7.
Vesta e i riti fondativi
a Roma

Roma ha conosciuto non una fondazione cittadina, come normalmente si ritiene, ma due e di genere diverso, che i Romani celebravano in due giorni dell’anno: il 21 aprile, antico capodanno pastorale sacro a Pales, risalente all’epoca pre-civica quando il primo calendario romuleo di 10 mesi non era stato ancora istituito, e il 1° marzo, capodanno sacro a Marte di quel calendario originario della città. La prima data era legata alla prima fondazione urbana sul Palatino – Roma condita –, mentre la seconda data era connessa alla seconda fondazione del Foro, probabilmente del Volcanal al Comitium e sicuramente del fuoco pubblico di Vesta che veniva riacceso a capodanno.

La prima fondazione è stata celebrata da Romolo sul Palatino – rilievo principale dei montes fin dal tempo del Septimontium –, cioè dal primo re di Roma che sul Cermalus era stato allevato da Acca Larentia nella capanna del porcaro Faustolo, la casa Faustuli, dove aveva scelto inizialmente di abitare, ristrutturandola come casa Romuli. La cerimonia si era ispirata al rito etrusco-latino del condere o riporre/nascondere le diverse terre e primizie entro una fossa, prima dispensa o penus ricavata davanti alla capanna regia, accanto alla quale era un’ara e quindi il primo fuoco del primo re1: ricavato da Alba? La fossa/penus con l’ara si trovava probabilmente dove si era infissa l’hasta di corniolo – manifestazione aniconica di Marte – che Romolo aveva scagliato dall’Aventino per prendere possesso del Cermalus-Palatium e questa asta aveva poi messo radici, trasformandosi in vivente corniolo. L’asta/scettro che si radicava e prosperava in albero era legata all’ara, cioè al focolare regio, come nel sogno già ricordato di Clitennestra e come viene rappresentata nella pittura della casa di M. Fabio Secondo a Pompei che raffigura le origini di Roma2.

La fossa della fondazione di Roma si trovava sul Cermalus, davanti alla casa di Romolo, connessa probabilmente a un culto di Marte, per cui rientrava nel complesso regio delle origini. Un 21 aprile di un anno non lontano dal secondo quarto dell’VIII secolo a.C. il primo re ha deposto in quella fossa/penus non il raccolto dell’anno per conservarlo come normalmente accadeva, ma i simboli agricoli della città-stato: terre delle diverse provenienze dei cittadini, probabilmente dei rioni o curiae dell’abitato cittadino e forse anche dei distretti (pagi) del territorio (ager) – e primizie di cereali raccolti in quegli stessi suoli. Il tutto è stato poi mescolato, unificato e centralizzato entro una unica fossa, per indicare la fondazione pattuita entro una sola città-stato – procedimento analogo a quello del greco «sinecismo» –, rappresentata dal bene comune tesaurizzato entro una cavità ricavata accanto al fuoco del re. Mentre le fosse delle capanne di abitazione erano sovente riaperte per prelevare il farro, il campionario di terre e di primizie di cereali più non serviva, per cui la fossa era stata riempita e chiusa per sempre, come è accaduto alle fosse della fondazione di Tarquinia, che contenevano un lituo, un’ascia, uno scudo e ceramica databile intorno al 700 a.C. circa3; il che sembra indicare una origine etrusca di questo rito fondativo del condere o nascondere in una fossa.

Sul focolare/altare del Cermalus era stato acceso il primo fuoco del primo re di Roma, che in quanto ultimo rampollo dei Silvi poteva averlo tratto dal fuoco regio della madrepatria Alba, sacro a Vesta e già curato dalla madre, Rhea Silvia. Davanti alle regie capanne per il re e per i sacraria di Marte e Ops e davanti alla fossa con ara della fondazione, oltre la strada delle scalae Caci, era uno spiazzo, forse un primitivo ovile, dove il 21 aprile, festa di Pales chiamata Parilia, si purificavano le greggi e gli uomini4. È al termine di una di queste feste pastorali che è stata celebrata la fondazione di Roma. Subito dopo, il re fondatore deve aver ottenuto, osservando il volo degli uccelli secondo un rito auspicale del luogo, l’inaugurazione, cioè la benedizione del Palatino, ottenuta da Giove e contenuta entro un limite segnato da cippi o lapides chiamato pomerium, perché si trovava (guardando dall’esterno verso l’interno) post moerium, «dietro le mura». Seguendo poi un altro rito etrusco, il primo re ha tracciato con l’aratro il sulcus primigenius, sul quale ha edificato il murus sanctus e cioè inviolabile, protetto da Giove, Marte e Vesta, divinità alle quali Romolo aveva sacrificato il toro e la vacca che quell’aratro avevano tirato. Remo era saltato sopra il muro santo, per dimostrarne la pochezza – infatti era un murus e non un terrapieno o agger, come quello da noi trovato –, e Romolo lo aveva ucciso, punizione che la violazione delle mura sante presupponeva. In seguito e molto dopo, quattro cippi iscritti riguardanti Remus e Marspiter (Mars pater) indicheranno il luogo dove i Romani credevano che le mura erano state scavalcate, da immaginare al murus Romuli connesso alla porta Mugonia tardo-repubblicana (fig. 5).

La seconda fondazione è stata celebrata invece da Tito Tazio e da Romolo, che insieme hanno creato una radura (lucus) in un bosco (nemus) che hanno consacrato a Vesta, presupposto della creazione del Foro. Questa radura doveva accogliere la nuova casa dei re, con i sacraria di Marte e Ops e il culto dei Lari, e la prima casa delle vestali, sacerdotesse di nuova istituzione, che è stata edificata davanti alla dimora (aedes) di Vesta. In questa dimora della dea, probabilmente una capanna rotonda, è stata scavata una seconda fossa o penus, dove sono stati riposti, non le terre e le primizie del condere, ma oggetti di valore simbolico tra i quali spiccava il sacro fallo o fascinus. Similmente sul Cermalus era una casa/sacrarium di Marte in cui veniva conservato il bastone ricurvo (come un pastorale) e tromba o lituus usato da Romolo nell’inaugurare e fondare la città, seguendo un rito analogo attestato a Tarquinia; il lituus sarebbe stato poi ritrovato tra le macerie dell’incendio gallico. Davanti a questo primo penus pubblico – non più regio – è stato acceso il primo fuoco pubblico, seguendo un rito analogo a quello adottato dai Greci per fondare città e colonie. Creando l’aedes Vestae e a una certa distanza il Volcanal sono stati posti i limiti sacrali del Foro, cioè della piazza che con il Campidoglio e l’Arce ha rappresentato il centro sacrale, politico, giuridico, simbolico e memoriale della città.

Allora Romolo ha potuto disporre, oltre che di una propria capanna privata sul Palatino rivolto all’Aventino, cioè sul Cermalus, di una dimora ufficiale nel complesso del Foro. Similmente ad Atene Egeo, Teseo e i sommi magistrati avevano abbandonato l’Acropoli per la città bassa, dove era stata creata l’agorà alto-arcaica5. Da questo momento in poi i re di Roma hanno pensato che a legittimare la loro sovranità dovesse essere non più un fuoco primo in quanto regio tra i fuochi particolari dei Romani e dei Quiriti, ma un fuoco unico, autonomo, generale e pubblico, sovra-ordinato rispetto a tutti gli altri, e di qui la necessità di un fuoco di Vesta che la città-stato ha inteso monopolizzare. Nel nuovo centro cittadino, segnato dal fuoco pubblico, era la scaturigine di ogni potere sacrale e politico e di ogni suo simbolo. Così il re di Roma, prima protetto dalle mura sante, cioè inviolabili, di un Palatino benedetto da Giove, cioè inaugurato, è andato ad abitare fuori da quelle sante difese, legittimato e protetto soltanto dal fuoco comune di Vesta. Ma all’occorrenza il re poteva facilmente ritirarsi nelle mura palatine (come Voltaire che a Fernay poteva passare facilmente dalla Francia alla Svizzera).

È possibile che il primo fuoco della casa Romuli fosse stato trasferito sul Cermalus dal focolare regio di Alba, come la regalità divina che da Marte procedeva era stata trasferita, morto Numitore, a Roma6. Nella pittura pompeiana della casa di M. Fabio Secondo si osserva sullo sfondo del Palatino il monte Albano, come se quel monte fosse l’equivalente a Roma della rocca di Alba. Sta dunque nel focolare regio – nei primordi il più rappresentativo della comunità – l’origine del focolare pubblico, che però lo ha trasceso. Infatti nel lucus Vestae i focolari di Marte con Ops e quello dei Lares erano distinti dal focolare di Vesta, e ciò fin da principio. E poi le vestali accendevano il loro fuoco, senza ricavarlo da un altrove, come per esempio Alba. Si ricordi anche la lampada sempre accesa nell’Eretteo sull’Acropoli, che era un fuoco distinto da quello di Hestia nella più antica agorà della città. Da Alba potrebbero invece essere giunti sul Cermalus sia i culti regi di Marte e Ops, il dio fecondatore e la dea dell’opulenza che traspare nel nome di Rhea Silvia, sia il culto dei Lares dei Silvii. Infatti i Lares regi della prima Roma furono probabilmente i Grundiles, originari di Alba, legati da principio a Latino e ai Silvi, perché connessi al mito della scrofa e dei 30 maialini che richiamavano i 30 populi Albenses, ai quali corrispondevano a Roma le 30 curiae. Il fanum di questi Lares, istituito da Romolo, è immaginabile al fianco della domus dei re nella radura di Vesta (invece che nella sede delle Curiae riunite, come un tempo avevo pensato).

Nello spostarsi dal Cermalus nel lucus Vestae, il fuoco della casa Romuli si è scisso in fuochi diversi e autonomi. Nella nuova casa del re è andato il fuoco di Marte e accanto a essa il fuoco dei Lares, benché sul Cermalus si perpetuassero la casa Romuli e quella di Marte, quest’ultima sede dei sacerdoti chiamati salii, dove veniva conservato il lituus di Romolo. Nell’aedes Vestae è andato il fuoco di Vesta, simbolicamente riconcepito come fuoco pubblico acceso dalle vestali, mentre nel Volcanal presso il Comitium è andato il fuoco di Vulcano.

Il nuovo fuoco di Vesta aveva perso così ogni natura familiare, regia e rionale e ardeva ormai nel nuovo centro pubblico prima del regnum, poi della libera res publica e infine del principato. Allora Vesta è probabilmente scomparsa dagli altri fuochi, particolari e sotto-ordinati, concentrandosi nel fuoco della dea annesso al Foro, sovra-ordinato rispetto a tutti gli altri. Una concentrazione analoga non si è avuta, invece, per Lares e Penates, venerati i primi a Roma e i secondi in principio forse soltanto a Lavinium e più tardi – probabilmente dalla media o dalla tarda repubblica – anche a Roma, insieme al Palladium.

Così Vesta è diventata il simbolo unitario e massimo della cosa pubblica di Roma. Le vestali erano copie incarnate di Vesta, come lo era di Atena la sua sacerdotessa ad Atene. Le sacerdotesse riconoscevano una sola autorità: il re-augure, poi il re dei sacrifici, primo sacerdote di Roma, e infine il pontefice massimo, diventato con la repubblica il supremo sacerdote dello stato e il responsabile della memoria pubblica registrata negli annales.

Secondo un simile processo, sono state centralizzate anche le 30 curiae, che si riunivano sia in assemblea nel Comitium al Foro e sia per i pasti comuni nella sede delle Curiae (divenute poi Veteres), istituite da Romolo all’angolo nord-est del Palatino7. I pasti comuni delle curiae non avrebbero potuto essere tenuti a Roma presso il fuoco di Vesta – come avveniva in Grecia dove i banchetti dei magistrati e degli ospiti della città si svolgevano nei prytaneia sacri a Hestia –, perché nel lucus Vestae abitavano le vestali votate alla castità per almeno una generazione. Un simile sacerdozio femminile era ignoto invece ai Greci, salvo i rari casi ricordati.

Sempre a causa delle vestali, anche l’assemblea delle curiae era tenuta a distanza, sul lato opposto del Foro al Comitium, mentre in Grecia il focolare comune – inavvicinabile da parte delle donne – si trovava accanto all’assemblea popolare8. Perfino il consiglio regio e in seguito il senato non potevano riunirsi nell’aedes Vestae – dovendosi incontrare esclusivamente in luoghi inaugurati cioè in templa, mentre nelle città greche il bouleuterion era spesso connesso al prytanikos oikos, come ad Atene. A Roma anche il consiglio si riuniva dall’altra parte del Foro, prima nel Volcanal e poi nella Curia Hostilia, che si trovavano presso il Comitium.

Dunque Vesta e le vestali sembrano a Roma incompatibili con i luoghi della politica: assemblea, consiglio e sede dei pasti comuni. Erano invece compatibili con il re e i grandi sacerdoti, cioè con gli aspetti sacrali della sovranità. Ecco perché a Roma la politica, in quanto organizzazione e azione bilanciata di re, consoli, consiglio/senato e assemblea, si è coagulata presso il culto di Vulcano ai piedi dell’Arce, del tempio di Giunone davanti al quale si trovava l’osservatorio degli uccelli, il templum augurale o Auguraculum rivolto al Monte Albano9. Invece presso Vesta, la constitutio Romuli si manifestava altrimenti, in forma sacrale, regale, sacerdotale, rituale e memoriale. Il collegio pontificale era composto dal re-augure o dal re dei sacrifici, residenti nella domus regia del lucus Vestae, dal pontefice massimo, che risiederà nella domus publica subito fuori dal lucus e dai flamini maggiori che risiedevano nel circondario.

Vesta, dea riservata al culto pubblico, è isolata dalle altre divinità e perfino da Vulcano, legato a un fuoco, seppure diverso perché aggressivo e fecondatore invece che domestico e nutritivo. L’antico nesso tra i due generi di fuoco, che aveva collegato Caca a Caco, si era ormai dissolto. Così la città-stato ha esaltato la divisione delle funzioni tra le due divinità del fuoco che delimitavano il Foro: da una parte Vesta, cioè la politica come sovranità e sacralità, e dall’altra Vulcano, cioè la politica combinata di re/consoli, consiglio e assemblea delle curiae. Insomma, i due lati brevi del Foro sono stati presidiati, fin da principio, da queste due divinità, già amiche e ormai lontane tra loro. D’altra parte sia il lucus Vestae che il Volcanal erano accolti nel complesso del Foro, uno spazio neutro, estraneo all’abitato, almeno fino a Servio Tullio, rimasto poi pubblico per eccellenza. La città-stato alto-arcaica era pertanto articolata in parti che reciprocamente si presupponevano: l’abitato, solo una porzione del quale era inaugurata (Palatium/urbs), il centro sacrale, politico e simbolico dello stato (Foro, Arce e Campidoglio) e l’articolazione dell’abitato in curiae, montes/colles e tribus, liberato ed effatus (come l’ager), ma non inaugurato. A questi diversi spazi si accompagnava l’articolazione del tempo nel calendario romuleo di 10 mesi10.

Le vestali alimentavano il fuoco che tra due capodanni mai doveva spegnersi e se accadeva si trattava di un orribile presagio. Allora si sospettava che una o più vestali avessero perso la verginità. Sembra che al tempo dei re fondatori le vestali fossero quattro (connesse a due tribù) e poi, con i Tarquini, sei (connesse a tre tribù). Sant’Ambrogio menziona infine una settima vestale, ma nella cenatio del IV secolo d.C., edificata al centro del peristylium, le stanzette sono soltanto sei (fig. 9). Ad Atene le figlie di Eretteo erano sei e altrettante erano le arrephoroi, reclutate dall’arconte re tra le bambine dai sette agli undici anni. In base a questa serie di indizi è stata avanzata l’ipotesi che le vestali potessero essere sei fin dall’inizio. Come che sia, queste sacerdotesse avrebbero rappresentato, almeno dalla prima metà del VI secolo a.C., non soltanto la centralità dello stato ma anche le sue ripartizioni tribali e forse anche quelle curiali, come constateremo a proposito dei feti delle vacche, che nella festa dei Fordicidia venivano sacrificate sia nel centro della città e sia nelle singole 30 curiae. A Tarquinio Prisco è stata attribuita anche la condanna delle vestali colpevoli di incestus a essere sepolte vive e la prima a fare questa straziante fine sarebbe stata Pinaria, mentre prima dei Tarquini le vestali colpevoli sarebbero state frustate a morte al pari dei loro corruttori. Infine la regina Tanaquil avrebbe tessuto la prima tunica recta con toga pura, che erano le vesti sia delle spose che delle vestali, e ciò confermerebbe un perfezionamento del sacerdozio al tempo di Tarquinio Prisco, forse già in rapporto con il mito troiano riadattato, per il quale il fuoco di Vesta di Roma sarebbe stato portato da Troia, come quello di Lavinium11.

1 Carandini, Cappelli 2000.

2 Carandini 2006, 2008a.

3 Carandini 2006.

4 Carandini, Cappelli 2000.

5 Carandini 2006.

6 Ibid.

7 Ampolo 1987-1989, 2005.

8 Ampolo 1987-1989.

9 Carandini 2006.

10 Ibid.

11 Sordi 1982; Coppola 1995; Debiasi 2004.