I pro

Arriva a casa nel primo pomeriggio del sabato. Resta sorpreso constatando che il mondo sembra andare avanti come sempre. All’aeroporto e sull’autobus nessuno lo guarda male. Edimburgo non è cambiata. La chiave della porta d’ingresso gira ancora. Kirsten è in studio e sta aiutando William a fare i compiti. Questa donna intelligente e affermata, che si è laureata con il massimo dei voti all’università di Aberdeen, che è iscritta all’albo scozzese della Royal Institution of Chartered Surveyors e gestisce quotidianamente budget milionari, ha ubbidito a un bambino di sette anni e mezzo – da cui si lascia comandare a bacchetta – che le ha ordinato di sedersi per terra e le sta mettendo fretta perché colori gli arcieri nella sua versione della battaglia di Flodden Field.

Rabih ha regali per tutti (comprati dopo il controllo passaporti). Si offre di dare il cambio a Kirsten con i bambini, preparare la cena e fargli il bagno; lei dev’essere esausta. La coscienza sporca è un utile sprone a essere un pochino più gentile.

Vanno a letto presto. Da un secolo lei è la prima a cui Rabih racconta tutte le novità, piccole e grandi. Quanto gli sembra strano, quindi, essere in possesso di informazioni al contempo così significative eppure così contrarie ai consueti principi di divulgazione.

Gli verrebbe naturale cominciare spiegandole che è stata una strana coincidenza incontrare Lauren agli ascensori – lui in quel momento sarebbe dovuto essere a una conferenza – e che, dopo l’amore, ha trovato molto toccante sentirle descrivere, interrompendosi di continuo, la malattia e la morte di una nonna a cui era stata legatissima da bambina. Adottando lo stesso approccio rilassato e digressivo di quando sviscerano la psicologia delle persone incontrate alle feste o la trama dei film che guardano insieme, potrebbero esaminare quanto sia stato commovente e triste per Rabih dire addio a Lauren all’aeroporto e quanto sia stato esaltante e (un po’) terrificante ricevere un suo sms all’atterraggio. Per discutere di certi temi, nessuno sarebbe più adatto della persona perspicace, curiosa, divertente e osservatrice con cui esplora l’esistenza.

Fa una certa fatica, perciò, a tenere presente che è a un passo dallo scatenare la tragedia. Il mattino dopo Esther è stata invitata ad andare a una pista da sci al chiuso. È lì che la loro storia potrebbe arrivare a una conclusione definitiva, dando inizio alla follia e al caos. Dovranno uscire di casa alle nove per essere là alle dieci meno un quarto. È consapevole che basterebbe una frase per mettere fine a tutto quanto c’è di stabile e coerente nella sua vita attuale: il suo cervello contiene un’informazione, composta da poche parole, che sarebbe capace di spedire in orbita casa e famiglia. Sua figlia avrà bisogno dei guanti, che si trovano in solaio, nella scatola con scritto VESTITI INVERNALI. Si meraviglia della capacità della mente di non lasciar trapelare all’esterno alcun indizio della carica esplosiva che racchiude. Ciò nonostante, è tentato di controllare nello specchio del bagno che non ci siano fuoriuscite.

È consapevole – perché la società gli ha inculcato l’idea fin da piccolo – che quello che ha fatto è sbagliato. Molto sbagliato. I giornali scandalistici lo definirebbero un viscido seduttore, un immorale, uno schifoso traditore. Tuttavia deve prendere atto che non gli è del tutto chiaro di quale natura sia il male che ha commesso. È preoccupato, in effetti, ma per motivi secondari, precauzionali, cioè perché vuole che l’indomani la giornata vada bene, e anche le giornate e gli anni successivi. Però sotto sotto non riesce a credere che quanto è successo a Berlino sia davvero sbagliato di per sé. Sarà forse, si domanda, l’eterna scusa del fedifrago?

Visto attraverso la lente del romanticismo, non potrebbe esserci tradimento peggiore. Anche per chi è disposto a tollerare quasi ogni altro comportamento, l’adulterio rimane una trasgressione sismica, sconvolgente, perché viola una serie di presupposti sacrosanti dell’amore.

Il primo è che non si possa sostenere di amare qualcuno – e di conseguenza apprezzare la vita insieme – e poi sgattaiolare a fare sesso con qualcun altro. Se dovesse capitare una disgrazia simile, sarebbe la prova che non c’era amore fin dall’inizio.

Kirsten si è addormentata. Lui le sposta una ciocca di capelli dalla fronte. Gli torna in mente la reazione diversa delle orecchie e della pancia di Lauren, anche attraverso il vestito. Appena entrati al bar, sembrava già che tra loro sarebbe successo qualcosa; era diventata una certezza quando lei gli aveva chiesto se andava spesso a quei convegni e, alla sua risposta che quello gli sembrava diverso da tutti gli altri, gli aveva sorriso con trasporto. La schiettezza era il pezzo forte del fascino di Lauren. «Mi piace» aveva detto a letto, girandosi, come se stesse provando un piatto insolito al ristorante. Ma la mente è labirintica e ha la sorprendente capacità di costruire barriere impenetrabili. In un’altra zona, in una galassia diversa, rimane intatto l’amore che prova per Kirsten: le barzellette sporche che racconta alle feste, la collezione di poesie che custodisce nella testa (Coleridge e Burns), l’abitudine di abbinare gonne e collant neri con le scarpe da ginnastica, la capacità di sturare un lavandino e di capire cosa succede sotto il cofano di un’auto (il genere di cose in cui le donne abbandonate dal padre in giovane età sembrano essere molto brave). Non c’è nessuno al mondo con cui preferirebbe cenare: sua moglie, nonché la sua migliore amica. Tutto questo, però, non gli ha impedito di rischiare di rovinarle la vita.

Secondo presupposto: l’adulterio non è un comportamento sleale come tanti altri. Una trasgressione che prevede la nudità appartiene a un genere completamente diverso, per il mondo intero; è un tradimento cataclismatico e incomparabile. Andare a letto con chi capita non è solo sbagliato, è la cosa peggiore che si possa fare a chi si dice di amare.

Chiaramente non è questo che Kirsten McLelland ha sottoscritto, tanti anni prima, a Inverness, nell’ufficio del registro rosa salmone. D’altro canto, ci sono parecchie cose del loro matrimonio che nemmeno Rabih Khan si sarebbe aspettato, tra cui le forti obiezioni di sua moglie al suo desiderio di tornare all’architettura, soprattutto perché non voleva che i loro introiti fossero decurtati nemmeno per qualche mese; l’inevitabile rottura con molti dei suoi amici perché lei li trovava noiosi; la sua tendenza a prenderlo in giro davanti a tutti; il fatto che lui si debba assumere la colpa se le cose le vanno male sul lavoro; l’ansia logorante che prova per ogni aspetto dell’istruzione dei figli... È questo che si racconta, ragionamenti più semplici che non domandarsi se non sia stato lui a non voler osare nella sua carriera o se i suoi amici fossero davvero divertenti come gli sembravano a ventidue anni.

Eppure, Rabih mette in dubbio che quella mezz’ora debba cambiare a suo sfavore l’esito del conteggio morale, che basti da sola a condannarlo alla dannazione. Ci sono forme di tradimento che, pur mancando di un analogo potere di suscitare un’indignazione immediata, sono altrettanto dannose (sebbene meno evidenti): l’abitudine di Kirsten di non ascoltarlo, di non riuscire a perdonare, di accusarlo ingiustamente, di sminuirlo senza pensarci troppo e di trattarlo con indifferenza. Non gli interessa fare il conto della serva, però non è affatto sicuro che sulla base di quell’unica azione, per quanto profondamente offensiva, debba essere bollato in maniera definitiva come il cattivo dei due.

Terzo presupposto: l’impegno alla monogamia è un’ammirevole conseguenza dell’amore, che trae origine da una radicata generosità e da un intimo interesse per la prosperità e il benessere dell’altro. La scelta della monogamia è un indicatore sicuro che si hanno sinceramente a cuore gli interessi dell’altro.

Secondo il nuovo modo di vedere di Rabih, sembra tutt’altro che gentile e premuroso pretendere che il coniuge torni da solo nella sua stanza d’albergo a guardare la CNN e mangiare l’ennesimo club sandwich appollaiato sul bordo del letto, quando gli restano pochi decenni di vita punteggiati da interazioni come minimo intermittenti con l’altro sesso, in un corpo sempre più malconcio, e ora si trova davanti una ragazza californiana che prova un autentico desiderio di spogliarsi in suo onore.

Se si può definire l’amore una preoccupazione sincera per il benessere dell’altro, allora deve per forza essere compatibile con la concessione a un marito spesso stressato e piuttosto vessato di scendere dall’ascensore al diciottesimo piano per godersi dieci minuti di ringiovanente cunnilingus con un’estranea. Altrimenti si potrebbe dare l’impressione che non si tratti di amore, bensì di una sorta di possessività ristretta e ipocrita, di un desiderio di far felice il partner se, ma solo se, la sua felicità coinvolge anche noi.

È mezzanotte passata ma Rabih ha appena cominciato la sua arringa. Sa che gli si potrebbero rivolgere delle obiezioni ma le schiva in scioltezza e acquisisce, nel frattempo, una sempre più acuta consapevolezza della propria ipocrisia.

Quarto presupposto: la monogamia è lo stato naturale dell’amore. Chi è sano di mente non può desiderare altro che di amare la persona giusta. La monogamia è l’indicatore della salute affettiva.

Non c’è un idealismo infantile, si chiede Rabih, nel desiderio di trovare tutto in un altro essere umano, che sia al tempo stesso un migliore amico, un amante, l’altro genitore dei propri figli, il loro autista e magari un socio in affari? È la ricetta ideale per la delusione e il risentimento, su cui naufragano milioni di matrimoni altrimenti ottimi.

Che cosa c’è di più naturale che desiderare, di tanto in tanto, qualcun altro? Come ci si può aspettare che una persona cresca in un ambiente edonistico e libero, sperimenti il sudore e l’eccitazione dei locali notturni e dei parchi estivi, ascolti musica carica di desiderio e lussuria, e poi, appena firmato un pezzo di carta, rinunci a ogni interesse sessuale esterno alla coppia, non in nome di una divinità o di un comandamento dall’alto ma solo per la supposizione non verificata che sarebbe sbagliatissimo? Non è invece inumano e quindi «sbagliato» non essere tentati, non capire quanto poco tempo ci resta e perciò con quanta curiosità dovremmo voler esplorare l’individualità unica della carne di più di uno dei nostri contemporanei? Moraleggiare contro l’adulterio vuol dire negare la legittimità di una gamma di eccellenze sensoriali – Rabih pensa alle scapole di Lauren – a modo loro degne di venerazione quanto attrazioni più accettabili, come gli attimi conclusivi di Hey Jude o i soffitti dell’Alhambra. Il rifiuto di cogliere le opportunità di adulterio non equivale a un’infedeltà nei confronti delle ricchezze della vita? Oppure, rovesciando l’equazione: sarebbe razionale fidarsi di chiunque non fosse, nelle giuste circostanze, molto interessato a essere infedele?