Pronto per il matrimonio

Sono sposati da sedici anni e solo adesso, un po’ in ritardo, Rabih si sente pronto. Non è, come potrebbe sembrare, un paradosso. Dato che il matrimonio impartisce le sue importanti lezioni solo a chi ne frequenta i corsi, è normale che di solito ci si senta pronti dopo, e non prima della cerimonia nuziale, magari perfino qualche decennio dopo!

Rabih riconosce che è un espediente linguistico a permettergli di dire che è stato sposato solo una volta. Quella che è più comodo indicare come un’unica relazione ha subito in realtà così tante evoluzioni, disconnessioni, rinegoziazioni, intervalli di allontanamento e ricongiungimento emotivo che è passato attraverso almeno una decina di divorzi e nuovi matrimoni, anche se con la stessa persona.

Sta andando a Manchester per incontrare un cliente, il viaggio è lungo. Sono i momenti in cui pensa meglio, al mattino presto, in macchina, sulle strade quasi completamente sgombre, senza nessuno con cui parlare a parte se stesso.

In passato si era considerati pronti per il matrimonio quando si raggiungevano certi traguardi economici e sociali: avere una casa propria, un cassettone pieno di biancheria, qualche attestato sulla mensola del caminetto oppure delle mucche e un pezzetto di terra.

Poi, sotto l’influenza dell’ideologia romantica, gli aspetti pratici sono cominciati ad apparire troppo mercenari e calcolati e si è posta l’attenzione sulle qualità del cuore; è diventato importante avere i sentimenti giusti, tra cui la sensazione di aver incontrato l’anima gemella, la convinzione di essere capiti alla perfezione, la certezza di non voler mai più andare a letto con nessun altro.

Ormai Rabih sa che le idee romantiche sono una garanzia di disastro. Lui è pronto per il matrimonio sulla base di una serie di criteri ben diversi. È pronto per il matrimonio perché – tanto per cominciare – ha rinunciato alla perfezione.

Dichiarare «perfetta» la persona di cui siamo innamorati può significare solo che non l’abbiamo capita. Possiamo affermare di aver cominciato a conoscere qualcuno solo quando ci ha dato una delusione importante.

Ma non è un problema del singolo individuo. Chiunque sarebbe radicalmente imperfetto: un estraneo sul treno, un vecchio compagno di scuola, un nuovo amico conosciuto online... Tutti ci deluderebbero, non c’è dubbio. I fatti della vita hanno deformato il nostro carattere. Nessuno di noi ne è uscito indenne. Nessuno di noi (necessariamente) è stato cresciuto nel modo ideale: litighiamo per non spiegare, ci lamentiamo per non insegnare, ci agitiamo per non analizzare le nostre preoccupazioni, mentiamo e accusiamo a destra e a sinistra, anche senza motivo.

Le possibilità che da queste «acque perigliose» emerga un essere umano perfetto sono nulle. Non è necessario arrivare a conoscere qualcuno più che bene per trarre questa conclusione. Il suo modo particolare di essere irritante non si manifesterà subito (potrebbero volerci anche un paio d’anni), ma a livello teorico si può postularne l’esistenza fin da subito.

Di conseguenza scegliere una persona da sposare è solo questione di decidere che tipo di sofferenza siamo disposti a sopportare, non di immaginare di aver trovato un metodo per aggirare le regole dei rapporti sentimentali. Finiremo in ogni caso con il classico personaggio dei nostri incubi: la persona sbagliata.

Ma non è detto che sia un disastro. Il pessimismo romantico illuminato presuppone che una persona non possa rappresentare tutto per un’altra. Bisogna trovare un sistema per adattarsi il più delicatamente e gentilmente possibile a vivere accanto a un’altra creatura imperfetta. Il meglio che un matrimonio possa essere è «accettabile».

Per assimilare questo concetto, è utile aver avuto qualche storia d’amore prima di sistemarsi, non perché in questo modo si hanno più possibilità di trovare la «persona giusta», ma per sfruttare tutte le occasioni di sperimentare sulla propria pelle e in contesti diversi la verità che questa persona non esiste; e che tutti, visti da vicino, hanno qualcosa che non va.

Rabih si sente pronto per il matrimonio perché ormai dispera di essere capito fino in fondo.

L’amore comincia con la sensazione di essere capiti e sostenuti come non mai. L’altro raggiunge le parti più desolate di noi: non c’è bisogno di spiegare perché troviamo tanto divertente una battuta; odiamo le stesse persone; entrambi vogliamo provare una fantasia sessuale di un certo tipo, ben preciso.

Ma non può andare avanti così. Quando ci scontriamo con i ragionevoli limiti della capacità di comprensione dell’altro, non dobbiamo accusarlo di negligenza. E non si tratta nemmeno di tragica inettitudine. L’altro non è stato in grado di apprezzare fino in fondo chi siamo, ma vale anche a ruoli invertiti. È normalissimo. Nessuno capisce del tutto nessuno, né può essere comprensivo fino in fondo.

Rabih si sente pronto per il matrimonio perché ha compreso di essere pazzo.

Pensare di essere pazzi è controintuitivo. Ognuno di noi si considera normale e di solito ci andiamo bene come siamo. Sono tutti gli altri che dovrebbero mettersi in sintonia con noi... Tuttavia il primo passo verso la maturità è la capacità di percepire e, a tempo debito, senza mettersi sulla difensiva, ammettere la nostra pazzia. Se non ci capita con regolarità di essere profondamente imbarazzati per quello che siamo, non abbiamo ancora intrapreso il viaggio verso la conoscenza di noi stessi.

Rabih è pronto per il matrimonio perché ha capito che non è Kirsten quella difficile.

È ovvio che dentro la gabbia del matrimonio le persone sembrino «difficili», quando perdono la trebisonda per cose da nulla: l’organizzazione, i suoceri, i turni per pulire la casa, le feste, la spesa... Ma la colpa non è di nessuno dei due, è di quello che stanno cercando di fare insieme. È l’istituzione del matrimonio a essere impossibile per principio, non gli individui coinvolti.

Rabih è pronto per il matrimonio perché è disposto ad amare più che a essere amato.

Parliamo di «amore» come se fosse una cosa unica e indifferenziata, mentre comprende due modalità molto diverse tra loro: essere amati e amare. Dovremmo sposarci quando siamo pronti a fare la seconda cosa e siamo coscienti della nostra fissazione innaturale e pericolosa per la prima.

All’inizio conosciamo solo l’«essere amati», tanto che ci sembra – a torto – la norma. Il bambino crede che i genitori siano spontaneamente a disposizione per confortare, guidare, divertire, nutrire, riordinare, senza mai perdere la loro affettuosa allegria.

Ci portiamo questa idea dell’amore nell’età adulta. Cresciuti, speriamo di ricreare la sensazione di quando eravamo accuditi e assecondati. In un angolo segreto della nostra mente, immaginiamo un amante che anticipi i nostri bisogni, ci legga nel cuore, agisca in maniera disinteressata e renda tutto migliore. Sembra «romantico», invece è l’inizio della fine.

Rabih è pronto per il matrimonio perché capisce che sesso e amore coabiteranno sempre con difficoltà.

Nella visione romantica, amore e sesso sono allineati. Invece siamo davvero pronti per il matrimonio quando siamo abbastanza forti da accettare una vita di frustrazioni.

Dobbiamo ammettere che l’adulterio non è una soluzione praticabile, perché chiunque lo subisca ne resta segnato per sempre. Anche una scappatella senza significato tende, in effetti, a mandare tutto all’aria. Per la vittima dell’adulterio è impossibile comprendere che cosa potrebbe essere passato nella mente del partner durante il «tradimento», nelle ore in cui si è avvinghiato a un estraneo. Può ascoltare le sue giustificazioni tutte le volte che vuole, ma nel suo cuore c’è la certezza che fosse deciso a umiliarla e che il suo amore sia evaporato fino all’ultimo grammo, portandosi dietro la fiducia di cui non è più degno. Insistere su qualsiasi altra conclusione sarebbe come cercare di opporsi alla marea.

È pronto per il matrimonio perché (nelle giornate buone) gli sta bene farsi insegnare qualcosa e sa insegnare con calma.

Siamo pronti per il matrimonio quando ammettiamo che sotto molti aspetti significativi il nostro partner sia più saggio, più ragionevole e più maturo di noi. Dovremmo voler imparare da lui o da lei, accettare che ci faccia notare certe cose. In altri momenti, invece, dovremmo essere pronti a emulare i migliori pedagoghi e presentare i nostri suggerimenti senza alzare la voce o aspettarci che l’altro sappia già tutto. Solo se fossimo perfetti potremmo liquidare l’idea di un mutuo insegnamento come indizio di poco amore.

Rabih e Kirsten sono pronti a sposarsi perché hanno la profonda consapevolezza di essere incompatibili.

La visione romantica del matrimonio sottolinea l’importanza di trovare la persona «giusta», cioè qualcuno che sia in sintonia con l’intera gamma dei nostri interessi e dei nostri valori. Nessuno può esserlo, alla lunga. Siamo troppo variegati e unici. La corrispondenza non può durare. La persona davvero adatta a noi non è chi per un caso miracoloso condivide in pieno i nostri gusti, ma chi riesce a mediare le differenze di gusti con intelligenza e sensibilità.

Il vero segno distintivo della persona «giusta» è la capacità di tollerare la diversità, non una teorica complementarità perfetta. La compatibilità è una delle conquiste dell’amore; non dovrebbe esserne il prerequisito.

Rabih è pronto per il matrimonio perché le storie d’amore lo annoiano; e perché le versioni dell’amore presentate da film e romanzi di rado combaciano con quello che ha imparato dall’esperienza.

Paragonate agli standard di molte storie d’amore fittizie, le relazioni sentimentali vere sono quasi tutte compromesse e insoddisfacenti. Non c’è da meravigliarsi se spesso separazione e divorzio sembrano inevitabili. Dovremmo fare attenzione, però, a non giudicare i nostri rapporti in base alle aspettative imposte da fuorvianti mezzi di comunicazione estetici. A essere in difetto è l’arte, non la vita. Invece di separarci, potremmo raccontarci storie più realistiche, che non si soffermino tanto sull’inizio e non ci promettano una totale comprensione, ma si sforzino di normalizzare le nostre difficoltà e ci indichino una via malinconica ma speranzosa lungo il corso dell’amore.