Kyle

Sento dei passi dietro di me. Non sono quelli di mio nonno, tantomeno quelli di mio padre. Sono passi piccoli, misurati, quasi silenziosi. Determinano i battiti del mio cuore. Una mano si posa sulla mia spalla, come la carezza del velluto. La mia mano si posa sulla sua. Sposto indietro la sedia, mi giro di fronte a lei, le abbraccio i fianchi e poso la mia testa sul suo ventre.

Dopo un breve attimo in cui non sento più le sue mani, avverto la sua stretta sulla mia testa. Le sue dita scivolano delicatamente fra i miei capelli. Li mettono in disordine e nel frattempo sento i pensieri tornare in ordine. Affondo il viso nel suo maglione. Sento odore di iris, di biscotti per bambini, di borotalco, di frittura. Non riesco a staccarmi da lei. Riesce a tenermi lontano dall’unica cosa che mi darebbe un po’ di sollievo.

La bottiglia di birra resta chiusa sul tavolo.

Ero sul punto di aprirla, ma Katherine, come una manna dal cielo, è arrivata al momento giusto.

Allungo la mano verso la bevanda e la spingo lontano da me, poi sollevo lo sguardo su di lei.

Katherine mi guarda con quegli occhi, quegli occhi che sembrano contenere tutta la forza di questo mondo. Le sue mani scorrono sul mio viso. Lo accarezzano come se volesse dirmi che niente può andare ancora storto. E voglio crederci con tutto me stesso. La stringo ancora di più, come se volessi fondermi con lei. Mi dà calore, non quello che ripara dal freddo; quello giusto, quello che mi serve adesso, il calore necessario al mio cuore. Il balsamo. La cura.

Le mie mani sono sulla sua schiena, ne seguono la curva dell’incavo. Stringo. Aggrappo un lembo del suo maglione e la tiro giù.

18