7.
Quarto falso,
a Roma

Gli Iulii erano una gens che si riteneva di origine albana. Per questo aveva il sacrarium a Bovillae, piccolo centro che sostituiva l’Alba distrutta. Cesare era uno Iulius e lo era anche Ottaviano, suo figlio adottivo. Ottaviano si era proposto di rifondare Roma – mezzo millennio dopo Servio Tullio – trasformando la repubblica in principato e dando un nuovo ordine ai secoli a venire.

Era andato ad abitare sul lato Palatino chiamato Cermalus, rivolto al Circo e sovrastante il Lupercal (da Ottaviano restaurato), proprio davanti alla casa o capanna/aedes di Romolo (fig. 42), dinanzi alla quale era stata fondata la città. Aveva respinto l’offerta di chiamarsi Romolo, ma aveva accolto quella di chiamarsi Augustus, «il benedetto da Giove», come lo era stato il re fondatore.

Ma Augusto temeva moltissimo di apparire come un potenziale re; infatti era per aver aspirato al regno che Cesare era stato trucidato. Per questa ragione il figlio del divus aveva scelto di essere non un rex ma un princeps, il primo di tutti i cittadini.

Eppure essere princeps nell’autorità della politica non gli bastava; voleva esserlo anche nell’autorità sacrale. Voleva essere nominato pontifex maximus, ma non uno qualsiasi, bensì un pontefice specialissimo, tale per diritto di famiglia. Serviva a ciò una figura del passato lontano, capace di prefigurare l’eccezionale suo destino pontificale.

Così Augusto ha riesumato un clamoroso falso di Cesare (di cui ci informa il grammatico e commentatore Servio): un certo Iulus, inteso come capostipite degli Iulii, identificato con Ascanio o con un suo figlio. Per Cesare, Iulus avrebbe voluto regnare ad Alba al posto di Silvius, per cui avrebbe aspirato al trono. Per salvaguardare la propria sicurezza, Augusto ha trasformato Iulus in un meno ambizioso aspirante al primo pontificato massimo di Alba e cosi il princeps ha ottenuto di discendere, non già da Silvius – generato da Enea con la locale Lavinia –, ma da Iulus – generato da Enea con la troiana Creusa. I Giuli erano antenati ideali, perché mai avevano regnato e ciò molto conveniva ad Augusto che voleva nascondere dietro un apparente ristabilimento della tradizione repubblicana il suo altissimo e concentratissimo potere.

Questa ultima falsificazione ha consentito ad Augusto di radere al suolo la sede storica dei pontefici massimi presso il lucus Vestae (figg. 5-6) – trasformata in prosaico horreum (mercatino) –, di ricostituirla nella parte pubblica della sua casa (fig. 43) trasferendo in essa gli Annales dei pontefici massimi e di disporre in questa casa pubblica di una statua e di una edicola di Vesta che ospitava i Penates e il Palladium (fig. 44): numi ritenuti provenire dalla reggia di Troia e quindi «parenti» del princeps, in quanto discendente di Enea.

Al termine di questa serie di falsi, Augusto risultava provenire da tre dèi: Zeus, Afrodite e Apollo (con cui sua madre Azia si sarebbe congiunta). Per non dire della sua parentela con eroi e uomini divinizzati: Enea, Romolo e Cesare. Così la casa-santuario sul Palatino, dove Augusto con i suoi Lares viveva insieme ad Apollo e a Vesta con i Penates (figg. 43-44), appariva una riedizione delle dimore regie e dei santuari di Alba, di Troia, di Laurentum (fig. 53), della prima Roma e perfino di Cuma, almeno per quanto riguardava il nesso fra l’Apollo Palatino e i Libri sibyllini in esso contenuti, che rimandava a una realtà della più antica colonia greca di Occidente (figg. 51-52).

Eppure il nesso con l’inventato Iulus andava non soltanto propagandato e cantato ma anche registrato nella memoria scritta ufficiale di Roma. Sappiamo che, da un certo momento in poi, Iulus figurava nel Libro IV degli Annales (come attesta l’Origo gentis romanae, che derivava da fonte augustea e indirettamente da Dionigi di Alicarnasso). Possiamo facilmente mettere in scena la redazione di quest’ultimo falso. Nell’anno 12 a.C., tra la nomina al pontificato del 6 marzo e l’istituzione del culto domestico di Vesta del 28 aprile, Augusto ha lasciato la casa privata di lui in quanto princeps – posta sul lato sinistro del tempio di Apollo – ed è passato non visto, tramite un ben noto corridoio sotterraneo, nella casa pubblica di lui in quanto pontifex maximus – posta sul lato destro dello stesso tempio (fig. 44). In quest’ultima casa aveva fatto trasportare, dalla sede tradizionale dei pontefici massimi ormai distrutta (figg. 5-6), gli Annales, come aveva fatto con i Libri sibyllini, traslati dal Tempio di Giove Ottimo Massimo in una segreta posta sotto la base delle statue di culto del tempio di Apollo (fig. 44). E lì Augusto ha inserito una tavoletta scritta di sua mano in quelle degli Annales, nella quale evocava Iulus, avo degli Iulii e primo pontefice massimo di Alba (l’ipotesi è di Bruce Woodward Frier1).

1 Frier 1979; Martin 1989.