il giorno due — disse Dundy. Contò rapidamente sulle dita. — Eh, sì, sarebbe arrivata oggi. — Piegò lentamente il foglietto, lo rimise nella busta, ripose la busta nella tasca della giacca. — Continua a cercare — ordinò all’uomo che aveva trovato il messaggio. 

L’uomo tornò a rovistare tra le carte. Dundy guardò Spade. — Che cosa ne pensi?

La sigaretta di Spade oscillò in su e in giù, a tempo con le parole. — Non mi piace. Non mi piace per niente, questa storia.

Tom mise giù il telefono. — È uscito il quindici del mese scorso — annunciò. — Ho lasciato detto di ritrovarlo. 

Spade andò al telefono, formò un numero, chiese del signor Darrell. Poi: — Ciao, Harry, sono Sam Spade... Bene. Lil come sta?... Sì... Ascolta, Harry, che cosa significa una stella a cinque punte con una T maiuscola al centro?... Come? Ah, sì, sì, ho capito... E se si trova su un cadavere?... nemmeno io... Sì, e grazie. Ti dirò tutto quando ci vediamo… Sì, dammi un colpo di telefono… Grazie. Ciao. 

Dundy e Tom lo stavano osservando attentamente, quando si scostò dall’apparecchio. Lui spiegò: — È un tale che s’intende di tante cose. Dice che è un pentagramma con un tau greco al centro; un segno che usavano i maghi. Può darsi che i rosacrociani lo usino ancora. 

— Che roba è un rosacrociano? — domandò Tom. 

— Potrebbe anche essere l’iniziale di Theodore, senza andare nel difficile — osservò Dundy 

Spade alzò le spalle e osservò, con indifferenza: — Già, ma se teneva tanto a siglare il lavoro, perché allora non ha firmato addirittura per esteso? — Poi continuò, in tono più riflessivo: — Rosacrociani ce ne sono tanto a San José che a Punta Loma. Non mi sorride molto, l’idea, ma forse faremmo bene ad occuparci anche loro. 

Dundy assentì.

Spade guardò gli indumenti del morto ammassati sul tavolo. 

— C’era niente nelle tasche? 

— Soltanto le solite cose — rispose Dundy. — È tutto là, in ogni modo. 

Spade si avvicinò al tavolo ed esaminò il mucchietto di oggetti accanto agli abiti: orologio e catena, chiavi, portafoglio, agendina, spiccioli, matita d’oro, fazzoletto e astuccio degli occhiali. Non toccò niente e prese invece in mano, uno alla volta, gli indumenti del morto: giacca, gilè, camicia e maglietta. Accanto a quelli, sul tavolo, c’era anche una cravatta blu. La esaminò, accigliato. — Non è mai stata messa — disse.

Dundy, Tom e l’inviato della magistratura, che nel frattempo se n’era rimasto in silenzio presso la finestra — un uomo mingherlino, con una faccia bruna, affilata e intelligente — si avvicinarono insieme per osservare la cravatta nuova di zecca. 

Tom sbuffò, avvilito. Dundy imprecò tra i denti. Spade sollevò la cravatta per osservarla sul rovescio. L’etichetta era di un negozio di articoli per uomo di Londra. 

— Ma bene! — commentò allegramente Spade. — San Francisco. Punta Loma. San José. Parigi. Londra. 

L’uomo con la faccia grigia ritornò. — I giornali sono arrivati qui alle tre e mezzo, puntualissimi — disse. Sgranò un poco gli occhi. — Che c’è? — domandò. Poi, nell’attraversare la stanza per avvicinarsi agli altri, aggiunse: — Non ho trovato nessuno che abbia visto il biondone tornare qui di nascosto. — Infine rimase a fissare la cravatta, con aria un po’ perplessa, finché Tom brontolò: — È nuova di zecca. — Al che, lui zufolò piano, tra i denti. 

Dundy si rivolse a Spade. — Al diavolo anche la cravatta — disse, in tono amareggiato. — Vediamo. Bliss ha un fratello che ha buoni motivi per non volergli bene. Il fratello è appena uscito di galera. Qualcuno che assomiglia al fratello se n’è andato di qui alle tre e mezzo. Venticinque minuti dopo, Bliss ha telefonato a te, dicendo d’essere stato minacciato. Passa meno di mezz’ora e la figlia, rientrando, lo trova morto: strangolato. — Dundy puntò l’indice contro il petto dell’uomo piccolo e bruno. — Esatto? 

— Strangolato da un uomo — precisò l’altro. — I segni delle mani erano grandi. 

— Giusto — disse Dundy, e tornò a rivolgersi a Spade. — Troviamo un biglietto di minacce. Forse era di quello, che Bliss voleva parlarti; o forse, di qualcosa che gli aveva detto il fratello. Non facciamo ipotesi, per ora. Atteniamoci a quello che sappiamo. Sappiamo che... 

L’uomo che frugava tra le carte si voltò e disse: — Ho trovato qualcos’altro. — Aveva assunto un fare vagamente tronfio.

Gli sguardi con i quali i cinque riuniti presso il tavolo lo fissarono erano ugualmente freddi e privi di entusiasmo. 

Lui, per niente turbato da quell’ostilità, lesse a voce alta:

 
Caro Bliss:
ti scrivo per dirti, per l’ultima volta, che rivoglio il mio denaro, e che lo rivoglio tutto entro il primo del mese. Se non lo riavrò, farò i miei passi, e tu dovresti essere in grado di capire a che cosa alludo. E non credere che scherzi. Tuo, 
Daniel Talbot.
 

Sorrise. — Così, ora avete un’altra T. — Prese in mano la busta. — Il timbro è di San Diego, la data il venticinque del mese scorso. Bene, avete anche un’altra città.

Spade scosse la testa. — Punta Loma è da quelle parti — disse.

Si avvicinò, con Dundy, per esaminare la lettera. Era scritta in inchiostro blu su carta da lettere bianca di buona qualità; la stessa mano aveva scritto l’indirizzo sulla busta, in una grafia fitta e angolosa che sembrava non avere niente in comune con quella della missiva scritta a matita. 

— Ora cominciamo a vederci più chiaro — scherzò Spade, con ironia. 

Dundy fece un gesto impaziente. — Atteniamoci a quello che sappiamo — brontolò. 

— Benissimo — approvò Spade. — E cos’è? 

Non vi fu risposta.

Spade estrasse di tasca il tabacco e le cartine. — Sbaglio o qualcuno aveva proposto di parlare con la figlia? — domandò. 

— Adesso le parleremo. — Dundy girò sui tacchi, poi si fermò improvvisamente a fissare il morto sul pavimento. Lo indicò, rivolgendosi all’uomo mingherlino con la faccia bruna. — Finito? 

— Ho finito, sì.

Dundy apostrofò in tono sbrigativo Tom: — Fallo portar via. — Infine, parlò al poliziotto con la faccia grigia: — Appena avrò finito con la ragazza, voglio vedere tutti e due i fattorini degli ascensori. 

Andò fino alla porta chiusa che Tom aveva indicato a Spade e bussò. 

Dall’interno, una voce femminile un po’ aspra domandò: — Che c’è?

— Tenente Dundy. Voglio parlare con la signorina Bliss. 

Seguì un silenzio, poi la voce disse: — Avanti.

Dundy aprì la porta, e Spade lo seguì in una stanza grigia, nera e argento, dove una donna di mezz’età, piuttosto brutta e ossuta, in vestito nero e grembiule bianco, sedeva accanto a un letto sul quale era sdraiata una ragazza. 

La ragazza, gomito sul cuscino, guancia sulla mano, era distesa in modo da guardare verso la donna brutta e ossuta. Aveva suppergiù diciotto anni. I capelli erano biondi e corti, la faccia aveva lineamenti nitidi e notevolmente irregolari. Non guardò i due uomini che stavano entrando. 

Dundy parlò alla donna, mentre Spade accendeva la sigaretta. — Anche a voi vogliamo fare un paio di domande, signora Hooper. Siete la governante di Bliss, vero? 

— Sì — confermò lei. La voce leggermente aspra, lo sguardo diritto degli occhi grigi profondamente incassati, l’immobilità e le dimensioni delle mani abbandonate in grembo, tutto contribuiva all’impressione di calma e di forza che emanava da lei. 

— Che cosa sapete di questa storia? 

— Non ne so proprio niente. Avevo avuto una mattinata di permesso per andare a Oakland, al funerale di un mio nipote, e al mio ritorno ho trovato qui voi e quegli altri signori... ed era già successo tutto. 

Dundy assentì e domandò: — Che cosa ne pensate?

— Non so che cosa pensare — rispose lei, con semplicità. 

— Secondo voi, Bliss si aspettava qualcosa del genere? 

A questo punto, la ragazza smise improvvisamente di guardare verso la signora Hooper. Si alzò a sedere in mezzo al letto, volgendo su Dundy gli occhi dilatati dall’agitazione, e domandò: — Che cosa volete dire?

— Quello che ho detto. Era stato minacciato. Aveva telefonato al signor Spade... — Dundy, con un cenno, indicò Spade — ... e gliel’aveva detto, pochi minuti prima d’essere ucciso. 

— Ma chi...? — cominciò a dire lei. 

— È quello che vogliamo sapere da voi — disse Dundy. — Chi poteva avere tanto rancore verso di lui? 

La ragazza lo fissava, meravigliata. — Nessuno poteva... 

Spade la interruppe, parlando con una dolcezza che faceva sembrare le sue parole un po’ meno brutali. — Eppure, qualcuno c’era. — Aspettò che la ragazza guardasse verso di lui e domandò: — Sapete niente di qualche minaccia?

Lei scosse la testa con enfasi.

Spade guardò la signora Hooper. — Voi?

— No, signore — rispose la donna. 

Spade riportò l’attenzione sulla ragazza. — Conoscete Daniel Talbot?

— Sì, perché? — disse lei. — Era qui a cena, ieri sera. 

— Chi è? 

— Non lo so. So soltanto che sta a San Diego e che lui e papà avevano non so che affari in comune. Era la prima volta che lo vedevo. 

— In che termini erano, Talbot e vostro padre? 

Lei rifletté, parlò lentamente: — Cordiali.

Dundy interloquì: — Vostro padre di che cosa si occupava?

— Era un finanziere.

— Un finanziatore, volete dire? 

— Sì, mi pare che si dica così. 

— Talbot dove alloggia, o è ritornato a San Diego?

— Non lo so. 

— Com’è, d’aspetto? 

Lei tornò a concentrarsi, aggrottando la fronte. — Piuttosto grosso, con la faccia rossa, baffi e capelli bianchi.

— Vecchio? — domandò Dundy. 

— Avrà sessant’anni, credo; cinquantacinque, come minimo. 

Dundy guardò Spade, che schiacciò il mozzicone della sigaretta in un piattino posato sulla pettiniera e ricominciò a interrogare la ragazza. — Da quanto tempo non vedete vostro zio? 

Lei arrossì. — Chi, lo zio Ted?

Spade assentì.

— Non lo vedo da... — cominciò a dire lei, e si morse il labbro. Poi aggiunse: — Sapete tutto, immagino. Non lo vedo da quando è uscito di prigione. 

— È venuto qui? 

— Sì.

— A trovare vostro padre? 

— Certo.

— In che termini erano? 

Lei sgranò gli occhi. — Nessuno dei due è molto espansivo — osservò — ma sono fratelli, e papà gli stava dando del denaro per rimettersi in affari.

— Allora erano in ottimi rapporti? 

— Sì — rispose lei, con il tono di chi si sente fare una domanda oziosa. 

— Vostro zio dove abita? 

— In Post Street — disse lei, e specificò il numero. 

— E non l’avete più visto, da quella volta? 

— No. Si vergognava un po’, capite, era stato in prigione... — Finì la frase con un gesto della mano. 

Spade si rivolse alla signora Hooper: — Voi l’avete più visto, in seguito?

— No, signore. 

Lui sporse le labbra, parlò lentamente: — Nessuna di voi sa che Theodore Bliss è stato qui, questo pomeriggio?

— No — risposero, insieme. 

Qualcuno bussò all’uscio. 

— Avanti — disse Dundy.

Tom aprì la porta di uno spiraglio sufficiente per metter dentro la testa. — C’è qui il fratello — annunciò. 

La ragazza si protese in avanti, chiamando: — Zio Ted!

Un omone biondo, vestito di marrone, apparve dietro Tom. Era abbronzato al punto che i suoi denti sembravano molto più bianchi e gli occhi molto più azzurri di quanto non fossero in realtà. 

— Che c’è, Miriam? — domandò. 

— Papà è morto — disse lei, e si mise a piangere. 

Dundy fece un cenno a Tom, che si fece da parte per lasciar entrare Theodore Bliss nella stanza.

Una donna entrò dietro di lui, lentamente, esitando. Era alta, sulla trentina, bionda e piuttosto formosa. Aveva lineamenti morbidi, un viso gradevole e intelligente. Portava un cappellino nocciola e una pelliccia di visone. 

Bliss abbracciò la nipote, la baciò sulla fronte, sedette sul letto accanto a lei. — Su, su — la consolò, goffamente.

Miriam vide la bionda, la fissò per un attimo tra le lagrime e disse: — Oh, signorina Barrow, venite avanti. 

— Sono terribilmente addolorata... — cominciò a dire la bionda. 

Bliss si schiarì la gola e interloquì: — Ora è la signora Bliss. Ci siamo sposati questo pomeriggio. Dundy guardò rabbiosamente Spade. Spade, che si stava preparando una sigaretta, sembrava sul punto di mettersi a ridere. 

Miriam Bliss, dopo un attimo di meravigliato silenzio, esclamò: — Oh, i miei auguri più sinceri, allora! — Si rivolse allo zio, mentre la bionda signora Bliss mormorava: — Grazie — e aggiunse: — Anche a te, zio Ted. 

Lui le batté sulla spalla e la strinse a sé. Fissava Spade e Dundy con aria interrogativa. 

— Vostro fratello è morto questo pomeriggio — disse Dundy. — È stato assassinato. 

La signora Bliss trattenne il respiro. Bliss ebbe un sussulto, contrasse involontariamente il braccio attorno alle spalle della nipote, ma non cambiò in niente la sua espressione. — Assassinato? — ripeté, come se non capisse. 

— Sì. — Dundy sprofondò le mani nelle tasche della giacca. — Siete stato qui, nel pomeriggio. 

Theodore Bliss impallidì un poco sotto l’abbronzatura ma rispose con voce ferma: — Sì, è vero. 

— Quanto tempo?

— Circa un’ora. Sono arrivato qui verso le due e mezzo e... — Si girò verso la moglie: — Erano quasi le tre e mezzo quando ti ho telefonato, vero? 

— Sì — confermò lei. 

— Bene, sono uscito di qui subito dopo. 

— Avevate appuntamento con lui? — domandò Dundy. 

— No. Gli avevo telefonato in ufficio... — e accennò alla moglie — ... ma mio fratello era già uscito per venire a casa, così sono venuto direttamente qui. Volevo vederlo prima che Elise e io ce ne andassimo, è logico, e volevo anche dirgli di venire al matrimonio, ma lui non poteva. Mi ha detto che aspettava una persona. Siamo rimasti a chiacchierare più a lungo del previsto, così ho dovuto telefonare ad Elise per dirle che ci saremmo trovati addirittura in municipio. 

Dopo una pausa meditabonda, Dandy comandò: — A che ora? 

— A che ora ci siamo trovati là? — Bliss guardò con aria interrogativa la moglie, che disse: — Erano le quattro meno un quarto in punto. — Le sfuggì una risatina. — Ero arrivata per prima e non facevo che guardare l’orologio.

Con molta certezza, Bliss precisò: — Erano passate le quattro da pochi minuti, quando ci siamo sposati. Abbiamo dovuto aspettare il giudice Whitefield per più di dieci minuti, che doveva terminare un’udienza, e poi, tra una cosa e l’altra, si sono fatte le quattro passate. Potete controllare, del resto.

Spade si girò di scatto e si rivolse a Tom. — Tanto varrebbe farlo subito.

— Bene — disse Tom, e lasciò la stanza. 

— Se è così, siete in regola, signor Bliss — disse Dundy — ma io queste cose sono tenuto a domandarle. Allora, vostro fratello vi ha detto chi stava aspettando? 

— No. 

— Ha fatto qualche accenno a minacce ricevute? 

— No. Dei fatti suoi non parlava mai con nessuno, nemmeno con me. Era stato minacciato? 

Dundy strinse un poco le labbra. — Eravate in buoni rapporti con vostro fratello? — chiese.

— Sì, sì, cordialissimi.

— Ne siete sicuro? — domandò Dundy. — Siete proprio certo che nessuno dei due nutrisse del rancore verso l’altro? 

Theodore Bliss liberò il braccio che teneva attorno alle spalle della nipote. Il pallore, aumentando, faceva apparire la sua faccia giallognola. — Tutti, qui — disse — sanno che sono stato a San Quintino. Se è lì che volete arrivare, ditelo pure con chiarezza. 

— Sì, è così — ammise Dundy. — Ebbene? 

Bliss si alzò. — Ebbene, che cosa? — domandò, spazientito. — Se avevo del rancore contro mio fratello per questo motivo? No. E perché, poi? C’eravamo immischiati tutti e due, nella faccenda, ma lui poteva uscirne, io no. Comunque fossero andate le cose per lui, io ero sicuro di venire condannato. Il vederlo finire in galera insieme a me non m’avrebbe giovato in nessun modo. Ne parlammo e decidemmo che io mi sarei lasciato condannare e che lui sarebbe rimasto libero, per sistemare le cose dall’esterno. E infatti, aggiustò tutto. Se vi fate mostrare il suo rendiconto bancario, vedrete che m’aveva dato un assegno di venticinquemila dollari due giorni dopo che io ero stato dimesso da San Quintino. Inoltre, non vi sarà difficile accertare che mille azioni della National Steel Corporation sono state trasferite dal suo nome al mio. 

Bliss sorrise, con aria di scusa, e tornò a sedersi sul letto. — Perdonate. Lo so che avete l’obbligo di fare certe domande.

Dundy ignorò le scuse. — Conoscete Daniel Talbot? — domandò.

— No — disse Bliss. 

— Io sì — interloquì la moglie. — Cioè, l’ho visto. È venuto ieri in ufficio. 

Dundy la squadrò attentamente, prima di domandare: — Quale ufficio?

— Sono... ero la segretaria del signor Bliss, e... 

— Di Max Bliss? 

— Sì, e un certo Daniel Talbot è venuto a parlargli ieri pomeriggio, se si tratta della stessa persona. 

— Com’è andata? 

Lei guardò il marito, che disse: — Se sai qualcosa dillo, per amor del Cielo.

— Be’ — disse lei — com’è andata... Non è successo niente di speciale. Da principio, m’è sembrato che non fossero troppo in buoni rapporti; ma quando sono usciti insieme ridevano e chiacchieravano, e prima che uscissero il signor Bliss mi aveva chiamata di là perché dicessi a Trapper – che è il contabile – di preparare un assegno all’ordine del signor Talbot. 

— E l’ha fatto? 

— Sì, sì. Io stessa ho portato l’assegno al signor Talbot. Era di settemilacinquecento dollari e rotti. 

— Per che cosa serviva? 

Lei scosse la testa. — Non lo so. 

— Se eravate la segretaria di Bliss — provò a insistere Dundy — dovevate bene avere un’idea di quali affari avesse con Talbot. 

— Ma non ce l’ho — disse lei — perché prima di quel momento non l’avevo mai sentito nominare. 

Dundy guardò Spade, ma questi fece finta di non accorgersene. Dundy gli lanciò un’ultima occhiataccia, poi fece un’altra domanda all’uomo seduto sul letto. — Che cravatta portava, vostro fratello, quando vi siete salutati? 

Bliss batté le palpebre, fissò un punto alle spalle di Dundy e, alla fine, chiuse gli occhi. Quando li riaprì, disse: — Era verde con... mah, se la vedessi la riconoscerei. Perché? 

— Verde, ma a strisce diagonali di gradazioni diverse — disse la signora Bliss. — È quella che aveva in ufficio stamattina. 

— Dove le teneva, le cravatte? — domandò Dundy alla governante. 

— Nell’armadio in camera sua — disse lei, alzandosi. — Vi faccio vedere. 

Dundy e i due sposi la seguirono.

Spade posò il cappello su un tavolino e domandò a Miriam Bliss: — A che ora siete uscita? — Si mise a sedere ai piedi del letto. 

— Oggi? Verso l’una. Avevo un appuntamento a pranzo, per l’una, ed ero un po’ in ritardo. Dopo, sono andata a fare spese e poi... — S’interruppe, scossa da un brivido. 

— E che ora era, quando siete arrivata a casa? — domandò lui. Parlava in tono tranquillo, cordiale. 

— Poco dopo le quattro, credo. 

— E che cos’è successo? 

— Ho t-trovato papà là in terra e ho telefonato... non so più se ho telefonato al portiere o alla polizia, e poi non ricordo quello che ho fatto. Sono svenuta, oppure ho avuto una crisi di nervi, non so bene. Ricordo soltanto d’essere tornata in me, a un certo punto e d’avere trovato quei due uomini e la signora Hooper. — Miriam lo guardava bene in faccia, ora. 

— Non avete telefonato a un medico? 

Lei, allora, abbassò gli occhi. — No, purtroppo.

— Be’, è logico, se avevate capito che era morto — osservò tranquillamente lui. 

La ragazza taceva.

— Sapevate che era morto? 

Miriam rialzò la testa e lo guardò, incerta. — Ma era morto — disse.

Spade le sorrise. — Certo. Ma io volevo sapere: ve ne siete assicurata, prima di telefonare? 

Lei si portò una mano alla gola. — Non ricordo quello che ho fatto — disse. — Devo averlo intuito, immagino, che era morto.

Spade assentì, comprensivo. — E se avete telefonato alla polizia è perché avete compreso che l’avevano assassinato. 

Lei intrecciò le dita, se le guardò e disse: — Penso di sì. È stato orribile. Non so più quello che ho pensato, o che ho fatto.

Spade si chinò verso di lei e parlò con voce bassa e persuasiva. — Non sono della polizia, signorina Bliss. Sono un investigatore privato. Sono stato ingaggiato da vostro padre... qualche minuto troppo tardi per arrivare in tempo a salvarlo. In un certo senso, ora lavoro per voi, perciò se c’è qualcosa che posso fare... qualcosa che la polizia magari non... — S’interruppe perché Dundy, seguito dai due Bliss e dalla governante, stava rientrando nella stanza. — E allora? 

— La cravatta verde non c’è — disse Dundy. Il suo sguardo sospettoso andava da Spade alla ragazza. — La signora Hooper dice che la cravatta blu, quella che abbiamo trovato, faceva parte di una mezza dozzina che Max Bliss aveva appena ricevuto dall’Inghilterra. 

— Qual è l’importanza della cravatta? — domandò Theodore. 

Dundy lo fissò, accigliato. — Era in parte svestito, quando lo abbiamo trovato noi. La cravatta gettata là insieme agli altri indumenti non è mai stata porta. 

— Escludete che si stesse cambiando d’abito quando è arrivato quello che l’ha ucciso, e che sia stato ucciso prima di poter fin di vestirsi? 

Dundy si accigliò ancora di più. — Già, ma della cravatta verde che cosa ne ha fatto? L’ha mangiata? 

— Non si stava cambiando — disse Spade. — Se osservate il colletto della camicia, vi convincerete che doveva averla addosso quando è stato strangolato. 

Tom apparve sulla porta. — Ho controllato ed è tutto in regola — disse a Dundy. — Il giudice e un cancelliere di nome Kittredge dicono che i due Bliss sono stati là dalle quattro meno un quarto fino alle quattro e cinque, quattro e dieci. Gli ho detto di venire a dare un’occhiata agli sposi, per vedere se sono proprio gli stessi. 

— Bravo — disse Dundy, senza nemmeno girare la testa, ed estrasse di tasca il messaggio di minacce scritto a matita firmato con la T circondata dalla stella. Lo piegò in modo che soltanto la firma fosse visibile, poi domandò: — Chi di voi sa cos’è? 

Mirian Bliss si alzò dal letto per guardare il disegno, insieme agli altri. Tutti osservarono e poi si guardarono tra loro, scuotendo la testa. 

— Nessuno ne sa niente? — domandò Dundy. 

— È uguale a quello che ho visto sul petto del povero signor Bliss — disse la governante — ma... — Gli altri dissero in coro: — No. 

— Nessuno ha mai visto un segno del genere prima d’ora? 

Risposero tutti di no.

— Sta bene — disse Dundy. — Aspettate qui. Forse, tra poco, avremo altre domande da farvi. 

— Un momento — interloquì Spade. — Signor Bliss, da quanto tempo conoscevate la signora Bliss? 

Bliss fissò Spade con un’occhiata strana. — Da quando sono uscito di prigione — rispose, con aria un po’ guardinga. — Perché?

— Dalla metà del mese scorso, insomma — mormorò Spade, quasi a se stesso. — L’avete conosciuta attraverso vostro fratello? 

— S’intende... nel suo ufficio. Perché? 

— E, in municipio, questo pomeriggio, siete rimasti sempre insieme? 

— Sì, certo. — Ora il tono di Bliss era tagliente. — Dove volete arrivare? 

Spade gli sorrise, amabilissimo. — Sono domande che debbo fare — rispose.

Sorrise anche Bliss. — Quand’è così... — Il sorriso si allargò. — Per essere esatti, ho detto una bugia. Non siamo rimasti proprio sempre insieme. Io sono uscito nel corridoio a fumare una sigaretta, ma vi assicuro che ogni volta che guardavo attraverso il vetro potevo vedere Elise seduta là dove l’avevo lasciata. 

Spade sorrideva con la stessa amabilità di Bliss. Ciò nonostante, domandò: — E quando non guardavate attraverso il vetro continuavate a rimanere al di là della porta? La signora non potrebb’essere uscita dalla stanza senza che voi ve ne accorgeste?

Il sorrise di Bliss si spense. — No, non avrebbe potuto uscire senza che la vedessi. E, del resto, sono rimasto là fuori soltanto cinque minuti.

— Grazie — disse Spade, e seguì Dundy nel soggiorno, chiudendo la porta dietro di sé. 

Dundy guardò Spade di sotto in su. — Qualche sospetto?

Spade si limitò a un’alzata di spalle.

Il cadavere di Max Bliss era stato portato via. Oltre all’agente che rovistava tra le carte e a quello con la faccia grigiastra, nella stanza c’erano due ragazzi filippini con le uniformi color prugna. Sedevano vicini sul divano.

— Mack — disse Dundy — devi trovarmi una cravatta verde. Metti sottosopra la casa, butta per aria il palazzo e l’intero vicinato, se occorre, ma trovala. 

Quello che rovistava tra le carte si alzò, disse: — Bene — si calò il cappello sugli occhi e uscì.

Dundy fissò severamente i due filippini. — Chi di voi ha visto l’uomo vestito di marrone?

Il più piccolo si alzò. — Io, signore.

Dundy aprì la porta della camera da letto e chiamò: — Bliss!

Bliss si fece sull’uscio.

Il filippino si illuminò. — Sì, signore, è lui.

Dundy richiuse la porta sulla faccia di Bliss. — Siediti.

Il ragazzo si affrettò a ubbidire.

Dundy continuò a fissarli con aria truce, finché quelli non cominciarono a stare sulle spine. Poi: — Chi altro avete accompagnato su in quest’appartamento, questo pomeriggio? 

Scossero la testa contemporaneamente, di qua e di là. — Nessun altro, signore — rispose il più piccolo. Un sorriso che tentava disperatamente d’ingraziarsi Dundy gli stirava le labbra da un orecchio all’altro. 

Dundy mosse un passo verso loro, con fare minaccioso. — Storie! — scattò. — Avete portato la signorina Bliss. 

Il ragazzo più grande mosse la testa in su e in giù. — Sì, signore. Sì, signore. Li ho portati su io. Credevo che intendeste dire altra gente. — Tentò anche lui di sorridere. 

Dundy lo guardava, facendo gli occhiacci. — Lascia perdere quello che credi tu. Rispondi a quello che ti domando. Allora, che significa “li ho portati su”? 

Il ragazzo smise di sorridere, sotto quello sguardo. Fissò il pavimento ai suoi piedi e disse: — La signorina Bliss e quel signore. 

— Quale signore? Quello che c’è di là? — Dundy accennò con la testa alla porta che aveva chiuso sul naso di Bliss. 

— No, signore. Un altro signore, non un signore americano. — Aveva alzato di nuovo la testa, e ora il suo volto aveva ritrovato la vivacità. — Credo che sia armeno. 

— Perché? 

— Perché non è come noi americani, non parla come noi. 

Spade rise e domandò: — L’hai mai visto un armeno? 

— No, signore. Ecco perché penso che... — Chiuse la bocca di scatto, mentre Dundy faceva udire un sordo brontolio. 

— Che aspetto aveva? — domandò Dundy. 

Il ragazzo alzò le spalle, allargò le mani. — Alto, come questo signore. — Indicava Spade. — Capelli neri, baffi neri. Molto... — rifletté, serio serio. — Molto ben vestito. Un signore molto elegante. Bastone, guanti, ghette, perfino... 

— Giovane? — domandò Dundy. 

La testa tornò ad andare su e giù. — Giovane. Sì, signore. 

— Quando è andato via?

— Dopo cinque minuti — rispose il ragazzo.

Dundy fece una smorfia, poi domandò: — A che ora erano arrivati?

Il ragazzo allargò le mani, alzò di nuovo le spalle. — Alle quattro... forse le quattro e dieci.

— Avevate portato su nessun altro, prima che arrivassero loro? 

I due filippini tornarono a scuotere la testa contemporaneamente. Dundy si rivolse a Spade, parlando a mezza bocca. — Chiamala.

Spade aprì la porta della camera da letto, s’inchinò leggermente, disse: — Volete favorire di qua un momento, signorina Bliss?

— Che cosa c’è? — domandò lei, sulle sue. 

— Un momento solo — ripeté Spade, tenendo aperta la porta. Poi d’improvviso aggiunse: — Sarà bene che veniate anche voi, signor Bliss. 

Miriam Bliss avanzò lentamente nel soggiorno, seguita dallo zio, e Spade richiuse la porta dietro di loro. Lei guardava preoccupata Dundy.

— Cos’è questa novità dell’uomo che è salito con voi? — domandò il tenente. 

Il labbro inferiore le tremò. — C-come? — Tentava di fingersi disorientata. Theodore Bliss attraversò in fretta la stanza, si fermò un momento davanti alla nipote, come se volesse dire qualcosa; poi, evidentemente cambiando idea, andò a mettersi dietro di lei, appoggiandosi a una sedia. 

— L’uomo che è arrivato con voi — incalzò Dundy, in tono aspro. — Chi è? Dov’è? Perché se n’è andato? Perché non avete detto che c’era anche lui? 

La ragazza nascose la faccia tra le mani e cominciò a piangere. — Non aveva niente a che fare con questa storia, lui — farfugliò, attraverso le dita. — Non c’entrava, e si sarebbe creato dei guai per niente. 

— Che caro giovanotto — commentò Dundy. — Così, per evitare di finire sui giornali, scappa e vi lascia sola con vostro padre assassinato. 

Lei si tolse le mani dal viso. — Sì, ma doveva andar via — scattò. — La moglie è molto gelosa. Se avesse saputo che era uscito di nuovo con me, avrebbe sicuramente chiesto il divorzio, e lui non ha un soldo che sia suo, capite?

Dundy guardò Spade. Spade guardò i due filippini, che ascoltavano a occhi sgranati, e con un gesto indicò la porta d’entrata. — Fuori — ordinò. Quelli se la svignarono, in tutta fretta. 

— E chi sarebbe questo gioiello d’uomo? — domandò Dundy alla ragazza. 

— Ma lui non ha niente a... 

— Chi è?

Lei abbassò lo sguardo, lasciò ricadere un poco le spalle. — Si chiama Boris Smekalov — disse, in tono stanco. 

— Dove abita? 

— Al St. Mark Hotel. 

— Che cosa fa, oltre a farsi mantenere dalla moglie? 

Negli occhi di lei balenò un lampo di collera, ma fu cosa di un istante. — Non fa niente.

Dundy si girò verso l’uomo dalla faccia grigia. — Portamelo qui. L’altro grugnì un assenso e infilò la porta.

Dundy tornò a girarsi verso la ragazza. — Voi e questo Smekalov sareste innamorati l’uno dell’altra? 

Miriam assunse un’espressione altera, fissò Dundy con occhi sprezzanti e non rispose. 

— Ora che vostro padre è morto — continuò lui — avrete abbastanza denaro per poterlo sposare, se la moglie divorzierà da lui? 

Miriam si coprì di nuovo la faccia con le mani.

— Ora che vostro padre è morto — ripeté lui — avrete...? 

Spade, con un balzo, la sostenne per impedirle di cadere. La sollevò, senza sforzo, e la trasportò in camera da letto. Quando ritornò, chiuse la porta dietro di sé e vi si appoggiò contro. — Sul resto non mi pronuncio — disse — ma lo svenimento era una commedia.

— Qui è tutta una commedia — scattò Dundy. — Dovrebb’esserci una legge che obblighi i criminali a costituirsi. 

Il signor Bliss sorrise e sedette alla scrivania del fratello.

La voce di Dundy aveva un tono antipatico. — Tu non hai niente di cui preoccuparti — disse a Spade. — Perfino il tuo cliente è morto e non può reclamare. Ma se io non ne vengo a capo, dovrò subirmi le rampogne del capitano, del capo della polizia, dei giornali e chissà di chi ancora. 

— Porta pazienza — disse Spade, per consolarlo. — Prima o poi catturerai un assassino, vedrai. — Si fece serio in volto, salvo le luci maliziose in fondo agli occhi tra il grigio e il verde. — Non per rendere questa faccenda più complicata di quanto già non lo sia, ma non ti pare che dovremmo interessarci meglio di quel funerale al quale asserisce d’essere andata la governante? C’è qualcosa di strano, in quella donna. 

Dundy, dopo avere fissato sospettosamente Spade per un istante, annuì.

— Lo farà Tom. 

Spade si voltò e, scuotendo un dito all’indirizzo di Tom, disse: — C’è da scommettere quello che vuoi che non c’è stato alcun funerale. Controlla... e attento a non prendere lucciole per lanterne. 

Poi aprì la porta della stanza da letto e chiamò la signora Hooper. — Il sergente Polhaus vuole alcune informazioni da voi — le disse.

Mentre Tom si annotava nomi e indirizzi che la donna gli forniva, Spade sedette sul divano ad arrotolarsi e a fumare una sigaretta, e Dundy passeggiò avanti e indietro lentamente, fissando accigliato il tappeto. Con l’approvazione di Spade, Theodore Bliss si alzò e ritornò di là, dalla moglie.

Finalmente, Tom si mise in tasca il taccuino, disse: — Grazie — alla governante — ci vediamo — a Spade e a Dundy, e lasciò l’appartamento.

La governante rimase dove lui l’aveva lasciata, brutta, forte, serena e paziente.

Spade si rigirò sul divano finché non si ritrovò a fissare negli occhi fermi e infossati di lei. — Non fateci caso — disse, accennando con la mano alla porta dalla quale era uscito Tom. — Si tratta di normale amministrazione. — Poi sporse le labbra e domandò: — Signora Hooper, in tutta franchezza, che cosa pensate di questa storia? 

Lei replicò calma calma, con la voce forte e un po’ aspra: — Penso che sia il castigo di Dio. 

Dundy smise di andare su e giù.

Spade disse: — Cosa?

Nella voce di lei c’era certezza, non agitazione. — La morte è il salario del peccato. 

Dundy cominciò ad avanzare verso la signora Hooper come un cacciatore che abbia appostato la preda. Spade gli fece segno di stare indietro, con la mano che il divano nascondeva alla donna. La sua faccia e la sua voce mostravano interesse, ma erano adesso composte come quelle di lei. — Peccato? — ripeté. 

— «Se qualcuno offenderà uno di questi piccoli innocenti che credono in me, meglio sarebbe per lui che gli venisse legata una pietra al collo e che fosse gettato in mare» — disse lei. Parlava non con il tono di chi fa una citazione ma come se stesse dicendo qualcosa in cui credeva. 

— Ma quale piccolo innocente? — la investì Dundy. 

La donna levò su di lui i suoi severi occhi grigi, poi guardò verso la porta della stanza da letto.

— Lei — disse. — Miriam. 

Dundy aggrottava la fronte. — La figlia?

— Sì. La figlia adottiva. 

La faccia quadrata di Dundy si accese di chiazze di collera. — Cos’è questa novità, ora? — scattò il tenente. Scuoteva la testa, come per scuotere via qualcosa che non volesse staccarsi. — Non è la figlia, allora?

La serenità della donna non era minimamente turbata dalla collera di lui. — No. La moglie era praticamente un’invalida. Non hanno mai avuto figli.

Dundy moveva le mascelle come se stesse masticando. Quando parlò di nuovo, sembrava più calmo. — Be’, e che cosa le ha fatto?

— Non lo so — rispose lei — ma ho la certezza assoluta che, quando si saprà la verità, scoprirete che il denaro che il padre le aveva lasciato — il padre vero, intendo dire — è stato... 

Spade la interruppe, avendo cura di parlare con molta chiarezza, e accompagnando ogni parola con gesti delle mani. — Allora, non siete materialmente sicura che Bliss abbia truffato la ragazza, è così? Ne avete soltanto il sospetto.

Lei si mise una mano sul cuore. — Lo sento.

Dundy guardò Spade, Spade guardò Dundy, e gli occhi di Spade brillavano di un’ilarità un po’ truce. Dundy si schiarì la gola e tornò a interrogare la donna. — Così pensate che questo... — accennò al punto dove, poco prima, giaceva il morto — sia il castigo di Dio, eh?

— Sì. 

Lui si sforzò di cancellare dal suo sguardo ogni luce di astuzia, senza troppo riuscirvi. — Insomma, chi ha fatto questo ha agito come la mano di Dio? 

— Non tocca a me dirlo — ribatté lei. 

Chiazze rosse riapparivano sulla faccia del tenente.

— Potete andare, per ora — disse lui, con voce strozzata; ma, prima che la donna potesse sparire nell’altra stanza, lo sguardo gli si fece di nuovo attento ed egli intimò: — No, aspettate! — poi, quando lei si voltò: — Sentite un po’, signora Hooper. Siete per caso una rosacrociana, voi? 

— Io non desidero essere altro che una cristiana. 

— Va bene, va bene — brontolò lui, e le voltò le spalle. La donna ritornò di là e chiuse la porta. Dundy si passò una mano sulla fronte e mormorò: — Santo Cielo, che famiglia! 

Spade alzò le spalle. — Prova a indagare nella tua, una volta o l’altra.

Dundy si sbiancò in volto. Le labbra, quasi incolori, si tesero fino a scoprire i denti. Con i pugni contratti, si slanciò verso Spade. — Che cos’hai...? — L’espressione amabile e insieme sorpresa di Spade lo fermò. Distolse lo sguardo, si passò la lingua sulle labbra, lanciò un’altra occhiata di sfuggita a Spade, azzardò un sorriso imbarazzato e mormorò: — In una famiglia qualsiasi, vuoi dire. Già, già, hai ragione. — Poi si diresse in fretta verso il corridoio, perché avevano bussato. 

L’ilarità che brillava sorniona negli occhi di Spade accentuò la sua somiglianza con un Satana biondo.

Una voce pigra e amabile arrivava ora dalla porta del corridoio: — Sono Jim Kittredge, cancelliere. Mi è stato detto di venire qui. 

— Sì, sì, accomodatevi — rispose la voce di Dundy. 

Kittredge era un omino piccolo e grasso, dal volto colorito e dai vestiti troppo stretti e resi lucidi dall’uso. Salutò con un cenno Spade e disse: — Mi ricordo di voi, signor Spade. La causa Burke-Harris, vi rammentate? 

— Come no! — disse Spade, e si alzò per stringergli la mano. 

Dundy era andato nella stanza da letto, a chiamare Theodore Bliss e la moglie. Kittredge, nel vederli, sorrise loro amabilmente, disse: — Come va? — poi si rivolse a Dundy. — Sì, sì, sono loro. Saranno state le quattro meno dieci quando questo signore è entrato in aula per sapere da me tra quanto tempo il giudice sarebbe stato libero. Gli ho detto di pazientare una decina di minuti e, infatti, hanno aspettato lì. E alle quattro, appena l’udienza si è aggiornata, li abbiamo sposati. 

Dundy disse: — Grazie — riaccompagnò Kittredge alla porta, rimandò i due Bliss in camera da letto, fissò Spade con profonda insoddisfazione e disse: — E con ciò? 

Spade, che si era rimesso a sedere, rispose: — Con ciò, non è possibile andare da qui al municipio in meno di un quarto d’ora nemmeno per scommessa, perciò Bliss non può avere fatto un salto qui intanto che aspettava il giudice; né potrebbe averlo fatto dopo il matrimonio e prima dell’arrivo di Miriam. 

L’insoddisfazione sulla faccia di Dundy aumentò. Il tenente la bocca ma la richiuse, senza dir niente, perché l’uomo dalla faccia grigia stava entrando con un giovane alto, magro e pallido che corrispondeva alla descrizione fatta dal filippino del compagno di Miriam. 

Faccia-grigia, ovvero l’agente con il cappello nero, fece le presentazioni. — Il tenente Dundy, il signor Spade, il signor Boris... ehm... Smekalov. 

Dundy si limitò ad un breve cenno. 

Smekalov cominciò immediatamente a parlare. Il suo accento non era tanto marcato da mettere in difficoltà chi lo ascoltava, anche se le “r” sonavano arrotatissime. — Tenente, debbo pregarvi di tenere la cosa confidenziale. Se si dovesse risapere sarei rovinato, tenente, rovinato completamente e ingiustamente. Sono innocentissimo, signore, ve l’assicuro, e non ho niente a che fare neppure lontanamente con questa storia orribile. Non c’è... 

— Un momento! — Dundy puntava l’indice tozzo contro il petto di Smekalov. — Nessuno ha detto che voi abbiate a che fare con questa storia, per ora... ma se non foste scappato avreste fatto più bella figura. 

Il giovane allargò le braccia, le palme rivolte all’insù in un gesto espansivo. — Ma che cosa posso farci? Ho una moglie che... — Scosse violentemente la testa. — Impossibile, non potevo restare. 

L’agente Faccia-grigia disse a Spade con voce non sufficientemente smorzata: — Che pizza, questi russi!

Dundy fissò severamente Smekalov e parlò con voce sentenziosa. — Così, vi siete messo probabilmente in un grosso pasticcio.

Boris Smekalov sembrava sul punto di piangere. — Ma mettetevi un momento nei miei panni — supplicò — e vedrete se... 

— Proprio non ci terrei. — A modo suo, lo scorbutico tenente sembrava quasi addolorato per quel giovanotto. — Non si scherza con un omicidio, in questo paese. 

— Omicidio! Ma ve l’ho detto, tenente, io sono capitato in questa situazione soltanto per un purissimo caso. Non sono... 

— Volete dire che siete venuto qui per caso con la signorina Bliss? 

Il giovanotto aveva tutta l’aria d’avere una gran voglia di rispondere “Sì”. Disse: — No — lentamente, poi continuò con crescente rapidità: — Ma così senza importanza, signore, senza importanza. Eravamo stati a pranzo insieme. L’ho riaccompagnata fino a casa e lei ha detto: «Vuoi salire a prendere un cocktail?». Così ho accettato. Tutto qui, vi do la mia parola. — Tendeva le mani, a palmo in su. — Non poteva capitare anche a voi? — Spostò le mani in direzione di Spade. — O a voi? 

— A me di cose ne capitano tante — disse Spade. — E Bliss sapeva che uscivate con sua figlia? 

— Sapeva che eravamo amici, sì. 

— Sapeva anche che avevate moglie? 

Smekalov ammise, circospetto: — Non credo.

— Non lo sapeva affatto, insomma — disse Dundy. 

Smekalov si bagnò le labbra e non osò contraddire il tenente. — Che cosa credete che avrebbe fatto, se l’avesse scoperto? — domandò Dundy.

— Non lo so, signore. 

Dundy si avvicinò al giovanotto e parlò a denti stretti, con voce aspra e decisa: — Che cos’ha fatto, quando l’ha scoperto?

Il giovane si ritrasse, pallido e spaventato.

La porta della stanza da letto si aprì e Miriam Bliss entrò nel soggiorno. — Perché non lasciate in pace Boris? — scattò, indignata. — Ve l’ho detto che lui non c’entrava per niente. — Era accanto a Smekalov, ora, e gli teneva una mano tra le sue. — State creandogli dei guai senza che questo vi serva a niente. Sono desolata, Boris, ho tentato in tutti i modi di impedire che ti disturbassero.

Il giovane mormorò qualcosa di incomprensibile.

— Avete tentato, e come — riconobbe Dundy. Si rivolse a Spade: — Sam, non potrebb’essere andata così? Bliss ha scoperto che lui era sposato, sapeva che erano stati a pranzo insieme, è rincasato presto per aspettarli, immaginando che sarebbero venuti qui, ha minacciato di dire tutto alla moglie, ed è stato strozzato perché non parlasse. — Lanciò un’occhiata di fuoco alla ragazza. — E adesso, se volete fingere un altro svenimento, accomodatevi. 

Il giovane mandò un grido e si slanciò contro Dundy, con le mani levate. Dundy fece udire un — Eh? — e lo colpì al volto con un pugno. Il giovanotto venne scaraventato dall’altra parte della stanza, andando a urtare una sedia. Lui e la sedia finirono a terra insieme. Dundy si rivolse all’agente Faccia-grigia. — Portalo in sede. È un testimone diretto. 

L’agente disse: — Bene — prese il cappello di Smekalov e si avvicinò al giovane per aiutarlo a rialzarsi. 

Theodore Bliss, sua moglie e la governante si erano fatti sulla porta che Miriam aveva lasciato aperta. Miriam Bliss piangeva, pestava i piedi, minacciando Dundy: — Vi farò rapporto, vigliacco. Non avevate il diritto... — e così via. Nessuno le badava; tutti guardavano Faccia-grigia che aiutava Smekalov a rialzarsi e lo portava via. 

Poi Dundy intimò con indifferenza a Miriam: — Silenzio — ed estrasse di tasca un foglio. — Ho qui un elenco delle telefonate fatte oggi da questa casa. Via via che riconoscerete i numeri, ditelo. 

Lesse un primo numero.

— È il macellaio — disse la signora Hooper. — Gli ho telefonato stamattina, prima di uscire. — Poi disse che il secondo numero letto da Dundy era quello del droghiere. Dundy ne lesse un terzo. 

— È quello del St. Mark — disse Miriam Bliss. — Ho telefonato a Boris. — Identificò altri due numeri come quelli di amiche che aveva chiamato. 

Al sesto numero, Bliss disse che era quello dell’ufficio di suo fratello. — Probabilmente la mia chiamata a Elise, per pregarla di raggiungermi in municipio. 

Al settimo numero, Spade disse: — È il mio — poi Dundy concluse: — Quest’ultimo è il numero della polizia — e si rimise il foglio in tasca.

Spade osservò allegramente: — Ora ne sappiamo meno di prima. 

In quella, il campanello squillò. 

Dundy andò ad aprire. Lo sentirono parlottare con un altro uomo, ma a voce molto bassa e le parole non si sentivano dal soggiorno.

Squillò il telefono. Spade andò a rispondere. — Pronto... No, sono Spade. Un momen... D’accordo. — Ascoltò. — Bene, glielo dirò... Non saprei, gli dirò di richiamare... Benissimo. 

Quando mise giù il ricevitore, si voltò e vide Dundy fermo sulla porta dell’anticamera, con le mani dietro di sé. — Era O’Gar — disse Spade. — Dice che il russo è diventato completamente matto. Hanno dovuto ficcarlo in una camicia di forza. 

— Da un pezzo avrebbe dovuto mettersela — brontolò Dundy. — Vieni qui. 

Spade seguì Dundy in anticamera. Un poliziotto in uniforme stava sulla porta d’entrata. Dundy mostrò le mani che aveva continuato a tenere nascoste. In una aveva una cravatta a righe diagonali di diverse sfumature di verde, nell’altra una spilla da cravatta a forma di mezzaluna, con tanti brillantini.

Spade si chinò a esaminare le tre macchioline irregolari che si notavano sulla cravatta. — Sangue? 

— Chi lo sa? — rispose Dundy. — L’ha trovata lui, insieme alla spilla. Erano dentro un giornale appallottolato, buttato nel cestino dei rifiuti, qui, all’angolo. 

— Sì, signore — disse con orgoglio l’agente in divisa. — Le ho trovate là, fatte su nel... — S’interruppe, perché nessuno badava a lui. 

— Meglio dire che è sangue — stava osservando Spade. — Il sangue è un buon motivo per portarsi via la cravatta. Andiamo di là, a parlare con quella gente. 

Dundy si ficcò la cravatta in tasca, sprofondò nell’altra tasca la mano in cui nascondeva la spilla. — Giusto: allora diremo che è sangue. 

Entrarono nel soggiorno. Dundy guardò da Bliss alla moglie di questi, alla ragazza, alla governante, come se non stimasse un soldo nessuno di loro. Estrasse il pugno di tasca, lo tese davanti a sé, aprì le dita per mostrare la spilla a mezzaluna che nascondeva nel palmo. — Che cos’è? — domandò. 

Miriam Bliss fu la prima a parlare. — Ma è la spilla di mio padre — disse.

— Ah, davvero? — incalzò lui, con fare sgradevole. — E lui la portava, oggi? 

— La portava sempre. — La ragazza si girò verso gli altri come per avere conferma. 

— Sì — disse la signora Bliss, mentre gli altri assentivano. 

— Dove l’avete trovata? — domandò Miriam. 

Dundy continuava a scrutarli uno dopo l’altro, come se li apprezzasse sempre meno. Era rosso in faccia. — La portava sempre — scattò, furente — ma non c’è stato uno di voi capace di dire: «Portava sempre una spilla. Dov’è finita?» Macché, abbiamo dovuto aspettare che saltasse fuori, prima di potervi cavare una parola di bocca. 

— Siate giusto — disse Bliss. — Come facevamo a sapere...? 

— Lasciamo perdere quello che sapevate voi — lo interruppe Dundy. — Ormai stiamo arrivando al punto in cui sarò io a dire due parole su quello che so. — Estrasse di tasca la cravatta verde. — È questa la cravatta? 

— Sì, signore — disse la signora Hooper. 

— Bene — disse Dundy. — È sporca di sangue, e non è sangue di Max Bliss, perché lui non aveva addosso nemmeno un graffio, che io sappia. — Fissava a occhi socchiusi dall’uno all’altro. — Ora, supponiamo che abbiate cercato di soffocare un uomo che portava una spilla alla cravatta, che lui si sia difeso e che... 

S’interruppe per guardare Spade. 

Spade si era avvicinato alla signora Hooper, che se ne stava immobile, le grosse mani serrate davanti a sé. Le prese la mano destra, la girò, tolse dal palmo il fazzoletto appallottolato e là, sulla carne, apparve un graffio recente, di circa cinque centimetri. 

Lei, passivamente, si era lasciata prendere ed esaminare la mano. Non aveva perso per niente la sua tranquillità. Non parlava.

— Ebbene? — domandò Spade. 

— Mi sono graffiata con la spilla della signorina Miriam, quando la signorina è svenuta e io ho cercato di stenderla sul letto — raccontò con calma la governante. 

Dundy uscì in una risata breve, amara. — Finirete impiccata ugualmente — disse.

La donna non cambiò minimamente espressione. — Sia fatta la volontà del Signore — replicò. 

Spade mandò un’esclamazione soffocata, nel lasciar ricadere la mano di lei. — Bene, vediamo a che punto siamo, allora. — Sorrise a Dundy. — Non ti va giù quella stella con la T, vero?

— No, per niente — rispose Dundy. 

— Nemmeno a me — disse Spade. — La minaccia di Talbot era probabilmente seria, ma pare che il debito sia stato regolato. Poi... un momento! — Andò al telefono e chiamò il suo ufficio. — Anche la storia della cravatta è sembrata misteriosa, per un po’ — osservò, mentre aspettava — ma credo che le macchie di sangue spieghino tutto. 

Parlò nel microfono. — Pronto, Effie? Ascolta: una mezz’ora prima che Bliss mi chiamasse, non hai ricevuto qualche altra telefonata magari non troppo chiara? Qualcosa che poteva anche essere un trucco?... Prima, sì... Prova a pensarci. 

Mise una mano sul ricevitore e commentò, rivolto a Dundy: — Se ne fanno tante di diavolerie, a questo mondo.

Riprese a parlare nel telefono. — Sì?... Sì... Kruger?... Sì. Uomo o donna?... Grazie... No, tra una mezz’ora avrò finito. Aspettami e ti offro la cena. Ciao. 

Si scostò dal telefono. — Circa mezz’ora prima che mi chiamasse Bliss, un tale ha telefonato al mio ufficio e ha chiesto del signor Kruger. 

Dundy aggrottava la fronte. — E con questo?

— Kruger non c’era. 

Dundy continuava a non capire. — E chi è Kruger?

— Non lo so — disse in tono blando Spade. — Mai sentito nominare. — Si cercò in tasca il tabacco e le cartine. — Bene, Bliss, dove vi siete graffiato? 

— Cosa? — disse Bliss, mentre gli altri guardavano Spade, disorientati. 

— Il vostro graffio, dov’è? — ripeté Spade in tono volutamente paziente. La sua attenzione era tutta concentrata sulla sigaretta da arrotolare. — Dov’è il posto dove la spilla di vostro fratello vi ha ferito, mentre lo stavate strangolando? 

— Ma siete matto? — si ribellò Bliss. — Io ero... 

— Sì, sì, voi vi stavate sposando, quando l’hanno ucciso. E invece no! — Spade inumidì l’orlo della cartina, poi lo premette ben bene con i polpastrelli. 

La signora Bliss prese a parlare, a questo punto, balbettando un po’. — Ma lui... ma Max Bliss vi ha telefonato... 

— Chi mi dice che sia stato Max Bliss a telefonarmi? — domandò Spade. — Io non lo so. Non conoscevo la sua voce. So soltanto che ha telefonato un tale e ha detto d’essere Max Bliss. Ma questo poteva asserirlo chiunque. 

— Ma dalla registrazione delle telefonate risulta che la chiamata è venuta da qui — protestò lei. 

Lui scosse la testa e sorrise. — Risulta che io ho avuto una chiamata da qui, e l’ho avuta, ma non quella. Ve l’ho detto che qualcuno ha telefonato circa mezz’ora prima della chiamata di un ipotetico Max Bliss, e ha domandato del signor Kruger. — Accennò a Theodore Bliss. — Lui! È stato tanto accorto da far registrare una chiamata al mio ufficio da questo appartamento, prima di uscire per trovarsi con voi. 

Lei fissava da Spade al marito con gli occhi azzurri carichi di sbigottimento. 

Il marito dichiarò, allegramente: — Tutte sciocchezze, cara. Sai...

Spade non gli lasciò finire la frase. — Sapete che è uscito a fumare una sigaretta nel corridoio, mentre aspettavate il giudice, e lui sapeva che nel corridoio c’erano delle cabine telefoniche. Un minuto gli era più che sufficiente. — Si accese la sigaretta e rimise in tasca l’accendino. 

— Sciocchezze! — ripeté Bliss, in tono più tagliente. — Perché avrei dovuto uccidere Max? — Sorrise con aria rassicurante alla moglie che lo fissava inorridita. — Non lasciarti turbare così, mia cara. A volte i metodi della polizia... 

— Coraggio — tagliò corto Spade — vediamo un po’ se avete dei graffi. 

Bliss si girò di scatto verso di lui. — Guai a voi se vi azzardate! — Nascose una mano dietro di sé.

Spade, con faccia impenetrabile e occhi sognanti si mosse.

 

Spade ed Effie Perine sedevano a un tavolino dello Julia’s Castle, su Telegraph Hill. Attraverso la vetrata, si vedevano i traghetti illuminati andare e venire attraverso la baia, e le luci della città sull’altra riva. 

— ... non era andato là per ucciderlo, molto probabilmente stava dicendo Spade. — Intendeva soltanto spremergli ancora un po’ di soldi; ma poi avranno cominciato a litigare e, una volta messe le mani alla gola del fratello, secondo me, Theodore si è lasciato sopraffare dal rancore ancora vivo, in lui, e non ha più mollato Max finché non l’ha ucciso. Intendiamoci, io mi baso soltanto su quello che dicono le prove, su quello che siamo riusciti a cavare di bocca alla moglie. e su quel poco che siamo riusciti a farci dire da lui. 

Effie assentiva. — Lei è una brava moglie, molto leale. 

Spade, che sorseggiava il caffè, alzò le spalle. — Leale verso chi? Lo sa, ormai, che lui le aveva fatto la corte soltanto perché era la segretaria di Max. Sa che, quando lui si precipitò a chiedere la licenza di matrimonio; un paio di settimane fa, lo fece soltanto per legarla a sé, affinché lei gli procurasse le copie fotostatiche dei documenti che mostravano la complicità di Max nella truffa del Prestito Graystone. Sa che non stava semplicemente aiutando un innocente a difendere il proprio buon nome. 

S’interruppe per bere un altro sorso di caffè. — Morale, oggi pomeriggio Theodore è andato dal fratello per farsi sganciare altri soldi; c’è stata una zuffa, lui ha ucciso Max e, nello strangolarlo, si è ferito a un polso con quella spilla. Sangue sulla cravatta, un graffio al polso... tutte cose compromettenti. Così, Theodore sfila la cravatta al fratello e ne cerca un’altra, perché l’assenza della cravatta darebbe da pensare alla polizia. E qui, ha il primo colpo di sfortuna: agguanta la prima cravatta che trova e, combinazione, è proprio una di quelle nuove di zecca. Lui non se ne accorge. Ora si tratta di riannodarla attorno al collo del morto... ma lui ha un’idea migliore: sfilare invece qualche altro indumento, per dare filo da torcere alla polizia. Nello svestire il fratello, gli viene un’altra idea. Darà alla polizia qualcos’altro su cui lambiccarsi, disegnando sul petto del morto un segno mistico che ha visto chissà dove. 

Spade vuotò la tazza, la posò e riprese: — Ormai, sta diventando un vero maestro nel confondere le idee alla polizia. Scrive una lettera di minacce a stampatello, firmandola con quello stesso disegno. Sulla scrivania c’è la posta di quel mattino. Una busta vale l’altra, purché sia scritta a macchina e non porti l’indirizzo del mittente, ma quella arrivata dalla Francia aggiunge una nota straniera. Così, dalla busta viene tolta la lettera originale e al suo posto viene infilato quel foglietto di minacce. Ma ormai comincia a strafare, capisci? Sta inserendo tante di quelle note false che noi finiamo per sospettare di tutto: come della telefonata, per esempio. 

«Bene, a questo punto lui è pronto per fare la telefonata: il suo alibi. Trova il mio nome sull’elenco, tra la categoria degli investigatori privati, e chiama, fingendo di volere il signor Kruger; prima, però, ha telefonato alla bionda Elise, per dirle che non soltanto sono stati rimossi tutti gli ostacoli al loro matrimonio ma che, per giunta, lui ha avuto una buona proposta di lavoro a New York e deve partire subito. È disposta a raggiungerlo in municipio di lì a un quarto d’ora, per sposarsi e partire con lui? Lo scopo non è soltanto quello dell’alibi. Theodore vuol fare in modo di rendere Elise sicurissima che non è stato lui ad uccidere Max; Elise non ignora il rancore di Theodore verso il fratello, ed egli non vuole lasciarle sospettare d’averla abbindolata per poter ricattare Max, perché lei allora potrebbe tirare le somme e mangiare la foglia. 

«Perciò, una volta provveduto a rassicurare Elise con il matrimonio, è pronto ad andarsene di là. Esce tranquillamente, facendosi vedere in ascensore; non ha che un problemino da risolvere: sbarazzarsi della spilla e della cravatta che ha in tasca. Infatti ha portato via anche la spilla, nel dubbio che la polizia possa trovare tracce di sangue attorno alle pietre, per quanto lui l’abbia ripulita con cura. Nell’uscire, si procura un giornale – lo compera dal ragazzo che incontra proprio all’angolo della strada – se ne serve per avvolgere in un foglio spilla e cravatta, e poi buttarle nel cestino dei rifiuti, sempre lì all’angolo. Si crede a posto. Non c’è motivo perché la polizia cerchi quella cravatta. Non c’è ragione perché lo spazzino che vuota i cestini vada a vedere che cosa c’è dentro un foglio di giornale appallottolato, e se proprio qualcosa andasse storto, che diamine!... l’assassino le avrà gettate là, ma lui, Theodore, non può certo essere l’assassino, perché sta per. avere un alibi. 

«Poi salta in macchina e corre a sposarsi. Sa che in municipio ci sono telefoni pubblici dappertutto, e può sempre prendere la scusa di dovere andare un momento a lavarsi le mani; ma in pratica non ha nemmeno bisogno di dirlo. Mentre aspettano che il giudice si sia sbrigato, esce a fumare una sigaretta, ed ecco fatto... “Signor Spade, parla Max Bliss. Venite perché sono stato minacciato”. 

Effie assentiva. Poi domandò: — Perché avrà telefonato a un investigatore privato, invece che alla polizia?

— Per andare sul sicuro. Se il cadavere fosse stato scoperto, nel frattempo, la polizia poteva esserne già al corrente e, di conseguenza, affrettarsi a rintracciare la chiamata. Un investigatore privato, invece, difficilmente sarebbe venuto a saperlo fino a che non l’avesse letto sul giornale. 

Lei rise, poi osservò: — E per te quella è stata una fortuna.

— Fortuna? Non saprei. — Spade si guardò malinconicamente il dorso della sinistra. — Mi sono ferito a una nocca per fermare Theodore Bliss, e l’incarico è durato soltanto un pomeriggio. C’è la probabilità che, chiunque amministri l’eredità di Max Bliss, faccia un mucchio di storie se mando una parcella per una somma decente. — Alzò una mano per attirare l’attenzione del cameriere. — Oh, be’, andrà meglio la prossima volta. Ci stai a venire al cinema, o hai qualche cosa di meglio da fare?