Katherine

Durante il Natale, Pretty Creek si colora di un’atmosfera così festosa che scalderebbe l’animo del più cupo dei suoi abitanti. Come nella più allegra delle tradizioni, gruppetti di persone con abiti in costume, si fermano davanti alle case e intonano i classici canti natalizi.

Mi capita di scorgere qualcuno dalla finestra della cucina, mentre sono occupata a preparare la cena.

Li saluto. Li conosco tutti. C’è anche Stephanie che, per l’occasione, indossa un abito in stile impero, o almeno credo che lo sia, una cuffietta come copricapo e un bolerino di velluto rosso.

Lucas si solleva su una sedia al mio fianco e si sporge verso la finestra. Saluta la sua babysitter e improvvisa un balletto. Li raggiungo per premiarli con una piccola offerta in denaro e, dopo averci salutato sulle note di Oh Christmas Tree, se ne vanno per la loro via, fino alla prossima abitazione. Nel frattempo, scorgo Kyle e suo nonno attraversare la strada e arrivare sulla soglia di casa mia, dove io e Lucas sostiamo per accoglierli.

Non posso impedire al mio cuore di perdere un battito alla vista di Kyle che mi regala un sorriso che dice tutto e niente, di quelli che, da sempre, mi mandano in confusione e mi gettano in un turbine di emozioni che credevo da tempo consumate. E invece eccole qui, potenti come allora, forse più potenti.

Ha l’aria stanca. Me lo confermano le occhiaie, come se avesse riposato male, ma si è prodigato per apparire al meglio. Il Kyle dei giorni migliori, vestito con un paio di jeans blu scuro, un maglione con lo scollo a V e la giacca doppiopetto, nonostante il freddo.

«Siete puntuali, mentre io sono in ritardo con la cena», mi scuso mentre rientriamo in casa, al caldo.

«Tua madre?», mi chiede Tom quando non la vede in salotto.

«Mia madre non è troppo in vena di questi tempi», rispondo, sorvolando sul fatto che solo una mezz’ora prima ho tentato di farla scendere a cenare con noi, ma lei si è messa quasi a piangere, così ho accettato che rimanesse in camera, secondo i suoi desideri di sempre. Reclusa, sola, come non dovrebbe mai stare nessuno il giorno di Natale né nessun altro giorno dell’anno.

«Ti aiuto», si offre Kyle togliendosi la giacca e cominciando a lavare l’insalata, mentre suo nonno si occupa di Lucas intrattenendolo con alcune storie che al piccolo piacciono molto.

Uno accanto all’altra, davanti al lavello, in uno spazio che all’improvviso mi sembra troppo stretto, restiamo in silenzio per qualche minuto, tagliando, sminuzzando, tritando, raccogliendo pensieri troppo intimi, parole che non possono essere dette, gesti che non possono trovare via di fuga, finché Kyle non parla. «Grazie per questo invito. Ne avevo bisogno». Non mi guarda mentre lo dice, ma sorride alle sue mani sotto l’acqua corrente. Mi basta per sapere che ho fatto la cosa giusta. Non devo sforzarmi troppo per sembrare felice, oggi. Lo sono.

Ci sediamo a tavola quando, poco prima di servire la prima portata, il cellulare di Kyle squilla. Si scusa con un’alzata di spalle. Cambia espressione quando guarda il display. «È papà», dice a suo nonno.

Tom Hawkins annuisce. «Rispondi, ragazzo, forza».

Kyle resta a guardare il telefono. Temo che possa perdere questa chiamata se tarda ancora a rispondere. Solleva lo sguardo su di me sentendosi osservato. Gli faccio un cenno di incoraggiamento.

Finalmente risponde.

Resta ad ascoltare quello che suo padre gli dice dall’altra parte. Sento la voce di George Hawkins giungere fino alle mie orecchie, ma non riesco a capire cosa dice, finché Kyle non ribatte: «Siamo a cena

da Katherine, la figlia di Jade Hutchinson… Io non saprei… Aspetta un attimo». Kyle copre il microfono del cellulare con una mano e si rivolge a suo nonno. «Papà e mamma sono qui. Alla fine hanno accettato il tuo invito, ma ovviamente si sono ben guardarti dall’avvertire».

Tom Hawkins si solleva dalla sedia e guarda fuori, verso la sua abitazione. Saluta con una mano. Non mi resta che fare una sola cosa. «Perché non gli dici di venire a cena qui? C’è abbastanza cibo per tutti.

Ho esagerato come sempre».

Kyle aggrotta le sopracciglia. Mi guarda come se fossi pazza. Alla fine, però, annuisce. Un paio di minuti dopo sono davanti alla porta, con Kyle alle mie spalle. Accolgo i signori Hawkins con un sorriso amichevole, ricambiato con cordialità dalla madre di Kyle. Suo padre, invece, si limita a un cenno della testa, prima di dire: «Mi dispiace recarti tanto disturbo, Katherine. Non era previsto che…».

«Non è un problema. Sono felice che siate qui. È tanto che non abbiamo occasione di vederci».

«Come sta tua madre, cara?», mi domanda la signora Hawkins, mentre li accompagno in sala da pranzo.

Non so mai cosa rispondere a questo tipo di domande. È pazza? È una depressa cronica? È in un letto da non so nemmeno quanto tempo e si rifiuta di vivere una vita normale? È Kyle a togliermi dall’impaccio. Forse nota il mio rossore improvviso sul volto, la difficoltà a parlare. Sembra quasi che io mi vergogni di mia madre, ma la verità è che voglio evitare l’imbarazzo agli altri. Perché mettere la gente al corrente di come stanno le cose li costringerebbe anche a provare pena e non tutti sono capaci di esprimere al meglio questo sentimento. Alcuni, come il padre di Kyle, preferiscono nasconderlo dietro una corazza di immutabile indifferenza, sapendo di essere scoperti come insensibili. Questo li imbarazza ancora di più. Lo so perché è quello che sta facendo in questo momento George Hawkins.

«Mamma, sono felice che tu sia qui». Kyle abbraccia la donna con trasporto. Si capisce quale dei due genitori sia quello con cui è più a suo agio. Al padre stringe la mano, ma nulla di più.

Li invito a sedersi dopo aver appeso le loro giacche sull’attaccapanni all’ingresso. Finalmente possiamo cominciare a mangiare.

«Potevi avvertire del vostro arrivo», dice Tom al figlio, con voce severa.

«È stata una decisione improvvisa», risponde la nuora, mettendo una mano su quella dell’anziano uomo. Lui le sorride, ma torna serio quando rivolge nuovamente lo sguardo a George. «Mio figlio pensa di poter fare il bello e il cattivo tempo a suo piacimento».

«Papà… ti prego». George Hawkins mantiene un atteggiamento impassibile davanti alle accuse del padre. «In paese ci siamo fermati nella piazza centrale. La stanno allestendo per la fiera annuale», continua.

Annuisco con un cenno del capo e ingoio il mio boccone prima di dire: «Quest’anno il comitato per la fiera ha superato se stesso. Avremo addirittura tanti nuovi stand in un paio di vie in più». Non credo che la cosa possa interessare al giudice Hawkins, infatti mi guarda con un lieve sorriso pregno di accondiscendenza e riprende: «Abbiamo incontrato la signora Peterson proprio davanti al gazebo, dove il coro stava provando».

Kyle solleva lo sguardo. Finora non ha proferito parola, ma ora sembra interessato.

«Sarebbe più esatto dire che è la signora Peterson ad averci incontrato, mentre passavamo lentamente vicino alla piazza. In macchina. Si è sbracciata affinché ci accorgessimo di lei. Moriva dalla voglia di parlarci di Kyle». La signora Hawkins sospira guardando il figlio. Sembra come scusarsi.

«Cosa vi ha detto esattamente?», chiede Kyle smettendo improvvisamente di mangiare.

«Dovresti saperlo», commenta il padre.

Kyle fa un sorriso amaro. Scuote la testa e riprende. «Puoi anche dirlo. Sono in grado di affrontare la cosa».

«Dici?». Anche il giudice Hawkins smette di mangiare. Si pulisce le labbra con un tovagliolo e fissa lo sguardo in quello di suo figlio. «Da quanto sei qui? Un battito di ciglia. E vengo a sapere che Rhonda

Peterson ti ha visto quasi sempre ubriaco».

«Sempre». Kyle sorride toccandosi la fronte. «È stato solo un caso».

«Due volte su tre, non lo definirei un caso».

L’atmosfera si fa piuttosto pesante. Tom e Carole si lanciano sguardi preoccupati. Lucas continua a mangiare, spostando lo sguardo su ognuno di noi, probabilmente chiedendosi cosa diavolo vogliano dire i nostri discorsi.

«Se avessi un vero lavoro e dovessi trascorrere il tuo tempo dietro alle responsabilità che da questo ne conseguirebbero, non perderesti momenti preziosi della tua vita ubriacandoti». Il padre di Kyle infierisce. Come una spada dalla lama tagliente, la sua parola affonda nell’anima del figlio.

«Io ce l’ho un lavoro vero». Vedo le mani di Kyle stringere il bordo della tovaglia sotto il tavolo. Sta faticando. Sta soffrendo. Impiega tutta la sua forza di volontà per non cedere.

«Ricordami cosa fai». George gli lancia un sorriso ironico. «Il web designer? Il programmatore di non so che razza di software? Giochi per dementi?».

La mascella di Kyle si contrae. «Programmo videogames, lo sai benissimo».

«E che razza di lavoro è? Non guadagni un bel niente se hai bisogno dei miei soldi».

«Avresti voluto che mi iscrivessi a legge, vero? Come te, come Austin. Be’, non era la strada che volevo percorrere. E non mi dispiace più se tu non hai mai approvato la mia scelta».

«Non nutro alcun dubbio su questo».

«Qualcuno gradisce dell’altra insalata?», chiedo per smorzare la tensione, ma nessuno mi ascolta.

L’incendio è ormai appiccato.

«Austin era…», comincia il padre di Kyle.

«Austin era, hai detto bene. Io sono. Sono stufo di starti ad ascoltare». Kyle si alza in piedi, mi mette una mano su una spalla e si scusa di non poter più restare. Pochi secondi dopo, lo vedo uscire dalla sala da pranzo. Lo seguo. Lo trattengo per un braccio. Lui mi impedisce di farlo. «Devo andare o dirò qualcosa di cui mi pentirò per il resto della vita. Mi dispiace, Katherine».

La porta d’ingresso si apre e lui sparisce. Quando torno in sala, sono tutti in piedi, pronti ad andare via. «Ci dispiace, Katherine», dice George Hawkins.

«Non è con me che dovrebbe scusarsi». Indico un punto nella stanza, verso la finestra. «Quel ragazzo deve già lottare contro se stesso ogni giorno. Lei dovrebbe sostenerlo, non rimproverarlo. Kyle è un uomo, ma in fondo è ancora quel ragazzino ventunenne che porta sulle proprie spalle una colpa che, francamente, non credo sia sua».

George sostiene il mio sguardo e, per un attimo, quegli occhi così chiari da sembrare di ghiaccio mi fanno paura. Non importa se pensa che io sia una maleducata. Dovevo dirgli quello che penso.

«È arrivato il momento di andare», dice soltanto. I signori Hawkins salutano Tom nel più assoluto silenzio. La madre di Kyle contiene a stento l’emozione. Io stessa sono sul punto di esplodere e quando rimango da sola con il vecchio Tom, mi lascio andare a un sospiro rumoroso.

«Va’ da lui, Katherine. Digli quello che vuole sentirsi dire. Ma rimetti in piedi mio nipote. Dopo questa cena credo ne abbia bisogno». Guardo Lucas. «Starò io con tuo figlio. È in buone mani».

Non me lo faccio ripetere due volte. Un attimo dopo, sto attraversando la strada. Non ho nemmeno indossato la giacca e il freddo mi investe come un treno in corsa.

La porta del negozio è aperta. Trovo Kyle in cucina, seduto al tavolo. La testa tra le mani. Una bottiglia di birra davanti. Chiusa.

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