CAPITOLO CINQUE
Sandy Wilson attraversò il campo barcollando. Fu un paio di settimane dopo che Hattie aveva trovato il teschio, una di quelle notti buie tipiche della primavera. Non era fredda, ma l’isola era avvolta da una nuvola bassa, e una densa, incessante pioggerellina copriva la luna e le stelle e persino la luce delle finestre della casa alle sue spalle. Non aveva una torcia, ma non ne aveva bisogno. Era cresciuto lì. Se vivi su un’isola lunga meno di dieci chilometri e larga quattro, all’età di dieci anni ne conosci ogni palmo a memoria. E la mappa ti rimane impressa anche dopo essertene andato. Sandy viveva in città ormai, a Lerwick, ma sapeva che se lo avessero lasciato bendato in qualsiasi angolo a Whalsay, dopo pochi minuti sarebbe stato in grado di dire dove si trovava, solo sentendo il terreno sotto i suoi piedi e tastando il canale più vicino.
Sapeva di aver bevuto troppo, ma si congratulò con sé stesso per essere riuscito a uscire dal Pier House Hotel. Sua madre lo aspettava. Un altro paio di drink e sarebbe stato completamente sbronzo. Poi aveva ripensato alle vecchie lezioni sull’autocontrollo e a Michael, suo fratello, che aveva rinunciato completamente all’alcol. Sandy pensò che avrebbe potuto chiamare e andare dalla nonna, così lei gli avrebbe preparato una bella tazza di caffè nero così da essere abbastanza sobrio quando sarebbe tornato a casa. Gli aveva telefonato durante la settimana precedente dicendogli di chiamare quando sarebbe stato a casa. A Mima non aveva mai dato fastidio vederlo messo un po’ male. Era stata lei a dargli il primo goccetto, una mattina, quando stava per andare a scuola. Era un giorno freddo e lei gli disse che il whisky avrebbe tenuto lontano il freddo. Lui aveva sputato e tossito come se fosse la peggiore delle medicine, ma da allora aveva sviluppato una predilezione per l’alcol. Pensava che Mima avesse quella predilezione dalla culla, anche se sembrava non avesse mai avuto effetto su di lei. Non l’aveva mai vista ubriaca.
Il campo scese verso il vialetto che conduceva alla fattoria di Mima. Sentì uno sparo. Il rumore lo spaventò per un minuto o due, ma poi continuò a camminare. Forse era Ronald, fuori a caccia di conigli. Ne aveva parlato quando Sandy era andato a trovare il bambino e, in fondo, quella era una buona notte per la caccia. I conigli, abbagliati dalla torcia, rimanevano impietriti come statue, pronti per essere uccisi. Era illegale, ma quegli animali erano una tale seccatura che a nessuno importava. Il resto della sua passeggiata verso Setter fu condita dal rumore occasionale degli spari.
C’era una curva nel vialetto e Sandy vide, come aveva previsto, la luce che usciva dalla finestra della cucina di Mima. La casa era nascosta in mezzo alla collina e sbucava all’improvviso. Molti degli abitanti delle isole erano contenti che fosse nascosta alla vista perché era un posto trascurato, il giardino coperto di erbacce, gli infissi senza pittura e scrostati. Evelyn, la madre di Sandy, era mortificata dall’aspetto della fattoria di Mima e se ne lamentava regolarmente con suo padre. «Andrai o no a mettere a posto per lei?». Ma Mima non ne aveva nessuna voglia. «Basta e avanza così», rispondeva lei. «Mi piace così com’è. Non voglio tutte queste noie». Joseph prestava più attenzione alla madre che alla moglie, per questo Mima aveva l’ultima parola.
Setter era la fattoria più riparata dell’isola. Un archeologo che era arrivato lo scorso anno da un’università del sud diceva che quella zona era abitata da migliaia di anni. Aveva chiesto se potevano fare degli scavi vicino alla casa. Un progetto di dottorato di una studentessa, che pensava potesse esserci una grande villa sotto la fattoria. Avrebbero rimesso tutto a posto, come l’avevano trovato. Sandy pensava che Mima avrebbe dato comunque il permesso. Gli aveva parlato dell’archeologo. «È un bel ragazzo», disse a Sandy, con gli occhi che brillavano. Sandy aveva visto quella che doveva essere da ragazza. Audace. Senza vergogna. Nessun dubbio sul perché le altre donne dell’isola erano diffidenti nei suoi confronti.
Ci fu un rumore da un campo lì vicino. Non uno sparo questa volta, ma un borbottio, un calpestio. Sandy si girò e vide la sagoma di una mucca qualche metro più in là. Mima era l’unica persona rimasta a Whalsay a mungere a mano. Gli altri avevano smesso decenni fa, dissuasi dal lavoro e dalle regole d’igiene, che impedivano al latte di essere venduto. C’erano ancora persone che amavano il latte non pastorizzato e mettevano a posto il tetto di Mima o le allungavano una bottiglia di whisky in cambio di una caraffa di liquido giallo ogni mattina. Sandy sapeva che non sarebbero stati così gentili se avessero visto Mima mungere. L’ultima volta che l’aveva osservata, si era soffiata il naso con il tovagliolo con cui puliva le mammelle. Ma per quanto ne sapeva, nessuno si era mai ammalato. Era cresciuto in quel modo e non aveva mai avuto problemi. Persino sua madre raschiava la crema sulla cima della zangola e la metteva sul porridge.
Spinse la porta ed entrò in cucina, aspettandosi Mima sulla sua sedia vicino al Rayburn, il gatto sulle ginocchia, un bicchiere vuoto al suo fianco, mentre guardava qualcosa di violento alla televisione. Non andava mai a letto presto, sembrava che a malapena dormisse, e amava la violenza. Era l’unica della famiglia a essere stata felice della carriera da lui scelta.
«Bello», aveva detto, «un poliziotto!». Aveva un che di sognante negli occhi ed era sicuro che si stesse immaginando New York, pistole, inseguimenti in auto. Era stata solo una volta a sud, ad Aberdeen per un funerale. Le sue idee del mondo venivano dalla TV. Fare il poliziotto nelle Shetland non era mai stato come in televisione, ma lei amava comunque sentire le sue storie, e lui le ingigantiva, giusto un po’, per farla felice.
Il televisore era acceso, il suono era altissimo. Mima stava diventando sorda, anche se rifiutava di ammetterlo. Ma il gatto era sulla sedia, da solo. Era grande e nero e cattivo con tutti tranne che con la sua padrona. Un gatto da strega, così lo definiva sua madre. Sandy abbassò il volume, aprì la porta che dava sul resto della casa e urlò: «Mima! Sono io!». Sapeva che non stava dormendo. Non avrebbe mai lasciato la luce e il televisore accesi, e il gatto condivideva con lei il letto tanto quanto la sedia. Il marito di Mima era morto in mare quando lei era ancora una ragazza. C’erano voci che la vedevano come una giovane e scatenata vedova, ma fin da quando lui ricordava, lei aveva vissuto per conto suo.
Non c’era alcuna spiegazione. Si sentì improvvisamente sobrio e camminò per tutta la casa. C’era un corridoio che conduceva in tre camere. Non ricordava di essere nemmeno mai stato in quella della nonna. Non era mai stata malata. Era una stanza quadrata arredata con un armadio di legno scuro, pesante, e un letto così alto che non capiva come Mima potesse salirci senza l’aiuto di uno sgabello. Per terra, lo stesso linoleum della cucina, un tappeto di pelle di pecora, bianco una volta, ora grigio e arruffato. Le tende, sbiadite e malconce, color crema con una fantasia di rose, erano aperte. Sul davanzale una foto del marito: aveva una folta barba rossa, occhi blu, indossava una incerata e degli stivali e ricordava a Sandy suo padre. Il letto era stato fatto e rivestito con un copriletto a quadrettoni all’uncinetto. Non c’era nessun segno di Mima.
Il bagno era l’aggiunta più recente, costruito sul retro della casa, anche se Sandy lo ricordava da sempre. La vasca e il lavello erano di un blu improbabile, nonostante il linoleum marrone sul pavimento, coperto parzialmente da un tappeto blu brillante. C’era odore di umidità e asciugamani bagnati. Un enorme ragno avanzava intorno allo scarico. Per il resto, la camera era vuota.
Sandy provò a pensare razionalmente. Aveva avuto a che fare con persone scomparse e sapeva che le famiglie andavano sempre nel panico inutilmente. Si era preso gioco spesso del genitore ansioso o del partner, una volta messo giù il telefono. «C’era una festa all’Haa la scorsa notte. Saranno lì». Ma ora sentiva lo shock dell’inaspettato, dello sconosciuto. Mima non si allontanava mai da casa sua di notte, a meno che non fosse a casa dei suoi genitori o a un grande evento dell’isola come un matrimonio, ma anche in quel caso qualcuno le avrebbe dato un passaggio e lui l’avrebbe saputo. Non aveva veri amici. La maggior parte della gente di Whalsay era leggermente spaventata da lei. Sentì i suoi pensieri divagare senza controllo, provò a mantenere la calma.
Cosa farebbe Jimmy Perez in questa situazione?
Mima rinchiudeva sempre le galline di notte. Forse era andata a fare quello ed era inciampata e caduta. Gli archeologi avevano scavato le loro fosse lontano da casa, ma forse ci era passata vicino e i bicchierini che si era concessa le avevano offuscato un po’ il giudizio. Se avesse girovagato da quelle parti sarebbe stato facile caderci dentro.
Sandy tornò in cucina e prese una torcia dal cassetto del tavolo. Era lì fin da quando ogni casa aveva avuto il proprio generatore, che funzionava solo un paio d’ore di sera. Fuori, sentì il freddo della nebbia e della pioggerellina, pungente dopo essere stato al calore del Rayburn. Doveva essere quasi mezzanotte. Sua madre si stava sicuramente chiedendo dove fosse. Camminò intorno alla casa. C’era il capanno in cui Mima portava la mucca per mungerla. Una volta che i suoi occhi si abituarono all’oscurità, capì che era abbastanza illuminato per vedere dove stesse andando. Alla sua sinistra la luce del bagno e di fronte a lui quella della finestra. Non aveva bisogno della torcia. Le galline erano rinchiuse. Controllò il gancio sulla casetta di legno e sentì il fruscio del movimento degli animali all’interno.
Era stata una bella giornata e Mima aveva fatto il bucato. Il filo andava dal retro della casa agli scavi degli archeologi. C’erano ancora asciugamani e lenzuola appesi alla corda di nylon. Erano lì, pendenti senza vita, come le vele di una barca ancorata. Le altre donne dell’isola avrebbero raccolto il bucato non appena il tempo fosse cambiato, ma Mima probabilmente non se ne sarebbe curata nel caso stesse bevendo il suo tè o leggendo un libro. Era questa incoscienza che irritava così tanto i suoi vicini. Come poteva non curarsi di cosa pensavano di lei? Come poteva mantenere così disordinata la sua stessa casa?
Sandy passò dietro il bucato fino ad arrivare al punto in cui gli studenti stavano lavorando. Un paio di pali delimitavano l’area di ricerca, forse per alcune misurazioni. Un frangivento di plastica blu era tenuto su da paletti di metallo. Una pila di detriti, accatastati in un angolo. Due fosse scavate ad angolo retto. Puntò la torcia all’interno, ma erano vuote a parte un paio di pozzanghere. Quell’area sembrava proprio la scena del crimine di uno dei programmi che piacevano così tanto a sua nonna.
«Mima!», urlò. Pensò che la sua voce suonasse molto sottile e acuta. Quasi non la riconosceva.
Decise di tornare a casa, spense la torcia e si incamminò verso l’abitazione. Avrebbe potuto chiamare Utra da lì. Sua madre avrebbe saputo dov’era Mima, sapeva tutto quello che succedeva a Whalsay. Vide un cappotto cadere dal filo del bucato e finire in un mucchio di erba. Capì che era un impermeabile degli studenti e pensò che Mima si fosse offerta di pulirlo dal fango. Stava per lasciarlo lì: tanto non sarebbe dovuto finire di nuovo in lavatrice? Ma alla fine si fermò a raccoglierlo per portarlo dentro.
Non era un semplice cappotto. Era sua nonna. Sembrava così piccola nella sua giacca gialla. Pensò che fosse a malapena più pesante di una bambola, sottile, con braccia e gambe simili a ramoscelli. Le toccò il viso, era freddo e liscio come la cera, cercò il battito. Voleva chiamare un dottore, ma non poteva muoversi. Era congelato, paralizzato dallo shock e dall’idea di assimilare la morte di Mima. Guardò ancora il suo viso, bianco come il gesso sul terreno fangoso. Questa non è Mima, pensò. Non può essere. Ci deve essere stato uno sbaglio. Ma ovviamente era sua nonna; guardava i denti della misura sbagliata e i sottili capelli bianchi e si sentì male e sobrio allo stesso tempo. Non si fidava del suo giudizio. Era Sandy Wilson, si sbagliava sempre. Forse aveva preso male il battito ed era davvero viva e respirava.
La sollevò tra le braccia per trascinarla dentro. Non poteva sopportare l’idea di lasciarla fuori al freddo. Fu solo quando entrò in cucina che vide le ferite all’altezza dello stomaco e il sangue.