CAPITOLO VENTINOVE
Perez non era andato al funerale di Mima. Aveva espresso la sua decisione a Sandy il giorno prima. «Non è una mancanza di rispetto. Dillo a Evelyn. Vi penserò. Ma avere la polizia lì sarebbe una distrazione».
E Sandy aveva capito il perché. C’erano già abbastanza voci sulla morte di Mima. Perez pensava che la sua presenza avrebbe solo alimentato i pettegolezzi.
L’ispettore rimase nella sua stanza al Pier House a leggere le lettere di Hattie. Gli sembrava di aver preso la residenza lì. Era tornato la sera prima dopo aver parlato con il fiscal. Quella mattina, Jean gli sorrise quando scese per la colazione. «Ancora qui, allora?». Ormai sapeva cosa gli piaceva: una bella tazza di caffè fumante, uova strapazzate, toast. Aveva detto: «Non preferisce qualcosa di diverso stamattina?». Ma lo prendeva in giro, non si aspettava una diversa scelta.
Prima di cominciare a leggere le lettere, Perez entrò in cucina a cercarla e le chiese di fargli un caffè da portarsi in camera. Era da sola; Cedric Irvine era andato al funerale. Gli sembrò che la donna volesse chiedergli di rimanere lì a parlare con lei, ma era ansioso di tornare alle lettere. Lei era sull’isola da poco e lui non pensava che avesse molto da dirgli. Si disse che avrebbe dovuto parlare con Cedric di Mima, di nuovo, ma avrebbe dovuto aspettare, visto il funerale.
Le lettere erano tenute in ordine cronologico, ma Perez non le lesse così. Sandy aveva detto che Gwen James le aveva custodite, che Hattie le era mancata moltissimo quando era partita per il college e che avrebbe preferito tenere la figlia a casa, al sicuro. Forse, Perez aveva giudicato male la donna. I suoi genitori avevano pensato che fosse meglio mandarlo a scuola a Lerwick a undici anni. Ma, in realtà, non avevano scelta.
Si tuffò nelle lettere in un modo disorganizzato e irrazionale. Le avrebbe lette in ordine, poi, ma prima voleva un assaggio di quello che diceva Hattie. La prima fu una delle lettere dell’ospedale psichiatrico. Erano brevi, spesso incoerenti, scritte su carta economica, e la grafia era diversa dalle altre, scomposta e con le parole disordinate. All’inizio, era chiaro che Hattie stesse male lì. Per favore, per favore, fammi tornare a casa. Non ho bisogno di cure. Non posso sopportarlo. Voglio che finisca. Era quella la fonte della richiesta di morire da parte di Hattie? Successivamente, era diventata più chiacchierona. Siamo andati tutti in piscina oggi. Non nuotavo da anni e mi è piaciuto da morire. Il minibus si è rotto sulla strada del ritorno. Siamo dovuti tornare a piedi e Mark ci ha riportati indietro come una banda di scolaretti. Pensavo quasi che ci avrebbero chiesto di metterci in coppia e tenerci per mano. La scrittura migliorava mano a mano che migliorava il suo umore, era più pulita, più controllata.
C’era un buco di due settimane. Perez pensò che fosse tornata a casa prima di riprendere l’università e non aveva necessità di scrivere alla madre. Si chiese come fosse andata. Avrebbe voluto incontrare Gwen James, così da capire meglio la situazione. C’erano state lunghe chiacchierate serali? O entrambe avevano preferito fare finta che non fosse successo nulla nella vita di Hattie, che l’assenza della ragazza da casa fosse perfettamente normale, come una vacanza o un viaggio? Gwen aveva continuato a dedicarsi solo al lavoro?
Perez tornò alle prime settimane di Hattie all’università, prima del crollo e del ricovero in ospedale. Le lettere erano su fogli A4, scritte a mano. Non mancava mai la lettera settimanale. Perez fu sorpreso da quella disciplina: la maggior parte degli studenti conduceva una vita disorganizzata, andava a feste, concerti, si ubriacava e aveva tesine in scadenza da consegnare. Ma forse la vita di Hattie era ordinata. Era chiaro quanto fosse ambiziosa e determinata a fare bene. Le lettere dall’università riguardavano per lo più il lavoro. Se anche aveva una vita sociale, non lo raccontava alla madre. Le lesse tutte con attenzione, in cerca di indizi su amici che avrebbe potuto contattare per chiedere di Hattie, ma ogni persona citata era descritta come un semplice collega. Sembrava improbabile che Hattie si fosse tenuta in contatto con qualcuno di loro.
Aveva quasi perso ogni speranza di trovare indizi riguardo alla vita di Hattie. Finì il caffè e si alzò per andare alla finestra, a guardare il molo. Tutto era calmo. Il traghetto stava andando a Laxo, ma le altre barche erano ferme. Pensò che la maggior parte delle persone era al funerale. Poi, leggendo una lettera con un diverso indirizzo, vide un nome familiare.
Era datata fine giugno ed era arrivata durante la prima lunga vacanza di Hattie, l’estate prima del ricovero. Il tono era felice ed entusiasta. Perez pensò a quanto dovesse essere stata felice Gwen James nel leggerla. Mi sto godendo ogni momento. È proprio quello che vorrei fare nella vita. Paul Berglund, il responsabile dello scavo, è arrivato oggi e sembra entusiasta di come stanno andando le cose. Ci ha portati tutti al pub dopo aver finito allo scavo, oggi. Ho avuto un po’ di dopo sbronza la mattina dopo!
Non c’era nessun altro riferimento a Berglund nella lettera. Perez pensò che se fosse stato il loro unico contatto, il professore avrebbe potuto essersi dimenticato di una volontaria. Ciò nonostante, due settimane dopo, Berglund era stato menzionato di nuovo.
Paul mi ha portato fuori a cena per ringraziarmi del lavoro fatto sul progetto. È un uomo così simpatico, è il migliore nel suo campo. Sto pensando di cambiare il mio piano di studi così da lavorare nel suo dipartimento. Non voglio perdere tutto dopo che mi ha dato così tanto aiuto.
L’attenzione di Perez fu attirata dal rumore di una macchina fuori dalla finestra. Era l’enorme veicolo di Ronald Clouston. Si chiese se il funerale fosse stato così difficile per lui da voler affogare nell’alcol il suo dolore. Ma non fu Ronald a uscire dalla macchina. Berglund e Sophie emersero dai sedili posteriori, Anna da quello davanti. Perez non riuscì a sentire la conversazione. La donna tornò a sedersi di fianco al marito e la macchina si allontanò. Berglund e Sophie entrarono nell’hotel.
Perez era ansioso di parlare con Berglund. Quando gli aveva chiesto da quanto conoscesse Hattie, perché non gli aveva detto che si erano incontrati quando era ancora una studentessa? Ma non voleva domandarglielo di fronte a Sophie. Tornò a leggere le lettere.
Hattie non menzionava più Paul e non c’era nessun altro riferimento al cambio del piano di studi. Forse la sua esperienza da volontaria era finita, perché c’era un altro buco nelle lettere. Quelle successive arrivavano dall’ospedale. Si chiese cosa fosse cambiato così drammaticamente nella sua vita per passare da eccitata giovane donna a depressa bisognosa di cure.
Quando era tornata all’università non aveva più riacquisito la stessa eccitazione dello scavo con Paul Berglund. Le notizie erano riportate in maniera piatta e riguardavano solo il suo lavoro accademico. La grafia era stretta, quasi illeggibile. Non parlava dei suoi sentimenti ma Perez riusciva a percepire l’infelicità. Forse non era malata, ma sicuramente era triste. Trovò difficile leggere la lettera. Se la immaginò nella sua piccola stanza nel dormitorio dell’università, sola, a scrivere alla madre per abitudine.
La strada era molto tranquilla, perciò si accorse della porta dell’hotel che si apriva e dei passi che si allontanavano. Guardò fuori dalla finestra e vide Sophie che usciva di corsa. Era di spalle e non riusciva a vedere il viso.
Berglund era al bar. Non c’era nessun altro, nemmeno Jean, che però era sicuramente stata lì poco prima visto il bicchiere di vino di Paul. Perez pensò che Sophie si fosse unita a lui ma i bicchieri vuoti erano già stati portati via.
«Ispettore, posso offrirle qualcosa?». Il professore ancora addosso il completo, ma si era tolto la cravatta e sbottonato il colletto della camicia.
Perez avrebbe desiderato un altro caffè, ma non voleva chiamare la cameriera. Quella avrebbe dovuto essere una conversazione privata. Scosse la testa e si sedette.
«La chiesa era piena», disse Berglund. «Mima aveva molti amici».
«Vorrei parlarle di Hattie».
«Ma certo».
«Un altro funerale a cui dovrà partecipare».
Berglund sembrò sconvolto. «Direi di sì. Qualcuno dovrà rappresentare l’università. Questo rende tutto orribilmente reale. Penso che sua madre si occuperà di tutto una volta restituitole il corpo. Ho intenzione di chiamare la signora James domani, per porgere le mie condoglianze e chiedere se posso darle una mano in qualche modo».
«Mi ha dato l’impressione di aver conosciuto Hattie solo quando ha cominciato a supervisionare lo scavo».
«Ah, sì?». Berglund si accigliò. Non aveva il collo lungo e quando abbassò il mento verso il petto sembrò quasi sparire del tutto. Sembrava un bulldog dei cartoni animati.
Perez lo guardò ma non disse nulla, in attesa di una spiegazione.
«L’ho incontrata quando era una studentessa», disse Berglund. «Qualche anno fa. Era un’estate calda. Faceva la volontaria in uno scavo a Sud dell’Inghilterra». Smise di parlare, ostinato, sfidando Perez a chiedere più dettagli.
«Perché non me l’ha detto prima?», Perez mantenne un tono accondiscendente. Se l’uomo si fosse sentito minacciato, forse avrebbe smesso di parlare.
«Non ci avevo pensato. Ho lavorato con molti studenti per anni. Poi quando mi sono ricordato ho immaginato che non fosse una cosa importante. Credevo che avrebbe pensato male, considerando il tutto fuori contesto».
«L’ha portata a cena fuori», disse Perez. «Una sera, in quella calda estate, le ha chiesto di uscire con lei. Lei, nessun’altra. Vero?».
Berglund esitò. Perez pensò che stesse decidendo quanto dovesse rivelare. Alla fine decise di parlare e sembrava quasi che stesse raccontando una storia.
«Era bella, piccola. Era bella anche mentre lavorava a Whalsay, ma qui era così seria. Allora sembrava felice, divertente, piena di vita. Sì, l’ho invitata a cena. Un paio di volte, in realtà. Un impulso del momento di cui mi sono pentito. Ero sposato e avevo un bambino piccolo. Ma dopo una lunga giornata sul campo volevo qualcuno con cui passare una bella serata. Mi piace la compagnia femminile e mia moglie era a duecento miglia di distanza. Tutto lì».
«Sapeva che lei era sposato?»
«Non glielo avevo detto ma non era un segreto. Gli altri volontari lo sapevano».
«Cos’è successo?»
«La prima volta, nulla. Abbiamo cenato e l’ho riaccompagnata a casa. La volta dopo, qualcosa di più intimo. Abbiamo cenato al pub dove alloggiavamo. Le finestre erano aperte e c’erano i caprifogli in giardino. Ne ricordo ancora l’odore. Abbiamo bevuto una bottiglia di vino bianco. Poi siamo andati a letto insieme. Non è un crimine. Non ero nemmeno un suo professore ed era un’adulta consenziente».
«Era giovane e ingenua». Nessuna condanna, solo un commento. Perez si pentì di non aver chiesto da bere. Le sue mani erano sul tavolo di fronte a lui e non sapeva che farci.
«Come ha detto lei, era giovane e ingenua. In quelle serate, ci ha visto più di quanto mi aspettassi. La maggior parte degli studenti ha più esperienza sessuale di me. Lei era l’eccezione». Si fermò. «Aveva diciannove anni, io trentacinque. Pensava di amarmi».
«Le ha reso la vita difficile?»
«Non troppo. C’è stato un incontro imbarazzante, poi ha lasciato lo scavo. Non mi aspettavo di rivederla ancora. Poi ho cambiato lavoro e mi sono ritrovato a supervisionare il progetto di dottorato di una collega. Hattie».
«L’ha riconosciuta?»
«Certo, ispettore. Non ho l’abitudine di andare a letto con le mie volontarie. Ma lei ha fatto finta di non conoscermi, quindi ho pensato che fosse la sua volontà».
«Non ha mai parlato della relazione precedente?»
«Non era una relazione, ispettore. È stata l’avventura di una notte».
«Sa che ha sofferto di depressione?»
«No, ma non mi sorprende. Nel nostro precedente incontro e nel suo lavoro mancava di proporzioni. Si prendeva troppo sul serio. Penso potesse essere un sintomo della sua malattia».
«È stata male dopo averla incontrata».
Ci fu un’altra, lunga pausa. «Mi spiace. Non lo sapevo».
«Lei e Hattie avete passato del tempo insieme il giorno della sua scomparsa. Nessun riferimento a quel periodo?»
«Assolutamente no, ispettore. È stata una conversazione professionale tra colleghi. Come le ho già spiegato».
«Strano che abbia usato il suo coltello, non pensa?». Se è andata davvero così.
«Pensa che si sia sentita respinta da me? Che il suicidio sia stato una qualche specie di gesto romantico?».
Perez si sedette a guardare l’uomo all’altra parte del tavolo. Berglund si sentiva quasi lusingato e questo infastidì Perez. Pensò che il professore lo avesse ingannato. Stava omettendo qualcosa e non gli aveva raccontato tutto, ma non era sicuro delle domande da fare. Non poteva affrontare l’idea di leggere altre lettere di Hattie. Tornò in camera sua e chiamò Fran. Lei chiese dell’indagine ma lui si rifiutò di parlarne. Voleva che lei gli raccontasse di Cassie e delle sue attività. Voleva che lo facesse ridere.