CAPITOLO IV

 

"No, non cosí! Devi tenere conto anche del vento. Riprova."

Pao era un maestro severo ed Isa imparò più cose nei giorni che fu con lui che in tanti anni di vita nel villaggio Swazi. Imparò a riconoscere immediatamente qualsiasi impronta sul terreno; i vari tipi di erbe medicinali; a tirar d'arco; ad imitare, meglio di quel che già facesse, i gridi dei vari animali; tutto, insomma, quel che poteva servire ad un ragazzo che doveva diventare un abile cacciatore, un forte guerriero, un perfetto esploratore.

E Pao era instancabile nelle sue lezioni.

Spesso aveva condotto il ragazzo nel proprio villaggio. I Boscimani vivevano in piccole buche scavate nel terreno attorno alle quali, a guisa di tetto, erano piantati rami di albero sormontati da una pelle di animale.

Pao abitava in una piccola grotta, e sulla roccia, nelle parti lisce e piane, vi erano pitture ammirevoli di animali, e scene movimentate di caccia e di guerra.

In una di queste Isa vide dipinta una grande pantera che uccideva un neonato.

"Tuo figlio?" chiese.

Pao fece cenno di si.

"Perché tu abiti nella grotta?"

"Son vecchio, ragazzo."

Non aveva aggiunto altro, limitandosi a sorridere.

"Cosa sono queste?" chiese Isa indicando due pietre piramidali sulle quali erano incisi degli strani geroglifici.

"Qui sacrifichiamo al nostro Dio. Non chiedere altro, ora; non potrei risponderti."

Era stato strano il loro incontro; e più strano era, per Isa, il piacere che provava ad essere in compagnia del Boscimano.

Pao non l'aveva mai invitato a rimanere, ma neppure l'aveva scacciato.

Erano andati a caccia insieme la mattina seguente all'arrivo nella "città morta"; e da allora s'eran ritrovati ogni giorno, come se avessero avuto un appuntamento, al margine delle capanne di pietra.

Altre volte Isa ritornò nel villaggio dei Boscimani ed una notte vi dormi persino.

Nessuno gli aveva detto mai nulla, ma un giorno che volle andare a chiamare Pao, tre frecce si conficcarono nel terreno ad un passo da lui, facendogli chiaramente comprendere che non doveva proseguire oltre.

Da quella volta dovette imparare il grido di richiamo del popolo dei cespugli.

Tre volte l'abbaiar dello sciacallo interrotto dalla risata sghignazzante della iena.

Pao sorrideva mentre Isa provava e riprovava.

"Ma se ti vuoi salvare dalla puntura delle nostre frecce," diceva "devi imparare bene."

La tinta andava scomparendo. La pelle bruna del ragazzo riaffiorava qua e là, apparendo molto più scura nel contrasto con la bianca vernice.

"Fra poco dovrai ritornare fra la tua gente" disse un giorno Pao, osservandolo.

Erano sdraiati ai piedi d'un grosso tronco.

"Già" rispose Isa.

E pensava a quel giorno.

"Fra i tuoi dimenticherai il vecchio, insignificante Pao. Ma io non ti dimenticherò. Mi hai dato la felice illusione d'aver ancora mio figlio. Ti ringrazio, Isa."

Il ragazzo non rispose subito. Voleva dire tante cose, ma non gli riusciva.

"Ecco," disse. "Tu mi hai salvato dai nemici e m'hai insegnato cose che non dimenticherò. Hai fatto per me ciò che nessuno ha mai fatto. Io... io non dimenticherò mai chi m'ha trattato come un figlio. Perché tu questo hai fatto. Ed io ho imparato cosa significhi avere un padre."

Cosi dicendo prese la mano dell'uomo e la baciò.

"Le tue parole" disse Pao "sono per me come la pioggia durante la grande calura. Danno vita. Ma dimmi: hai detto di non aver avuto padre. Come mai?"

"Il vecchio Amunai dice che è una storia lunga, ed io non la conosco. Dimentica il fatto, Pao."

Non gli piaceva dire che tutto il villaggio gli rimproverava d'essere un bianco. E poi, perché dirlo quando lui si sentiva Swazi, un negro della grande tribù?

"Quando conti di ripartire?" domandò Pao.

"Al secondo spuntar del sole. Il viaggio è lungo e l'ultima vernice la perderò lungo i sentieri. Il vecchio Amunai mi aspetta ai piedi dell'albero sacro. Devo essere puntuale."

"T'accompagnerò sino al fiume. E nella fretta del ritorno, ricordati di aver prudenza. Gli esploratori desiderano ucciderti."

"Lo so."

Il giorno seguente accadde però qualcosa che ritardò di molto la partenza di Isa.

Era andato nella "città morta", per riprendere l'assegai e lo scudo. Girò attorno ad un colonnato, penetrò fra due enormi pietre e s'abbassò per raccogliere le armi nascoste in un angolo. Ma la sua mano strinse qualcosa di viscido.

La ritrasse di scatto, con ribrezzo, trattenendo a stento un grido d'orrore.

 Attorcigliato allo spiedo vi era un aspide dalla pelle verdiccia macchiata di bruno. Al tocco della mano si era rizzato di colpo gonfiando il collo e, rigido come una sbarra di ferro, fissava con occhi freddi colui che l'aveva disturbato.

Nel vedere il cappuccio, formatosi dal rigonfio del collo, Isa, gridando, dié un balzo all'indietro.

Il comportamento dell'uomo allarmò il cobra. Guizzò in avanti. Un saettar repentino e i denti dal possente veleno si conficcarono nel polpaccio di Isa.

Con uno strattone, il ragazzo si liberò dalla presa e preparò l'arco.

La freccia stroncò a metà il secondo slancio del rettile, inchiodandolo al suolo.

Allora, raccolto l'assegai e stringendo i denti, Isa allargò con questo i piccoli forellini rossi. Un fiotto di sangue usci.

S'allontanò correndo verso il villaggio dei Boscimani.

"Cosa accade al mio piccolo cacciatore? " chiese Pao sbucando da un cespuglio. "Con la sua corsa pazza ha fatto fuggire la mia preda. Tutta la foresta l'ha inteso!"

"Pao, un ajé... un ajé alla 'città morta'... m'ha morso! Qui! "

Pao si fece immediatamente serio.

"Appoggiati al tronco" ordinò.

Con una liana strinse fortemente il polpaccio al di sopra della ferita e con l'assegai allargò la prima incisione fino a scarnificare l'osso.

Poi, inginocchiatosi, succhiò, dal taglio, il sangue. Smise soltanto quando non ebbe più forza.

"Ora avanti, cammina!" ordinò "Non devi rilasciarti."

Nella grotta gli preparò un giaciglio d'erbe fresche; Isa vi si gettò sopra.

Vedeva tutte le cose offuscate, come rivestite di nebbia. Udí, confusamente, la voce di Pao chiamare degli uomini; vide delle ombre attorno a lui. Poi le ombre si fecero sempre più indistinte, mentre le parole di Pao si smorzavano in quella nebbia fitta che lo circondava. Senti il suo corpo vibrare, scuotersi tutto e non comprese più nulla.

"Tutti i capi siano avvisati. Tutti devono sapere."

Queste furono le prime parole che Isa riudí.

Sollevò la testa e si guardò d'attorno. Riconobbe la grotta di Pao.

"Cosa è accaduto?" chiese.

"Il giovane uomo rivive" rispose Pao sorridendo, mentre gli si accucciava vicino. "È giorno di festa, questo."

"Chi parlava?"

"Hoomai. Non lo conosci."

"Cos'è accaduto?"

"L'ajé t'ha morso, ma il tuo sangue ha vinto il veleno."

"Ah, si! Mi sembrava che... quando è successo?"

"Quattro volte il sole è spuntato. Tu hai sempre dormito, mentre il tuo corpo bruciava come il fuoco."

"Ricordo vagamente, Pao. C'erano però delle ombre. Delle ombre che mi stavano vicino. Chi erano, Pao?"

"Uomini che ti osservavano. Tre giovani cervi hanno offerto i loro cuori a te. E i loro cuori ancor caldi hanno succhiato il tuo sangue. Le piccole piante t'hanno aiutato poi, con il loro succo, a liberarti dal veleno. Io non ho fatto altro che guardarti."

Sorrise.

"Sono guarito, ora?"

"Parli; e quando la lingua si muove e gli occhi ridono, anche se il corpo è come un cespuglio arso dal sole, si vive, Isa."

"Vorrei alzarmi."

"Prova. Ma prima bevi."

Il latte acido della capra selvatica gli parve ancor più acido del solito.

Poi si rizzò a sedere.

"La tinta sta scomparendo, Isa."

Il ragazzo si guardò. Era scomparsa. Non ce n'era la minima traccia su tutto il corpo.

"Te n'è rimasta un'ombra leggera, leggerissima. Si direbbe che la pelle sia coperta di polvere sottile. Rassomigli più a noi che ai Swazi."

Isa non rispose.

Quella era la sua pelle. Pelle di bianco, dicevano al villaggio. Non era polvere, né rimasuglio di tinta. Era la sua pelle e basta.

Ma perché egli era bianco quando tutti erano neri intorno a lui, o giallastri come Pao e la sua gente?

Per una settimana ancora fu costretto a rimanere disteso sul giaciglio. Poi le forze gli ritornarono pian piano e finalmente riprese l'arco per cacciare.

Tornò tardi, verso sera, trascinandosi dietro un capriolo.

Aveva dovuto rincorrerlo per un paio di miglia per prenderlo, ché il veleno delle frecce agisce lentamente. Ma era orgoglioso di sé.

Si sentiva abbastanza forte per riprendere il sentiero verso la sua tribù.

Pao l'attendeva nel centro della piccola radura che formava la piazza del villaggio. Intorno a lui quattro uomini erano seduti vicini a delle ceste.

"Siediti" gli ordinò.

"Cosa vuoi?"

"Il serpente t'ha morso una volta e morderà ancora, se non saprai affrontarlo. Tu hai paura di lui, vero?"

"Non lo so. Non mi era mai capitato di sobbalzare al più piccolo fruscio. Oggi è accaduto. Credi che questa sia la paura?"

"Si. Questa è la paura. E chi ha paura, muore. Perché la paura fa fare cose sciocche e senza senso che ti fanno perdere. Siediti. Ti farò vincere la paura. "

Una donna s'avvicinò con un vaso ricolmo d'acqua. Pao vi versò alcune gocce d'olio. In quello stesso istante i quattro uomini, raccolti in cerchio, intonarono una nenia lieve, sussurrata quasi; e, strisciando in terra, danzarono attorno al vaso.

"La canzone dell'ajé, il cobra" mormorò Pao, mentre Isa fissava i ballerini, attratto dalle loro movenze sinuose.

"Ora l'olio della benedizione penetra nell'acqua e si mescola... si mescola... si mescola!"

Pao urlava, mentre agitava il liquido. Il suo sguardo era fisso al cielo.

"Bevi," disse poi.

Isa tracannò la pozione.

Come ebbe posato il vaso, gli uomini cessarono di danzare, raccolsero le ceste e gli si avvicinarono.

Dai coperchi sollevati quattro serpenti rizzavano il capo guardando fissamente il ragazzo.

"Nooo! "

Il grido di Isa era disumano.

"Stai fermo. La bevanda ti ha reso immune. I serpenti non potranno più farti del male. Avvicinati!"

Isa s'avvicinò. Aveva fiducia in Pao che l'aveva salvato e guarito.

Il Boscimano avvicinò due rettili alle orecchie del ragazzo e questi vi si attaccarono con i denti e vi ristettero per più di un quarto d'ora.

Poi vi furono messi gli altri due, mentre i primi gli si attorcigliavano al collo.

Isa non tremava più. La pozione era stata efficace. La paura era scomparsa.

Quando tutta la cerimonia ebbe termine, Pao gli disse:

"Ora tu sei salvo. I serpenti potranno avvicinarsi a te e tu li tratterai con confidenza. Ed essi non colpiranno più, perché comprenderanno che tu non fai loro del male."

Alcune sere dopo i Boscimani erano riuniti nel gran piazzale per la cena d'addio. Quando la luna avrebbe illuminato la foresta Isa sarebbe partito.

Pao parlò poco, e quando tutti rientrarono nelle loro capanne fece cenno ad Isa di seguirlo.

Nella grotta prese un arco ed una faretra artisticamente dipinta.

"Tieni" disse. "È il mio dono."

"Tu sei stato buono con me, Pao, come un padre. Terrò il tuo arco con la stessa cura con cui bado al mio corpo. Se vuoi, verrò a trovarti spesso."

"Sarà come se venisse mio figlio. T'aspetto. Una cosa ancora. Un amuleto. Portalo su te. Era del mio piccolo. L'avevo preparato per lui. Non l'ha mai messo."

Isa s'inginocchiò. Il Boscimano gli legò al collo un dente di leopardo su cui erano incisi quattro cerchi concentrici dai quali partivano otto triplici raggi. Nel centro dell'incisione due piccole dita incrociate davano l'idea d'una spada.

"Che gli spiriti buoni t'accompagnino, Isa. Vai, che la luna è nata."

"Addio, Pao. Non dimenticherò."

E dopo avergli baciato il palmo delle mani, Isa prese il sentiero che doveva riportarlo fra la sua gente.

Giunto al limitar del villaggio si voltò. Pao era ancor fermo sulla soglia della grotta.

In quel momento Isa comprese com'è difficile staccarsi da chi si ama. Per la prima volta il cuore gli balzò nel petto come a lacerarsi e le lagrime gli bagnarono il volto. Per la prima volta piangeva senza essere stato picchiato.

Allora fuggi nella foresta buia, piena di sussurri e di vita.