Quel
grido
di Ruth
Rendell
Titolo originale: The Fallen Curtain
Traduzione di Hilja Brinis
© 1974 Davis Publications Incorporated, New York U.S.A.
Raccolto ne Il Giallo Mondadori n. 1377 (22 giugno 1975)
L’incidente accadde in primavera, dopo il suo sesto compleanno. Sua madre vi alludeva sempre come a «quella spaventosa sera», e dire sempre non è un’esagerazione. Ne parlava molto, specie quando lui prendeva qualche bel voto, il che accadeva spesso, dato che era bravo a scuola e si faceva onore agli esami.
Nel mostrare alle amiche la pagella del figlio, o il premio che aveva vinto per essere stato il primo in geografia: — Quando penso che siamo andati a rischio di perdere Richard, quella spaventosa sera! Bisogna proprio credere che c’è Qualcuno a vegliare su di noi, vero? — Poi, serrandolo forte tra le braccia: — A rischio d’essere ucciso... o peggio. — (Una dichiarazione degna di nota, quest’ultima.) — Non reggo a pensarci.
Evidentemente, reggeva a parlarne. — Gliel’avessi detto una volta sola, ma no! Cinquanta volte, gliel’avrò ripetuto, di non parlare mai con gli sconosciuti e di non salire sulle macchine. Ma i bambini sono bambini, si sa, e al momento opportuno lui dimenticò tutte le mie raccomandazioni. Gli vennero offerti dei dolci, naturalmente, per adescarlo a salire in auto. — Bisbigli, a questo punto, occhiate significative in direzione di lui. — Minacce e allettamenti... persuaso Dio sa con quali intenzioni... non saprò mai come l’abbiamo riavuto vivo.
Quello che Richard non poteva capire era come facesse sua madre a conoscere tanti particolari. Lei non c’era, là. C’erano soltanto lui e l’Uomo, e Richard stesso non ricordava nemmeno tanto così. Era caduto un sipario sopra quel pezzetto della sua memoria che conteneva i particolari di quella spaventosa serata. Lui ricordava soltanto quello che si era svolto immediatamente prima e immediatamente dopo.
Abitavano, allora, a Upfield, un quartiere a sud di Londra, e precisamente in una casetta di Petunia Street, lui, suo padre e sua madre. Richard era nato quando la madre aveva più di quarant’anni, e non aveva né fratelli né sorelle. («Per questo ti vogliamo così bene, Richard.») Non gli era permesso giocare per la strada con gli altri bambini. («Conviene che te ne stai per conto tuo, caro.») In Lupin Street, proprio voltato l’angolo, abitava sua Nonna, la madre di suo padre. Nonna non veniva mai a casa loro, anche se Richard sapeva che a papà avrebbe fatto piacere.
— Vorrei che tu invitassi mia madre a cena da noi, domenica, — aveva sentito dire una volta da suo padre.
— Se quella donna mette piede in questa casa, Stan, me ne vado io. — Così, Nonna non era mai venuta a cena.
— Credo di conoscere i miei doveri, Stan, e non mi sognerei mai di tenere il bambino lontano da sua Nonna. Puoi condurlo da tua madre una volta alla settimana, purché io non debba avere a che fare con lei.
Così erano tre le case in cui a Richard era permesso entrare: la sua, quella di Nonnina, e la casa accanto in Petunia Street, dove abitavano i Wilson, con la loro Brenda e il loro John. A volte, Richard poteva giocare con John nel giardino dei Wilson, anche se non era molto divertente perché Brenda, che aveva già sedici anni ed era molto più grande di loro, non faceva che sgridarli e proibire che si sporcassero.
Lui e John erano in classe insieme, ma sua madre non gli permetteva di andare a scuola da solo, con John, e sì che la distanza era di tre isolati appena. Era molto guardinga ed apprensiva, la mamma, andava ad aspettarlo fuori del cancello prim’ancora che sonasse l’ora di uscita e lo riaccompagnava a casa, tenendolo ben stretto per la manina.
Ma una volta alla settimana Richard non tornava direttamente a casa. Non vedeva l’ora che venisse il mercoledì, perché il mercoledì era il pomeriggio che lui passava da Nonnina, e perché l’intervallo tra l’istante in cui la mamma lo lasciava e l’arrivo a casa di Nonnina era il solo momento in cui si sentiva libero e padrone di se stesso.
Ed ecco come si svolgeva la cosa. La mamma andava a prenderlo a scuola e, insieme, percorrevano Plumtree Grove, fino al punto in cui cominciava Petunia Street. Lupin Street, dove stava la Nonna, era la trasversale successiva di Plumtree Grove, così la mamma si fermava ad aspettare che Richard attraversasse la strada, sorridendogli e salutandolo con la mano, per incoraggiarlo da distante, fino a che lui non aveva svoltato l’angolo di Lupin Street. La casa della Nonna era un centinaio di metri più in giù. Quei cento metri erano il suo momento di libertà, il solo momento in cui poteva star solo.
— Mi raccomando, fai tutta la strada di corsa, — gli gridava dietro la madre. Ma lui, appena voltato l’angolo, smetteva subito di correre e cominciava a bighellonare; fermandosi a giocare con la gatta che si aggirava per un piccolo terreno da costruzione o arrampicandosi sui mucchi di mattoni rimasti abbandonati là, senza che i costruttori si decidessero a tirar su una casa. A volte, se l’artrite non la faceva soffrire troppo, Nonnina veniva ad aspettarlo sul cancello, e a Richard non dispiaceva dover lasciare la gatta e i mattoni, perché in casa della Nonna si stava proprio bene.
Nonnina aveva un bel televisore grande – nessuno ce l’aveva grande come quello – e lui poteva guardare la TV, mangiando cioccolata, fino all’ora in cui il papà tornava dal lavoro, in tempo per la cena. Anche la cena era buonissima: il pesce fritto e le patatine la Nonna non li comprava in negozio, li cucinava lei, e poi c’erano le meringhe con la panna e i cannoli con la crema, e le pesche sciroppate, il tutto mandato giù con una buona limonata frizzante. («È una vergogna il modo come tua madre vizia quel bambino, Stan.»)
La consegna sarebbe stata di rincasare per le sette, ma ogni settimana, quando arrivavano le sette, la Nonna si ricordava che c’era un film di cow-boy alla TV, e prima che finisse il film arrivava una buona cioccolata calda con i biscottini. Quando tutto andava bene, prima che lui e papà tornassero a casa si facevano le nove.
— Poi non prendertela con me, — diceva la mamma al babbo, — se domani a scuola non concluderà niente.
Quella spaventosa sera sua madre l’aveva lasciato come sempre all’angolo ed era rimasta a guardare mentre lui attraversava. Questo Richard se lo ricordava, e ricordava anche d’avere subito guardato per vedere se la Nonna era sul cancello. Dopo essersi assicurato che non c’era, si era avventurato sul terreno da costruzione, per fare uscire la micia dal nido che si era fatta in mezzo si mucchi di mattoni dimenticati.
Era fine marzo, il pomeriggio era bello e, alle quattro, era ancora giorno pieno. Lui stava accarezzando la gatta, pensando a quanto era magra e a come le avrebbero fatto bene un po’ di pesce fritto e di patatine della Nonna, quando... che cosa? Cos’era successo? A questo punto, calava il sipario. Tre ore dopo si rialzava, lui era in Plumtree Grove e camminava tranquillamente, («Correva terrorizzato, per sfuggire a quell’Uomo!») quando era andato a incontrare proprio la Brenda della signora Wilson, che se ne andava a spasso con l’innamorato.
Brenda, nel vederlo, l’aveva indicato e aveva mandato un grido. Era corsa da lui, l’aveva afferrato e scrollato al punto che Richard non riusciva quasi a respirare. Era stato questo a spaventarlo al punto di fargli perdere la memoria? Dicevano di no. Dicevano che l’aveva persa fin da prima. («Terrorizzato a morte!»), che il modo come Brenda l’aveva agguantato e l’urlo agghiacciante che la madre aveva mandato nel vederlo non avevano niente a che fare con la calata del sipario.
Petunia Street era piena di auto della polizia e c’era folla davanti alla casa di Richard. Brenda l’aveva trascinato dentro, gridando: «L’ho trovato, l’ho trovato!»... e là c’era papà, bianco come un cencio, che stava parlando con un poliziotto, c’era mamma mezza morta sul divano, alla quale veniva dato del brandy, e – meraviglia delle meraviglie – c’era anche Nonnina. Era stata quella la cosa più strana di tutta quella strana serata: il fatto che la Nonna avesse messo piede in casa loro e che la mamma non se ne fosse andata.
Tutti in una volta avevano cominciato a fargli domande. Aveva risposto? Tutto quello che rimaneva nella sua memoria era l’urlo di sua madre. Questo solo perdurava: quel suono lacerante e la visione della grande bocca aperta da cui usciva, mentre lei gli si buttava addosso. Richard non avrebbe saputo spiegare perché, eppure collegava quel grido, e il sentirsi afferrare da lei, come per essere inghiottito con la discesa del sipario.
Non gli era stato più concesso di rimanere solo, da quel momento, neppure per giocare con John nel giardino dei Wilson, né gli era stato permesso di dimenticare quegli eventi che non poteva ricordare. Di andare dalla Nonna non se ne parlava più, neppure accompagnato; i dolori artritici di Nonnina erano peggiorati, per cui era stata ricoverata nel reparto dei vecchioni, all’ospedale di Upfield. L’Uomo non si era mai trovato. Un paio d’anni più tardi una bimbetta era stata rapita in Plumtree Grove e assassinata. Neppure quell’Uomo era mai stato trovato, ma la mamma di Richard era sicura che fosse quello stesso.
— E sarebbe potuto capitare al nostro Richard. Non reggo al pensiero di quell’Uomo, che si aggira per le strade come un animale selvaggio.
— Che cosa ha fatto a me, mammina? — domandava Richard, ogni volta.
— Se non te lo ricordi, meglio così. Devi dimenticare tutto, cancellare completamente dalla tua vita.
Se soltanto lei gliel’avesse permesso! — Che cosa mi ha fatto, papà?
— Non lo so, Rich. Nessuno di noi lo sa, né io, né la polizia, né tua madre, checché ne dica lei. Alle donne piace far vedere che loro sanno tutto, ma io sono convinto che non le hai mai detto una parola di più di quello che hai detto a me.
La madre continuò ad accompagnarlo a scuola e ad andare a riprenderlo fino a che lui non ebbe dodici anni. Gli altri ragazzi lo prendevano in giro senza misericordia. Non gli era permesso andare a casa loro o far venire qualche compagno a casa sua. («Non si può mai sapere chi conoscono o che specie di contatti abbiano.») La madre smise di accompagnarlo dappertutto soltanto quando Richard era ormai più alto di lei, ed era evidente che nessun Uomo avrebbe potuto più aggredirlo.
La crescita non portò con sé alcun chiarimento su quella spaventosa serata ma portò, con l’adolescenza, la conoscenza di ciò che sarebbe potuto anche succedere. E quando egli arrivò a capire che non erano soltanto minacce, percosse e storie di terrore le cose che l’Uomo poteva avergli inflitto, cominciò a sentirsi estraneo al suo stesso corpo, o ad avere l’impressione d’essere tutto ricoperto di una melma che non era assolutamente possibile lavar via. Non c’era modo di sapere come, infatti; non c’era da far niente, se non desiderare che la madre lasciasse da parte quell’argomento, evitare di fare amicizia con qualcuno e buttarsi nello studio a corpo morto.
Negli studi faceva bene, questo sì, perché era intelligente per natura e poi non aveva alcuna nessuna distrazione. Nessuno si meravigliò quando Richard vinse la borsa di studio per una buona università, non proprio Cambridge o Oxford ma qualcosa di altrettanto valido («Ma pensate, tutta quella materia grigia poteva finire sprecata, se quell’Uomo fosse riuscito ad arrivare dove voleva») dove si sarebbe laureato in matematica. Era il primo della sua famiglia a frequentare l’università, e l’unica nube nel cielo era che la Nonnina, come gli faceva notare il padre, non ci fosse più, e non potesse gioire di quei trionfi.
Era morta in ospedale quando lui aveva quattordici anni, e aveva lasciato la sua casa ai suoi genitori. Loro l’avevano venduta, insieme a quella dove abitavano, e ne avevano comprata una nuova, molto più grande, con tanto di giardino e di garage, in un quartiere periferico piuttosto distante da Upfield. I pochi risparmi che era riuscita a racimolare Nonnina li aveva lasciati a Richard, perché ne venisse in possesso a diciotto anni. La somma era sufficiente ad acquistare un’auto di seconda mano e, quando Richard era tornato dal college, per le vacanze di Pasqua, aveva comperato una Ford di due anni prima, aveva dato l’esame di guida ed era passato.
— Quel ragazzo, — diceva la madre, — supera tutti gli esami che deve affrontare. È come se non potesse venire bocciato, neanche se lo volesse. Deve proprio avere un angelo custode che veglia su di lui; l’ha sempre avuto, già, da quando aveva sei anni. — Il marito l’aveva ammonita per la sua memoria un po’ troppo eccellente, e ora lei si riferiva soltanto in modo indiretto a quella spaventosa serata. — Quando accadde quello-che-ben-sapete e Dio sa come si salvò.
Osservava il figlio guidare con perizia attorno all’isolato e il suo unico rimpianto era che non avesse accanto una buona ragazza, una fidanzata lavoratrice e piena di buon senso – non una delle solite cialtroncelle – che mettesse da parte soldi per metter su casa. Richard non aveva mai avuto una ragazza. All’università ce n’era una che gli piaceva e che, gli sembrava, doveva avere simpatia per lui. Ma non l’aveva mai invitata a uscire con lui. Non era ben sicuro d’essere adatto perché una ragazza potesse frequentarlo, non diciamo poi amarlo.
Il giorno dopo avere preso la patente, Richard pensò di andare in macchina fino a Upfield, per salutare John Wilson. C’era qualcosa di più in questo, doveva confessarlo a se stesso, del desiderio di rinnovare una vecchia amicizia. John era stato l’unico amico che egli avesse mai avuto, ma Richard si era sempre sentito inferiore a lui, perché John era sempre stato (e aveva avuto la possibilità di essere) disinvolto e socievole, e a quattordici anni già faceva la corte a una ragazzina. Gli piaceva, in fondo, l’idea di arrivare davanti alla casa dei Wilson, fresco dei suoi primi mesi all’università e con la propria auto.
Era un mercoledì dei primi di aprile, il pomeriggio era bello e mite e, naturalmente, era ancora pieno giorno. Richard aveva scelto un mercoledì perché, a Upfield, quello era il giorno in cui tutto chiudeva più presto, e John non sarebbe stato al negozio di articoli casalinghi dove lavorava fin da quando aveva lasciato la scuola, tre anni prima.
Ma nell’avvicinarsi a Petunia Street lungo Plumtree Grove, provenendo da sud, gli venne voglia di rivedere la vecchia casa di Nonnina e di vedere un po’ se avevano poi costruito qualcosa sul quel pezzo di terreno abbandonato. Per anni e anni, almeno metà della sua vita, quei mattoni erano rimasti abbandonati là, sebbene la vecchia gatta magra magra fosse scomparsa o morta molto tempo prima che i genitori di Richard cambiassero casa. E c’erano ancora, sì, i mattoni, ora ricoperti d’erbacce e di ortiche.
Svoltò in Lupin Street, avanzando lentamente lungo il marciapiede finché non arrivò in vista della casa di Nonnina. C’era abbastanza di sua madre, in lui, a impedirgli di parcheggiare proprio di fronte alla casa («Stattene per conto tuo e non ficcare il naso in cose che non ti riguardano»), così fermò l’auto diversi metri prima.
La casa era stata dipinta di un rosa acceso, e tutti gli stipiti verniciati in azzurro-cielo. Richard trovava che fosse molto meglio com’era prima, con l’intonaco paglierino e le parti in legno verniciate di marrone, ma non si moveva di là. Uno strano sentimento si era impossessato di lui, più strano di qualsiasi altro da lui sperimentato, che lo teneva inchiodato là, a fissare il terreno accanto, così incolto e ingombro di mattoni, erbacce e macerie. È nostalgia, pensava. Sì, era un istintivo riandare a quei mercoledì che erano stati i momenti luminosi delle sue settimane.
Curioso, come continuava a fissare tra le macerie nella speranza di vedere riapparire la gatta. Se era ancora viva, doveva avere di sicuro la sua età, e ben pochi gatti randagi vivono tanto a lungo. Ma continuava a guardare ugualmente, e all’improvviso, mentre lui cercava di scuotersi da quello stato sognante, quasi di torpore, una creatura vivente apparve davvero dietro le erbacce alte come cespugli. Era un bambino, di circa otto anni. Richard non aveva intenzione di scendere dalla macchina. Eppure si ritrovò all’aperto, nell’atto di chiudere a chiave la portiera e poi di incamminarsi verso il terreno da costruzione.
Non si poteva vedere gran che, stando in macchina, o almeno non si vedevano i particolari. Richard pensò d’essere sceso proprio per questo, per esaminare più da vicino la scena dei suoi giochi infantili. Il terreno sembrava molto piccolo, non era la selvaggia distesa di collinette di mattoni e di passaggi erbosi che lui ricordava, ma un misero fazzoletto di terra largo cinque o sei metri e lungo circa il doppio. Naturalmente gli era sembrato tanto più grande perché era piccolo lui... più piccolo perfino di quel ragazzetto che ora sedeva su una montagnola di mattoni, per osservarlo.
Non intendeva rivolgere la parola al ragazzo, perché Richard non era più un bambino ma un Uomo. E se c’è una regola esplicita che un bambino non deve rivolgere la parola agli sconosciuti, ce n’è un’altra, implicita anche se non dichiarata, che un Uomo non parla con i bambini. Se avesse avuto l’intenzione di parlargli, del resto, le sue parole sarebbero state molto diverse: qualche commento sull’avere giocato anche lui là in mezzo, un tempo, o sull’avere abitato in quei paraggi. Le parole che invece usò gli salirono alle labbra come se fossero state messe là da un’autorità dominante, esterna (o profondamente interna).
— Stai sconfinando abusivamente in una proprietà privata. Lo sapevi?
Il bambino cominciò a calarsi dal monticello di mattoni. — Tutti i ragazzi vengono a giocare qui, signore.
— Può darsi, ma questa non è una scusante. Dove abiti?
In Petunia Street, ma sto andando da mia nonna... No.
— In Upfield High Road.
— Su, sali sulla mia macchina, — disse l’Uomo. — Ti riaccompagno a casa.
In tono dubbioso, il bambino replicò: — Non c’è nessuno a casa. Il mercoledì la mia mamma lavora fino a tardi, e il papà non ce l’ho. Dopo la scuola devo andare a casa, fare merenda e aspettare che arrivi la mamma, alle sette.
Devo andare subito dalla nonna, cenare da lei e...
— Però non sei andato subito a casa, vero? Sei rimasto a gironzolare e a violare una proprietà privata.
— Voi siete un poliziotto, signore?
— Sì, — disse l’Uomo.
Il ragazzo salì in macchina docilmente. — Andiamo alla polizia, ora?
— Forse ci andremo più tardi, alla polizia. Prima voglio fare un discorsetto con te. Andremo... — Dove potevano andare? La parte meridionale di Londra ha molti spazi aperti, che vengono chiamati commons: Wandsworth Common, Tooting Common, Streatham Common... Che cosa gli fece scegliere Drywood Common, così fuori mano, un posto che aveva sentito nominare ma non aveva mai visitato in vita sua, per quanto ne sapeva? L’Uomo l’aveva saputo, e adesso l’Uomo era lui, vero?
— Andremo a Drywood e faremo due chiacchiere. C’è della cioccolata, nello sportellino del cruscotto. Prendine pure un pezzo. — Mise in mota e oltrepassarono la casa della nonna. — Prendila pure tutta, se vuoi.
Il bambino mangiò tutta la cioccolata. Disse di chiamarsi Barry. Aveva otto anni e non aveva né papà, né fratelli, né sorelle; soltanto la mamma, che lavorava per mantenere tutti e due. La mamma gli aveva detto di non salire mai sulla macchina di uno sconosciuto, ma un poliziotto era diverso, vero?
— Molto diverso, — rispose l’Uomo. — Completamente diverso.
Non era facile trovare Drywood Common, perché la segnaletica là intorno lasciava molto a desiderare. Ma la cosa strana fu che, una volta là, tutta la topografia del common gli riuscì stranamente familiare.
— Andremo a fermarci, — disse, — vicino allo stagno.
Trovò lo stagno senza difficoltà, guidando lungo la strada carrozzabile che attraversava il common, poi svoltando a sinistra per seguire un viottolo. C’erano le anatre, nello stagno. Era inoltre circondato da alberi, un vero e proprio bosco, ma in distanza si scorgevano dei negozi e una fila di case. L’Uomo parcheggiò l’auto vicino all’acqua e spense il motore.
Barry era calmissimo e fiducioso. Ascoltò con intelligenza la predica del “poliziotto” sulla necessità di comportarsi bene e di non invadere le proprietà altrui, e non si baloccò né si mostrò annoiato quando l’Uomo smise di parlare di questo e cominciò a parlare di sé. L’Uomo aveva avuto una vita solitaria, un po’ come essere in prigione, e non gli era mai stato permesso di uscire da solo. Perfino quand’era nella sua cameretta, a fare i compiti, era stato tenuto d’occhio («Lascia la porta aperta, caro, non vorremo certo avere dei segreti, in questa casa») e non aveva mai avuto un solo vero amico. Chissà se Barry voleva essere suo amico, solo per qualche ora, soltanto per quella sera? Barry era dispostissimo.
— Ora sei grande, però, — disse Barry.
L’Uomo assentì, ma come se questo non facesse molta differenza, e poi cominciò a piangere. Piangeva come fanno gli adulti, quasi senza lagrime ma con vergogna e disgusto di sé.
Una manina un po’ sudicia sfiorò la mano dell’Uomo e la strinse. Nessuno gli aveva mai tenuto la mano così. Non in modo possessivo o autoritario («Tieniti bene stretto a me, Richard, mentre attraversiamo la strada») ma gentilmente, con una stretta comprensiva... affettuosa, forse? Le loro mani rimasero intrecciate, prima la piccola sopra la grande, poi la grande racchiudendo e stringendo forte quella piccina. Una tensione, come di tempo che si è fermato, teneva le due persone dentro l’auto silenziose, immobili. Poi, il piccolo la ruppe, e il tempo ricominciò a scorrere.
— Mi sta venendo fame, — disse il bambino.
— Davvero? È passata l’ora di cena, per te. Sai cosa facciamo? Ci comperiamo un po’ di pesce fritto con le patatine. Uno di quei negozi, laggiù, è proprio una friggitoria.
Barry fece l’atto di scendere dall’auto.
— No, tu no, — disse l’Uomo. — È meglio che vada da solo. Tu aspettami qui. D’accordo?
— Va bene, — disse Barry.
L’Uomo rimase assente soltanto dieci minuti – poiché sapeva benissimo, anche da distante, quale dei negozi era quello giusto – e quando ritornò Barry lo stava aspettando. Il pesce e le patatine erano buoni, quasi come quelli che un tempo cucinava la nonna. Il tempo di finire di mangiare e di ripulirsi le dita unte con il fazzoletto di lui, ed era sceso il crepuscolo. Le luci cominciavano ad accendersi, nei negozi e nelle case là in distanza, ma lì, vicino allo stagno, gli alberi rendevano il luogo completamente buio.
— Che ore sono? — domandò Barry.
— Le sei e un quarto.
— Ora dovrei tornare a casa.
— Perché prima non giochiamo un po’ a nascondersi? La tua mamma non sarà ancora tornata, tanto. Mi bastano dieci minuti per riaccompagnarti a Upfield.
— Non so... E se poi lei torna più presto?
— Ti prego, — disse l’Uomo. — Giochiamo, soltanto per un po’. Mi ricordo che venivo qui a giocare a nascondersi, quando ero piccolo.
— Ma se hai detto che non hai mai giocato da nessuna parte. Se hai detto...
— Ah, sì? Forse non giocavo, allora. Mi sento un po’ confuso.
Barry lo fissava con aria solenne. — Mi nascondo prima io, — disse.
L’Uomo guardò Barry sparire tra gli alberi. Gli adulti che giocano a nascondersi non si attengono alle regole; non si prendono la briga, per esempio, di contare fino a cento. Ma l’Uomo sì. Contò lentamente e con molta serietà, poi scese dalla macchina e cominciò a cercare intorno allo stagno.
Ci mise un bel pezzo a trovare Barry, che in quel gioco era molto più competente di lui, competenza che si rivelava quando toccava a lui “star sotto”. L’oscurità si addensava, e non c’era più nessuno, nel common. L’Uomo e il bambino erano completamente soli.
Barry era andato a nascondersi. Nell’auto, l’Uomo stava contando: 97, 98, 99, 100. Quando smise, divenne consapevole del silenzio del luogo, alleviato soltanto dal lieve, distante ronzio del traffico lungo South Circular Road, proprio come le tenebre erano rischiarate soltanto dalla sfumatura rossastra del cielo che rifletteva le luci di Londra. L’ultima volta, là intorno, non era stato così buio. Il bambino non era dietro nessuno degli alberi né tra i cespugli vicino all’acqua.
Dove diavolo era andato a cacciarsi, quello stupido bambino? La rabbia di Richard era irrazionale, perché era stato proprio lui a proporre quel gioco. Ce l’aveva con il ragazzo perché si era dimostrato più bravo di lui? O era qualcosa di più profondo e di più cocente: rabbia per essere tenuto a bada da quel monello sfacciato e ignorante?
— Dove sei, Barry? Vieni fuori, su. Comincio ad averne abbastanza di questa storia.
Nessuna risposta. Il vento stormiva, e un piccolo rametto, spezzandosi, cadde dalla cima di un albero e finì proprio ai piedi di Richard. Dio, quel piccolo demonio! Che cose faccio, se non riesco a trovarlo?
Giuro che quando lo trovo lo... lo uccido.
Rabbrividì. Il sangue gli pulsava nelle tempie. Spezzò un ramo da un cespuglio e con quello cominciò a battere il fogliame tutt’intorno, infuriato, urlando nel buio e nel silenzio. — Barry, Barry, vieni fuori! Vieni fuori subito, hai capito? — Non mi vuole, non gliene importa niente di me, nessuno mi vorrà mai...
Poi, udì una risatina provenire dall’alto, e improvvisamente vi fu uno scricchiolio di rami, il rumore di qualcosa che scivolava lungo un tronco. Non proprio sopra di lui: più in là. Gli sembrò che nella risata risonasse una nota di scherno. Ma dove, dove? Quasi vicino all’acqua. Il ragazzo si era arrampicato sull’albero che quasi si protendeva sopra lo stagno.
Si udì un tonfo leggero, come di piedini che toccassero terra rimbalzando, e di nuovo quella risatina gongolante, irritante. Per un attimo, l’Uomo rimase immobile. Le sue mani si contrassero come attorno a un collo fragile, ed egli le tenne premute l’una contro l’altra, quasi per schiacciare e spegnere la vita.
Corri, Barry, corri, corri...
Corri, Richard, fino a Plumtree Grove e da Brenda, a casa dalla mamma, che sa che cosa sono le serate spaventose.
L’Uomo si apriva il passo tra i cespugli, per avvicinarsi allo stagno. Il ragazzo doveva essere già lontano, ormai, ma non tanto. E le gambe dell’Uomo erano lunghe abbastanza da raggiungere il bambino, le sue mani abbastanza forti da far sì che in avvenire non vi fossero più dubbi, timori e sipari calati...
Ma il bambino non era da nessuna parte, da nessuna parte. Eppure... che cos’era quel rumore, come di passi furtivi, timorosi, che si allontanavano strisciando? Si girò di scatto, e il bambino era là che veniva verso di lui, che avanzava un po’ timidamente tra i tronchi grigi e diritti, verso di lui. Uno strano nodo gli serrò la gola. Doveva esserci qualcosa nel suo volto, una minacciosa gravità resa ancora più intensa dalla semi-oscurità di quel punto, che fece arrestare il bambino, lasciandolo interdetto.
Corri, Barry, corri, corri...
Rimasero a fissarsi per un momento, per una vita, per dodici lunghi anni. Poi, il bambino ruppe in un’allegra risata, fresca e innocente. Corse in avanti, per gettarsi tra le braccia dell’Uomo, e l’Uomo; sentendo prorompere e dileguarsi all’improvviso tutto il dolore e l’angoscia, sollevò il piccolo da terra, lo alzò, ridente, fino alla propria faccia ridente. Ridevano con una sorta di rapimento nel ritrovarsi, alla fine, e nel buio, sotto gli alberi che stormivano, ciascuno serrava l’altro in un abbraccio stretto stretto.
— Vieni, — disse Richard, — ti riaccompagno a casa. Non so come mi sia venuto in mente, di portarti fin qui.
— Per giocare a nascondersi, — disse Barry. — Ci siamo divertiti un mondo.
Risalirono in macchina. Erano passate le sette quando si fermarono nella Upfield High Road, ma non da molto.
— Non credo che la mia mamma sia già a casa, però.
— Ti lascio qui. Non vengo fino a casa tua. Barry?
— Cosa, signore?
— Non accettare mai più un passaggio in macchina da un Uomo, capito? Me lo prometti?
Barry assentì. — Va bene.
— Una volta accettai di salire sull’auto di uno sconosciuto, e per anni non ho potuto ricordare che cosa fosse successo. Mi è tornato in mente questa sera, incontrando te. Era una brava persona, un tipo un po’ solitario, come me. Mangiammo pesce fritto e patatine, in Drywood Common, e giocammo a nascondersi proprio come abbiamo fatto noi due, poi lui mi riaccompagnò quasi a un passo da casa mia... proprio come ho fatto io con te. Ma non è detto che vada sempre a finire così.
— Tu, signore, come lo sai?
Richard si guardò le mani forti, di giovanotto. — Lo so, — disse.
Rimise in moto e si allontanò, voltandosi una volta per assicurarsi che il bambino stesse rientrando in casa, sano e salvo. Barry raccontò tutto alla mamma, ma lei insisteva nel dire che doveva essere stata una brutta esperienza e chiamò la polizia. Dato che Barry non conosceva il numero di targa dell’auto e non aveva idea di come si chiamasse lo sconosciuto, c’era ben poco da fare per la polizia. L’Uomo non lo trovarono mai.