CAPITOLO V

 

 

L'albero sacro del villaggio, il vecchio colossale baobab, rosseggiava tutto sotto la carezza del sole nascente.

Isa rimirò con una certa emozione il villaggio: il gran piazzale, la capanna del Consiglio. Il suo sguardo corse fino in fondo ove, isolata, si drizzava la capanna di Amebais, la nutrice. S'aggiustò sulle spalle la pelle del leopardo e s'avvicinò correndo alle siepi di recinzione.

Ecco il tucul. Entrò.

"Isa!... Lo sapevo che saresti tornato!"

L'anziano Ring-kop lo strinse fortemente a sé; poi disse:

"Fatti vedere. Ti sei fatto un bel ragazzo. E... questa pelle? Le ferite? Racconta, su; parla... Sono stato molto in pensiero per te."

Il ragazzo narrò, colorandoli di tinte fosche, i pericoli in cui era incorso.

Era orgoglioso di sé. Si vedeva.

Ma non parlò di Pao e degli uomini dei cespugli. Sapeva che era vietato avvicinare i Boscimani.

"Ti dovrai presentare al Gran Capo" disse Amunai. "Ma non portare la faretra e l'arco. Sono del piccolo popolo."

"Chi te lo ha detto?"

"Chi non conosce le loro frecce?"

"Che mi dici di fare, Amunai?"

"Lascia nella capanna l'arco."

"Ma è mio!"

"Avrai la tua zagaglia, il tuo tucul; ma non potrai mai avere l'arco degli uomini dei cespugli. È la legge."

Più tardi Isa entrò nella "grande casa". E come la prima volta lo stregone gli venne incontro.

Nessuno dei guerrieri che gremivano la sala si alzò. Amunai soltanto; e fu lui solo che intonò il canto della vittoria dell'uomo sulla foresta. Nessuno gli fece coro.

Isa, immobile nel centro della capanna, fissava un punto indefinito.

Ricordava che quando gli altri ritornavano dalla grande prova, il canto dei guerrieri si spandeva sin nel folto della foresta, mentre il vento ne portava l'eco fino al fiammeggiante deserto.

Perché ora a lui non era dato lo stesso onore?

Perché il Gran Capo non si era alzato per abbracciarlo?

Perché, perché tutto questo?

"Grazie, Amunai," disse "ma non finire il canto. I prodi Swazi non mi hanno veduto entrare."

 Avrebbe voluto piangere per la rabbia, il dolore; impellente era il desiderio di fuggir via; d'esser solo.

Invece prosegui con voce ferma, tagliente:

"E allora lo dico forte: è ritornato Mohamed Isa, l' 'orzowei'. Egli s'è guadagnato il suo posto. La giungla l'ha visto uscire vittorioso delle sue insidie, e la grande pantera ha pagato il suo tributo al giovane guerriero. Che i cacciatori, se cacciatori vi si può chiamare, si alzino."

Solo il Gran Capo si mosse.

"La foresta t'ha restituito e hai pagato con il tuo sangue il tributo. I Swazi tutti, ed io, ammiriamo il tuo coraggio. Ma tu hai mancato."

"Cosa ho fatto?"

"Parli Sem-husci."

"Già l'ho detto. Il ragazzo è amico del piccolo popolo. L'ho seguito. L'ho visto mangiare con loro. L'ho visto cacciare con loro. Per questo egli è sfuggito alla mia zagaglia. Era ben guardato."

"Nessuno mi è mai stato intorno. Sem-husci mente! Si vergogna di dire che, incontrato il piccolo popolo sul suo cammino, ha avuto paura delle sue frecce e s'è ritirato."

"Ma tu" chiese il Capo "hai visto gli uomini dei cespugli?"

"Li ho visti. Uno di loro mi ha curato. Ho mangiato e cacciato con questo uno. Egli è un bravo guerriero."

"Conosci la legge?"

"Chi non conosce la legge? Anche le pietre la conoscono. Ma essi sono stati buoni con me. Perché avrei dovuto uccidere?"

"Perché questa è la legge. Un Swazi non può vivere con i piccoli uomini. Noi e loro siamo nemici. Ma già, tu non sei un Swazi!..."

"Uno di loro m'è stato amico; non potevo uccidere. "

"Hai agito cosi solo perché sei un 'orzowei', un trovato. Ma come nella foresta sei stato trovato, cosi nella foresta ora dovrai ritornare."

"Perché? Che colpa ho io se la mia pelle è chiara, se mi chiamate trovato? Io ho amato il villaggio; voi. Ho obbedito alla legge. Ho superato la grande prova. Perché volete ora scacciarmi? Perché?"

Isa urlava, piangeva, mentre si rivolgeva a tutti i guerrieri.

Ma nessuno rispose. Era come se lui non ci fosse.

"Vattene!" ordinò il Gran Capo indicandogli l'uscita.

Fu allora che in Isa si risvegliò, per la prima volta, l'uomo bianco con tutta la sua violenza, la sua alterigia, il suo disprezzo per gli uomini di colore. Arretrò fin sulla soglia; piantò saldamente i piedi in terra, tese l'arco e fissò il Gran Capo e gli altri guerrieri.

"Avete ragione" disse. "Sono un bianco. Ed un bianco non può vivere tra gli sciacalli neri. Ma vi ricorderete di Isa. Un giorno ritornerò per farvi pagare l'affronto... No, non vi muovete. Le frecce del mio arco hanno il veleno dell'ajé... Ho cercato d'esser dei vostri, perché mi credevo vostro fratello. Ho sbagliato. Io sono un bianco. E sebbene non li abbia mai visti, so che voi avete paura di loro. Ora ritornerò tra i bianchi. Non siete voi che mi scacciate, ma io che me ne vado. Non vi muovete, prima che io sia uscito. Tu, Amunai, che m'hai protetto e salvato, vieni con me, se vuoi. A voi, sciacalli paurosi, iene luride, addio! "

Sputò con disprezzo ai piedi del Capo e con un balzo fu fuori.

Fuggi verso la foresta, mentre le zagaglie gli sibilavano attorno.

Era notte fonda quando Amunai lo aveva raggiunto alla Rupe Bianca. Era venuto per salutarlo.

"Stai attento," gli aveva detto, "tra i Swazi c'è chi ti odia, e perché sei bianco, e perché hai superato la gran prova. Oh, non credere che t'abbiano scacciato perché hai avvicinato il piccolo popolo. No, no! Ti avrebbero sempre scacciato. Perché tu sei un 'orzowei'. Stai attento, figlio. Se io fossi in te, raggiungerei gli uomini della mia razza. Addio! "

Ed Isa era rimasto solo.

Allora tutto gli parve nuovo, misterioso. Un nodo gli si formò in gola, e pianse.

Tre volte l'abbaiar dello sciacallo interrotto dalla risata sghignazzante della iena.

Questo era il segnale.

Un uomo sbucò, come se spuntasse dalla terra, a pochi passi da lui.

"Pao" sussurrò Isa "voglio vedere Pao."

"Ti riconosco. Tu sei il ragazzo dell'ajé. Vieni."

"Già sei tornato?" chiese Pao, appena Isa ebbe varcata la soglia della grotta.

"Il villaggio m'ha scacciato."

Il Boscimano l'osservò in silenzio; poi disse:

"Racconta."

"Ho camminato a lungo nella foresta. Sono giunto fino al grande deserto. Ma non posso vivere solo, Pao. Non posso; ho paura!"

"Paura di che? Sei un cacciatore, ormai!"

"No, non è questo. Ho paura del silenzio. Non parlare, non vedere altri uomini, non..."

"Il silenzio ti fa paura; ti capisco. Questo accade perché sei un ragazzo. Io amo vivere solo... Ma perché il villaggio t'ha scacciato? Cosa hai fatto?"

"Mi hanno lanciato dietro le loro zagaglie. Nessuno, eccetto Amunai, ha cantato per me la vittoria dell'uomo sulla foresta. Come un cane mi hanno trattato. Ma un giorno farò vedere loro chi è Isa."

"Se t'hanno gettato del fango addosso, non fa nulla, figlio. Asciugati e sorridi. Il tempo parlerà in tuo favore."

"Non posso aspettare il tempo. E perché dovrei asciugarmi? Non voglio dimenticare!"

"La luna non avrà ricominciato il suo giro, che tu avrai già dimenticato. Ma non mi hai ancora detto perché ti hanno cacciato."

"Perché..." il ragazzo abbassò il capo vergognoso "perché... ecco: perché sono un bianco. Ed ora mandami via anche tu. Si, lo so, anche tu mi butterai fuori. Ma che colpa ne ho io se sono un bianco? Che colpa?"

"Non ho parlato, Isa."

"Ma so già quello che dirai; lo so. Anche tu odi i bianchi; anche tu mi disprezzi. Dillo, su! Dillo! chiamami anche tu 'orzowei'!... Si, tutti odiate i bianchi perché avete rabbia di non essere come i bianchi. I Swazi perché sono neri, voi perché siete piccoli e gialli."

"Non sai niente. Credi di essere grande, di conoscere tutto e invece non sei altro che un piccolo uomo che piange per il colore della sua pelle; un piccolo uomo che ancora non conosce se stesso. Vergognati! Si, sei un bianco. Ed io lo sapevo. Lo compresi quando ti curavo dal veleno dell'ajé. Ma che conta il colore della pelle se sotto di essa batte un cuore generoso a cui il coraggio dà vita? Ma è che tu sei più pauroso d'una timida gazzella. Non hai sangue, tu. Sei come lo sciacallo che urla e strepita quando è solo, ma urla e strepita soltanto per darsi coraggio. Si, uno sciacallo sei; un povero, rognoso sciacallo. T'hanno scacciato? Prosegui per la tua via. E se credi che anch'io ti possa scacciare solo per la tinta della tua pelle, vattene! "

Isa ascoltò senza fiatare il rimprovero.

Poi, quando l'uomo immobile, col braccio teso gli indicò l'uscita, raccolse l'arco e rispose:

"Ecco la mia arma, Pao. Tu me l'hai donata, ma io non son degno di portarla. Ritornerò solo quando t'avrò dimostrato che so vivere benissimo, anche se la mia pelle non è quella di un Swazi o di un uomo dei cespugli."

"Non occorre" disse Pao. "Rimani. La mia capanna è la tua capanna. E quando deciderai di ritornare fra la tua gente, sarai libero di farlo."

"Ma i tuoi compagni?"

"Essi non badano al colore d'un uomo, ma guardano le azioni dell'uomo."

"Non ti lascerò più, Pao."

"Un giorno dovrai farlo. Il tuo posto è fra la tua gente. Parlerò con quel vecchio che ti ha trovato. Come si chiama?"

"Amunai."

"Si, con Amunai. M'accompagnerai tu stesso. Voglio sapere. Ed ora vieni presso di me, figlio."